La stereo-conversione è dunque, la tecnica più complicata e sofisticata, ma anche la più affascinante nel campo delle arti visive
di Roberto Soldati
Non ci si lasci suggestionare dai mille più mille artefatti che trovate nel Web, sorprendenti e spettacolari quanto volete. Altamente formativi, ma che hanno il sapore del gadget in questo Mondo-gadget dove lo spettacolo basta ad appagare chi si accontenta.
Una premessa, questa, brutalmente e volutamente presuntuosa pensata ad hoc per quei distratti che non spendono un secondo della loro vita a indagare i meccanismi che questa macchina del tempo nasconde. Non siamo astronomi o astrofici: siamo ricercatori persi nel mondo dell’immagine che cercano di proporre un modello grafico insidioso e altamente discutibile. In fondo, siamo come strilloni da mercato che gridano: “Mele!! Comprate le mie mele!!”. Le più belle e le più dolci del mondoooo!! che include il messaggio recondito: finché alla luce dei fatti voi clienti non mi dimostriate il contrario. Non vogliamo tirarci addosso le ire della Dea Universo. Più che una premessa, è un grido d’aiuto a chi in modo più competente e serio di noi ci strappi di mano il timone del nostro Cibernautilus e ci guidi nei misteri del cosmo o almeno ci dimostri, alla luce dei fatti, che le nostre mele sono marce.
La terza dimensione
3D, per esteso, s’intende la terza dimensione, cioè la possibilità di riprodurre non solo in altezza e in lunghezza un’immagine fotografica, ma anche la profondità di campo. In pratica la foto 3D consente di riprodurre la sensazione di lontananza o vicinanza dei vari elementi di un paesaggio al punto da poterne stimare la distanza. Per ottenere un’immagine 3D è necessaria una macchina fotografica munita di due obiettivi posti ad una distanza che rappresenti la separazione interpupillare tra i due occhi umani di circa 6-8 cm. La ripresa binoculare consente di ottenere due foto bidimensionali con i punti di vista leggermente diversi fra loro, le quali una volta poste all’interno di uno speciale visore, lo stereoscopio, saranno ricomposte dal cervello in una sola immagine tridimensionale detta stereogramma, le cui caratteristiche si possono approfondire in questo link.
http://magazziniiaf.blogspot.com/2014/07/stereoscoop-by-r-soldati_1.html?m=1
La stereofotografia è coeva della fotografia. Anche se in origine ebbe un certo successo, fu via via accantonata optando per altri sistemi multimediali più pratici come ad esempio la normale fotografia, il cinema e più tardi la televisione, le moderne tecniche digitali e i computer.
Esiste, però, una categoria d’immagini reali irrimediabilmente intrappolate nella bi-dimensionalità pur non essendolo. Vale a dire i corpi celesti che si trovano ben oltre la distanza dei circa 400 metri, limite che la natura ha imposto al nostro apparato visivo nel vedere stereo. Oltre quella distanza, malgrado l’apparenza, tutto diviene piatto e bidimensionale. Per convertire in 3D le costellazioni bisogna conoscere la distanza di ogni singola stella dalla Terra, applicarvi la formula geometrica realizzata ad hoc e il resto vien da se. Ben più problematico è invece l’impiego della stereo-conversione nel riprodurre più o meno fedelmente la disposizione spaziale di una nebulosa la cui accuratezza è inevitabilmente legata alla quantità di punti di riferimento-distanza ricavabili sulla superficie di essa che può estendersi anche parecchi anni luce.
In poche parole, abbiamo inventato qualcosa di molto simile alle curve di livello (isobare) che configurano la morfologia della pressione atmosferica, la quale diviene tanto più accurata, quanto maggiore è la quantità delle centraline di rilevamento-pressione sparse su tutta la superficie terrestre.
Nel ricostruire la disposizione tridimensionale di una nebulosa con sufficiente approssimazione, le centraline sono rappresentate dalle stelle disseminate in zone precise sulla massa nebulare; nel contempo devono avere distanze rilevabili dagli astronomi in modo da poterle utilizzare come punti d’ancoraggio nel disporre con sufficiente precisione la nebulosa nello spazio. Siccome rilevare la distanza di stelle oltre 500 anni luce è molto impreciso, ci si deve per forza affidare ad altre tecniche di rilevamento altamente sofisticate, come l’indagine tramite l’effetto Doppler, per esempio, o l’intuito. Confidare nella semplice interpretazione legata all’esperienza visiva terrestre nel disporre le masse di una nebulosa come fosse una nuvola è maldestro e molto insidioso. Ciò in quanto le masse di una nuvola sono illuminate dal sole come unica sorgente luminosa, contrariamente alla nebulosa galattica composta da migliaia di stelle che illuminandola da ogni direzione ne falsano enormemente la vera morfologia. Il procedimento per punti di riferimento è dunque l’unico, al momento, praticabile; il resto è pura interpretazione artistica. L’esempio di rilevamento-distanza utilizzando la semplice intuizione artistica, valido anche per le nebulose molto distanti, può essere rappresentato dalle montagne terrestri che disposte in piani successivi vengono tanto più velate dalla foschia quanto maggiore è la loro distanza dall’osservatore. Le polveri interstellari e i gas si comportano esattamente come la foschia sulla Terra nel velare le nebulose spaziali nelle loro rispettive distanze.
La stereo-conversione è dunque, la tecnica più complicata e sofisticata, ma anche la più affascinante nel campo delle arti visive. Siamo in pochissimi a praticarla senza ricorrere ad artefatti molto utilizzati e non riconoscibili se non dagli esperti. La trasformazione da 2D a 3D di un’immagine richiede, da parte dell’artista, una profonda conoscenza del fenomeno psico-percettivo legato alla stereoscopia per poter modellare un dipinto o un astro trasformandolo in una vera e propria scultura con un forte “effetto volume” senza mai alterarne i colori e la sostanza originali. Il processo di stereo-conversione è una vera e propria partita a scacchi sleale col cervello.
Ad esempio, in questo link: https://vimeo.com/150277779
solo se vengono fornite tutte le informazioni fedelmente e abilmente riprodotte come nel mondo reale, si riuscirà ad ingannarlo mostrandogli quello che si vuole. La stereo-conversione è puro artigianato da computer. Lo strumento mouse, usato come fosse un pennello o uno scalpello, ci permette di creare i volumi di un soggetto attingendo alle informazioni visive manipolate ad arte, come fossero plastilina.
Cliccando questo link
sarete portati al nostro filmato dimostrativo. L’idea di “Il tempo allo specchio” nacque dalla necessità di spiegare ai visitatori nella mostra “Science on stage” che il Prof. Franco Fabbri ed i suoi collaboratori, me compreso, concretizzammo in uno stand dell’INFN di Frascati e successivamente spostata nella struttura esterna dei Laboratori del Gran Sasso ( premiata con un primo ed un secondo riconoscimento).
La visione del 3D stereo del cosmo
Fu in quell’occasione, in veste di divulgatore scientifico a “La Sapienza” di Roma, che mi fu chiesto di realizzare una dimostrazione più semplificata possibile sul comportamento della luce attraverso lo spazio col supporto della stereoscopia 3D. In sintesi il mio modello consisteva nel costruire un ipotetico osservatorio terrestre che tramite uno specchio posto a due anni luce da noi riflettesse l’immagine delle variazioni che avvenivano attorno all’osservatorio per poi poterle rivedere alla distanza temporale di 4 anni luce per via dell’immagine di ritorno riflessa dallo specchio. Praticamente si tratta di una vera e propria macchina del tempo realmente funzionante se non vi fosse la barriera tecnica di avvicinarsi e addirittura superare la velocità della luce. Realizzando, inoltre, uno specchio delle dimensione titaniche di 8 anni luce per lato, nonché risolvendo l’immane problema di come farlo arrivare in qualche secondo a quella enorme distanza. Siccome queste barriere fisiche possono essere eluse con la realtà virtuale, la nostra macchina del tempo risulterà perfettamente funzionante nel dimostrare i fenomeni della percezione visiva del cosmo. Essa, in pratica, avverrebbe nello stesso modo di come succede nella realtà terrestre se non fosse per le distanze titaniche tra i vari astri che costituiscono l’universo. Alcuni esempi? Un raggio di luce impiega 1,3 secondi per arrivare sulla Luna che dista dalla Terra 384000 chilometri. La luce del nostro Sole, che dista 50 milioni di chilometri, impiega invece 8 minuti per arrivare sulla Terra, mentre quella dell’Alpha Centauri che è la stella a noi più vicina dopo il Sole, impiega ben 6 anni luce; occorrono, invece, 200,000 anni per attraversare la Via lattea e ben 4 milioni di anni luce per arrivare sulla galassia di Andromeda.
Il modello 3D stereo è in grado di mostrare anche le reali distanze tra le stelle che formano le costellazioni, impossibili da apprezzare ad occhio nudo.
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