Andare controcorrente, oltre le catastrofi naturali, sorpassandole con l’arte e la creatività. La creatività dell’arte e nell’arte
di Antonio Gasbarrini
Si doveva rispondere all’evento catastrofico: c’era tanta energia nell’arte,
tanta energia da potersi contrapporre a quella scatenata dalla terra
Lucio Amelio
Terremoto del Belice 15 gennaio 1968: 6 paesi (tra cui Gibellina) interamente distrutti; 1150 vittime; 98.000 senzatetto. Terremoto dell’Irpinia 23 novembre 1980: circa 700 comuni gravemente danneggiati, qualcuno interamente raso al suolo; circa 3.000 vittime ed oltre 230.000 senzatetto.
Terremoto dell’Aquila 6 aprile 2009: l’intera città gravemente colpita nell’intero impianto urbanistico e monumentale del suo Centro storico, insieme ad altre decine e decine di Comuni del cratere sismico; oltre trecento vittime; 70-100.000 senza casa. Questa l’arida contabilità di date e cifre. Andare, comunque controcorrente, oltre le catastrofi naturali, sorpassandole con l’arte e la creatività. La creatività dell’arte e nell’arte.
I tre tragici eventi sismici chiamati in causa possono essere portati anche ad esempio paradigmatico dello stretto, strettissimo rapporto esistente tra il traumatico shock emotivo (non solo dei terremotati) e la catartica mediazione estetica (da intendere nella sua più larga accezione) protesa al suo superamento. Nel caso del terremoto del Belice, il salvifico linguaggio dell’arte contemporanea s’è fatto avanti allorché, nell’ideale cittadina della “Gibellina Nova” interamente rifondata a qualche chilometro di distanza dal piccolo centro storico azzerato, venivano coinvolti (dal sindaco Ludovico Corrao) artisti e architetti di grande qualità (Consagra, Quaroni, Pomodoro, Mendini, ecc.) per riformulare ex novo l’assetto urbano della “cittadina ideale”.
In tale contesto, è stato però il più che monumentale Grande Cretto di Burri a far emergere dalle rovine una delle più importanti opere ricollegabili alla Land Art. Come? Compattando le macerie in blocchi tenuti insieme da reti metalliche, disponendo gli stessi (altezza circa 1,60 metri) in modo da ricostruire la pianta topografica preesistente, lasciando tra l’uno e l’altro un varco-labirinto (largo cira 2-3 metri) percorribile dai visitatori. Il tutto ricoperto con la colata di cemento bianco, che nel corso degli anni s’è ingrigito, mentre erbe infestanti lo stanno aggredendo da ogni parte. Entrare così nelle viscere dell’inferno per convivere con il cataclisma. Uscirne primaverilmente rifioriti. Poter, inoltre, guardare il Grande Cretto dall’alto: un’imponente meteorite fratta.
Ben altra storia (dell’arte contemporanea) è la densa avventura Terrae Motus vissuta da uno dei più intelligenti e sensibili galleristi italiani: il compianto Lucio Amelio, scomparso nel 1994. Artisti di rango internazionale si misurano anche emotivamente con la tragedia realizzando ad hoc dipinti, sculture, installazioni: Beuyus, Warhol, Rauschenberg, Richter, Haring, Cragg e tanti, tanti altri. Né sarà da meno la calda partecipazione dei vari Vedova, Paladino, Merz, Ontani, Schifano, Cucchi… Fece a suo tempo epoca il trittico serigrafico di Warhol, riproducente – con grandezze fuori scala – la prima pagina de Il Mattino titolata con lettere cubitali FATE PRESTO. La preziosa collezione donata per lascito testamentario dallo stesso Amelio, è ora visibile nella Reggia di Caserta.
Ben altra angolazione, non solo estetica, ho cercato di dare ai cinque eventi culturali da me proposti e curati sotto l’unificante titolo La creatività sismica aquilana: un riannodabile filo rosso spezzato nell’ambito degli incontri Il piatto è servito: le responsabilità della mancata ricostruzione.
Nel settore delle arti visive, in qualità di art director del Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea “Angelus Novus” fondato a L’Aquila nel 1988 ed il cui spazio espositivo in pieno Centro storico è “stato chiuso” alle 3.32 del 6 aprile di quattro anni fa e nella veste di critico d’arte, ho cercato subito di capire cosa fosse successo ai tanti, validissimi artisti operanti in città o, in che modo avessero reagito i loro colleghi abruzzesi. Subito dopo il sisma, partiva l’iniziativa “AquilAbruzzo Tendatelier”, a L’Aquila, nella tendopoli Centi-Colella (Giugno-Luglio 2009, con successive varie mostre approdate all’Aurum di Pescara nell’aprile del 2012), “Dalle 3.31 alle 3.33. Il prima e il poi degli artisti aquilani dopo il terremoto delle 3,32”, nel Porto Antico di Genova (22 agosto-6 settembre 2009), “La deriva alle 99 Cannelle dell’Aquila” (no stop dalle 21 del 5 alle 21 del 6 aprile 2010).
Tutte queste iniziative, hanno avuto sempre come presupposto, una feroce critica radicale alle Istituzioni, ree e corree di tutte le nefandezze fino ad oggi compiute a danno della collettività aquilana. Anche l’invito esteso agli artisti, poeti, musicisti e videomakers (giovani e giovanissimi, in particolare), partecipanti poi a La creatività sismica aquilana: un riannodabile filo rosso spezzato, si è basato su questo “non negoziabile” principio, incentrato su “una visione-versione altra” dell’amara realtà esistenziale vissuta, rispetto alle edulcorate, propagandistiche, imperanti manipolazioni mediatiche. La città è morta, gli aquilani agonizzano. Potrebbe essere questo il filo rosso spezzato, riannodato in piccolissima parte in questa occasione nella quale i cittadini hanno discusso e si sono confrontati – nella prestigiosa architettura del Palazzetto dei Nobili (appena restaurato) – sul loro non esaltante destino, durante i cinque incontri de Il piatto è servito: le responsabilità della mancata ricostruzione.
Reportage
Il singolo evento faceva così da ouverture alla serata, accomunando, si può affermare, l’aspetto tecnico delle varie relazioni, a quello più squisitamente estetico. Un abbinamento felice che ha consentito agli aquilani intervenuti di riprendere contatto con quella familiare condivisione degli eventi culturali, pressoché cancellata dal sisma.
Ha aperto i battenti, se così si può scrivere, l’artista Sergio Nannicola (aquilano doc docente all’Accademia di Brera), proponendo l’anteprima nazionale della mostra personale itinerante “S-Oggetti del cratere”, che raccoglierà il corpus principale delle numerose opere-denuncia dedicate al sisma aquilano, alcune delle quali sono state già esposte in rinomati spazi espositivi italiani e stranieri. Il “Piatto”, evocante la pianta della città dell’Aquila disegnata nel 1575 dal matematico-architetto Ieronimo Pico Fonticulano, altro non è che la metafora di tutto il malaffare propagandistico e cricchesco scatenatosi già alcuni minuti dopo il sisma (le oscene risate telefoniche dell’imprenditore). La poetica dell’artista aquilano, in merito, può essere sintetizzata da queste sue parole delucidanti il senso della sua installazione che sarà presente a breve a Milano e a Washington:“L’utilizzo artistico della pianta della città dell’Aquila miseramente ridotta ad oggetto del desiderio dalle caste di una classe politica malata che sovrasta gli interessi comuni con beceri e spregiudicati personalismi, vuole mettere in evidenza gli usi demagogici di un governo che ha relegato il dramma e la ricostruzione sul binario morto della burocrazia”.
Su questo stesso binario ha incentrato il suo lungometraggio il giovane regista (sempre aquilano) Luca Cococcetta. L’implacabile filmato “Radici – L’Aquila di cemento” (già proiettato in varie città italiane e a Parigi) è da considerare un autentico memento: ciò che è realmente (e non già mediaticamente e propagandisticamente) successo nello sconquassato territorio aquilano ultra violentato dalle scellerata scelta dei 19 agglomerati delle c.a.s.e.t.t.e. in cartongesso (le cui radici sono di cemento, appunto) dove sono ancor oggi deportati circa 13.000 aquilani.
Ripercorrendo passo dopo passo, con riprese on real time, i principali fatti accaduti nonché effigiando i protagonisti degli stessi (ad iniziare dall’innominabile sig. b.), Luca Cococcetta è riuscito a demistificare, a tratti usando anche la micidiale arma dell’ironia, la bufala dell’avvenuta ricostruzione della città dell’Aquila. Spacciata per tale, sempre a livello massmediatico, sin dai primi mesi del 2010. Le interviste a storici, architetti, urbanisti ed imprenditori, rafforzano, grazie anche alle loro valide argomentazioni, la praticabilità di percorsi altri nelle fondamentali scelte strategiche della potenziale rinascita. Garantita dalle corali quanto “eversive azioni antagoniste” dell’indignato Popolo delle carriole.
Catalogo
Non potevano mancare, tra i cinque eventi proposti, la musica e la poesia, fuse nella performance “.. e cambia passo il tempo” della poetessa Anna Maria Giancarli e del musicista Sabatino Servilio. Qui, voce e suono, amplificati dall’incredibile scenario barocco del Palazzetto dei Nobili, si sono librati in aria, prima con un ritmo incalzante dell’esistenziale rivissuto sismico (il mentre), poi con un’attenuazione, addolcimento (il dopo). Sono state le parole “autorecitanti” tratte dalla poesia “ore tre e trentadue della vita” dell’autrice e le laceranti, rumoristiche, mordenti note della straziante viola, a dare conto della concertante esibizione. Ecco brevi passi del mentre: “ore tre e trentadue della vita…/ ma come dormivi mentre tutto / proprio tutto / ballava ruotava si dimenava / stringeva urlava sussultava / e tu, noi / caldi nei letti / morsi da una storia sbalordita / e tutto, proprio tutto / vorticava in tempo lento / non aveva sangue il tempo / non aveva fine il tempo; / (…)”.
Quanto ad un riappacificato, meno cadenzato pathos del dopo (dell’obbligata sopravvivenza) eccone il passaggio: “ancora si scrive e si vive / una vita così / ripensando tutto finendo mai / di pensare e rimare e prosare / ideando finali ad effetto / nell’impazzita periferia / ché la città è un non-luogo/ che strappa stelle e / ricordi brucianti/ alla tre e trentadue della vita/ (…)”.
L’Aquila terremotata dopo quattro giri della terra intorno al sole: un non-luogo, o meglio, l’iperluogo della città puntellata, sfasciata fisicamente e civilmente. Silenzio e solitudine. Binomio perfetto per la città morta.
Ripercorsa, un paio di mesi fa, dal giovane concittadino stralunato che l’attraversa tra una strettoia e l’altra nel video Post scriptum, aggirando consunte transenne della zona rossa (di vergogna per le istituzioni degne solo della i minuscola). Siamo dentro il concentrato “set scenografico a costo zero” del cortometraggio confezionato tutto in casa da giovani talenti partoriti da quella creatività sismica sprigionata da benefiche onde reattive (riprese, regia, musica, voce, interprete, testo, postproduzione). I due co-registi Francesco Paolucci e Fausto Ianni, insieme all’ulissico protagonista Principe Valeri, hanno dato prova d’una indubbia, quasi precoce maturità professionale. Convincente, poi, l’invenzione della lettera scritta all’abusivo girovago dalla deuteragonista: “L’Aquila magnifica citade” (Buccio di Ranallo, sec XIV).
La sua calda voce, mentre l’espressione fisiognomica del volto si fa sempre più tirata a mano a mano che le desolanti immagini della città distrutta si accumulano alla stregua di macerie nelle macerie, fa da contrappunto all’amplificato rumore dei passi, ai malaugurati versi d’invisibili cornacchie, al noioso abbaiare contro i fantasmi di qualche cane pellegrino, al vociare confuso di scene domestiche stracciate alle 3.32 provenienti direttamente da case dirute, alle ululanti sirene di quella terribile nottataccia. Per reagire a tanto orrore c’è, come effettivamente c’è, solo la scappatoia di un finale sballo in una discoteca.
A chiudere questa galoppata, l’installazione multimediale ambientale L’Aquila bella sé realizzata per “Il piatto è servito”da altre due promettenti leve giovanili, Carlo Nannicola e Michela Del Conte, formatisi nell’Accademia di Bella Arti dell’Aquila. Ecco l’assunto della loro motivazione poetica: “L’Aquila bella sé’? Forse si, forse no. La città è privata, privata dei suoi cittadini e viceversa. La città è un affare privato. L’opera, in continuo cambiamento, pulsa davanti lo spettatore, offrendo ciclicamente la possibilità di una visione lucida della città”. Con un insieme di alchimie operative analogiche e digitali, due diapositive di cm. 36×24 mm., opportunamente trattate con grafite, colore e spirito, proiettate poi ingigantite sul muro di una stanza completamente al buio utilizzando anche hardware e software open-source, è concentrata tutta la disperazione, ma anche la speranza, di nuovi orizzonti non ancora a portata di mano. Sulla destra l’ammutolita scena di macerie, una mostruosa ruspa ed una minuscola quanto spaesata donnina vestita di nero. Sulla sinistra uno striato cuore pulsante alimentato dall’immaginario collettivo della zona rossa, ritmato dai rumori analogici provenienti, come una sinistra eco, dall’altro fotogramma. Idealmente in mezzo, lo spettatore: terremotato e non.
A dare ragione a Lucio Amelio, circa l’incomprimibile energia dell’arte, sono le due opere della vignetta portafortuna di Sergio Staino dedicata all’aquilano Popolo delle Carriole ed il grande dipinto di Dario Fo, cromaticamente e segnicamente caratterizzato da un baroccheggiante neo-espressionismo. Quadro a metà altezza cicatrizzato dalla grande scritta: “L’Aquila urla di terrore per il terremoto, ma qualcuno sghignazza e brinda”. Queste due opere sono state riprodotte, quale beneaugurante sigillo apotropaico, nell’ultima pagina del Libro bianco “Il piatto è servito” (http://www.laquila99.tv/2013/03/20/il-piatto-e-servito/) da cui è stato estrapolato il catalogo.
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