Nella poesia concreta il testo è un’unità di concetto e segno. Al variare delle caratteristiche materiali del segno (dimensione, posizione, ecc.) cambia il concetto
di Giovanni Fontana
Gerhard Rühm, viennese, classe 1930, è un artista che ha segnato profondamente l’avventura dell’avanguardia austriaca e che ancora oggi ci sorprende per le sue ricerche interdisciplinari.
Con raffinate poliritmiche performance verbo-sonore, Rühm, accompagnato da sua moglie Monika Lichtenfeld, vocalist che sostiene sempre in maniera ineccepibile la voce di suo marito, ha inaugurato al Forum Austriaco di Cultura di Roma la mostra “Parola, suono, immagine nella poesia austriaca del 900 – zwischensinn und unsinn (tra senso e non senso)” a cura di Giovanni Fontana e Piero Varroni, titolare dell’omonimo studio d’arte romano e delle Edizioni EOS, specializzate in libri d’artista. Scrittore e poeta, artista visivo, poeta sonoro, compositore e pianista, Rühm incarna la figura del poeta totale di spatoliana memoria.[1]
Nella conferenza inaugurale, Gaby Gappmayr, figlia dell’artista Heinz Gappmayr, scomparso nel 2010, presente nella mostra con alcune delle sue opere più rappresentative, ha definito Rühm come «un artista che mette in dubbio tutti i limiti di generi e discipline: le sue opere scintillano fra parola e immagine, linguaggio e musica, scrittura e disegno. Rappresenta la vera avanguardia austriaca, avendo indagato sul concetto di sistema linguistico, avendo superato i limiti delle composizioni artistiche e musicali ed essendosi orientato anche sulle esperienze dell’espressionismo, del dadaismo e costruttivismo».[2] Esponente del “Wiener Gruppe”, crogiuolo della sperimentazione viennese, multidisciplinare e radicale, è anche esponente del “Cabaret letterario” (1958/59) dove pratica i primi happening e dove, con Friedrich Achleitner distrugge un pianoforte, anticipando azioni come quella di Arman, tra i maggiori esponenti del Nouveau Réalisme, nel 1961, o tante operazioni di matrice fluxus, che portano al centro dell’attenzione il significato del gesto, l’importanza dell’esperienza fisica, del processo creativo, dell’unicità dell’evento, o come la performance di Philip Corner, che con l’aiuto di Emmet Williams, Wolf Vostell, George Maciunas e Ben Patterson, in Piano Activities(1962) fa a pezzi un pianoforte. Ma Gerhard Rühm è noto in Italia soprattutto per la poesia concreta e per la sua poesia sonora, inclusa da Arrigo Lora Totino nella famosa antologia della Cramps Records nel 1979.[3]
Questa mostra romana, anche se specificamente dedicata alla ricerca nell’ambiente culturale austriaco, è servita a ridestare una più generale attenzione verso la poesia concreta, un fenomeno artistico che si impone a livello internazionale fin dai primi anni cinquanta del 900 e che ha segnato profondamente la ricerca poetica nell’ambito delle neoavanguardie. Il suo dato caratteristico è la costruzione di testi basati su nuove sintassi di tipo geometrico, spaziale, che esaltano le potenzialità significanti degli elementi linguistici (anche elementari come la lettera o il fonema), tessuti con riferimento ai loro aspetti visivi, ma nel rispetto delle funzioni verbali e delle qualità fonetiche. Più in generale, nella poesia concreta i significati delle opere sono determinati dalla collocazione delle parole sulla pagina, dalle loro relazioni, dalle loro interferenze, dalle loro possibilità combinatorie, dalla loro stessa forma. Fondamentale è, pertanto, la struttura topologica mediata dalla qualità dell’impianto grafico o tipografico delle tessiture, che determina il valore semantico ed estetico. La corrente artistica ha origine in differenti settori di ricerca. Gli artisti che ne sono coinvolti provengono, infatti, da ambiti molto diversi, non solo geograficamente, ma anche dal punto di vista tecnico e culturale. In Brasile, in Svizzera e, successivamente, in numerosi altri paesi, sono impegnati in questa sperimentazione letterati, pittori, grafici pubblicitari, architetti, perfino fisici come Edgar Braga o filosofi come Max Bense.
L’Austria si profila fin dai primi momenti come uno dei più interessanti e vivaci ambiti di ricerca, specialmente grazie al nucleo di artisti e letterati appartenenti al Wiener Gruppe (1953), di cui fecero parte oltre ai già ricordati Rühme Achleitner, anche autori come Hans Carl Artmann, più noto semplicemente come H. C. Artmann, Konrad Bayer, e Oswald Wiener.
Il gruppo si distingue per il taglio interdisciplinare e per l’originalità delle soluzioni creative. Osserva Gaby Gappmayr che “la sua poesia è caratterizzata da un netto scetticismo di fronte al linguaggio poetico tradizionale”[4] e che la riflessione sul sistema linguistico di Ludwig Wittgenstein ha un impatto considerevole sulle poetiche. Si praticano territori diversi e si tenta il superamento del genere. La molteplicità e la multiformità degli interessi del sodalizio si specchiano chiaramente nelle biografie dei componenti. Gerhard Rühm nasce come compositore, Achleitner studia all’Accademia di Belle Arti di Vienna e alla Clemens Holzmeister School of Architecture; scrive un’importante guida di architettura in quattro volumi; ma si diverte nell’ambito della poesia concreta con quella che è la sua opera più nota, Quadratroman, pubblicato nel 1973. Protagonista è il quadrato «forma geometrica che nel corso del libro è posta a confronto con varie definizioni, descrizioni ed espressioni relative a tutto ciò che il lettore-osservatore vede nelle pagine. Le frasi che apparentemente seguono la direzione della lettura tradizionale, come anche il genere indicato sulla copertina, romanzo, sono sovversive. In realtà non si tratta di un romanzo e neanche di un testo tradizionale. Al contrario, si osserva la costruzione del sistema linguistico come modalità operativa».[5]
Hans Carl Artmann è il più anziano del gruppo; tra i più noti rappresentanti dell’avanguardia artistica austriaca si distingue per la grande libertà delle forme poetiche, anche di gruppo, spesso fondate sull’articolazione mimica e fonica; scrive numerosi testi avvalendosi anche della tradizione dialettale della commedia popolare viennese. Oswald Wiener, dopo studi in giurisprudenza, matematica, lingue africane e musicologia, sceglie la musica jazz per approdare dopo qualche tempo alla letteratura con il romanzoDie Verbesserung von Mitteleuropa (1969), un classico della scrittura sperimentale, «un libro profetico, nella misura in cui l’autore abbozza un’immagine di un mondo virtuale e cibernetico. Non crede più alla forza del sistema linguistico, si rivolge piuttosto verso la creatività meccanica del linguaggio di programmazione (ricordiamo il suo famoso epilogo – il “bio-adapter” – sistema immaginativo di una fusione fra uomo e macchina)».[6] Il bio-adattatore è un “joy-suit” cibernetico, una “tuta allegra”, un convertitore di impulsi che anticipa e soddisfa bisogni, desideri e sogni di chi la indossa, spingendo alla rinuncia del contatto sociale. Il suo “homo machinarius” da una parte sembra ricondurci alla supermarionetta di Kleist, dall’altra sembra anticiparci le imprese ipertecnologiche di Stelarc. Wiener, che negli anni sessanta dirige perfino un reparto di elaborazione dati della Olivetti austriaca, finirà per collaborare con il gruppo degli azionisti Hermann Nitsch e Günter Brus.
Konrad Bayer, esponente tragico del gruppo, «è un personaggio carismatico, elegante, un dandy moderno. Con i suoi testi e happenings cercava di scuotere il pubblico dalla sua passività e acriticità. Lo spirito provocatorio dell’improvvisazione e dell’inaspettato è inseparabilmente legato al suo nome. Bayer non crede più a uno stile narrativo tradizionale, anzi rende visibile la forza decostruttiva del sistema linguistico. Così il suo capolavoro DerKopfdes Vitus Bering (1970), un’opera sperimentale su questo capitano storico di origine danese, rimane una delle opere più caratteristiche del poeta, un mosaico sperimentale, disperato, caldo, associativo. L’autore scrive “gegenen desoll das ganze auchsprach lichvereisen” (“verso la fine, il tutto dovrà gelare anche in maniera linguistica”). Il gruppo si dissolve nel 1964, quando Konrad Bayer si suicida».[7]
Oltre alle opere degliautori del “Wiener Gruppe“, la rassegna ha presentato lavori di Heimrad Bäcker, Peter Daniel, Heinz Gappmayr, Ernst Jandl, Fritz Lichtenauer, Mario Rotter, Christian Steinbacher.
Particolarmente interessante è stato osservare che la poesia concreta, come molti altri aspetti, tecniche, forme e modalità dell’avanguardia, ha radici nel Futurismo Italiano. Carlo Belloli, del resto, è tra i primi in Italia a praticare modalità concrete con i suoi Testi-Poemi Murali, risalenti agli anni Quaranta, per i quali Filippo Tommaso Marinetti, “collaudatore” dell’opera, esprime grande entusiasmo. Belloli è colui che «ha intuito il futuro del futurismo»,[8] scrive il patron del movimento, «i testi-poemi di belloli sono parole nude essenziali allineate per cercare direzioni spaziali inventate. Con Belloli la poesia diventa visiva».[9] Ma, senza dubbio, il fenomeno ha una dimensione internazionale nella quale da più parti emergono contemporaneamente dati teorici ed eventi creativi. Si può fare il nome di un artista della prima ora, come Eugene Gomringer,o si può ricordare il gruppo brasiliano Noigandres con Augusto e Haroldo De Campos e Decio Pignatari. Seguono a ruota numerose iniziative, in particolare in area di lingua tedesca, con il gruppo di Darmstadt e la rivista “Material”, con la prima antologia internazionale di poesia concreta voluta da Claus Bremer, Emmett Williams e Daniel Spoerri, con il polo di interesse costituito da Max Bense, i poemi circolari di Kriwet e, non ultimi, gli artisti di nazionalità austriaca, come Heinz Gappmayr, Ernst Jandl. Con queste, emergono numerose altre realtà in tutto il mondo: in Francia, in Belgio, in Cecoslovacchia, in Gran Bretagna, in Spagna, negli Stati Uniti, in Giappone, ecc. In Italia, si riaggancia all’esperienza futurista un singolare artista come Arrigo Lora Totino, che spazia tra concreto, sonoro e performativo. I rapporti diretti e i fitti contatti epistolari tra gli autori favoriscono un singolare laboratorio internazionale, che raccoglie culture differenti sotto il segno di un nuovo modo di concepire la parola e le sue relazioni sintattiche.
Slides (a cura di Giovanni Fontana)
Un importante contributo alla diffusione del fenomeno è la vetrina internazionale della Biennale di Venezia, dove nel 1969 viene organizzata la mostra “Poesia concreta. Indirizzi visuali e fonetici”, curata da Lora Totino con Dietrich Mahlow. Di tale mostra sarà pubblicato un catalogo che si pone, ancora oggi, come strumento basilare per la ricerca nel settore, tanto più che accanto alle opere di poeti concreti contemporanei vengono proposte significative testimonianze della produzione di artisti delle avanguardie storiche. Un aspetto importante di questa mostra è dovuto al fatto che non si pone in evidenza solo il dato visivo, bensì anche quello fonetico, mentre sovente, anche per la stessa volontà degli autori, si predilige l’aspetto visivo a quello sonoro, glissando su tutta una serie di possibilità espressive che trovano una diretta connessione con le tavole parolibere futuriste e con gli antecedenti concepiti in area Dada da autori come Raoul Haussmann, Kurt Schwitters o Hugo Ball. In questo contesto Arrigo Lora Totino propone un’ampia rassegna dei fatti e dei protagonisti della poesia fonica, soffermandosi su importanti manifesti, come “La declamazione dinamica e sinottica” di Marinetti (1916), che terrà in grande considerazione in tutta la sua carriera, o come “L’onomalingua, verbalizzazione astratta” di Fortunato Depero. Nel saggio “Poesia da ascoltare”, che costituisce il fulcro del catalogo, riprende quasi tutti i punti del manifesto marinettiano, commentando che «La precisione tecnica di queste istruzioni non permette dubbi sulla retta impostazione del problema della strumentazione fonica presso i futuristi».[10] Marinetti, infatti, sorprende per le sue innovazioni che investono finalmente un settore trascurato negli ambiti di ricerca: quello della lettura di testi poetici, fino ad allora affidato a stucchevoli “fini dicitori” da salotto, secondo una tradizione ampiamente praticata per tutto l’Ottocento. Il declamatore del futuro dovrà disumanizzare completamente la voce, metallizzarla, liquefarla, vegetalizzarla, pietrificarla ed elettrizzarla, fondendola colle vibrazioni stesse della materia, dovrà avere una gesticolazione geometrica, «disegnante e topografica che sinteticamente crei nell’aria dei cubi, dei coni, delle spirali, delle ellissi», dovrà «spostarsi nei differenti punti della sala, con maggiore o minore rapidità correndo o camminando lentamente, facendo così collaborare il movimento del proprio corpo allo sparpagliamento delle parole in libertà», dovrà «essere un inventore e un creatore instancabile».[11]
Si pone così in risalto la stretta relazione strutturale tra il dato fonico e quello grafico che fa del poema un oggetto che vive a pieno una dimensione intermediale. A tal proposito, anche per il carattere prettamente rumoristico, è emblematico Schtzngrmm, di Ernst Jandl, presente in questa mostra, ricavato dall’articolazione dei fonemi della parola tedesca “schützengraben” (trincea): una sorprendente poesia sulla guerra, specialmente se si considera l’interpretazione che ne dà l’autore.
Gli aspetti visivi e fonici della mostra romana hanno potuto integrarsi reciprocamente tra “senso e non senso”. L’esposizione, infatti, ha coinvolto artisti che talora hanno agganciato la loro ricerca ad equilibri semantici molto razionali, giocando su relazioni testuali mirate alla rivelazione di contenuti nascosti o orientati verso la sorpresa di nuovi livelli di significato attraverso la sperimentazione di nuove modalità visive del testo; talaltra hanno preferito lavorare esclusivamente sulle forme (visive o sonore) esaltando il puro significante. Con la poesia concreta, infatti, la parola si carica del peso della propria rappresentazione; diventa oggetto grafico-tipografico che impone i suoi valori formali, anche al di là di quelli strettamente semantici; la configurazione bidimensionale o tridimensionale delle parole determina il senso dell’opera; la sintassi tradizionale è sostituita da un sistema strutturale di matrice geometrica (spaziale); la nozione di sequenza lineare è sostituita da quella di campo morfologico. La lettura scandita per gradi deve iscriversi nella visione simultanea della pagina di mallarmeana memoria.
Per la Gappmayr «Concreto implica tutto ciò che è presente, tutto ciò che è visibile in maniera immediata, senza connotazione simbolica o metaforica, mentre d’altra parte astratto è tutto ciò che è rimosso da un contesto figurativo o narrativo. In questo senso, molti poeti sopraccennati sono poeti concreti. L’approccio poetico sperimentale, la critica ad un linguaggio narrativo tradizionale e l’interesse per una poesia non metaforica sono elementi di una poesia concreta, nella quale la lingua e i segni linguistici formano la base del concetto artistico».[12]
Nella “Rivista Foglio”,[13] edita da EOS, che ha funzione di catalogo della mostra, è riproposto un vecchio testo di Max Bense (1968), in cui, a tal proposito, si legge: «Si tratta di una poesia che non riproduce il senso semantico ed il senso estetico dei suoi elementi, ad esempio le parole, con la consueta formazione di contesti ordinati linearmente e grammaticalmente, ma gioca su nessi visivi e nessi di superficie. Non la giustapposizione delle parole nella mente ma il loro intreccio nella percezione è dunque il principio costruttivo di questo genere di poesia. La parola non viene usata principalmente come veicolo intenzionale di significati ma anche come elemento materiale di figurazione, in modo che significato e figurazione si condizionano e si esprimono reciprocamente. Simultaneità della funzione semantica ed estetica delle parole sulla base di una utilizzazione contemporanea di tutte le dimensioni materiali di questi elementi linguistici, i quali possono anche apparire spezzati, in sillabe, suoni, morfemi o lettere, per esprimere le condizioni estetiche della lingua nella sua dipendenza dalle loro possibilità sia analitiche che sintetiche. Solo in questo senso il principio della poesia concreta coincide con la ricchezza materiale della lingua».[14]
I militanti hanno ampiamente discusso a riguardo. Con evidente riferimento all’architettura di parole, per esempio, Lora Totino osserva che nella poesia concreta la struttura è di per sé “significativa” e che la lingua deve essere «oggettivamente considerata come universo autonomo e materia».[15]E scrive inoltre che «Una parola, per essere compresa in modo concreto, deve essere accolta letteralmente, vale a dire nei limiti del solo materiale verbale. Se l’astratto presuppone un ‘altro’ dal quale si astraggano determinate caratteristiche, il concreto è al contrario se stesso. Opera concretamente ogni arte il materiale della quale viene utilizzato in consonanza con la materialità delle sue funzioni. L’arte concreta va intesa come arte materiale. La poesia concreta è un ideogramma ovvero un campo strutturato di funzioni che si relazionano in ogni sua parte: funzioni grafico-spaziali, acustico-orali, contenutistiche».[16] Sicché per Lora Totino il principio essenziale da tenere in considerazione è la materialità del linguaggio, in perfetta sintonia con le enunciazioni del manifesto di Theo Van Doesburg in “Art concret” (aprile 1930), dove, tra l’altro, si legge che «Un élément pictural n’a pas d’autre signification que ‘lui-même’, en conséquence le tableau n’a pas d’autre signification que ‘lui-même’».[17] Inventare forme, pertanto, significa proprio produrre elementi concreti, poiché il processo creativo avviene al di fuori di qualsiasi ordine imitativo, a differenza dell’astrazione che ha sempre un referente in natura. Del resto il termine astrazione segna un distacco, una derivazione [abs-trahere] da qualcosa che appartiene al mondo reale; mentre l’opera concreta è assolutamente autoreferenziale.
Tra le più significative opere in mostra, Film (1964) di Ernst Jandl (già pubblicata nella storica antologia curata da Emmett Williams nel 1967 per Something Else Press, Inc., casa editrice fondata da Dick Higgins a New York nel 1963), a proposito della quale lo stesso Jandl spiegava che quella poesia era un vero e proprio film. «Ci sono due attori, “i” e “l”. L’azione inizia nella quinta riga e termina nella quinta riga dal basso. L’attore “i” resta solo, cambia posizione tre volte, scompare, “l” riappare e scompare, “i” riappare e scompare, entrambi appaiono insieme cambiando posizione, come danzando; poi “i” scompare per un lungo tempo, in cui, dopo aver frastornato “l”, la rende irrequieta, quindi immobile, come in rassegnazione. Quando alla fine riappare, il danzatore “i” salta in giro, poi va fuori di scena e infine torna indietro per una sequenza più lunga della prima volta. Questo stato definitivo costituisce il lieto fine del film».[18]Da notare inoltre che “flim” costituisce la radice del verbo tedesco “flimmern”=sfarfallare, guizzare.
Di Heimrad Bäcker sono state esposte tre tavole da Epitaph (Edition Maerz, LINZ, 1989). Nonostante il gran numero di testi e di trasmissioni radiofoniche sul tema del nazionalsocialismo e dell’Olocausto, quest’opera di Bäcker, sia nella sua versione tipografica, sia nella pièce radiofonica, curata dal regista Ronald Steckel, sorprende per lo straordinario modo di rendere l’argomento attraverso l’enumerazione esclusiva di frasi e passaggi di testo estratti da documenti ufficiali. Questa tecnica rende tutto l’orrore del caso, sottolineando la mostruosità della disumanizzazione che si cala nella vita quotidiana. La banalità delle parole usate fa rabbrividire per la infinita meticolosità burocratica e per l’assoluta assenza di emozioni. Nelle tre tavole in mostra: 1) Elencazione delle abbreviazioni dei nomi dei campi di concentramento tedeschi Dachau, Sachsenhausen, Buchenwald, Mauthausen ecc., come indicati nella usuale corrispondenza interna della burocrazia nazista; 2) Documenti sulla Storia degli ebrei di Francoforte, capitolo I 1-XIV 15; 3) Versione visiva di una dichiarazione segreta di Heinrich von Himmler del 26 maggio 1943 alla sede dei campi di concentramento, secondo la quale la numerazione dei certificati di morte con numeri arabi deve essere omessa, poiché è evidente che “I decessi sono avvenuti nell’anno in corso”. Il nuovo sistema sarà basato su numeri romani combinati con numeri arabi.
Sind (1964), di Einz Gappmayr, è una composizione giocata sulla sovrapposizione della parola “sind” (prima e terza persona plurale dell’indicativo del verbo essere). Nella poesia concreta il testo è un’unità di concetto e segno. Al variare delle caratteristiche materiali del segno (dimensione, posizione, ecc.) cambia il concetto. Qui la tessitura evoca una moltitudine di presenze, un brulicare di esistenze in cui “noi siamo” ciò che “essi sono”. Di Einz Gappmayr, sua figlia Gaby scrive «Heinz Gappmayr è un esponente particolare di questa corrente. Il suo interesse riguarda il sistema linguistico e le sue possibilità artistiche. Nella lingua distinguiamo fra parola, concetto e oggetto della percezione immediata.
Nelle sue opere artistiche si tratta soprattutto della relazione complessa tra segno e concetto. La scelta dei termini è decisiva, per questo sceglie concetti come tempo e spazio, verbi come essere, preposizioni che costituiscono lo spazio e il tempo, colori come bianco o nero, e numeri. Un libro intero è dedicato al termine sind (sono). Il lettore – ossia l’osservatore – delle sue opere è coinvolto in maniera attiva nel processo della creazione di poesia. Costruisce la poesia grazie alla sua capacità d’immaginazione visiva. La costellazione delle lettere sulla superficie, la forza e il significato esistenziale dei concetti provocano il processo della costituzione poetica. L’idealità dei concetti contribuisce alla creazione artistica. Il sistema linguistico rende possibile la differenziazione del dispositivo categoriale solamente in base ai segni linguistici della scrittura. Nell’opera di Gappmayr, l’aspetto concreto si manifesta nelle condizioni e secondo le possibilità del sistema linguistico stesso, nell’identità e la differenza tra segno e concetto, nella forza categoriale dei concetti e nell’idealità del pensiero e dei segni».[19]
Di Gerhard Rühm sono state esposte le tavole di Lehrsätze über das Weltall (Teoremi sull’Universo, 1965), pubblicate per la prima volta nell’antologia di Emmett Williams del 1967. Si tratta di una rielaborazione poetica di una confutazione delle teorie di Einstein operata oscurando ampie parti del testo. La tecnica è simile a quella adottata nel libro d’artista in-costante di Arrigo Lora Totino nel 1962, e richiama anche le cancellazioni di Emilio Isgrò, che risalgono al 1964. Ma nel caso di quest’opera di Rühm, più che di obliterazioni alla maniera di Isgrò, si tratta di occultamenti, più simili al procedimento loratotiniano: le pagine sono nascoste con campiture nere omogenee che lasciano emergere piccole porzioni del testo: «Ora se potessi intercettare la distanza massima tra due stelle…»
Di altro genere è Du (1954). “Du” in lingua tedesca è il pronome personale “tu”. La parola è imprigionata in se stessa. Implode in un risonante blocco vocalico nel cui baricentro si isola la consonante.
Konsonanten-chaos (Caos di consonanti, 1991) di Peter Daniel è un’opera costituita da un collage di ritagli di lettere da titoli di giornale. Il piano semantico è interamente sostituito da quello della pura visibilità. Secondo una poetica piuttosto diffusa nella poesia concreta, i frammenti svolgono il ruolo di protagonisti come accade, con esiti diversi, nella poesia di Franz Mon o negli “zeroglifici” di Adriano Spatola.
In Entsinnung I (1992) di Mario Rotter, il testo appare e scompare lasciando alla visibilità soltanto frammenti di lettere. Il lavoro di Fritz Lichtenauer si sviluppa, invece, secondo tipologie molto diverse l’una dall’altra. La sua ricerca si orienta sia sulla tessitura verbale, sia sui valori dell’espressione grafica. Talvolta concentra l’attenzione su una sola parola o su una sola lettera, talaltra (come in Bauhaus) predilige la texture ottenendo effetti grafici di rara eleganza.
Di Christian Steinbacher sono state esposte tavole da Briefs tempel texte (1987), pubblicate per la prima volta in “Visuelle Poesie”, antologia a cura di Eugen Gomringer, Philipp Reclamjun. GmbH& Co, Stuttgart, 1996. Questi testi realizzati con timbri esaltano la dimensione artigianale della scrittura. Tra senso e nonsenso, il piano semantico è messo in crisi dalla difficoltà della lettura a favore del piano visuale, ma tuttavia conservano un valore puramente fonico affidato alla qualità optofonetica della scrittura, in perfetta sintonia con quanto asserisce Arrigo Lora Totino quando sottolinea che «il nesso iconico […] ha nella poesia concreta un preciso significato optofonetico e l’optofonia è in realtà contemporaneamente il punto di partenza e quello finale del concretismo»,[20] intendendo per punto di partenza proprio il legame con le avanguardie storiche. E ancora: «Il testo optofonetico riesce […] a creare una unità di rumore-suono e di forme tipografiche che concretizza la bipolarità del linguaggio».[21] Aspetto questo spesso trascurato da alcuni autori e, comunque, non ben noto alla maggior parte del pubblico. Del resto basti pensare che lo stesso Futurismo, che tanta parte ha avuto nell’ambito fonetico, onomatopeico e rumoristico e che notevolmente ha influito sulla formazione di artisti come Arrigo Lora Totino, era abbondantemente andato nel dimenticatoio alla fine della seconda guerra mondiale, tanto che si dovette aspettare il 1958 per avere la pubblicazione degli “Archivi del Futurismo”.[22]
[1] Cfr. Adriano Spatola, Verso la poesia totale, Rumma, Salerno,1969.
[2] Ora in Gaby Gappmayr, Segni nello spazio, “Rivista Foglio”, n° 2, Edizioni EOS, Roma, 2018.
[3] A. Lora Totino (a cura di), Futura – Poesia sonora, sette LP 33 rpm, Cramps, Milano, 1979.
[4] Gaby Gappmayr, cit.
[5] Ivi.
[6] Ivi.
[7] Ivi.
[8] Filippo Tommaso Marinetti, “collaudo” a Carlo Belloli, Testi-poemi murali, Edizioni erre, Milano, 1944; poi in F.T. Marinetti, Collaudi futuristi, a cura di Glauco Viazzi, Guida Editore, Napoli, 1977.
[9] Ivi.
[10] Arrigo Lora Totino, Poesia da ascoltare, in Poesia concreta. Indirizzi concreti, visuali e fonetici, a cura di Arrigo Lora Totino e Dietrich Mahlow, La Biennale di Venezia, Ca’ Giustinian, Venezia, 1969.
[11] Filippo Tommaso Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica, 11 marzo 1916, in Francesco Cangiullo, Piedigrotta: parole in libertà, Edizioni futuriste di Poesia, Milano, 1916.
[12] Gaby Gappmayr, cit.
[13] “Rivista Foglio”, n° 2, Edizioni EOS, Roma, 2018 (con testi di MaxBense, Giovanni Fontana, Gaby Gappmayr, Arrigo Lora Totino, Mary Ellen Solt).
[14]Max Bense, Poesia concreta, in “Rivista Foglio”, n° 2, Edizioni EOS, Roma, 2018.
[15] Arrigo Lora Totino, Ragioni di una scelta per un’antologia di poesia concreta, in “Modulo”, n° 1, gennaio 1965.
[16] Arrigo Lora Totino, Poesia concreta, in Ipotesi linguistiche intersoggettive, Studio di Informazione Estetica, Nuova Codebò, Torino 1967.
[17] Theo Van Doesbourg, con Otto-Gustaf Carlsund, Jean Helion, Leon Tutundjian, Marcel Wantz, in Base de la peinture concrète, in “Art Concret”, première année-numéro d’introduction, Parigi, aprile 1930.
[18] Emmett Williams (a cura di), Anantology of Concrete Poetry, Something Else Press, Inc., New York 1967.
[19] Gaby Gappmayr, cit.
[20] Arrigo Lora Totino, Poesia concreta, cit.
[21] Ivi.
[22] Maria Drudi Gambillo, Teresa Fiori (a cura di),Archivi del Futurismo, De Luca Editore, Roma 1958.
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