È stata la catastrofe della dittatura fascista a spezzare la sua matita eversiva. Aggressioni, violenze, carcere. Lampedusa, Ustica, Istonio i luoghi del suo confino
di Lucia Piccirilli
“ Una volta, a Gavirate, i carabinieri operarono una perquisizione nella mia casa.
– Avete delle armi? – mi domandarono in tono imperioso.
Tirai fuori di tasca la matita, e risposi, sorridendo: – Sì; eccola qui.”
Sono state queste le parole con cui si è aperta all’Aquila la mostra dedicata al grande vignettista satirico Giuseppe Scalarini.
L’Auditorium del Castello, progettato da Renzo Piano, era pieno di studenti. La particolare atmosfera creata dalla lettura di brani biografici e l’emozione con cui il nipote Ferdinando Levi ha narrato le tragiche vicende che hanno segnato la vita del nonno, sono state complici nell’affascinare il giovanissimo pubblico presente.
“Mio nonno – racconta il Levi – era un uomo di poche parole e questo suo carattere chiuso non lo portava a grandi dimostrazioni d’affetto; però, in compenso, era di carattere costante e quindi sapevo sempre come poterlo affrontare. Il più grande regalo che ci poteva fare era quello di permetterci di accompagnarlo nelle sue quotidiane passeggiate che lo impegnavano per tutto il pomeriggio. Ha avuto una vita travagliatissima. Ha dovuto fare i conti anche con i campi di concentramento ma, grazie alle sue vignette sul quotidiano “L’Avanti!”, riusciva ad arrivare anche a chi non sapeva leggere o scrivere. Anche per questo fu considerato grande all’interno del Partito Socialista. Vi sono però, dei buchi nelle informazioni che abbiamo sulla sua attività: per molto tempo non ha potuto firmare le proprie opere e anche quando scriveva le sue memorie, le cancellava regolarmente a causa dello stretto controllo che la Polizia aveva su di lui. Sempre per questo motivo mi rammarica che non sia riuscito a documentare ciò che stava avvenendo nel mondo, come l’avvento del nazismo e la seconda guerra mondiale”.
Mantovano, del 1873, Giuseppe Scalarini vive e testimonia con il segno della sua acuminata matita uno dei periodi più drammatici della storia d’Italia. La prima guerra mondiale, il difficile dopoguerra, l’intera catastrofe del fascismo. Combatte la sua battaglia dalle pagine de “L’Avanti!” dal 1911 al 1926, anno della soppressione del giornale. Ed è il fascismo a spezzare la sua matita eversiva. Aggressioni, violenze, carcere. Lampedusa, Ustica, Istonio i luoghi del suo confino, “Le mie isole”, come le chiamerà nelle sue memorie. Arriveranno a negargli di disegnare e firmare le sue opere. Violenza dell’anima più che fisica. Cancellare quel segno che lo fa vivere con passione annulla la sua identità, ruba, strappa la libertà, più del carcere, delle ripetute umiliazioni, dell’esilio: un fantasma che vive.
E proprio la proibizione di disegnare e pubblicare le sue vignette, ha impedito a Giuseppe Scalarini d’evocare visivamente, da par suo, i disastri della seconda guerra mondiale, ma dopo, è arrivato in tempo a denunciare anche la bomba atomica e mettere in guardia sul pericolo di una Terza guerra mondale. Gli viene proibito di firmare “qualunque suo lavoro di qualsiasi genere”, divieto che non sarà mai revocato. Scalarini quindi, si dedica alla letteratura per l’infanzia pubblicando nel 1933 “Le avventure di Miglio”, che esce a firma della figlia Virginia Chiabov. Collabora al “Corriere dei piccoli” dal 1932 al 1946 e alla “Domenica dei Corriere” dal 1934 al 1946. L’inconfondibile firma a rebus ricomparirà dopo la Liberazione su “Codino Rosso”, “Sempre Avanti!”, “Il Mondo Nuovo” e altre testate.
Uomo di carattere chiuso e di poche parole quindi, tutto quello che aveva da dire lo faceva con l’inchiostro e con la sua matita. I forti ideali, il rigore morale, l’ironia saranno caratteristiche della sua grafica e dell’intera sua vicenda umana. Fervente pacifista e antimilitarista ha tracciato, con il segno attento e caustico del suo graffiante pennino, solchi ancora visibili nella nostra storia. Passati oltre cinquant’anni dalla sua scomparsa ci stupisce come siano attuali i temi trattati e quanto il suo linguaggio riesca a smuovere tuttora le nostre coscienze.
Reportage
I 61 pannelli esposti nei corridoi della rinata Facoltà di Scienze Umane, ex Ospedale San Salvatore, fanno capire, osservandoli, che è alquanto inappropriato parlare solo di satira o caricatura.
“Io credo che Scalarini sia il padre di tutti i disegnatori satirici che sono venuti dopo di lui”, è stato il commento di Gianluca Scimia, vignettista aquilano. “Quello che colpisce nei suoi disegni è l’essenzialità grafica: c’è geometria, forma e vita. E questo li rende straordinariamente moderni”. Al suo tratto grafico personale, spesso un susseguirsi di linee parallele tracciate a mano, si aggiunge la maestria della tecnica del montaggio. I disegni sono costruzioni e assemblaggi stratificati, composti sia da parti tracciate a china direttamente sul foglio, sia da elementi pure disegnati ma inseriti a collage.
E sulla modernità dei lavori c’è solo da convenire. La comunicazione di Scalarini è immediata: tratto di penna deciso, immediatezza dei concetti, immagini e didascalie forti. Le sue vignette sono racconti di ingiustizie, di corruzioni, di omicidi. Sono storie che narrano orrori e catastrofi universali. La guerra, il capitalismo, l’oppressione dei più deboli, l’ingiustizia sociale, il potere clericale, la censura, la povertà, la disoccupazione, la repressione delle libertà, il divario sociale.
Nulla è sfuggito al suo tagliente segno. Ha “parlato” di petrolio, ha denunciato ogni tipo di guerra evidenziandone responsabilità e complicità. Ed è proprio durante la prima guerra mondiale che disegna “La tragica rincorsa della fame e della guerra” (“L’Avanti!”, 1916). La vignetta è un autentico capolavoro: la fame e la guerra che si rincorrono all’infinito prendendo energia l’una dall’altra indissolubilmente unite.
Le contraddizioni, i contrasti, l’antitesi quindi, lo portano a contrapporre graficamente il bene al male, da sempre storicamente compenetrati, realizzando vignette eloquenti che denunciano altresì, le ingiustizie del mondo.
Giuseppe Scalarini ancora oggi è un modello, addirittura un archetipo, per molti disegnatori europei. Della sua sterminata produzione satirica restano 13.000 disegni, di cui circa 5800 originali.
Muore a Milano in una nevosa triste giornata di un lontano inverno. Era il 30 dicembre 1948.
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