Il mercato fino ad oggi ha promosso un’infinità di artisti le cui opere spesso non hanno un fondamento teorico nuovo, né tecnico
di Giuseppe Siano
Caro Giancarlo Politi e p. c. Caro Roberto Vidali
vi scrivo questa lettera per illustrarvi la funzione fondamentale del lavoro di noi teorici, e anche per cercare di avvicinare o almeno rispettare le nostre distanti visioni sull’arte contemporanea.
1. La teoria ha come fine il riconoscimento dell’arte e oggi anche quello del bene culturale, senza poter utilizzare in modo soddisfacente il “valore”attribuito dal mercato
Noi teorici dell’arte abbiamo l’abitudine di definire subito il nostro campo d’indagine che oggi include la storia, la filosofia, l’arte, la tecnica, la percezione, la cognizione, la psicologia, il linguaggio, il segno, l’antropologia, la sociologia, la matematica, la fisica, la politica, la topologia, etc., ovvero ci interessiamo dell’insieme del fare umano e delle sue rappresentazioni.
Mi permetto di chiarire brevemente anche alcune problematiche emerse nell’arte contemporanea d’avanguardia grazie agli studi dell’Estetica o dell’oggetto estetico insieme alle discipline linguistiche e alla scienza dei segni (Semiotica) per comprendere meglio perché oggi si dibatte tra i teorici dell’arte contemporanea ancora di “morte dell’arte” e qual è il suo significato storico e attuale. Sarebbe meglio dire che si argomenta ancora circa la fine di un’arte della rappresentazione, nonostante che qualcuno crede di avere già individuato e reso noto la nascita di una nuova forma di rappresentare l’arte del “fare” e del “pensare” dell’uomo.
Come sapete, per coloro che analizzano il processo storico ancora come uno sviluppo dialettico, la “morte dell’arte” è comunque ancora oggi un segno di una transizione. Essa si pone a confine, e indicala fine di un’epoca e la nascita di un’altra. Quando si evoca questo termine lo si fa per evidenziare come alla fine di un modello di pensiero e di organizzazione della vita o dell’arte corrisponde la nascita di un altro modello di pensiero e di organizzazione della vita e dell’arte; e attraverso la notazione di queste differenze (Jacques Derrida, La scrittura e la differenza) compositive si adegua anche la tecnica della narrazione al racconto finalizzato a descrivere “qualcosa”, sia che riguardi la descrizione di un oggetto del discorrere o un’azione. Del resto ogni epoca ha avuto, ha ed avrà dei modelli di relazione e di organizzazione che la contraddistinguono. Basta evocarli, quindi raffrontare e stabilire delle differenze “storiche” tra un’epoca e un’altra. Il fine è raccontare sempre una “ideale” storia dell’arte in cui si evidenziano tutti i progressi dell’evoluzione tecnica e di organizzazione del pensiero dell’uomo.
Il teorico ha come fine, pertanto, di evidenziare i transiti storici da un modello di rappresentazione a un altro; siano questi transiti dovuti a questioni tecniche o di utilizzo di materiali o di assumere nuovi modelli di pensiero nel racconto della percezione o della visione fisica degli oggetti rappresentati.
Prima di argomentare sull’arte contemporanea, pertanto, vi chiedo di esaminare con me quali sono oggi gli strumenti teorici e tecnici che abbiamo a disposizione per poter trovare delle convergenze sul nostro interesse comune: l’arte in generale, e nello specifico il racconto dell’arte contemporanea, che è un modello di rappresentare sui generis emerso con le avanguardie storiche.
Partiamo sempre dalle esigenza di definire un’arte che diventa storia attraverso le vicende umane. Quest’arte, per un teorico, segna una evoluzione del “fare” e del pensare degli uomini, sia essa riferibile a una visione dialettica della storia o meno.
Nel corso dei secoli l’arte, o meglio il Sistema delle arti come lo definì Alain, poi ripreso in chiave storica da Paul Oskar Kristeller, è un sistema complesso per le tante inclusioni e a volte esclusioni di arti e di “mestieri”.
Questo accenno a un non ben definito campo dell’artistico nel corso della storia serve solo per mostrare che l’arte può acquisire, o anche si possono riconoscere – o attribuire – ad essa, nuove forme di tecnica raccordate a modelli di pensiero del rappresentare emersi nel corso del tempo o della storia delle vicende umane. Con questa apertura a più arti della rappresentazione iniziamo a definire il nostro campo d’indagine.
Rivolgiamoci prima al passato, alle nostre Wunderkammer (camere delle meraviglie) e ai musei dentro i quali conserviamo, per istituzione legislativa, il nostro patrimonio artistico e culturale, a cui oggi si aggiunge anche un altro tipo di salvaguardia che interessa l’ambiente.
Osserviamo quali oggetti di “valore” siamo solito riporre e mettere in evidenza nei tanti musei, chiediamoci perché lo facciamo, e quale cura dedichiamo oggi sia alle opere d’arte che ai beni culturali.
Il primo rilevamento che potremmo fare è senza dubbio che lo Stato italiano ha affidato da poco meno di cinquant’anni a un unico istituto ministeriale, non solo la conservazione e la tutela dell’arte, ma anche quella dei cosiddetti “beni ambientali e culturali”.
A molti teorici e critici d’arte spesso non interessano i beni ambientali e culturali, però v’invito a riflettere su questa scelta.
Annotiamo almeno un semplice motivo generale per il quale si è introdotta, tra ciò che si ritiene un oggetto artistico e ciò che non lo è, una funzione che è diventata un “valore” intermedio e che riguarda tutte le produzioni derivanti da pratiche umane che si trasmettono nel tempo e che ora hanno acquisito delle vicinanze o contiguità con l’arte: il bene culturale; e poi al suo seguito è stato elevato a interesse della cultura anche quello ambientale.
Avendo seguito con la tua rivista, Giancarlo Politi, l’artista Joseph Beuys fin dalle sue prime presenze in Italia, sarà comunque più semplice a te – ma anche a te Roberto Vidali, che con la tua rivista hai trattato la sua opera – rispetto a qualche altro comune teorico “non” di arte contemporanea, trovare i motivi per i quali si accostano all’arte la conservazione dei nostri patrimoni paesaggistici, storici, culturali, morfologici, estetici del territorio o le aree di pubblico interesse, quali possono essere i panorami, o le altre aree tutelate per legge quali i territori costieri, i ghiacciai, i parchi e le riserve regionali o nazionali; e dopo questi, far rientrare anche le piazze storiche con i mestieri e con le arti artigiane ormai cadute in disuso. Del resto molti sono stati gli artisti contemporanei che hanno recuperato “creativamente” queste manualità dell’artigianato o insistono a impacchettare monumenti o a intervenire sul paesaggio.
Fatto acclarato, comunque, è che sia l’arte che il bene ambientale e culturale ricadono per legge nella tutela e conservazione di uno stesso ministero dello Stato italiano.
Se noi oggi poniamo la stessa cura sia per la tutela e sia per la conservazione dei nostri beni storico-artistici lo facciamo senz’altro per un retaggio del nostro modo d’intendere la cultura dei popoli; a cui si è aggiunto, anche quel valore più recente attribuito nel moderno dal “sentire estetico”.
Sebbene sia stato chiamato in altro modo prima, il nostro “sentire” è stato educato sia al riconoscimento e sia, quando necessario, a ipotizzare i possibili interventi sull’opera d’arte per tentare di conservarla e tramandarla più a lungo possibile nel tempo,— proprio come testimonianza d’interesse storico-culturale oltre che come oggetto d’arte in sé.
Nel passato tantissime opere d’arte hanno subito interventi di conservazione; e, come si dice oggi, durante il “restyling” della materia è stata compromessa la figuratività dell’opera. Attualmente la materia alterata dell’opera pone dei dubbi ai critici e ai teorici durante la ricostruzione che ne fa il pensiero.
In alcuni casi diventa difficile attribuire una datazione se la materia di un’opera d’arte viene pesantemente compromessa con un restauro. Addirittura a volte sorge il dubbio se l’opera sia attribuibile per la tecnica utilizzata, a un modello di pensiero o a un altro; cioè a un artista del passato o a un altro appartenente a un diverso periodo storico.
Quando ci sono questi pesanti restauri il messaggio dell’opera d’arte può essere alterato, e si può compromettere anche la sua attribuzione e la fruizione che ne fa il pensiero di un teorico, o di un conoscitore d’arte; questo avviene attraverso la ricostruzione ideale delle vicende storiche di quella specifica rappresentazione. Comunque tutto ciò fa parte della vita dell’opera d’arte che attraverso il tempo può subire alterazioni, prima che anch’essa non si consumi definitivamente e scompaia per sempre.
Trent’anni fa circa, poi, si è aggiunto il desiderio di tramandare ai posteri oltre le produzioni umane, anche i siti storici, e i parchi naturali di particolare interesse cha abbiamo accorpato anch’essi ai vincoli storico-artistici come nostri “beni” culturali e ambientali. Quest’altro patrimonio riguarda alcuni “luoghi” in cui si sono svolte o vicende storiche o dove sono stati trovati reperti d’insediamenti umani di ere preistoriche, o zone del nostro territorio giunte a noi quasi incontaminate nonostante l’evoluzione e gli insediamenti umani.
Si è arrivato ad affermare per legge nel 1992, inoltre, che qualsiasi produzione degli uomini, trascorsi cinquant’anni, potrebbe essere conservata come “bene culturale”.
Ecco che, anche per quest’ultimo motivo, possiamo dire che le produzioni umane tutte, compresi i siti storici e gli strumenti dell’artigianato, da allora sono assurti a dignità culturale, e di fatto in alcuni musei dedicati sono conservati allo stesso modo delle opere d’arte.
Con una indagine neanche tanto approfondita potremmo osservare, inoltre, che lo Stato impegna risorse nella conservazione, ma ciò che muta potrebbe essere solo un differente “valore” del pensiero attribuito alla materia di cui è costituita l’opera d’arte o il bene culturale.
Spesso si dà, però, un valore ad alcune opere d’arte contemporanee attraverso un poco chiaro fondamento storico, o con un molto dubbio e indefinito fondamento artistico-teorico innovativo, che tra l’altro, non evoca neanche un qualche segnale di un evidente passaggio epocale. Ecco quanto ci tengo qui a evidenziare.
Questo vale in particolare per le opere d’arte dei nostri tempi, le cui cronache del resto sono riportate dalle vostre riviste d’arte.
È bene qui chiarire che quest’ultima attribuzione di valore segue principi diversi da quelli assegnati dai teorici a tutte le opere d’arte del passato, ma anche a tutti gli altri “oggetti d’arte” intesi qui come produzioni umane.
In effetti si considerano “artistiche” produzioni umane che per prudenza dovrebbero essere ritenute ancora dei“beni culturali”; in quanto non hanno avuto ancora l’imprimatur di essere opere rappresentative per la storia dell’arte dei nostri tempi. È ancora troppo presto per un teorico stabilire con precisione ciò che diventerà storia. Oggi nell’analizzare un’opera d’arte contemporanea il teorico può fare solo cronaca e tentare di creare dei nessi con la storia del passato; però pur sempre di cronaca si tratta.
Il problema sorge sul tipo di strumenti adottati per riconoscere e fruire un’opera d’arte contemporanea, e in che modo possa essere riconosciuta da tutti come elemento innovativo nel processo evolutivo della storia dell’arte.
Basti dire che qualsiasi teorico che si rispetti per determinare un valore artistico, guarda alla storia e al passato. Solo dopo che si sono spenti molti contrasti e polemiche, e dopo aver ben compreso gli sviluppi “tecnici” e dei “modelli del pensiero” successivi al tempo in cui si vive, altri teorici potranno attribuire a un’opera il “valore” di “rappresentare” uno specifico modo di organizzare il racconto nella evoluzione della storia delle vicende umane di un’epoca ormai divenuta distante.
Chiariamo una questione fondamentale. L’opera d’arte a noi coeva acquisirà dopo tempo il proprio valore storico; esso le sarà attribuito da altri“teorici” a noi posteriori. Il riconoscimento storico viene dato sempre dopo, e da altre generazioni successive di teorici.
Di un’opera d’arte contemporanea anche il più esperto teorico può fare solo la cronaca a cui legare dei dati testimoniali sulla tecnica e sul pensiero che ha generato una specifica produzione umana. Il valore artistico per la storia saranno i teorici posteriori a deciderlo. È bene ripeterlo.
Il mercato, invece, in tutti tempi, ha sempre avuto fretta di “commercializzare” le produzioni artistiche.
Sappiamo che è possibile verificare che sia nella materia dell’opera d’arte del passato e sia in quella a noi coeva, per una dovuta cautela questa andrebbe oggi considerata ancora un “bene culturale” tout court
Dibattere sull’importanza storica o sul valore artistico attribuibile a un’opera d’arte spesso appassiona e divide i teorici; assai meno quando scrivono delle produzioni d’arte contemporanea, che andrebbero incluse per ora nei beni culturali.
Diventa terreno ostico per tutti, però, quando si aggiunge e si sovrappone un altro valore alle produzioni umane.
Mi riferisco all’arte quando viene trattata come merce.
Non è che io non sia d’accordo sulla commercializzazione delle opere d’arte contemporanee, ma rimango basito circa le motivazioni con cui si attribuiscono “valori economici” del tutto strampalati rispetto a quelli precedenti riconosciuti dalla storia dell’arte alle altre opere del passato.
Rimango inoltre perplesso allorché un’opera contemporanea viene battuta da importanti case d’aste a certe cifre che sono del tutto spropositate.
Spesso la maggioranza delle opere d’arte degli artisti contemporanei, per me, ha quotazioni di partenza esagerate. Non mi sembra possibile che delle opere non ancora riconosciute come “storiche”, ma che si possono ritenere ancora dei “beni culturali”, acquisiscano un valore superiore rispetto, ad esempio, ad altre opere d’inestimabile valore già acclarato per la storia, e che ci giungono a noi attraverso una infinità di giudizi critici e teorici del passato.
Convengo che ieri come oggi la commercializzazione delle opere d’arte è sempre stata un azzardo economico. E sono con voi quando mi fate osservare che nelle Accademie d’arte s’insegnano le metodologie del rappresentare del passato.
Comprendo bene che per queste opere contemporanee entrano in gioco le richieste del mercato che nulla hanno a che vedere con il valore intrinseco di una produzione umana stabilito dalla storia;— intesa qui, la produzione umana, come opera originale riconosciuta che evoca non solo un significativo modello tecnico del rappresentare ma anche un passaggio storico-estetico che coinvolge un modello di organizzare il pensiero.
Noi teorici sappiamo che l’artisticità di un’opera permette di collegare il pensiero a un modello o procedimento di un “fare” emerso in un contesto storico. Non così avviene quando si tratta l’arte come “merce”connettendo una qualsiasi produzione a un pensiero di una storia non ancora sedimentata, analizzata e approfondita; quando cioè questa storia è scritta ancora come cronaca.
Il problema è sulla stima, e su chi crea questo valore. Sulle bolle speculative, a mio giudizio, presenti e sempre esistite anche nel mercato dell’arte del passato.
Si tratta, in generale, attenendoci solo ai fatti, in questo caso non solo di aggiungere un valore economico all’arte, ma anche di un differente modo di trattare una testimonianza storico-artistica. La cronaca purtroppo non è ancora assimilabile al racconto documentato così come è riconosciuto dalla storia.
Il pensiero storico-estetico suscitato da una testimonianza artistica comunque emerge dal racconto di una rappresentazione. Esso, pensiero, induce a evocare e a creare nessi con uno o più modelli tecnici sedimentati nel tempo. Il teorico è indotto a produrre connessioni avvalendosi di testimonianze storiche di più ampio respiro rispetto a un pensiero che attribuisce alla “cultura”solo un valore commerciale, e che cerca l’enfasi seduttiva di un punto di vista come avviene proprio nel racconto di cronaca.
Questo è un dato incontrovertibile.
Il valore di merce attribuito all’opera d’arte è un valore che non è ancora verificabile dalla ricostruzione storica, e per questo motivo non appassiona molto il teorico.
Se nell’analizzare le opere d’arte contemporanee ci avvalessimo di un po’ di onestà intellettuale, utilizzando il parametro della commisurazione tra pensiero e materia con cui ricercare almeno un segno di “originalità artistica, riscontreremmo che per lo più quelle produzioni umane sono remake di pensiero o di tecniche di artisti che hanno partecipato alle avanguardie storiche del primo Novecento.
Non vi è “originalità”, nel senso che non si riscontra il passaggio da un modello di organizzazione della rappresentazione ad un altro, come lo aveva paventato Hegel con la locuzione “morte dell’arte”, i cui fondamenti teorici in seguito vi illustrerò brevemente.
Ho il sospetto che i teorici e gli storici dell’arte del futuro non potranno fare altro che catalogare questi artisti come “Accademici”che hanno prodotto opere che riguardavano la fine di un modello di rappresentazione, inaugurato dalle Avanguardie storiche del primo Novecento.
Il considerare un’opera d’arte come merce include una valutazione diversa; e poi la cronaca cita nel migliore dei casi eventi storici, per poter assurgere anch’essa a storia.
Nel nostro campo specifico si tratta di produzioni umane non ancora “significative” per la storia dell’arte; e solo per questo motivo io penso che si siano creati degli azzardi speculativi nell’arte, come ad esempio accade nell’economia, dal sistema immobiliare al sistema dei “titoli tossici”, che sono stati venduti come fondo di investimento a privati dalle banche.
Il problema diventa a me sospetto quando alcuni teorici della speculazione e della “stima del valore commerciale” di un’opera d’arte attribuiscono solo a certi artisti contemporanei dei valori esagerati, che non sono supportati però da un preciso passaggio storico e estetico del sentire, né sono avvalorati da una teoria d’interpretazione, ma sono esclusivamente sostenuti da un battage pubblicitario emerso dalle cronache a cui partecipano anche le vostre riviste.
Troppo presto poi per dare un giudizio storico sul nostro tempo, prima di avere anche analizzato gli sviluppi percettivi e cognitivi ancora in atto.
Specie oggi, data la presenza di altre forme di organizzazione del sentire e del rappresentare il pensiero.
Mi riferisco qui alle nuove forme d’arte del rappresentare come quelle, ad esempio, del cinema o della televisione o del design e quelle più recenti emerse da alcune forme del rappresentare con la tecnologia.
Noi sappiamo che le opere a noi coeve non sono ancora ben classificabili dagli studiosi per una non chiara e concorde teoria sugli orientamenti nuovi che emergono dalle vicende storiche e che influenzano anche il pensiero e la tecnica (thécne) artistica della composizione (alias formatività dell’opera).
Sappiamo che ci sono stati artisti che hanno sondato nuove forme di racconto utilizzando strutture percettive e cognitive logico-matematiche non euclidee, come ad esempio Dalí dalla fine degli anni ’50 in poi, ed Escher.
E poi mi sorgono dubbi di altro genere sul mercato dell’arte, specie quando degli “approssimativi” teorici sono promossi a dirigere musei d’arte pubblici dove si prendono decisioni anche sulle acquisizioni di opere d’arte contemporanea. Questa mia esternazione è solo una generica notazione fomentata dalla teoria del complotto che qui non richiede un approfondimento in tal senso.
A parte vi è la questione suscitata da Edgar Morin che riguarda la differenza tra civiltà e cultura e che ha permesso ai postmodernisti di alienare la storia, in quanto essi affermano che la civiltà capitalistica sta omogeneizzando le culture.
La cultura, infatti, è l’insieme delle credenze e dei valori caratteristici di una determinata comunità. La civiltà è invece il processo attraverso il quale si trasmettono da una comunità all’altra tutte le tecniche o “le abilità”, le conoscenze o “i saperi”, nonché le innovazioni apportati dalle scienze.
Noi tre siamo tutti concordi che la valutazione sostenuta e avvalorata da questi critici allestitori, per l’impossibilità ad esprimere un giudizio da parte di storici e d i teorici dell’arte, ha altri parametri di riconoscimento dell’opera d’arte, o della produzione umana;— in quanto l’opera prodotta per il mercato ha come destinatari solo un gruppo ristretto di esperti e di coloro che fanno “commercio” delle opere, e che a uno studio approfondito della tecnica e del pensiero presente nella rappresentazione non s’interessano, in quanto la cronaca non è diventata ancora storia.
Eppure questi critici allestitori ne parlano già come se ci fosse non un ipotetico, ma un dato storico per loro già evidente e acquisito.
I teorici al cospetto di queste o opere si chiedono: di quale nuovo modello estetico, o del “sentire”, e del rappresentare sono segno per la storia?
Se l’arte ha esaurito la sua funzione di segnalare i passaggi innovativi delle culture e delle civiltà dovrebbe essere questo un fatto condiviso anche dai teorici. L’omogeneizzazione delle culture e l’assunzione di stili di vita diversi ne è disseminata la storia delle nostre civiltà.
Ammesso anche che nella nostra epoca si sia istaurato un unico modello culturale sul nostro pianeta, non credo però che si sia contestualmente bloccato il processo storico ed evolutivo delle arti del rappresentare.
Quando finisce un’epoca, o una civiltà, nasce sempre un nuovo modello di organizzazione che diventa il filo sottile del racconto storico dei progressi o delle evoluzioni (ma anche a volte involuzioni) degli uomini.
Abilmente il critico allestitore, invece, nell’esposizione e nel racconto dell’opera, si guarda bene di argomentare e di attribuirle un valore estetico o storico, ma si limita ad effettuare solo una generica collazione di nomi e di fatti riguardanti la cronaca e la tecnica compositiva che non fanno emergere alcun collegamento con i cambiamenti percettivi-cognitivi che ha vissuto e sta vivendo l’uomo a noi coevo, in modo da segnalare e da giustificare quell’opera come significativa e caratterizzante la “storia” della nostra epoca.
Ribadisco, pertanto, che la storia dell’arte attuale è ancora cronaca; dove le opere degli artisti presentati non sono collegate a una cultura e a una civiltà in evoluzione, con o senza un evidente processo dialettico.
I critici allestitori intendono il modellato della materia come intriso di un’imprecisata emozionalità, che richiama un’atmosfera compositiva; e la narrazione superficiale e non storica sembra che sia una “citazione breve”ad hoc per dei collezionisti che di teorie emergenti dalla storia dell’arte non capiscono molto.
Comunque spero che comprendano almeno il valore di “un’arte che si scambia come merce”.
Con questo non si vuole negare un “valore” alla tecnica di assemblaggio dell’opera d’arte, che adopera nuovi materiali e nuove forme di composizione della produzione umana. Direi soltanto, che per prudenza, attribuirei anche a queste opere innovative l’appellativo di “bene culturale” anziché quello di opera d’arte rappresentativa di un periodo storico così complesso come lo è stato il secondo Novecento, le cui risonanze teoriche ed estetiche sono giunte e sopravvivono ancora oggi.
L’allestitore può solo enfatizzare il suo racconto coevo e presentarlo come un evento di cronaca, secondo il quale quell’opera può essere considerata un’“opera d’arte”, testimonianza del nostro tempo; o può illustrare come abbia egli rilevato e provato un “grande valore” emozionale artistico ed estetico, specie, a volte, per le tecniche materiali o di assemblaggio innovative impiegate.
Unicità dei materiali, che nella maggior parte dei casi sono a tal punto esaltati che prevaricano il pensiero rappresentato. E non dimentichiamoci sempre che il giudizio della storia sarà successivo; per cui il valore attribuito oggi dal mercato solo ad alcune produzioni umane non inficia tutte le altre testimonianze, in quanto anch’esse, trascorsi cinquant’anni, potranno essere conservate se non come “opere d’arte” almeno come “beni culturali”.
Ecco perché di vitale importanza, secondo me, è stata l’attribuzione del valore di “bene culturale”, trascorso mezzo secolo, a qualsiasi produzione umana.
Diventa secondario, per noi teorici, sapere che ci siano in circolazione delle “presunte opere d’arte d’inestimabile valore ”in esposizione nei maggiori circuiti “mercantili” artistici del globo, – come fiere, o rassegne nazionali ed internazionali d’arte, – e che sono state presentate in (e a volte anche acquistate da) alcuni musei e gallerie di chiara fama specializzate nel promuovere arte contemporanea.
A me sembra che sia stato costruito un circuito del valore che ha escluso le dispute teoriche. Esse senz’altro avrebbero solo ritardato l’attribuzione di un valore esagerato, com’è accaduto spesso nel corso della storia.
Del resto per il “Mercato contemporaneo dell’arte” l’importante è verificare solo se c’è una richiesta delle opere di quel presunto grande artista o di quel tal altro. Se c’è richiesta il prezzo sale, se non c’è il prezzo scende.
Il valore intrinseco di una narrazione che riguarda l’evoluzione storica del pensiero e del sentire artistico presente nell’opera d’arte è diventato un optional da alienare. Così facendo, la cronaca tenta di travestirsi, con un maquillage, da storia.
Fattore questo, a mio giudizio, dovuto al considerare la cronaca artistica al pari della storia. Non credo che chi fa cronaca d’arte possa poi pretendere di scrivere anche la storia dell’arte che è appannaggio dei teorici. Parlo di quegli studiosi che approfondiscono le connessioni tra storia del “sentire”, storia sociale, storia antropologica, storia dei segni, …., che inducono un artista a organizzare la rappresentazione di un racconto con una innovativa tecnica che rappresenta in una data epoca un modello di riferimento.
Quello che c’interessa ricordare per ora, comunque, che per lo Stato e per la cultura, tutto il nostro intero patrimonio artistico è una testimonianza in cui una maggioranza di teorici ha riscontrato nel tempo elementi che permettono di risalire a vicende storiche e culturali significative, attraverso cui si pensa si sia sviluppata la civiltà umana. Per questo motivo un’opera d’arte acquisisce un “valore” per la storia dell’evoluzione dell’uomo quando va commisurata ad altre opere rappresentative dello stesso periodo. Da questo confronto emerge l’eccellenza.
Il teorico nel riconoscere un’opera d’arte è vincolato a tale procedimento di analisi.
Diverse, invece, sono le valutazioni che di questi oggetti ne dà il mercato. Sia per l’alienazione o per una ipotetica e non giustificata previsione del punto di vista storico, che nell’evidenziare ed esaltare solo alcuni degli aspetti culturali. Il motivo principale, però, di rifiutarsi di includere nella storia dell’arte questi artisti proposti dal mercato, riguarda il fatto che ancora non si sono riconosciuti gli orientamenti degli sviluppi storici e teorici; per cui oggi le decisioni sull’artisticità di un’opera sono stabilite solo dai mercanti d’arte e da certe istituzioni pubbliche e private, dove guarda caso a presiedere nei consigli di amministrazione sono dei bancari.
La sospensione del giudizio storico è su tutta la cosiddetta arte contemporanea dalla fine della II guerra mondiale ad oggi.
Ci sono solo ipotesi di sviluppo di una storia dell’arte che non è stata ancora scritta dai teorici; mentre sono stati poco studiati i movimenti delle avanguardie storiche del primo novecento, che tanti cambiamenti hanno introdotto nella storia dell’arte. Non sono stati valutati a fondo le modifiche apportate allo statuto (thécne) del rappresentare e dell’organizzare un pensiero.
I nuovi movimenti artistici del dopoguerra andranno analizzati e confrontati con quelli del passato; pur sapendo che nella storia dell’arte rimarranno, come artisti maggiori, solo coloro che o sono stati rappresentativi di un epoca, o che hanno anticipato l’arte del terzo millennio. Un’arte che si vede pochissimo in giro nelle fiere e nelle rassegne internazionali d’arte.
Ormai sappiamo che il mercato dell’arte, in effetti, è entrato dovunque col suo potere economico. Esso è interessato solo a fare affari; o meglio, a trattare come merce sia l’arte che i beni culturali.
Quando la cronaca sopravanza la storia, giustamente, i teorici o vengono messi da parte o si ritirano perché riconoscono i propri limiti.
Tutto per il mercato è business, comunque; e si pretende a volte di ricavare profitto nonostante alcune opere d’arte, o alcuni siti storici, siano stati giudicati da organismi sovranazionali “patrimonio dell’umanità”, e quindi soggetti a vincoli ben più rigidi. Questo aspetto affaristico dell’arte è entrato anche nel Ministero dei nostri beni ambientali e culturali, specie per l’ignoranza di alcuni ministri.
Cesare Brandi, affermato teorico storico e critico d’arte, nel 1963 scrisse una “teoria del restauro” per le opere d’arte, e promosse la nascita di questo unico Ministero in Italia, istituito poi nel 1974, sotto la cui egida si trovano inclusi sia l’arte che i beni ambientali e culturali.
(Brandi poi “inciampò” anch’egli su alcune valutazioni dell’arte a lui coeva, ma anche questo qui è marginale. Il teorico non ha il compito di azzardare previsioni sul futuro; egli guarda al passato, analizza le vicende storiche accadute nei secoli passati. Si ferma, e già questo è un tempo breve, a ottanta massimo cinquant’anni prima. Sul resto può osservare degli orientamenti, e in base a ipotetici sviluppi fare delle previsioni sulle opere che potrebbero rimanere nella storia dell’arte del proprio tempo, al pari di altri critici, storici e allestitori d’arte a lui contemporanei).
La carta del restauro del 1972 regolamenta e specifica come si conduce un’opera di restauro o una conservazione del nostro patrimonio artistico-culturale.
In generale si applica oggi una stessa metodologia che vale sia per la conservazione e per il restauro delle opere d’arte e sia per i beni culturali; ovviamente potranno cambiare a volte i tipi d’intervento dovuti alla differente materia, ma avendo cura di non alterar e il modello di pensiero che in essa (materia) è stato impresso. Sembra palese a questo punto che l’intervento di restauro conservativo dovrebbe aver cura della materia dell’opera d’arte, perché se la si modifica ne potrebbe essere compromesso il pensiero che in essa è contenuto.
Ricordo solo che questa carta fu poi sottoscritta dalla maggioranza dei Paesi occidentali compresi quelli dell’Europa dell’Est di allora.
Non sto più ad annoiarvi oltre, ma dai testi sul restauro e sulla conservazione delle opere d’arte si possono reperire indicazioni per tracciare delle linee guida utili a comprendere almeno per sommi capi oggi che cosa conserviamo e perché lo facciamo; — compresa l’arte contemporanea, le cui opere un giorno dovranno essere restaurate secondo le specifiche modalità che si reperiscono in quei testi di restauro, e che raccolgono anche ciò che viene sancito ed emanato per legge.
2. Il riconoscimento di un’opera d’arte e il rappresentare
Riallontaniamo le principali questioni critiche e teoriche suscitate dal mercato e che sono affiorate anche con molti artisti di questi ultimi cento anni.
Seguendo quella teoria che indaga tra arte, restauro e conservazione del nostro patrimonio artistico storico ed estetico cerchiamo di risalire a un campo di pertinenza che ci dia delle indicazioni anche su come fruire e riconoscere l’arte, o meglio le arti, oggi.
Inizio col prendere per assunto che tutte le arti che abbiamo conosciuto finora e che conserviamo anche nei musei rientrano nella locuzione “arte” perché hanno come fondamento il “rappresentare”.
Sappiamo, inoltre, che ogni forma di rappresentazione è costituita da una materia e da un pensiero. Nella materia viene impresso e modellato il messaggio, o pensiero, dall’artista .L’opera d’arte prodotta da un artista è il risultato di questa azione; dalla quale azione emerge un racconto.
Il teorico dovrebbe essere in grado di riconoscere, di ricostruire e ripercorrere con le proprie conoscenze visive e estetico-culturali le varie fasi della composizione dell’opera altrimenti detta “fare” (thécne) originale; e aggiungerebbe Luigi Pareyson, “che mentre fa produce un modo di fare”.
L’azione di riconoscere il rappresentare nelle arti visive consiste, in breve, nel rendere presente non solo il pensiero dell’artista, ma anche induce un teorico ad evidenziare il tipo d’azione tecnica che ha portato un artista a produrre quella specifica forma impressa nella materia. Dalla connessione di questo insieme costituito da materia e da pensiero emerge il racconto dell’opera d’arte e la sua funzione nella storia.
Vi evidenzio, ancora una volta, che il rappresentare ha come fine la narrazione di un’azione; perché fu proprio Aristotele nella Poetica ad affermare che sul dramma [dalla radice gr. dran = agire, azione] trova fondamento il racconto rappresentativo del teatro tragico o comico della vita.
Vi ricordo a tal proposito solo un esempio famoso: il vaso attico ritrovato a Chiusi da Alexandre François, e conservato al Museo Archeologico di Firenze, su cui fu istoriato più di duemila e cinquecento anni fa, come in una fiction figurativa, il mito di Achille e di suo padre Peleo.
Evito di esporvi i passaggi della Poetica nonché i rapporti che si possono tracciare con l’arte visiva; perché riguardano sia le diverse tipologie del rappresentare e sia le diverse forme con cui si costruiscono, vengono rilevati e messi in evidenza dei nessi utili a comporre una narrazione messa in scena in teatro. Non a caso la teatralizzazione della vita, anche quotidiana, sia essa aristocratica, che borghese o del popolo proletario, nel corso dei secoli è entrata a far parte a tappe della narrazione storica dell’arte visiva. Vi ricordo solo che una stessa rappresentazione nel corso della storia delle vicende umane è stata raccontata attraverso tanti modelli di “azione” tecnica e con tante altre interpretazioni di pensiero; alcune volte, nonostante gli intenti fossero diversi, si sono prodotte anche delle interpretazioni e reazioni contrapposte.
Per non spingerci oltre, desumiamo solo che, in generale, ogni forma che individuiamo come un’azione del rappresentare possiamo oggi farla rientrare in un modello di racconto specifico di un’arte o di più di una.
3. La rappresentazione tra thécne (arte, lavorazione artigianale della materia) e pensiero
In tutte le arti e i “mestieri” possiamo riscontrare quindi non solo delle modalità e delle abilità tecniche con cui si rappresenta un pensiero, o un’azione, ma anche verificare in che modo il pensiero si connette alla tecnica con cui un teorico o un fruitore riesce a comporre una storia riguardante l’abilità manuale o l’abilità narrativa (e per quest’ultima vi rimando “per le norme” di nuovo alla Poetica di Aristotele, ma anche alla storia dei miti e alle storie e alle allegorie presenti nella Bibbia; questi sono tra i materiali utili per comprendere anche come le rappresentazioni delle vicende storiche e simboliche dell’arte occidentale del passato – e in alcuni casi non solo, – sono state intese nella loro evocazione o narrazione attraverso l’evoluzione storica).
Il rapporto tra la tecnica e il pensiero permette di comprendere secondo quali regole di narrazione viene modellata la materia.
Nel procedere seguendo l’azione del “fare”, o del farsi rappresentazione di un’opera d’arte, uno studioso dovrebbe individuare sia i modelli operativi tecnici (thécne), sia i modelli del pensiero che hanno indotto il processo d’ideazione e di realizzazione di quel prodotto artistico nel corso delle epoche.
Ci sarebbe, infine, anche da desumere alcuni altri modelli che seguono il procedimento contestuale per meglio comprendere se un accadimento illustrato o raccontato sia vero, verosimile o attribuibile a una narrazione di fantasia.
L’arte, come ben sapete, si muove in un contesto intermedio del sapere perché produce e trasmette messaggi che riguardano vari aspetti della vita umana. Questa vita si svolge tra superstizione, religione, filosofia, relazioni individuali e sociali, di costume, che sono oggetto di studio delle più svariate discipline, e i cui modelli sono stati adottati dagli artisti nel corso della storia umana per i propri racconti. Ogni epoca mostra i propri miti, i propri sogni, le proprie fragilità o i propri rapporti umani tali da essere organizzati anche in rappresentazioni artistiche, e tramandati attraverso i racconti delle cosiddette “opere d’arte”.
Queste diversità del rappresentare appartengono a delle proprietà linguistiche contestuali che spesso non sono attribuibili solo né a una tecnica generale né a un usuale modello comune di pensare o collegare connessioni.
Diciamo, in generale, che l’artista adegua il suo modello di racconto al contesto storico e al modello linguistico adottato in quel momento dagli umani per la trasmissione dei messaggi.
Per questo motivo molti affermano che in genere la rappresentazione va considerata innanzitutto come una narrazione che comunica dei fatti o delle condizioni di vita degli umani, con enfasi (pathos) o senza enfasi. Essa può essere utilizzata indifferentemente sia per illustrare degli eventi e sia per sedurre con la parola o con l’immagine un’assemblea, — ovvero sia che abbia come fine la verità o la verosimiglianza o una fantasia (dopo Sigmund Freud le fantasie, molti, per un periodo, le hanno anche chiamate e rappresentate come“desideri sessuali”).
L’importante oggi – come ieri – è anche contestualizzare la nascita di una visione tecnica e metterla in relazione a un modello di pensiero.
L’arte, nella propria aspirazione e ricerca di una libertà della composizione, può inventare relazione tra vari mondi e modelli di pensiero che appartengono a una visione in cui sono coinvolti uno, due o tutti e tre i termini citati: la verità, il verosimile e la fantasia.
La storia rappresentata dall’artista può riguardare sia fatti accaduti, sia altri quasi veri interpretati da un proprio punto di vista o contenenti un proprio personale giudizio o opinione, e sia racconti con personaggi interamente inventati dalla fantasia o dalle superstizioni di un artista.
Questi sono altri elementi importanti utili per rilevare un percorso teorico che poi va collegato alla tecnica della composizione artistica. Da questo confronto il teorico è indotto a creare nessi con altre opere d’arte dello stesso periodo o di altri tempi storici; sia che quelle opere sono state classificate come opere d’arte, o considerate ancora oggi solo dei beni culturali.
L’importante è che un teorico rilevi, riconosca e descriva quanto una produzione umana suscita insieme a quell’attività che implica un’abilità di narrazione tecnica e di rappresentazione del pensiero.
Solo l’insieme di questa duplice attività, quando diviene riconoscibile ed è raccontata con dei nessi, appartiene all’artistico; ovvero si attribuisce il “valore” di opera d’arte a una tecnica o a un’abilità artistica che li fa emergere durante la fruizione e la ricostruzione ideale di un racconto narrativo.
Ripeto, la trasmissione del messaggio artistico può riguardare una narrazione che indica un’azione che è indotta da una verità filosofica o mitico-religiosa, o da una verosimiglianza o opinione, o da una fantasia o mondo logico autoreferenziale inventato.
L’opera d’arte che prelude il passaggio a un’epoca di cambiamenti, poi, conterrà anche elementi innovativi nella tecnica, nella composizione e nei modelli estetici utili alla cognizione e fruizione dell’opera.
Il processo del rappresentare è comunque la linea guida di ogni racconto, sia esso originale che non. Analizzeremo poi cosa s’intende nel contemporaneo la locuzione originalità, e spero che sappiate che proprio l’attribuzione di “originalità” a un’opera d’arte è segnale sempre della “morte dell’arte” o meglio della fine di alcune connessioni logico-interpretative. In breve, in queste epoche di cambiamento si riscontra l’abbandono di alcuni elementi o modelli compositivi proposti dalla storia del “fare” umano, per l’assumere da parte di alcuni artisti anticipatori di nuovi modelli teorici connessi alle tecniche della composizione.
Quando si fa riferimento alla “morte dell’arte” della rappresentazione si indica che è finito l’adozione nel racconto di un modello tecnico associato a dei percorsi di pensiero, per l’emergere di un altro modello più consono ai tempi storici.
4. La rappresentazione: tra teoria e storia
Noi teorici per poter comprendere le connessioni dobbiamo essere in grado di risalire a quali sono le tecniche e i modelli di conoscenza di riferimento delle varie forme rappresentate attraverso la storia dell’arte.
Questo insieme di conoscenze sono utili non solo per dare un “valore” all’artistico presente in un’opera, ma anche per trovare corrispondenze tra la narrazione artistica e quella della storia sociale; come ad esempio per riscontrare in essa alcune usanze dimenticate, o accentuare alcuni atteggiamenti emergenti, o un nuovo costume di relazioni che si è già radicato, o per fare riferimento a un tipo di organizzazione sociale che sta modificando alcuni rapporti umani.
Tutti i modelli del rappresentare possono servire per comprendere, insomma, quali sono le relazioni esterne all’universo artistico che possono influenzare e trovare delle corrispondenze nella mediazione tra una delle tecniche e uno trai modelli del pensiero. La storia interiore e la storia esteriore nell’arte trovano la loro corrispondenza, attraverso l’opera di un artista.
Il desiderio di rappresentare con un racconto muove il “sentire” dell’artista nella produzione di un’opera. La narrazione, come ricordato, coinvolge tutto il sistema cognitivo e percettivo dell’artista, traendo la sua organizzazione dalle sue superstizioni fino alle possibili istanze mitiche, religiose o filosofiche.
Del resto qualsiasi azione che si è svolta nella vita quotidiana può diventare un racconto; basta che ci sia un artista pronto a raccontare, a illustrare o a rappresentare con la propria tecnica e dal proprio punto di vista un’azione del pensiero. Poco importa se poi quel fatto sia veramente accaduto o sia verosimile o sia nato da una fantasia. Sicuramente ogni rappresentare lascia traccia di alcuni modelli con cui viene organizzato il racconto.
Non a caso si dice che il rappresentare emerge attraverso sia le istanze storiche e sia attraverso le istanze estetiche. Le istanze estetiche sono definibili in breve come modelli di sentire che si traducono in connessioni logiche e che inducono a una interpretazione o a un “sentire” l’opera.
Classificare una produzione umana come opera d’arte ci vorrà tempo, però. Dovrà passare almeno qualche secolo prima che siano riconosciuti dai posteri che quei valori espressi da quell’artista siano segno ed espressione significativa non solo della vita e del pensiero di un tempo storico ma anche di un cambiamento individuale o di un’aspirazione sociale.
Solo dopo che si sono stemperati i diverbi interpretativi e sedimentati gli eventi che i teorici potranno esprimere un giudizio su una produzione umana e farla diventare segno o di un periodo storico o di un tempo di cambiamento.
La conoscenza oggi solo della Storia dell’arte a un teorico ridurrebbe il suo campo di comprensione, però.
Si dovrebbe scrivere una storia dell’arte che tenesse conto delle lezioni di Marc Bloch, con gli studi comparati tra storia della civiltà e del pensiero dove al centro fosse posto il discorso della evoluzione antropologica.
Vi ricordo che Bloch insieme a Lucien Febvre fu uno storiografo tra i più importanti del XX secolo. Altro studioso notevole, che in quegli anni indirizzò la ricerca storica allo studio della scienza utilizzando la matematica come strumento per rappresentare la realtà, fu Alexandre Koyré, del quale ricordiamo i tre volumi riguardanti gli Studi galileani.
Non dimentichiamoci che a Koyré dobbiamo la nascita della epistemologia storica francese, argomento trattato anche da Gaston Bachelard, filosofo della scienza e studioso della poesia francese.
Per mezzo di questi vari ordini d’indagine la rappresentazione può essere analizzata attraverso tanti modelli storici e la si può raccordare a una tipologia di racconto espresso con uno dei tanti linguaggi, sia visivo, o visuale, o simbolico, o verbale, o scientifico dei segni, o link e grafici matematici, o altro come vedremo.
L’artistico e il simbolico diventano storia del costume e della vita di un dato periodo arricchendo e ampliando la sensibilità cognitiva al fruitore di un’opera d’arte.
Importante è aver compreso che la storia dell’evoluzione umana in ogni epoca rimane centrale e non è possibile relegarla solo a una interpretazione sociale o sociologica, ma a dei contenuti e a dei valori che rappresentano una novità e un cambiamento nelle relazioni rispetto a un precedente periodo, e contestualmente riferisce di un determinato modello con cui si organizza un racconto.
Nella storia dell’arte è percepito questo cambiamento per mezzo del riconoscimento dei vari modelli di pensiero che riferiscono delle istanze storiche e delle istanze estetiche che sono state definite col racconto nel modellato della materia (thécne).
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Questi racconti per la storia dell’arte non possono essere solo la visione di un refrain di pensiero che di fatto indica una stagnazione della storia. Il racconto di cronaca deve essere inserito nella storia del processo artistico umano.
Se, ad esempio, dovessi supporre da teorico che si fosse instaurato un regime di pensiero attraverso le teorie del postmoderno, dove l’uomo fosse veramente considerato merce, e la storia non avrebbe più senso, dovrei cerca l’arte altrove, in altre forme espressive.
L’artistico nella storia è considerato come un susseguirsi di spinte innovative che aprono a nuovi modelli di aspirazione alla libertà e alla conoscenza umana. Dovrei affermare e convenire, giusto per promuovere e continuare quell’incessante rinnovarsi della storia attraverso l’aspirazione alla libertà e alla conoscenza umana, che l’arte non potrebbe più essere rappresentata e raccontata dalle produzioni di un regime mercificante; di un regime, cioè, che riduce tutto a merce, anche la stessa produzione artistica.
Per questo, nel ricercare quel qualcosa che ci racconti di questi nostri tempi che sono costellati da radicali mutamenti o riconoscimenti di nuove“tecniche” del rappresentare, rifletto sull’artistico e prendo in esame anche nuovi procedimenti di narrazione e di espressione che mi possano permettere di narrare aspirazioni e desideri di libertà e che possano diventare poi i segni di questi continui e inarrestabili cambiamenti storici presenti anche nell’arte.
Suppongo, da teorico, che degli artisti dovrebbero già oggi aver trovato nuove tecniche e forme espressive che raccontino con un nuovo linguaggio di libertà, e attraverso una rinnovata tecnica e dei nuovi modelli di pensiero nel poiein [qui inteso più che come fare come un farsi] dell’arte in questa nostra epoca.
Al di là di queste riflessioni, comunque credo che finora abbiamo individuato e mediato alcuni strumenti indispensabili che saranno utili per la narrazione dell’arte delle avanguardie storiche. Conoscere la posizione di uno studioso di teoria permetterebbe comunque a tutti, e non solo a un frequentatore e cultore del racconto artistico, di utilizzare anche altri dispositivi di congetture, di osservazioni, di rilevamenti,di commisurazioni, con cui iniziare una valutazione legata alla storia della visione degli “oggetti artistici”, e avanzare anche proprie congetture sull’analisi dell’arte a noi coeva con strumenti più conformi a un processo evolutivo della storia.
5. L’opera d’arte come emergenza di connessioni
Lo studioso della storia delle teorie artistiche ha il compito di spiegare in che modo ha riconosciuto in un artista un valore che ha caratterizzato un processo della formazione del pensiero, e in che modo quel determinato artista ha sviluppato una tecnica originale che lo ha indotto a produrre l’oggetto fisico, o a infondere uno specifico ideale “artistico” (di libertà) nella materia. Per assolvere questo incarico egli deve necessariamente poter ricostruire sia il procedimento tecnico e formativo dell’opera d’arte, e sia riconoscere le varie tappe del pensiero narrativo dell’artista.
Il pensiero trova corrispondenze non solo nella storia o nelle fantasie prodotte dagli uomini del proprio tempo, ma riferisce anche di un “sentire”, o di “come si sente” o perché “si è sentito” in quel modo; ovvero quali strumenti tecnici e teorici sono stati utilizzati dagli artisti, e in quale contesto storico si sono formati e poi hanno organizzato e trasmesso alcuni specifici messaggi estetici.
Le connessioni che emergono tra la rappresentazione visiva e il pensiero ci permettono di guardare un’opera d’arte non solo come un insieme, ma anche di determinare dei nessi sia con una tecnica del fare e sia con i vari modelli di organizzazione del pensare.
Far emergere un modello da una forma e da tecnica ad essa correlata consente, ad esempio, di trovare le connessioni anche nei modelli sociali e in quelli storici che si affermano nel contesto di un luogo e che coinvolgono le produzioni artistiche di un’epoca.
L’opera con la storia si arricchisce di significati e di relazioni emergenti dal contesto degli eventi, mentre coi nessi è possibile determinare anche l’analisi dei modelli tecnici e rappresentativi che richiamano alcuni modelli di pensiero di un’epoca.
Il fare artistico, in effetti, permette a un teorico di trovare riscontro nei modelli tecnici di un’azione formativa.
Questa capacità di collegare fatti, manufatti e modelli cognitivi, poi, consente di creare quei nessi che permettono a un teorico di raccordare nella storia le avvisaglie di possibili cambiamenti riscontrabili nelle strutture di pensiero che sono di uso comune in una determinata epoca.
Fondamentali, pertanto, sono le connessioni. Esse sono dei ponti tra varie discipline che permettono un collegamento tra il sentire, il rappresentare e la tecnica artistica.
Il rilevamento di una relazione va rapportata sempre ai modelli tecnici e di pensiero con cui si organizza una narrazione. Solo così la rappresentazione dischiude a un teorico un universo di connessioni, riferimenti e allusioni che un racconto mostra palesemente, o nasconde, nel farsi [poiein] arte. In questo modo si giunge anche al “godimento” del messaggio artistico.
Le connessioni ci permettono di sottolineare sia la libertà dell’artista e sia di risalire all’arbitrarietà della valutazione scelta dal teorico o dal fruitore di un’opera d’arte.
Una rappresentazione ha origine sempre dall’insieme delle connessioni che emergono dalle finalità che si vogliono raggiungere nel costruire un messaggio attraverso delle funzioni attribuite da una teoria e applicate alla tecnica.
L’intero procedimento si costituisce in racconto e raccorda la storia individuale alla storia sociale e antropologica dell’artista in relazione a un contesto che oggi è chiamato “ambiente”e che può essere percepito e ricostruito col pensiero, oltre che inteso come esperienza che si avvale dei modelli, o dei procedimenti sensoriali dovuti a un riconoscimento.
La scelta di ricercare o di seguire una serie di questi collegamenti permette ai teorici di illustrare come tante connessioni apparentemente slegate possono far percepire come se esistesse un progetto di sviluppo del rappresentare umano nella storia.
In questo modo è possibile attribuire a una produzione umana un “valore” che ha origine da una forza impressa dal pensiero nella materia. Quest’azione del pensiero è riscontrabile non solo nel racconto di un “sentire”, ma è anche presente in un modello (alias procedimento) tecnico. Elementi che, raccordati insieme, si presentano come narrazione comune a uno specifico periodo di sviluppo della storia degli uomini.
L’uomo dà così un senso alla propria vita che senza la storia non avrebbe.
La storia è scritta, come riconoscimento dei fatti, seguendo gli sviluppi di un progetto, con una teoria che crea nessi dopo gli accadimenti.
Spesso gli eventi di cui siamo stati partecipi possono essere interpretati in modo diverso da quanto avevamo supposto collegando i nessi ad un nostro intendere un “naturale sviluppo”dei fatti.
Noi teorici sappiamo, anche però, che un fatto di cronaca, vissuto e interpretato nell’immediato, può diventare storia solo quando sono state sondate tutte le probabili interpretazioni. Ciò accade solo dopo che si è compreso in che direzione procede il racconto evolutivo dei fatti della storia.
Trasportato nell’arte questo modello di analisi ci indica che si scelgono gli artisti rappresentativi di un’epoca solo dopo che si è valutato e individuato quali sono state le nuove direzioni narrative assunte come segno dei tempi. Lo sviluppo dell’arte nella storia avviene sempre per evoluzione di una tecnica e di un pensiero ad essa corrispondente.
È sempre col senno del poi che si cercano in un periodo storico la presenza di opere d’arte che meglio esprimono gli sviluppi del “sentire” attraverso l’utilizzo di una tecnica collegata a un nuovo modello di pensiero degli uomini.
Solo dopo che sono stati accertati gli sviluppi di alcuni di questi modelli innovativi si possono mettere in primo piano altre abilità tecniche e altre modalità con cui il rappresentare manifesta un racconto del pensiero fino ad allora considerato una narrazione “meno rappresentativa” o di poco conto. Ecco che occorre sempre una revisione storica, fondata sugli sviluppi teorici del racconto di una rappresentazione che connette ancora una volta la tecnica al pensiero. Questo processo di revisione del rappresentare è affidato al teorico.
Spesso qualche sviluppo storico imprevisto a volte induce alla revisione del processo storico, e anche alla revisione della revisione.
Dopo che si sono conclusi gli eventi storici, e dopo che alcuni eventi hanno permesso di chiarire che tipo di contributo innovativo nel rappresentare è stato riconosciuto a un’opera di un artista, interviene lo storico insieme al teorico. Egli attribuisce a dei modelli alcune funzioni originali e anticipatrici dei nuovi eventi della storia umana o dell’arte; sempre però dopo che i fatti sono da tempo accaduti e sono ormai acclarati.
Qualsiasi teorico in un’analisi storica traccia le sue connessioni tra la tecnica compositiva presente nell’opera e il pensiero o il racconto sul sentire estetico. L’interpretazione che emerge, poi, come in una narrazione raccorda una serie connessioni.
Il teorico guarda al passato e la sua azione è quella di trovare nessi col presente, ma se si spingesse oltre per aprire una finestra ipotetica sul presente e sul futuro commetterebbe anch’egli un azzardo.
Ritorna qui lo stesso giudizio che abbiamo espresso per la storia in precedenza.
Il racconto teorico sull’opera perciò deve riportare alla luce e raccordare una tecnica formativa, attraverso connessioni, al pensiero narrato o illustrato nell’opera con la rappresentazione.
In questo modo si rende evidente un’eventuale abilità pratica, e nel contempo si dà valore a quanto il pensiero ha organizzato e trasmesso all’opera rappresentata in un contesto storico di eventi passati.
La finalità è il riscontro di alcuni valori estetici o artistici che hanno provocato l’emergere di quella specifica rappresentazione nel racconto di un’epoca. Dopo questa analisi si colloca l’opera seguendo una scala di valori.
La scala di valori di riferimento dello storico dell’arte seguirà ovviamente quelli che appartengono alla storia dell’arte; anch’essa rappresentativa degli eventi e dei valori umani espressi in un’epoca dove si afferma un progresso o un cambiamento. Non sarà preso di certo come riferimento il valore che fu determinato dal mercato.
I teorici, come ho già più volte ricordato, sono bravi a riconoscere, comparare e commisurare nelle opere d’arte i temi narrativi del passato, difficilmente quelli proiettati verso il futuro, a meno che essi non siano studiosi ed esperti, oggi, anche nell’utilizzazione dei nuovi strumenti comunicativi dell’informazione.
Comunque, anche se fossero esperti del contemporaneo, ipotizzare previsioni non fa parte delle competenze attitudinali di un teorico.
La storia dell’arte viene scritta solo dopo che si sono riconosciuti gli sviluppi delle tecniche e dopo che si sono affermate già delle nuove teorie del racconto; e solo quando la materia e il pensiero sono stati già collegati con nuovi nessi.
Solo questo insieme, sedimentato nella storia, permette di riconoscere anche in un modello estetico quel “valore” con cui si può fruire ed evocare correttamente un percepire un ordine degli eventi delle cose e delle emozioni provati attraverso la narrazione della rappresentazione artistica dell’opera.
Chiaramente questa ricostruzione è fatta da un teorico che è anche uno storico, e che nel nostro caso specifico ha come interesse l’arte; in quanto ogni rappresentazione è generata da un modello che evoca un “sentire originale”.Ogni “sentire” appartiene alla narrazione di un’artista vissuto in un contesto storico e sociale.
Il teorico oltre a tener conto della storia crea dei nessi con le altre discipline del rappresentare.
Diverso è poi scegliere l’artista che è rappresentativo di un’epoca storica.
Il “sentire” artistico che si genera in un osservatore alla vista di un’opera d’arte diciamo, perciò, permette di evocare un ambiente percettivo e cognitivo provocato dall’originalità riconosciuta o in un oggetto estetico o in un’azione in esso rappresentata.
Il teorico, quindi, ripeto ancora una volta, ha la funzione di ricostruire il percorso sia di pensiero, che linguistico, che tecnico delle varie fasi di una produzione artistica umana. Egli analizza la rappresentazione e la confronta con le altre presenti nella storia annotando le differenze e le origini.
Il suo compito è trovare connessioni per risalire al tipo di esperienza o di emozione stigmatizzate in un modello unico del percepire e del raccontare un evento.
Ed è sempre un teorico – attraverso i collegamenti – che determina anche i punti di vista nuovi che emergono in un’opera d’arte, o sono presenti in un oggetto del pensiero; nonché valuta i punti di partenza e di approdo degli eventi narrati.
Solo dopo aver chiarito questi collegamenti egli descrive quali tecniche sono state utilizzate per la composizione dell’opera prodotta in un contesto storico, in cui i nessi sono fondamentali per la comprensione e collocazione nella storia dell’arte.
La cronaca aiuta nella ricostruzione dei fatti; ma diventa storia di eventi notevoli solo quando vi è il riconoscimento teorico attraverso le connessioni, e dopo ovviamente che è stato attribuito ai fatti di cronaca la validità della testimonianza attraverso il riconoscimento dei documenti da parte dello storico.
6. Opera d’arte e bene culturale come “forma del tempo”
Tutta questa analisi della rappresentazione, che si manifesta con un racconto e che riguarda l’opera costruita secondo canoni tecnici, viene ripercorsa non solo per comprendere le finalità – o il messaggio – con cui è stata formata l’opera d’arte, ma anche per come dovrà poi essere conservata; giusto per non dover alienare anche quel contesto storico e sociale in cui è sorta una produzione umana.
Senza dimenticare che negli anni sessanta del secolo scorso, inoltre, abbiamo individuato prossimo all’artistico “il bene culturale”.
È bene ricordare sempre che conserviamo il bene culturale con la stessa modalità dell’opera d’arte.
Sia il bene culturale e sia l’artistico sono produzioni umane; e hanno radici entrambi nel riconoscimento della “rappresentazione”.
Credo che per questo motivo abbiamo assunto per certo che una qualsiasi produzione umana anche prima che possa eventualmente essere riconosciuta come nuova arte (come ad esempio è accaduto per la fotografia, il design e il cinema), trascorso un lasso di tempo di cinquant’anni, oggi può essere conservata come un “bene culturale” per legge.
In seguito, se riconosciuta, quella produzione umana diventerà un’opera d’arte rappresentativa di un’epoca o di un periodo storico; dopo che saranno stati analizzati i suoi canoni compositivi, e solo dopo che un teorico avrà illustrato i vari elementi di connessioni. Saranno sempre dei teorici che stabiliranno come un’opera d’arte ,nel suo procedimento formativo, abbia acquisito dei modelli riconoscibili con cui si organizza un racconto.
Il riconoscimento riguarderà non solo un lessico nuovo che si coniuga in una narrazione originale, ma anche le probabili trasformazioni relazionali che emergono dai singoli elementi e dalle loro connessioni culturali del periodo in cui è stato prodotta l’opera.
Il teorico rileverà dalla produzione artistica quei nessi nella composizione che emergono dal racconto visivo; mentre
il prevalere dei messaggi indicheranno orientativamente quali eventi rappresentati costituiranno gli elementi principali della narrazione per la storia. Poco importa se questi tempi sono stati o saranno violati inevitabilmente da nuove forme tecniche o di organizzazione del pensiero presenti già in altre e più recenti forme di racconto.
Alla conservazione di una storia dell’arte si è inoltre affiancata anche la conservazione di un’altra forma del rappresentare; la quale pur non avendo l’imprimatur di interesse storico di opera d’arte, permette comunque di riconoscere i modelli di organizzazione di un racconto impressi nella “forma del tempo” — ci ricorderebbe George Kubler, grande conoscitore delle produzioni umane e “artistiche” del Centro e del Sud America delle civiltà precolombiane, dei Maya, degli Atzechi, degli Inca, degli Olmechi e dei Toltechi. Le forme del tempo sono impregnate della cultura emersa in un ambiente relazionale e si differenziano attraverso il riconoscimento storico delle epoche e delle civiltà.
Poiché abbiamo stabilito che anche il bene ambientale e culturale induce al rappresentare, ricordiamo di nuovo quali sono i suoi campi operativi.
Il bene culturale, oltre a riferirsi ad oggetti che suscitano interesse o meraviglia creati dall’ingegno umano, nel corso del tempo ha esteso il suo campo di pertinenza agli ambienti paesaggistici incontaminati, ai siti storici, alle fabbriche e alle piazza storiche, alle botteghe di artigianato, alla moda, ai manufatti, alla storia degli attrezzi dei contadini, a quelli automatizzati degli ambienti di lavoro degli operai, delle fabbriche, ecc..
Diciamo che il bene ambientale e culturale è diventato, di fatto, il più grande raccoglitore delle produzioni umane e degli ambienti significativi in cui l’uomo è vissuto nel corso del tempo.
L’utilità della conservazione del bene ambientale e culturale deriva dal fatto che ci permette un’indagine e un’azione conoscitiva sui tanti modi di raccontare l’azione durante l’evoluzione della vita umana che ci viene tramandata da una narrazione della storia.
Conoscere e conservare anche le produzioni umane permette di ricostruire meglio gli ambienti relazionali e cognitivi entro cui sono emerse le opere d’arte.
Quindi, o come arte o come bene culturale, un racconto umano impresso nella materia – trascorsi cinquanta anni – oggi potrebbe essere in teoria conservato, perché in essa materia un teorico comunque può riscontrare, o meglio può riconoscere, una rappresentazione del pensiero e un’abilità tecnica originale (o similare) ad altre raggiunta dall’uomo in un certo tempo e luogo del nostro pianeta.
Vi faccio osservare che sia l’opera d’arte e sia il bene culturale per poter essere conservati hanno bisogno di un riconoscimento; ovvero che si riscontri in essi un’azione del “rappresentare” d’interesse naturale, storico, estetico, e artistico.
Non a caso il termine rappresentare è stato utilizzato per descrivere azioni in tutte le arti e i mestieri nonché in tutte forme di espressione del pensiero. Dalla retorica alla filosofia, all’estetico e alle arti, alla storia… oggi il rappresentare è esteso anche a quell’ambiente naturale entro cui l’uomo ha organizzato o si sono sviluppate le sue altre “facoltà rappresentative”.
7. Il riconoscimento
Non c’è racconto, quindi, senza l’azione tecnica del rappresentare; e non c’è arte in un’opera senza il riconoscimento teorico di un racconto che riguarda una procedura di un fare storico-estetico.
Ogni opera è raccontata attraverso la rappresentazione di un pensiero e di una tecnica che è impressa nella materia da un artista. Essa è riconosciuta dai teorici, dagli osservatori o da fruitori che ne rilevano la storia e ne raccontano l’originalità secondo quel modo di raccontare, o secondo quel determinato modo di percepire e riconoscere un’azione del pensiero. Il riconoscimento avviene secondo un’analisi culturale e di uno sviluppo di una civiltà. Esso riguarda sempre un racconto che connette alcuni eventi reali, verosimili o fantastici.
Per questo motivo, in generale, vi ripeto, che ogni forma di rappresentazione segue dei propri canoni o modelli che sono allo stesso tempo pratici e teorici; e nel racconto dell’azione del rappresentare va riscontrata una narrazione che permetta di risalire a una tecnica e a un pensiero inseriti in un contesto storico. (Vi è un rappresentare visivo, musicale e uno raccontato con la parola o con la compresenza di molte di queste forme del rappresentare; ma queste modalità potremo analizzarle e riscontrarle nel contemporaneo, ad esempio, a partire dal futurismo o con la sinestesia).
Ecco che l’azione del riconoscimento del bene culturale o di un’opera d’arte è affidato sempre a un riscontro teorico connesso alla materia; in quanto il “fare produce un modo di fare”.
Il riconoscimento ci permette di risalire a una procedura (tecnica), che altri uomini possono utilizzare come modello per organizzare un racconto, o per evocare, o per paragonare, o per trovare analogie, o per individuare differenze con nuove connessioni originali della narrazione rappresentata.
Molti critici e storici dell’arte hanno chiamato questa attività di riconoscimento “fruizione dell’opera”.
Al teorico delle varie discipline è affidato il compito di comprendere e valutare la rappresentazione emergente sia dai nessi con le varie tappe storiche, e sia da quel progresso continuo che è presente nei vari modelli che si manifestano durante i processi evolutivi sia dell’arte che della politica, che della retorica, che del sociale, etc., che delle relazioni della vita umana in genere.
Le opere d’arte come le teorie dell’arte attraverso il tempo possono acquisire nuovi nessi teorici e tecnici e addirittura modificare delle gerarchie di valore.
Ripeto ciò perché la produzione di racconti rappresentati da singoli artisti, anche informali, nell’arte contemporanea spesso viene considerata da alcuni teorici un remake o una specie di “contaminazione ripetitiva” proveniente dalle altre precedenti forme del rappresentare.
Traducendo: di solito si spaccia per originale ciò che originale non è. In effetti sono passati altri ottanta anni dopo le avanguardie storiche e ci troviamo ancora impelagati a fare le pulci o a dibattere sulla fine di un certo modo di organizzare il racconto nella rappresentazione, o sulla critica all’opera come “merce”, o quali dei nuovi materiali sono utilizzabili per raccontare della fine di un universo culturale generato da un capitalismo finanziario gestito dalle multinazionali e non più dalle nazioni-stato.
La stragrande maggioranza degli artisti di questi ultimi settant’anni non stravolgono in modo del tutto originale il racconto precedente delle avanguardie storiche, ma modificano solo la tecnica della composizione, rimanendo nei dettami di un racconto che annuncia la fine di una visione e di un modello del rappresentare. I futuristi i dadaisti e i surrealisti hanno minato dalle fondamenta l’arte del rappresentare e hanno rotto un legame secondo determinati canoni logici tra le connessioni che c’erano prima del 1909.
Dopo di loro la maggioranza degli artisti non è stata in grado di trovare nuovi nessi se non nell’ambito di questo racconto autoreferenziale dell’artista con la sua tecnica che, di solito, riflette sui mezzi formativi di una rappresentazione.
Ancora una volta possiamo affermare, nonostante l’impronta autoreferenziale, che ogni azione rappresentata e narrata nell’arte coeva, perciò, consiste o nell’apprendere una tecnica o nel trovare una nuova tecnica, o nel rientrare in una formatività di un’azione di pensiero già narrata, o nello stabilire (o alludere a) nuovi nessi nella composizione della narrazione le cui finalità sono una critica o una esaltazione alla società dei consumi.
Dalla relazione di questi processi tecnici e dalla evocazione di connessioni di azioni nel pensiero, emerge sempre il riconoscimento.
Col riconoscimento si ricostruisce il “sentire” estetico che lo ha generato, o che ha mosso all’azione un artista. Egli ha impresso il suo messaggio nell’opera utilizzando un proprio modello di pensiero.
Ogni artista perciò è singolare nel narrare e nel costruire la propria rappresentazione, ma le sue regole di composizione o danno vita a un nuovo messaggio cognitivo che è percepibile anche sensorialmente, o sono degli abili remake di un pensiero costruito con una tecnica preesistente o già affermata.
Ecco che l’assimilazione di una tecnica a un modello di pensiero permette di riprodurre un procedimento.
Il procedimento ricostruito ci dà la conferma se quel riconoscimento segue o meno determinati canoni del rappresentare, o alcuni principi teorici del “sentire” o del narrare secondo i movimenti artistici precedenti o è da considerarsi del tutto nuovo. Queste comparazioni sono fatte dai teorici per commisurare e collocare un artista nella storia del processo evolutivo dell’arte.
Diciamo, inoltre, che nell’apprendere e nel presentare un procedimento che riferisce di un racconto rappresentato va tenuto conto sia del pensiero che lo ha generato e sia della pratica tecnica utilizzata, nonché va evidenziato il “sentire” estetico provocato nei fruitori.
Non a caso la tecnica e il pensiero riferiscono anche del come “si sente”, o del come si percepisce il racconto dell’opera d’arte in un dato contesto storico in cui l’artista l’ha prodotta.
8. Il teorico dell’arte
Il teorico dell’arte fino a poco fa non necessariamente doveva essere anche uno storico, in quanto egli valutava la rappresentazione senza contestualizzarla nella storia del proprio tempo.
Oggi non è più così perché, come abbiamo visto, è cambiato anche il modo di procedere in un’analisi della storia.
Per risalire all’artisticità di un’opera oggi abbiamo bisogno, specie per l’arte contemporanea, anche di comprendere i modelli che riguardano il “sentire”; ovvero una trattazione estetica dell’artistico a cui vanno aggiunti gli studi sui segni e sul linguaggio che spesso possono essere utilizzati per modificare la struttura dei messaggi.
Non dimentichiamoci poi degli studi della psicologia e quelli condotti dalla psicoanalisi, sia freudiana che di altri psicoanalisti — a partire dal coevo a Sigmund Freud,George Groddek.
Non a caso durante tutto lo svolgersi della evoluzione della storia umana in ogni epoca il racconto artistico si è avvalso di modelli.
Questi emergevano o dalle relazioni originali che alcuni artisti sperimentavano tenendo conto di nuove teorie di organizzazione sociale emergenti, o dalle mode, o dalle scoperte scientifiche, o da quelle matematiche, o dall’introduzione di nuovi materiali, o dalle più recenti riflessioni antropologiche, o da quelle sociologiche, o filosofiche, o estetiche, o politiche, etc. fino alla scoperta per la pittura di nuovi “colori” o di nuovi strumenti tecnici in generale collegati sempre agli ambienti storico-estetici del proprio tempo.
Tutti questi elementi hanno comunque inciso sulla finalità o sui modi di produrre e raccontare eventi o per lasciare impresse emozioni nella materia dell’arte, o dell’artistico, attraverso la rappresentazione.
L’importante, però, è che per un’analisi storica la tecnica (thécne) va collegata a un pensiero. Questo nesso dovrebbe permettere di riconoscere nella produzione artistica un passaggio da una struttura di racconto e di “sentire” di un’epoca a un’altra; o che siano percepibili e rilevabili i modelli di transizione, fino a considerare – se è fuori dai parametri – quell’opera d’arte “originale”.
Vi parlo di ciò per sottolineare, di nuovo, come le tecniche manuali e il pensiero procedono sempre di pari passo nella narrazione. Entrambi (tecniche manuali e pensiero) fanno emergere negli osservatori quei nessi durante l’esposizione o l’analisi della rappresentazione; e con le connessioni si manifesta anche un eventuale originale “sentire” estetico.
La riflessione sul linguaggio ha sempre permesso – e ciò è emerso con maggiore chiarezza specie grazie alle teorie del XX secolo – di trattare e includere alcune nuove visioni, strumenti e problematiche narrate nell’arte e affrontate dalla società. Con questo tipo di analisi “kubleriana” abbiamo scoperto, senza far ricorso agli studi metafisici, di come nelle forme del tempo si poteva riscontrare anche la presenza di differenti modelli rappresentativi o espressivi.
Fino a quando l’arte della rappresentazione visiva era regolata dal “bello” e dalle visioni prospettiche, il racconto seguiva dei canoni teorici e pratici che erano facilmente individuabili anche nei periodi di transizione.
Nella storia il bello e la prospettiva comunque si adeguavano ai tempi storici, ed erano regolati anch’essi da un pensiero e da alcune tecniche risalenti a diverse impostazioni metodologiche, che collegavano il “sentire”, l’esperienza e il pensiero alla tecnica della visione.
La rappresentazione artistica spesso ha recepito e ha per prima creato dei mondi intermedi attraverso le proprie modalità di racconto o della visione evidenziando nessi tra scienza, mito, religione, anatomia, matematica, prospettiva, filosofia e… vita quotidiana. In tutte queste forme, come ormai sappiamo, si coniugala narrazione del rappresentare.
9. Arte come “sentire” dell’Estetica
Nel 1750 nell’artistico s’impose la riflessione Estetica, che ritrovò e circoscrisse un suo campo d’indagine in ambito moderno, come disciplina del pensiero.
Grazie a questa disciplina si è potuto anche meglio definire e aggiornare il racconto poetico e artistico del “rappresentare” con nuovi canoni teorici; e da allora nei secoli successivi si è disquisito e si sono dati “giudizi” anche sui criteri di fare arte in modo originale, raccordando poi la tecnica alla rappresentazione del pensiero, tra verità e verosimiglianza, tra sogno e fantasia, tra percezione di un bello canonico e con l’emergente sentimento, etc., riscontrabili nelle tecniche con cui si sono formate le opere nei vari contesti storici.
Il “sentire estetico” da allora è diventato un nuovo elemento di riferimento anche nell’artistico.
Nasce proprio in quel periodo una nuova figura di erudito, che potremmo definire “cultore di estetica”.
Non è un caso che il cultore di estetica alla fine del Settecento veniva descritto come uno studioso a tutto campo.
Egli sentiva e raccontava con coinvolgimento un’esperienza. Il suo narrare seguiva un ragionamento che si muoveva tra un discorso tecnico, o un pensiero logico, o evocando un sentire che sconvolgeva un ordine, o disquisiva di problemi estetici legati al mito, alla filosofia, ma anche alla moda e al gusto del proprio tempo.
Gli argomenti avevano sempre come oggetto la rappresentazione artistica, intesa come una nuova e acquisita forma di sensibilità, poi descritta come sentimento – specie se l’immagine d’arte nell’Ottocento illustrava un paesaggio romantico che generava incanto ed emozione specie di una natura non ordinata dall’uomo.
Bastava che un ricordo producesse suggestione in un fruitore, o, evocandolo, suscitasse emozione o disordine nella percezione sensoriale. L’impressione e l’enfasi emozionale affidate alla scrittura caratterizzavano lo scrittore o l’artista sentimentale romantico.
Il cultore di estetica era considerato una persona dai molteplici interessi, ma non aveva una specificità in alcuna branca del sapere.
Wladyslaw Tatarkiewicz ci racconta proprio questo nella sua Storia dell’estetica quando tratta nel III volume il Settecento. Il cultore di estetica nel settecento era una persona che non aveva un campo ben preciso di studio, ma soltanto una conoscenza non necessariamente ben approfondita della filosofia del proprio tempo; poteva anche praticare il giornalismo, avere una familiarità con le arti e con il letterario senza però una specializzazione. Potrebbe sembrarvi che Tatarkiewitz già descriva quei vanagloriosi e sedicenti giornalisti d’arte di 20 righe di oggi, ma non è proprio così.
La finalità di un pensiero estetico, in tal modo descritto, ha solo il compito di raccordare il racconto di un sentire a dei canoni tecnici di composizione; e non importa se a volte non esprime un “valore” critico utile per la storia, ma se ne rileva almeno alcuni nuovi elementi con i coinvolgimenti emozionali.
Oggi tutte le produzioni umane sembrano studiate nei minimi particolari per il mercato, e il messaggio presente nelle opere è un remake, o refrain, carente di informazioni, che sembra “recitato” o meglio indirizzato come slogan solo ad alcuni “consumatori”.
Nonostante i tanti cambiamenti di cui siamo stati testimoni nel nostro tempo, che ci permettono di affermare che c’è stata una grande e profonda evoluzione nell’organizzazione della vita, si è spesso dibattuto della fine della storia e con essa si è paventata che si sia affermata una forma “omogeneizzata” del pensiero e del sentire che trova la propria diversità solo nei nuovi materiali del fare arte.
Questa concezione, però, non può essere accettata nella storia del racconto artistico solo come una generica “comunicazione mediale”, senza considerare ad esempio l’analisi “spettacolare” del messaggio sociale rilevata già nei nuovi media dal movimento situazionista; e non importa se successivamente lo stesso spettacolo è diventato un contenitore artistico che amplifica e divulga una tecnica artistica intermediale, di superficie.
Il contenitore è una scatola vuota da riempire, e l’intermedialità come racconto nuovo trovò in Italia, ad esempio, una esposizione teorica col movimento del medialismo. Questo movimento è un contenitore indifferenziato di elementi tecnici probabilmente anche comuni, ma il racconto dei vari artisti si muove in direzioni differenti e contrapposte, mostrando un pensiero disparato e non storicamente indirizzato verso una identificazione o “caratterizzazione”.
Il giudizio critico arriva quando c’è una visione filosofica da difendere o da esporre. Il teorico dell’estetica, invece, annota e mette in relazione il pensiero del proprio tempo alla tecnica per analizzare gli sviluppi di nuovi contenuti che diventano elementi del rappresentare, e che si aggiungono e trasformano quelli passati da lui già studiati.
Il cultore delle teorie estetiche ha oggi un’altra principale finalità: di annotare se un oggetto artistico produce un “godimento” nel pensiero attraverso un riconoscimento storico e culturale, la cui finalità rimane il progresso della civiltà. Questo riscontro potrebbe avvenire quando l’opera d’arte non solo permette di ripercorre il racconto secondo i canoni della composizione artistica, ma anche quando consente di percepire se nella narrazione emergono quegli elementi di corrispondenza estetica e di pensiero tra materia modellata dall’artista e immagine o idea rappresentata nell’opera. Ma in ciò potrebbe venire meno la funzione della visione Estetica se non si rinnova, come richiese anche Dino Formaggio paventando il passaggio all’ “Estetica dell’informazione”.
Dopo quel primo periodo normativo della seconda metà del Settecento con Baumgarten, l’Estetica è diventata una ricerca legata a quella della filosofia. La scienza Estetica ha fatto da ancella alle teorie filosofiche, fino ad attraversare gli studi delle scienze sociali, poi quelli psicologici, poi psicoanalitici, fino allo studio dei segni e del linguaggio insieme a quelli studi antropologici. E non importa se qualcuno racconta ancora oggi di un “sentire” dello spirito o di una “visione” filosofica ed estetica della vita. Si dovrà aspettare comunque il XX secolo per liberare il pensiero estetico dai grandi sistemi filosofici che avevano come fine di guardare e criticare il mondo utilizzando un unico modello. L’Estetica è ormai considerata una scienza autonoma “del sentire” e dei “modelli” con cui si organizzano o “si caratterizzano” i messaggi artistici di un’epoca.
10. Materia e pensiero nell’arte contemporanea
Non a caso diciamo con Cesare Brandi che ogni opera visiva o visuale è composta da materia e da pensiero. Le opere d’arte dei nostri tempi più recenti sono già individuate e classificate anche come un “sentire” fisico-energetico-logico. Questo nuovo modello di sentire attraverso l’energia permette di decodificare un messaggio originale spedito da una fonte energetica e tradotto da dispositivi in racconto.
Il teorico dell’arte si sta attrezzando con i nuovi modelli di trasmissione e di organizzazione delle informazioni. Egli osserva le produzioni umane attuali e le confronta con le opere d’arte del passato, senza dare giudizi ma facendo anch’egli cronaca.
Attraverso l’analisi del rapporto di connessione si tenta di configurare non solo gli elementi che inducono al rinnovamento del pensiero e del sentire estetico, ma anche riconoscere quali sono gli elementi che permettono il riscontro di un’originalità nel messaggio coevo emerso con la tecnologia dell’informazione.
Nelle opere d’arte contemporanee provenienti dal mercato si riscontrano solo per lo più buone repliche dei messaggi.
Ci appare come se il tempo della storia si fosse fermato da settanta anni, e con essa l’evoluzione del messaggio artistico.
Questo non è possibile per un teorico.
Nel frattempo, alcuni teorici attenti hanno iniziato a sondare nuove forme di originalità prodotte dal pensiero.
Esse (forme) si avvalgono di una nuova materia energetica formalizzata in linguaggio (Kurt Gödel, 1931) che organizza messaggi non percepibili direttamente dagli uomini, ma solo attraverso dei dispositivi tecnologici.
Questi messaggi stanno modificando il nostro modo di “sentire” e di organizzare la vita.
Vi è un nuovo modo di vedere, di pensare e di osservare, e quindi di “sentire e organizzare informazioni”,che proviene da dispositivi con cui ora scrutiamo e analizziamo le distanze nel cosmo e nel mondo subatomico. Consapevolezze già acquisite ad esempio da Salvador Dalí fin dagli anni ’50 del secolo scorso che rappresentò da quel momento in poi principalmente nelle opere pittoriche.
In questo nuovo universo costituito da energia-materia inscindibili si trasmettono i nuovi messaggi del “sentire” che sono totalmente diversi da quelli finora osservati con una visione in cui la materia e il pensiero sono stati considerati entità separate.
Nel frattempo l’analisi del racconto delle opere d’arte, grazie ad alcuni operatori estetici o “artisti” del XXI secolo, ha esteso il suo campo di cognizione.
Nonostante abbiano incluso in questi racconti elementi linguistici e teorici nuovi come messaggio, segno, simbolo, azione performativa e modelli di pensiero logico e matematico aggiornati, quando si narrano attraverso la thécne del passato si notano poco i passaggi originali contenuti nei messaggi estetici di questi “artisti” del mercato. Pochi sono in grado di trovare dei nessi con la rappresentazione presente che non siano stati già proposti come originali nel passato.
Non vi è corrispondenza tra il nuovo pensiero che ha per fine di “organizzare”e “sentire” i messaggi attraverso dei dispositivi e l’organizzare un racconto con la materia scissa dall’energia: per giunta con gli strumenti di una tecnica compositiva del passato.
Mi sembra che non si sia ben compreso che nel frattempo una nuova forma di racconto è emersa e un nuovo modello di linguaggio e di trasmissione delle informazioni si sta affermando.
Questo sistema modificherà il modo di produrre e raccontare un “sentire”, e anche il trasmettere una cognizione per mezzo di una produzione umana.
Non sappiamo neanche se potremo costruire ancora dei messaggi artistici così come abbiamo fatto finora, con una materia inerme divisa dal pensiero; o, se potremo chiamare le nuove forme del “rappresentare”racconti ancora con la locuzione“opera d’arte”. Sono queste le uniche “novità teoriche e tecniche” rispetto al gran calderone dei remake artistici proposti dal mercato.
11. Il teorico guarda al passato
Dopo l’osservazione di uno scollamento tra la thécne e il pensiero nel “fare” arte contemporanea, ritorniamo ad analizzare le produzioni artistiche con lo sguardo rivolto al passato.
La funzione del teorico per ora rimane ancora quella di comprendere e raccordare le istanze estetiche e le istanze storiche; oltre che tracciare dei nessi con le tecniche di rappresentazione presenti in un’opera d’arte per valutarne l’originalità rispetto alle altre dello stesso periodo.
Seguendo le tracce lasciate nei processi formativi da queste istanze, un teorico ripercorre, come vi ricordo sempre, grazie agli elementi rilevati nella forma della rappresentazione, le tappe di un processo tecnico e gli sviluppi di un modello di pensiero.
In questo modo la teoria di un’arte “formativa” fa da tramite e indica come emerge il racconto dal “sentire” l’opera quando la si connette a un contesto storico.
Ecco che tutte le opere d’arte siano esse antiche che contemporanee devono innanzitutto rappresentare qualcosa; ed è compito di un teorico riconoscere e attribuire ad esse un valore artistico attraverso le connessioni storiche, estetiche e della tecnica formativa dell’opera.
Il teorico può anche esprimere un giudizio di valore sull’arte a lui coeva; ma questo vale solo dopo un’analisi dell’opera in sé, analizzata come cronaca, e che non riguarda in alcun modo un giudizio per la storia.
Da un teorico ci si aspetta sempre un racconto della rappresentazione svolto tra tecnica e pensiero. Questo serve per attribuire un significato all’opera d’arte che segue un percorso evolutivo del rappresentare e che rende espliciti i propri nessi con il mito, la filosofia, la religione, la conoscenza, l’esperienza e il sentire degli uomini.
In questa relazione il teorico deve mostrare quante più corrispondenze possibili – alias nessi – . Il suo compito è sì costruire una costellazione di elementi con cui produrre un racconto riguardante un’opera d’arte, ma solo dopo aver valutato, analizzato e creato connessioni anche con i modelli tecnici e di pensiero presenti in quello specifico ambiente relazionale.
Non credo che ci vogliano solo 20 righe, ma anche 80 o 100, o un intero saggio su una sola opera, se è veramente considerata un’opera d’arte innovativa.
Spesso, però, le opere d’arte si possono liquidare, attraverso la teoria, come remake di Tizio o di Caio anche con meno di 20 righe.
Nel confrontare gli sviluppi delle teorie e delle forme artistiche attraverso gli elementi individuali, sociali, storici, e di composizione dell’opera, oggi non si notano più le differenze del “sentire” tra le diverse epoche.
Tutto potrebbe rientrare nel postmodernismo se ci fosse veramente una stagnazione o addirittura si fosse percepito la fine del processo storico.
Ma non è così, altrimenti l’uomo avrebbe dovuto smettere di individuare delle contraddizioni nella storia dell’arte del proprio processo evolutivo; nonostante che alcuni affermino che la storia è diventata un fenomeno relativo alle condizioni umane emergenti da situazioni psicologiche, sociologiche o antropologiche, o potrebbe essere regolata più dall’emozione, o potrebbe essere caratterizzata dal disordine dei sensi, o dall’estetica del brutto (Johann Karl Friedrich Rosenkranz), o regolata dal più recente gusto Kitsch (Gillo Dorfles), proprio come precedentemente lo erano stati nell’Ottocento lo scombussolamento della visione, o i difetti della percezione ottica, o i disturbi della mente, o della psiche.
Questi fenomeni possono rientrare nel “sentire” insieme alle impressioni più antiche dovute alla natura selvaggia come ad esempio le esplosioni dei vulcani Etna e Vesuvio. Quest’ultima esperienza faceva parte di quella educazione al “bello e all’arte” di quei rampolli della nobiltà o dell’alta borghesia europea a cui venivano iniziati durante i loro viaggi d’istruzione del Gran Tour dal ’700 fino al 1938 circa. La storia dell’umanità potrebbe trovare nuovi connessioni con la storia delle trasformazioni delle rappresentazioni estetiche dell’uomo nel corso dei tempi.
Ancora una vota si afferma che: tutto ciò che si rappresenta si può organizzare secondo le regole di un racconto.
La narrazione ha sempre un modello poietico di svolgimento, perché riferisce di un sentire che emerge da una tecnica e da un modello di pensiero in un contesto storico.
Qualsiasi formulazione storica rientra in un modello di rappresentazione degli eventi.
Il compito del teorico consiste non solo nel raccogliere le varie forme del pensare e del produrre oggetti, ma anche nel confrontarle per determinare una storia evolutiva del “sentire” estetico che procede tra pensiero e tecnica della composizione, o tra le varie forme di relazioni presenti tra gli individui di un contesto storico; per cui non solo il linguaggio e lo studio dei segni del rappresentare sono coinvolti oggi in questa analisi, ma anche quelli, ad esempio, delle geometrie non euclidee, o del sentire e raccontare attraverso algoritmi (alias procedure logico-energetiche).
Tutta l’interpretazione teorica di un’opera d’arte, ancora oggi – anche se ve l’ho illustrato con una complessità maggiore –, concorre a trovare un raccordo tra materia e pensiero nel racconto della rappresentazione.
Trovare connessioni è importante; anche con la teoria dei grafi di Eulero, o quella dei link, dei nodi, o con queste ultime delle stringhe.
Ripeto, i teorici dell’arte non esprimono oggi giudizi di valore sull’opera, ma si limitano a trovare le corrispondenze tra pensiero e tecnica nel racconto della rappresentazione e della ricostruzione storica. Il giudizio sarà dato quando si analizzeranno gli sviluppi nel futuro. Il teorico ha come fine di cercare sempre le connessioni tra le varie arti del rappresentare per far emergere la storia della creatività artistica.
Il compito dei teorici consiste nell’osservare e distinguere – attraverso le connessioni – tra nuovi e passati modelli del rappresentare, tra nuovi e superati modelli tecnici e di pensiero presenti in un’epoca.
Essi segnalano le novità linguistiche che denotano un cambiamento nelle relazioni umane o intellettuali o ideali o nella vita quotidiana.
Cercano, inoltre, le originalità che segnano i passaggi da una forma del rappresentare ad un’altra, con l’emergere di altre forme di relazioni.
Il solo sentire estetico di uno sconvolgimento individuale, di solito, da solo non basta per attribuire un “valore storico” a un’opera dal punto di vista teorico, perché c’è sempre bisogno che l’emozione induca al riconoscimento di una tecnica nuova che produca nuovi nessi in una rappresentazione; ma anche che nell’opera vengano ravvisati nuovi elementi, o che nell’esposizione di un racconto si segnali come si è passati a una nuova originale forma del rappresentare e di “sentire”attraverso quel modello di narrazione.
Tutto questo avviene perché i teorici cercano sempre delle connessioni storiche ed estetiche che comparano un modello di “fare” tecnico e progettuale, o di pensiero, a un altro.
La rappresentazione va sempre contestualizzata e connessa a un evento e il teorico deve commisurarla secondo il procedimento della storia; mentre le sue tracce tecniche e di narrazione vanno poi riscontrate come nessi tra modelli nell’analisi linguistica, simbolica o energetica presente nell’opera d’arte.
La teoria ci dice che per procedere e segnalare le novità del rappresentare devono essere presenti in un’opera nuovi elementi teorici e tecnici della realizzazione. Sono questi i caratteri peculiari che apportano nuovi contributi al sentire o alla cognizione, o all’interpretazione degli eventi.
Il mercato fino ad oggi ha promosso un’infinità di artisti le cui opere spesso non hanno un fondamento teorico nuovo, e qualche volta neanche tecnico.
Per elementi teorici e tecnici nuovi intendo non solo l’utilizzo di materiali nuovi collegati a nuove connessioni nel pensiero non sperimentate in precedenza, ma al riferimento di nuove forme di organizzazione linguistica, con l’impiego di nuove strutture logiche presenti già nel sociale.
Vi faccio di nuovo osservare che è emerso un nuovo modello di “sentire” nel racconto dovuto alle scoperte scientifiche del secolo scorso che stanno modificando la vita sul nostro pianeta e finora nelle opere d’arte esaltate dal mercato si trovano solo qualche piccola traccia.
Anche di ciò dibatteremo in seguito. Finisce qui la prima parte della mia prolissa, lunga e ridondante esposizione che si poteva racchiudere in cinque pagine, ma la mia impostazione è da vecchio pedante teorico dell’estetica che affronta lo stesso problema da più punti di vista.
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