Dalla memoria riemergono le immagini delle proiezioni iniziali, le diffidenze e il successo arrivato poco dopo, soprattutto da parte dei giovani che riempirono le sale e le piazze

di Maria Rosaria La Morgia

Fu uno spettacolo teatrale a fargli incontrare  Sacco e  Vanzetti. Era il 1970. Da quel momento la storia dei due anarchici italiani accusati ingiustamente di omicidio e rapina negli Stati Uniti  nel 1920 e finiti, sette anni dopo, sulla sedia elettrica è entrata nel cuore e nella testa di Giuliano Montaldo.

Di quella scoperta casuale e di tutto quello che successo dopo, il film e la riabilitazione, il regista ha parlato a Sulmona dove, nell’agosto scorso, ha partecipato a una iniziativa voluta dal Centro Studi Carlo Tresca e dal suo presidente Edoardo Puglielli.

Incontro bellissimo, partecipato: nessuna retorica e tanta passione. Una sapiente ricostruzione storica ha fatto da scenario alle parole di Montaldo che a tutte le domande ha risposto ricordando i particolari di quell’avventura cinematografica che, all’inizio, gli sembrava impossibile da realizzare.

Non fu facile, nell’Italia dei primissimi anni ’70,  trovare un produttore per un film che intendeva riportare alla ribalta l’ingiusta colpevolizzazione degli anarchici e la loro condanna. Poi – racconta –spuntò Harry Colombo, un ebreo fuggito negli Stati Uniti. E un altro Colombo, Furio, gli fece incontrare Joan Baez, indimenticabile cantante di una ballata ancora oggi conosciuta in tutto il mondo come un inno alla libertà.

A Sulmona, nel cortile di Palazzo San Francesco, dimentichi per un po’ del tragico incendio che stava distruggendo il Morrone, la voce calma e potente di Giuliano Montaldo ci riporta nella New York di quasi cinquant’anni fa, dove con caparbia determinazione era andato alla ricerca di quello che gli serviva per il suo film, i luoghi e le atmosfere, e tra l’altro c’era anche la necessità di trovare l’interprete per quella canzone scritta dal suo amico Ennio Morricone. Joan Baez era il sogno,  ma come coinvolgerla?

Reportage di Paolo Perna

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“Avevo il copione in inglese e in italiano di Sacco e Vanzetti quando, a New York, per caso incontrai il giornalista Furio Colombo e gli dissi che speravo di poter vedere la Baez per convincerla. Colombo mi parlò della cena che avrebbe avuto con lei e volle il copione del film”.

Poche ore dopo il sogno diventa realtà: una telefonata della Baez che dice: “Sono pronta”. E non dimentica il maestro la grande emozione provata nella Berlino ai tempi del muro quando s’imbatté in una manifestazione di giovani che cantavano “Here’s to you”.

Va avanti nel racconto Montaldo. Quando gli chiedo degli interpreti viene fuori ancora una volta la sua tenacia e la cura con cui realizzò quel film che tanto importante fu per la riabilitazione giudiziaria di Sacco e Vanzetti arrivata nel 1977. La sua scelta era caduta su Gian Maria Volonté, piemontese come Vanzetti, e su Riccardo Cucciolla, pugliese come Sacco. Due grandi attori, per il secondo arrivò poi il premio come miglior interprete al festival di Cannes nel 1971. Montaldo ricorda anche Rosanna Fratello, la cantante alla sua prima prova da attrice fece la moglie di Sacco. Un’altra scelta rivelatasi vincente.

Dalla memoria riemergono le immagini delle proiezioni iniziali, le diffidenze e il successo arrivato poco dopo, soprattutto da parte dei giovani che riempirono le sale e le piazze. Fu quel film (e di questo Montaldo è consapevole e orgoglioso) a dare la spinta decisiva alla riabilitazione di Sacco e Vanzetti. A decretarla nel 1977 fu Michael Dukakis, il governatore del Massachusetts, lo stato che li aveva condannati a morte.

In platea ad ascoltarlo c’è la nipote di Sacco, Fernanda, ci sono i rappresentanti dell’associazione “Sacco e Vanzetti”. Un legame forte tiene insieme loro e il regista; nonostante siano passati tanti anni e nonostante l’età Montaldo è sempre in prima linea quando c’è da parlare di Nicola e Bart, e parlare di loro significa parlare di diritti.

Poi arriva la chiusura: “Basta parole, vediamo il film”.

Si spengono le luci e la storia dei due emigrati italiani, anarchici,  inizia sul grande schermo. Dura e commovente, una lezione contro il razzismo e lo sfruttamento, un inno alla libertà contro l’intolleranza come voleva e vuole Giuliano Montaldo.