Dimenticare è molto più facile, nel vissuto di ognuno di noi, che ricordare. Soprattutto se sono le tragedie, individuali o collettive, a sottolineare quella inconfutabile assurdità dell’esistere (ammutolente divorzio tra noi e l’ostinato silenzio dell’universo alle nostre inutili domande), così ben indagata nei tanti scritti di un Albert Camus. Nonostante la sua pessimistica, sostanzialmente nichilistica visione della vita e del “mondo fisico terrestre”, con l’azzeramento della parola speranza, la “Creazione senza domani” (uno dei suoi saggi inclusi ne “Il mito di Sisifo”, pubblicato nel 1942 e cioè durante la fosca, assassina temperie dis/umana della Shoah), offre ancora, al lettore di oggi, più di uno spunto di riflessione sul destino di “una creazione assurda” a cui lo scrittore chiede, comunque, di essere sintonizzata sulla triade rivolta /libertà / diversità.

Perciò: «La creazione richiede uno sforzo quotidiano, la padronanza di sé, l’esatto apprezzamento dei limiti del vero, la misura e la forza. Costituisce un’ascesi. E tutto ciò “per niente”, per ripetere le stesse cose senza concludere nulla. Ma, forse, la grande opera d’arte ha un’importanza minore per se stessa che per la prova che essa richiede da un uomo e l’occasione che dà a questo di superare i suoi fantasmi, avvicinandosi un po’ di più alla nuda realtà».

Una denudata, anti-elegiaca realtà che ZRAlt! cerca d’intercettare nelle sue pagine-video con la mediazione dei suoi collaboratori – iperattivi in vari settori artistici e culturali – per cercare di far dialogare il suo identikit portante “Catastrofe & Creatività” all’interno d’una contemporaneità espressiva sintonizzata sulla frequenza linguistica della modernità e della ricerca d’avanguardia. Partendo però, in questo numero, dal crinale in cui storicamente può farsi risalire la nascita del postmoderno, coincidente, sempre linguisticamente, con l’ impronunciabilità di un nome (Auschwitz, appunto), secondo la lucida analisi, in proposito, effettuata dal filosofo Adorno. Anche se, nel saggio Dopo Auschwitz, confluito poi in Dialettica negativa, lascia uno spiraglio alla creatività sinora delineata: «Il dolore incessante ha tanto diritto ad esprimersi quanto il martirizzato ad urlare perciò, forse, è falso aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere una poesia».

Diritto negato, con la mordacchia, ad un Giordano Bruno mandato al rogo il 17 febbraio 1600, in primis dal cardinale Bellarmino (venerato come santo). Tragico evento così ricordato in uno dei passi della prima biografia “illuminata” di Domenico Berti (in particolare, l’edizione ampliata del 1889) : «I libri di avvisi e di ritorni, che facevano allora le veci dei giornali, annunziano, con tono sarcastico, la morte del povero frate di Nola. “Giovedì fu abbrugiato vivo in Campo di Fiore quel frate di S. Domenico di Nola, heretico pertinace, con la lingua in giova, per le bruttissime parole che diceva, senza voler ascoltare [la mancata abiura che gli avrebbe salvato la vita, n.d.a.] né confortatori né altri. Era stato dodici anni prigione al S. Uffizio, dal quale fu un’altra volta liberato”». La riconosciuta modernità del pensiero di uno dei più importanti filosofi di tutti i tempi, non poteva non essere già approdata su ZRAlt!, con l’Omaggio tributatogli nel 2015, all’insegna d’un’arte contemporanea che molto gli deve.

https://zralt.angelus-novus.it/zralt-nn-9-10-estate-autunno-2015/due-lettere-binarie-a-jordanus-brunus-nolanus-scritte-in-occasione-della-performance-policentrica-dellartista-sergio-nannicola/

Non sarà allora un caso se, per fronteggiare il montante ritorno ideologico nazi-fascista, ben due testi ospitati nella rivista, Wilhelm Brasse – Il fotografo di Auschwitz e sulla fotografia della Shoah di Pino Bertelli e A volte anche i mostri nazi-ariani ritornano alla mente di Antonio Gasbarrini, scavino tra le montagne e montagne di ceneri dell’Olocausto. Riportando alla luce alcuni frammenti memoriali di un Male che proprio nella sua “banalità” (Hannah Arendt) incarnata dal mefitico Eichmann e dagli altri “similacci iperassassini” gerarchi nazisti, ha tentato di trovare – senza minimamente riuscirvi – più di una sponda disgregatrice all’interno di quel rinnovamento artistico garantito nei primi due decenni del Novecento dai tre movimenti del Futurismo, Dada e Surrealismo, nonché da tutti gli altri sommovimenti, di gruppo o individuali, nati dall’urgenza espressiva di una irreversibile rottura con l’arte del passato.

Rottura ribadita, senza alzare il tono retorico d’una voce assertiva, con le performances di Marco Fioramanti Face to face (Ex carcere mandamentale di Montefiascone) – Primo tempo / Il quarto mago – Secondo tempo e, di Francesco Correggia, La parola e la pittura guardano al futuro («È la parola che scandisce il tempo del nostro vivere quotidiano. Quando essa viene pronunciata lo spazio della rimemorazione si apre, il tempo dell’anima concede i suoi preziosi frutti nel presente. Ogni cosa torna al suo posto e si riverbera  pur nel fluire del dire, dal detto all’interdetto, dalla visione alla pittura»).

Quasi da intermezzo, può considerarsi il racconto (inedito) di Marco Palladini Genealogia, dove l’autore e l’altro personaggio “il Gianni Dodi”, grazie ad una agilissima, quanto navigata scrittura densa di concertanti neologismi, scorrazzano in lungo e in largo tra le “saccenti chiacchiere sputasentenze” di un baretto («Il Gianni Dodi lo ritrovo immancabilmente al bar degli zozzoni gossipari… vorrei dirgli che è la secrezione del fare, del poiein che dà tono e senso al suo e mio esserci, per quanto vago e problematico possa apparire… invece che ammaliante il mondo odierno mi appare ammalante, ci fa infatti pressoché tutti malati, infermi, schizzati, insani, soprattutto pazzi… pazzi che non di rado sono (siamo) fuori controllo… lui sta spiegando ad un tizio alquanto brillo l’ingegnosità di un’opera dai cui forami filtrano lance di luce purpurea che, ruotando, si proiettano su uno schermo caleidoscopico generando immagini ad alto tasso inferico… ma sì, tanto oggi sembra che si possa proporre tutto e il suo contrario».

È poi Matteo D’Ambrosio in Che cos’è la Videopoesia? (Con alcuni rimandi a propositi e critica dei primi esperimenti) a render conto al lettore – con una fine e ben documentata rilettura critico-storiografica, circa le innovazioni stilistico-espressive affermatesi, tra la fine degli anni cinquanta e quelli sessanta del secolo scorso – dell’ineluttabile collegamento tra i nuovi strumenti tecnologici a disposizione e le nuove pratiche intramediali («Nella Videopoesia, settore esemplare della produzione creativa post-alfabetica, è stata prospettata l’integrazione – organica, più che per interferenza – del linguaggio video con i linguaggi e i codici propri del testo verbale di riferimento (solitamente di riconoscibile valore strettamente letterario), nonché della parte musicale e degli eventi fisici e spazio-temporali registrati»).

Una poesia che ai giorni nostri, anche quando continua ad essere “apparentemente alfabetica”, tale più non è, essendo fusa con l’azione performativa del poeta dicitore, o con il contesto interdisciplinare con cui le parole vanno ad interagire, come ben sintetizza il testo La violenza maschile contro le donne recide il cordone del mondo di Anna Maria Giancarli. Una stringata recensione, la sua, sull’incontro  performativo-espositivo tenuto a L’Aquila nella “Giornata mondiale della violenza sulla donna”.

Conclude la ricognizione sino a qui effettuata La fine della rappresentazione e la «morte dell’arte»  (Una lettera aperta – Prima parte) di Giuseppe Siano, il quale, ripercorrendo i cambiamenti verificatisi in ambito estetico, mette bene in luce il sostanziale “rimasticamento accademico” (da parte degli artisti contemporanei, anche più affermati), delle reali conquiste espressive sancite dalle avanguardie storiche. Spetta alla speculazione teoretica effettuare le dovute distinzioni tra “l’Arte con l’A maiuscola” e “l’arte con l’a minuscola”, in quanto: «Il compito del teorico consiste non solo nel raccogliere le varie forme del pensare e del produrre oggetti, ma anche nel confrontarle per determinare una storia evolutiva del “sentire” estetico che procede tra pensiero e tecnica della composizione, o tra le varie forme di relazioni presenti tra gli individui di un contesto storico; per cui non solo il linguaggio e lo studio dei segni del rappresentare sono coinvolti oggi in questa analisi, ma anche quelli, ad esempio, delle geometrie non euclidee, o del sentire e raccontare attraverso algoritmi (alias procedure logico-energetiche)».

 

INDICE BINARIO

Fotografia

Wilhelm Brasse – Il fotografo di Auschwitz e sulla fotografia della Shoah di Pino Bertelli
Slides

Saggistica

 Che cos’è la Videopoesia? (Con alcuni rimandi a propositi e critica dei primi esperimenti) di Matteo D’Ambrosio
Slides + 1 video

La fine della rappresentazione e la «morte dell’arte»  (Una lettera aperta – Prima parte) di Giuseppe Siano
Slides + 2 video

A volte anche i mostri nazi-ariani ritornano alla mente di Antonio Gasbarrini
Slides + 3 video

Arte

Face to face (Ex carcere mandamentale di Montefiascone) – Primo tempo / Il quarto mago – Secondo tempo di Marco Fioramanti

Slides + 2 video

La parola e la pittura guardano al futuro di Francesco Correggia
Slides

Letteratura

Genealogia (Racconto inedito) di Marco Palladini
7 video

La violenza maschile contro le donne recide il cordone del mondo di Anna Maria Giancarli
Slides

 

I TITOLI DEL PROSSIMO NUMERO DI ZRAlt! (monografico, dedicato al Coronavirus)

Pino Bertelli Dell’immagine di un popolo nella società spettacolare del Coronavirus

Antonio Gasbarrini  Il Covid-19 e il tonfo dell’Estetica relazionale?

Marco Palladini  In quei giorni (Homo homini virus)

Francesco Correggia  All’ombra del Coronavirus

Luigi Fabio Mastropietro Moder humus – cronache del ritorno alla terra

Gianni Fontana  Riflessioni sul Videopoema in Zona Rossa

Eva Rachele Grassi  Dedicato a tutti quelli che …

… si sentono esonerati dal dis-gusto …

                                               … di una favola cupa …

Ermanno Senatore  Il virus siamo noi!