La maggior parte delle sue ricerche sulla vocalità e sulle potenzialità sonore della scrittura si esprime al meglio se congiunta all’uso dinamico del corpo, al gesto che interviene in maniera determinante nella composizione poetica

di Giovanni Fontana

La parola, nell’opera di Arrigo Lora Totino, si dispone sinesteticamente ad assumere caratteri polimorfi, a coinvolgere tutti i sensi, a rendersi disponibile per evoluzioni metamorfiche, a passare da una misura ad un’altra,

di scrittura in scrittura, di voce in voce, di scrittura in voce, di voce in gesto, in dilatazioni o in sincretismi, attraversando tempi e luoghi, in un rifluire di dinamiche giocose, ironicamente aperte alla fruizione multisensoriale, oltre la vista e l’udito, lambendo odorato, gusto e tatto.[1] Congegni di parole. Meccanismi celibi.

Stralunate transvolate verbali. Una parola in continuo movimento, incessantemente trasportata, trasferita, tradotta. Una parola che si dispone alla rivisitazione del suo stesso autore, che la pone in relazione con elementi di volta in volta diversi, in un processo di amplificazione, dove le opere storiche si fanno matrice nell’ambito di un meccanismo rigenerativo. Stadi di un procedimento creativo che instaura una sorta di dialogo con l’opera originaria, obbedendo ad una procedura metamorfica che si può anche riconoscere in quella che ho avuto modo di definire come poesia pre-testuale, di cui, come fosse un lunghissimo drago “fissiamo lo sguardo, ne respiriamo l’alito, ma ne perdiamo la vista della coda, che va e va: a snodarsi oltre l’orizzonte”.[2] Si tratta di una parola che viaggia nella storia creativa del suo autore. Una parola protagonista della sua scena poetica. Una parola che si avvicina, si allontana.  Una parola in vista o in ombra. Che appare in macrotesti o in microtesti. Una parola che si annida in grumi, che si organizza in tessiture. In figurazioni, in armonie, in poliritmie, in proiezioni, in fughe, in processioni, in geometrie. In corpuscoli, in stringhe. In voli, in circonvoluzioni, in capriole, in piroette. Una “parola che si traveste alla Fregoli in svariati modi”.[3]  In acrobazie circensi. In riciclaggi! “Ma sì, per giravolte piroette volteggi andirivieni labirinti meandri anfratti rigogoli tortuosità spiralità pieghe svolazzi arabeschi il testo, filtrato e compresso, si ricicla e cangia: dalla zuffa al bisticcio, dal tafferuglio alla freddura, dalla rissa al calembour, dalla scenata alla scenografia, dall’alterco all’altro co’, dallo scandalo alla scansione, dalla lite alla litote, dal battibecco al becchime, dalla baruffa all’arraffa e riffa, dalla piazzata alla pazzia, dalla chiassata alla cassata, dal diverbio all’avverbio, dalla gazzarra alla gazzetta”.[4]

Parole in un continuo fluente traslato. Un fiume di parole, le sue, che elasticamente si dispongono ad esercizi di scomposizione e ricomposizione, di combinazione e di sovrapposizione, con legami talvolta forti, talvolta labili, tra astratto e concreto, forti del loro valore sul piano del significante, ma sempre disposte a giocare la carta del significato, apparendo e scomparendo, balzando in primo piano o perdendosi in prospettiva.

Parola, la sua, strutturata o destrutturata, servita in guanti bianchi o spiattellata con nonchalance, in corpus e spiritus, come accade nel “teatro della parola”[5] della migliore poesia sonora e non solo. “Il teatro della parola significa che è la parola stessa ad agire quale attore di svariate esecuzioni sia sulle pareti della galleria sia nello spazio della medesima in veste di poesia ginnica, cioè di integrazione di mimica e verbo o di poesia sonora, la parola qual forma acustica di se stessa”.[6]

Il “teatro della parola” si riconosce, così, nel più moderno concetto di performance, inteso come tessuto di relazioni ad ogni livello, come interminabile viaggio dell’artista dentro e fuori di sé alla ricerca di dettagli e frammenti di realtà da organizzare in nuove realtà perennemente in divenire, come sistema dinamico sostenuto dal labirinto di ogni possibile rapporto tra sé e il mondo.

In sostanza, quello di Lora Totino, poeta-performer, è un atteggiamento nomade che rinvia a quella “création vagabonde”, su cui si sono soffermati scienziati come René Thom,[7] che vive e si organizza sul concetto di sospensione, intesa come dilazione del momento risolutivo, come differimento dell’atto chiarificatore, pur avendo coscienza del fatto che un momento conclusivo deve pur esistere ed è, comunque, raggiungibile.

2.

La Fondazione Berardelli custodisce un’ampia raccolta di opere di Arrigo Lora Totino (1928-2016), acquisite da Paolo e Pietro Berardelli a più riprese, in occasioni favorite da una vecchia e cordiale amicizia con l’artista torinese, spesso coinvolto dalla Fondazione stessa per eventi espositivi e performativi.

“In fluenti traslati” è il titolo della grande mostra (forse la più grande finora allestita) proposta nelle sale espositive della Fondazione a Brescia.[8]

L’attuale collezione, arricchita recentemente con ulteriori acquisizioni, rappresenta tutte le tappe fondamentali del percorso creativo dell’artista, particolarmente vario ed articolato in ragione dei molteplici ambiti d’intervento praticati, talora intermediati, talaltra complementari.

Arrigo Lora Totino, infatti, si distingue per l’ampiezza dei suoi interessi culturali e per la sua poliedricità. Spazia in settori diversi con viva curiosità, sempre pronto ad impegnarla in nuove sfere di ricerca. Si occupa di letterature classiche, di scritture moderne e contemporanee, di musica e di arte anche se, dalla fine degli anni Quaranta fino ai primi anni Sessanta, si esprime principalmente come pittore.

In gioventù intraprende studi di giurisprudenza senza grande convinzione, tanto da abbandonarli presto in favore delle arti visive. Frequenta le gallerie torinesi ed entra in contatto con Mario Merz, Ettore Sottsass, Luigi Spazzapan. Con Merz condivide lo studio per tre anni. Realizza opere legate a forme post-espressionistiche, molto materiche, con colori forti e dense pennellate, che lasciano trasparire gli effetti della fascinazione del gruppo Cobra. Tra queste, ci resta la serie delle “Teste”, più volte documentata, costituita da ritratti di impassibili personaggi dall’espressione vacua, che sembrano costituire la cifra di un tempo di attesa, indeclinabile. Queste figure dallo sguardo vitreo e dall’aria inquieta, in effetti, segnano per l’artista un momento di travagliata riflessione, una fase di avvio del processo di maturazione che lo condurrà a considerare altre forme espressive e ad impegnarsi in quelle aree di sperimentazione che lo vedranno ben presto protagonista.

In un suo quadro del 1959, intitolato Tre personaggi notturni, Arrigo Lora Totino si ritrae tra Aldo Passoni, che ritroveremo nel 1961 sotto la testata loratotiniana di “Antipiugiù” e che diventerà direttore della Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, e Mario Merz: quasi una dichiarazione di complicità. Ma in quell’anno passa all’arte astratta, praticando dapprima l’informale, che aveva già raramente sperimentato in precedenza, come testimonia l’efficace Ripercussioni [1957], segnato da nervosa gestualità, e in seguito forme di optical art [1959-1961], documentata in questa mostra da alcuni lavori.

Particolarmente efficaci gli esempi di “dripping”, datati 1959, dove l’artista subisce il fascino di Jackson Pollock. Sono presenti nella collezione Berardelli alcune rare opere di questo tipo intitolate, appunto, Dripping [1959], dove i colori, secondo una tecnica già consolidata, sono lasciati cadere dall’alto sul supporto posto orizzontalmente, mentre in Itinerari [1959] il colore viene scolato con movimento circolare a formare un labirintico groviglio. Ma in quel periodo l’artista pratica anche il monotipo. Erano gli anni dell’Internazionale Situazionista, in cui era confluito il Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista (MIBI) fondato ad Alba da Asger Jorn, Giuseppe “Pinot” Gallizio e Piero Simondo, il quale a Torino aveva adottato tale procedimento, ritenuto coerente con la pratica del détournement. La tecnica, che obbliga alla mediazione del gesto pittorico e che apre alla sorpresa dell’immagine speculare, rivisitata dal caso, trasformata nella riconfigurazione dei contorni, nello spessore degli strati di colore e nella loro grana, incuriosisce Lora Totino che apprezza lo scarto dell’immagine improvvisa. Tra i suoi monotipi, il dinamico All’improvviso [1959], Printemps noir [1959], dove una magra impronta scura è trapunta da gocce isolate di colore più denso o Notturno [1959], dove su un brillante fondo blu le gocce sembrano imprimere una fantasiosa volta stellata.

3.

Il 1960 è l’anno della svolta fondamentale. Lora Totino si allontana gradualmente dalla pittura e si dedica allo studio delle avanguardie storiche; ne approfondisce le conoscenze, coltivandone in particolare gli aspetti teorici e frequentandone i territori poetici, tanto che nel 1961, grazie alla collaborazione di un gruppo di intellettuali genovesi, crea la rivista “Antipiugiù”. La testata, schierata contro l’ambiente letterario di quegli anni, caratterizzato da realismo e postermetismo, si distingue specialmente per un esperimento di “poesia collettiva”, realizzata a più mani da Armando Novero, Sergio Acutis, Paolo Carra, Sante Manghi, Sergio Hediger e Lora Totino, che denota una chiara volontà di dissoluzione dell’autorialità, da ricondurre ad una dimensione di impegno socio-culturale sul quale la sperimentazione letteraria avrebbe potuto fondare la speranza di trovare nuove energie, sia sul piano creativo, sia sul piano etico.

Per Lora Totino è il momento di cambiare strada: “in quel periodo distrussi un sacco di quadri / fa bene all’anima”, scrive, mentre dedica sempre più tempo alla speculazione letteraria.

Dopo i primi due numeri di “Antipiugù”, legati a testi lineari, che guardano allo sperimentalismo linguistico di Pound, Joyce, Beckett, ma anche di Kerouac, il n° 3, pubblicato nel giugno del 1964, si apre al concretismo.[9] Tra i collaboratori ci sono Franz Mon, Karl Heinz Roth e Chris Bezzel. Nel n° 2 era già comparso Ugo Carrega, consolidando il ponte con l’area genovese nella quale era già una realtà la rivista “Ana eccetera” di Anna e Martino Oberto. Il n° 4, che esce nel 1966, appare totalmente orientato verso le nuove esperienze verbo-visive con i contributi di John Ashbery, Klaus Bremer, Jackson Mac Low, Ladislav Novak.

Lora Totino, che entra rapidamente in contatto con i principali esponenti del settore, converte se stesso alla nuova pratica di ricerca pubblicando Dodici commenti a un testo, coraggiosa opera di passaggio verso le direttrici sperimentali che alimenteranno gli anni della sua maturità artistica. Si tratta di un’opera in dodici tavole in cui il testo (una pagina del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein) è considerato come oggetto di riflessione, anche in senso materico, visivo, tattile. Del resto per Wittgenstein il linguaggio è da intendersi come capacità di espressione in qualsiasi ambito disciplinare. E quello di Lora Totino è un gioco temerario tra ciò che si mostra e ciò che si dice, tra ciò che accade e lo stato delle cose, tra la sostanza del mondo e le sue possibili configurazioni, tra forma del linguaggio e pensiero. Materialmente le tavole sono realizzate con accorgimenti tecnici ai quali l’artista ricorrerà in seguito durante la sua intera carriera: ingrandimenti, riduzioni, sovrapposizioni, occultamenti, abrasioni, strappi, fotocopiatura dinamica. Alcuni di questi procedimenti sono già presenti nel libro d’artista in-costante[10] del 1962. Mirella Bandini[11] vede in quest’opera anche cancellazioni che anticiperebbero le procedure di Emilio Isgrò. A mio parere più che di obliterazioni alla maniera di Isgrò, si tratta di occultamenti: le pagine sono parzialmente nascoste da sagome scure (triangoli, strisce trasversali) che lasciano emergere porzioni della tessitura testuale offerta alla lettura con effetto cut-up. È l’affioramento che assume il ruolo di protagonista, che prende corpo e peso in un’area circoscritta. Lo stesso autore parla di testo “partialement elié (sic) par des éspaces géometriques”.[12]

Fondamentale per Lora Totino è il rapporto con Carlo Belloli, il primo in Italia a praticare modalità concrete con i suoi Testi-Poemi Murali, risalenti agli anni Quaranta, per i quali Filippo Tommaso Marinetti, “collaudatore” dell’opera, esprime grande entusiasmo. Belloli è colui che “ha intuito il futuro del futurismo”, scrive il patron del movimento, “i testi-poemi di Belloli sono parole nude essenziali allineate per cercare direzioni spaziali inventate. con belloli la poesia diventa visiva”.[13] Ma, senza dubbio, sono gli scambi con artisti del calibro di Augusto e Haroldo De Campos, Decio Pignatari, Eugene Gomringer, Heinz Gappmayr, che favoriscono l’ingresso di Arrigo Lora Totino nel singolare laboratorio internazionale del concretismo, che raccoglie culture differenti sotto il segno di un nuovo modo di concepire la parola e le sue relazioni sintattiche. La parola si carica del peso della propria rappresentazione; diventa oggetto grafico-tipografico che impone i suoi valori formali, anche al di là di quelli strettamente semantici; la configurazione bidimensionale o tridimensionale delle parole determina il senso dell’opera; la sintassi tradizionale è sostituita da un sistema strutturale di matrice geometrica (spaziale); la nozione di sequenza lineare è sostituita da quella di campo morfologico. La lettura scandita per gradi deve iscriversi nella visione simultanea della pagina di mallarmeana memoria.

ALT (così comincerà a firmarsi almeno dal 1962) subisce il fascino della corrente elaborando modalità del tutto personali, anche alla luce dell’esempio futurista, distinguendosi ben presto non solo come poeta, ma anche come teorico, storico e curatore di eventi.

4.

Nel 1965 crea la rivista “Modulo” con un ambizioso programma che prevede la stampa di numeri monografici rivolti ad un’ampia varietà di discipline artistiche. “Il nostro programma – si legge nell’editoriale – contempla […] un panorama che va dalla poesia visuale e concreta alle diverse ricerche plastico-visive, dalla tape-music all’architettura industrializzata, dalla grafica sperimentale al disegno industriale, dalla fotografia allo spettacolo”.[14] E ancora: “Modulo nasce dall’esigenza di ovviare ad una informazione generica e ad un accumulo acritico di dati non sufficientemente selezionati, per verificare filologicamente e per collocare storicamente nell’area del loro sviluppo i singoli eventi all’interno delle varie manifestazioni estetico-scientifiche del nostro tempo”.[15]  Il n° 1, che appare nel gennaio del 1965, è dedicato alla poesia concreta. Il fascicolo sarà il primo e l’ultimo della serie. Un’ampia antologia di opere concrete, con un’appendice storica, sono introdotte da scritti di Max Bense, Gillo Dorfles, Heinz Gappmayr, Eugene Gomringer e dello stesso Lora Totino. La rivista non avrà seguito, ma costituirà un pilastro nella carriera dell’artista, che, come specialista italiano del settore, si farà un buon nome, tanto da guadagnarsi l’incarico per la cura, con Dietrich Mahlow, della mostra Poesia concreta. Indirizzi visuali e fonetici alla Biennale di Venezia nel 1969. Di tale mostra sarà pubblicato un catalogo che si pone, almeno in Italia, come strumento basilare per la ricerca nel settore, tanto più che accanto alle opere di poeti concreti contemporanei vengono proposte significative testimonianze della produzione di artisti delle avanguardie storiche. Un aspetto importante di questa mostra è dovuto al fatto che non si pone in evidenza solo il dato visivo, bensì anche quello fonetico, mentre sovente, anche per la stessa volontà degli autori, si predilige l’aspetto visivo a quello sonoro, glissando su tutta una serie di possibilità espressive che trovano una diretta connessione con le tavole parolibere futuriste e con gli antecedenti concepiti in area Dada da autori come Raoul Haussmann, Kurt Schwitters o Hugo Ball. In questo contesto Arrigo Lora Totino propone un’ampia rassegna dei fatti e dei protagonisti della poesia fonica, soffermandosi su importanti manifesti, come La declamazione dinamica e sinottica di Marinetti (1916), che terrà in grande considerazione in tutta la sua carriera, o come L’onomalingua, verbalizzazione astratta di Fortunato Depero. Nel saggio Poesia da ascoltare, che costituisce il fulcro del catalogo, riprende quasi tutti i punti del manifesto marinettiano, commentando che “La precisione tecnica di queste istruzioni non permette dubbi sulla retta impostazione del problema della strumentazione fonica presso i futuristi”.[16] Marinetti, infatti, sorprende per le sue innovazioni che investono finalmente un settore trascurato negli ambiti di ricerca: quello della lettura di testi poetici, finallora affidato a stucchevoli “fini dicitori” da salotto, secondo una tradizione ampiamente praticata per tutto l’Ottocento. Il declamatore del futuro dovrà disumanizzare completamente la voce, metallizzarla, liquefarla, vegetalizzarla, pietrificarla ed elettrizzarla, fondendola colle vibrazioni stesse della materia, dovrà avere una gesticolazione geometrica, “disegnante e topografica che sinteticamente crei nell’aria dei cubi, dei coni, delle spirali, delle ellissi”, dovrà “spostarsi nei differenti punti della sala, con maggiore o minore rapidità correndo o camminando lentamente, facendo così collaborare il movimento del proprio corpo allo sparpagliamento delle parole in libertà”, dovrà “essere un inventore e un creatore instancabile”.[17] Nel suo saggio, inoltre, citando Arthur Pétronio, Lora Totino scrive che il poeta verbofonico deve ritrovare il valore acustico che l’intellettualismo ha tolto alle parole. E poi: “Se il ruolo sintattico delle parole risponde a una verità soggettiva, non bisogna perdere di vista la loro determinazione acustica istintiva di rumori significanti che emergono al livello di vibrazioni biologiche, per proiettarsi in sentimenti e materializzarsi in immagini e metafore. Non pronunciandole ad alta voce, le idee espresse dalle parole sono in rapporto con l’aspetto grafico, piuttosto che con quello acustico. La pagina scritta offre una lettura mentale, non oggettiva, del testo. La funzione poetica è un sistema di ascolto ove il poeta vive in permanenza come un risuonatore biologico dei più perfezionati. All’inizio, il poema è sempre il rumore d’una consonante sottomessa alla influenza acustica d’una vocale. Il senso astratto d’una consonante nuda […] si fa corpo e idea oggettivandosi per associazione con una vocale. Tale consonanza, la sillaba, se spogliata d’ogni significazione, può dare origine a una nuova proiezione poetica, per la sua natura di rumore timbrico”.[18]

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5.

Arrigo Lora Totino conia il termine “verbotettura” esaltando il dato strutturale della nuova poesia, come altri poeti avevano fatto. Basti pensare alle “costellazioni” di Gomringer o allo “spazialismo” di Ilse e Pierre Garnier. Con evidente riferimento all’architettura di parole, egli dichiara che la struttura è di per sé “significativa” e che la lingua deve essere “oggettivamente considerata come universo autonomo e materia”.[19] Tra le sue prime verbotetture, Sì no [1966], in cui i due avverbi si organizzano in strutture costruite su un asse di simmetria in modo che l’una risulti esattamente come il ribaltamento dell’altra; Spazio [1966], dove la parola “spazio” tessuta in cornici concentriche, con progressiva riduzione del corpo tipografico, determina una profonda prospettiva centrale (ricollegandosi ad una delle pagine di Dodici commenti ad un testo, precisamente quella in cui viene attuato quello che l’artista chiama “effetto di sprofondamento del testo, diminuendo lo stesso a più riprese e sovrapponendole a più riprese”[Tavola 8, 1965-66]); Spazio del tempo [1966], dove lo scorrere inesorabile del tempo è suggerito dalla scansione ossessiva delle parole “prima, ora, dopo” che si dispongono in vibranti allineamenti maiuscoli e minuscoli; Entro lo spazio [1966], dove la parola “spazio” e i rispettivi ribaltamenti secondo piani orizzontali e verticali sono orchestrati in modo da definire una griglia che sembra animarsi suggerendo una instabilità tridimensionale, secondo modalità optical.

Andando al di là del mero valore visivo delle composizioni, Arrigo Lora Totino sottolinea che “il nesso iconico […] ha nella poesia concreta un preciso significato optofonetico e l’optofonia è in realtà contemporaneamente il punto di partenza e quello finale del concretismo”, intendendo per punto di partenza proprio il legame con le avanguardie storiche. E ancora: “Il testo optofonetico riesce […] a creare una unità di rumore-suono e di forme tipografiche che concretizza la bipolarità del linguaggio”[20]. Aspetto questo spesso trascurato da alcuni autori (come già accennato) e, comunque, non ben noto alla maggior parte del pubblico. Del resto basti pensare che lo stesso Futurismo, che tanta parte ha avuto nell’ambito fonetico, onomatopeico e rumoristico e che notevolmente ha influito sulla formazione di Arrigo Lora Totino, era abbondantemente andato nel dimenticatoio alla fine della seconda guerra mondiale, tanto che si dovette aspettare il 1958 per avere la pubblicazione degli “Archivi del Futurismo”.[21]

Uno dei suoi poemi di Arrigo Lora Totino in cui per la prima volta l’optofonetismo assume una valenza forte è Nella folla [1971], dove nel flusso costituito dalla sequenza  dei pronomi “tu, egli, lui, lei, ella, noi, voi, essi, esse, loro”, variamente combinati e con diversificazioni dei corpi tipografici, si inserisce il pronome “IO”;  l’effetto è quello di un brusio irregolare, di un vociare prospettico, dove le diverse presenze assumono posizioni nello spazio più o meno vicine in relazione al volume sonoro indicato dal maggiore o minore corpo tipografico e dove la voce più forte, costituita dal pronome “IO”, assomma l’autoaffermazione ad un valore ironicamente egotico.

Per circa vent’anni l’interesse di ALT si concentrerà esclusivamente sulla parola in tutti i suoi aspetti, semantici, sonori, visivi che verranno trattati dall’artista secondo tecniche e modalità differenti, passando dalla pratica canonica della poesia concreta, al libro d’artista, all’oggetto tridimensionale, alla performance sonora e gestuale, fino alle esperienze di carattere fotodinamico. Tuttavia, probabilmente, la massima notorietà, non solo per il pubblico di specialisti, ma anche per quello più vasto che si raccoglie genericamente intorno alla poesia e all’arte, la ottiene con centinaia di performance, di letture, di concerti proposti in Italia e all’estero. Queste attività sono pianificate e organizzate dallo stesso artista e spesso promosse da importanti istituzioni, quali musei e università. La spinta ad esibirsi come performer proviene dalla pratica effettuata di fronte ai microfoni dello “Studio di Informazione Estetica”, fondato a Torino con il pittore Sandro De Alexandris ed Enore Zaffiri, musicista tra i primi ad occuparsi di musica elettronica in Italia perseguendo interessi interdisciplinari.

Verso la metà degli anni Sessanta la città di Torino è interessata da dinamiche culturali legate alla rete delle neoavanguardie europee, con caratteri di spiccata originalità. Un ruolo importante è svolto da gruppi di ricerca che lasciano tracce significative nell’ambito della sperimentazione artistica degli anni successivi. Tra questi svolge un ruolo di rilievo lo “Studio di Musica Elettronica” (SMET), fondato proprio da Zaffiri, dove vengono elaborati progetti che collegano il suono alla geometria e alla matematica. Zaffiri promuove processi di sintesi intervenendo sull’organizzazione sintattica di modelli musicali, visivi e poetici, aprendo all’elettronica orizzonti pluridisciplinari e individuando, così, percorsi del tutto nuovi.

6.

La piega interdisciplinare dello SMET genera nel 1966, dopo una prima fase di collaborazioni occasionali, lo “Studio di Informazione Estetica”, nell’ambito del quale operano uno nucleo di poesia fonetica guidato da Arrigo Lora Totino, uno studio di ricerche plastico-visive, affidato a Sandro De Alexandris, e un laboratorio dedicato all’architettura contemporanea curato da Laura Castagno e da suo marito Leonardo Mosso.

Nel lavoro del gruppo figurano evidenti analogie con l’opera di Enore Zaffiri, che in quegli anni organizza, come già ricordato, successioni di suoni su basi geometriche e collabora con artisti visivi operando su strutture matematiche, tanto che nel 1967 arriverà a concepire pattern di natura geometrica per la generazione del suono. Zaffiri costruisce figure geometriche piane da cui ricavare le relazioni necessarie per organizzare elementi sonori semplici: “Alla figura geometrica si può giungere attraverso un’equazione matematica, oppure dalla figura si estrae una struttura grafica che avrà l’unica funzione di fornire relazioni e dati per la ricerca. In ogni caso, e questo è essenziale, la figura non è una partitura, ma uno schema di organizzazione, elemento grafico che ha una funzione puramente strutturale. Quando si parla di lettura della figura, si intende estrarre la chiave delle relazioni che essa fornisce. È una struttura che stabilisce il divenire degli eventi. È uno strumento nelle mani dell’operatore e non un determinismo assoluto, infatti può suggerire infinite possibilità di elaborazione. La figura fornisce una logica che comporta un massimo rigore, ma non deve essere considerata altro che un mezzo per tessere la trama di elementi linguistici”.[22]

In questa chiave ALT realizzerà fino alla metà degli anni Settanta numerose tavole concrete e i suoi “corpi di poesia”, organizzati sulla base dei primi Fonemi plastici in plexiglas serigrafato (Multiart, Torino 1967). Egli scrive che “il corpo di poesia non si limita all’autonoma apertura poetica verso l’oggetto e di conseguenza, alla creazione di nuove situazioni di percettività semanticamente ipersignificanti e multisignificanti nello spazio, ma pure si offre a modello di nuove concezioni e metodi verbali come poesia segnaletica urbana, e non solo da tavolo, qualora lo si elevi a mezzo di relazione intersociale nello spazio pubblico, relazione integrata all’architettura e all’urbanistica. Conseguenza, questa ancora, della liberazione della parola dalla catena unidirezionale e unitemporale del verso. Con i cinque prototipi di corpi di poesia, ideati e costruiti nel 1974, noi intendiamo riaffermare la validità del diverso rapporto tra poema e lettore che la visualità offre, validità incontestabile al di là e al di sopra di ogni compromesso con il mercato, cioè pubblicità o decorazione. […] Il corpo di poesia deve esprimere una tensione tra parola e sua collocazione dimensionale, tra spazio e significato”.[23]

La multiformità creativa di Arrigo Lora Totino lo condurrà, come già accennato, ad operare su diversi fronti. Ma senza dubbio quello che gli arreca il maggior numero di soddisfazioni, per successo di critica e soprattutto di pubblico, è la poesia sonora, nel cui panorama internazionale si distingue per l’adozione della personale tecnica di declamazione mutuata dai principi esposti nel 1916 da Filippo Tommaso Marinetti. Il declamatore deve essere “un inventore e un creatore instancabile”.[24] La declamazione deve esplodere in tutta la sua fisicità: protagonista il gesto, la presenza scenica, la forza dell’impatto con il pubblico, la dinamica del movimento, la presenza della voce come affermazione del corpo, l’esplosione dei suoni fondati in prevalenza sulla materia linguistica frantumata e aspra nella quale devono svolgere un ruolo di primo piano le consonanti in evoluzioni fonetico-rumoristiche. Ma solo quando, nella seconda metà del XX secolo, le ricerche fonetiche incontrano le nascenti tecnologie magnetofoniche, è possibile indagare nuovi universi sonori. La poesia sonora della fine degli anni Cinquanta sostituisce alla scrittura (o, comunque, alle forme di notazione che fino ad allora avevano tenuto il campo) la registrazione diretta su nastro, impegnando tecniche compositive mai prima utilizzate in ambito poetico. Il poeta sonoro può finalmente individuare nuovi spazi acustici adottando le tecniche di montaggio in analogia con quanto avveniva nelle arti visive (collage e décollage) e può contare su una vasta gamma di effetti finallora imprevedibili. Le prime sperimentazioni su nastro di Arrigo Lora Totino iniziano nel 1964-65 con Fonemi, dove pratica il cut up, tecnica già usata da Brion Gysin e poi da William Burroughs. Ma nel caso di Lora Totino la frammentazione dei testi è particolarmente accentuata e non avviene attraverso il processo copia-incolla adottato da Burroughs per pagine di testo o per nastri magnetici o come accade per le soluzioni adottate nel singolare montaggio cinematografico di un film come The Cut-Ups (1966) di Antony Balch e dello stesso Burroughs, dove figura anche Brion Gysin. Lora Totino taglia in minuscoli frammenti il flusso sonoro di base attraverso una speciale apparecchiatura elettronica messa a disposizione da Enore Zaffiri. In Fonemi-Baci sopore-moderato cantabile-parte prima i frammenti di suono (sillabe, fonemi, microparticelle sonore) sono il frutto di una sequenza di microcancellazioni. I brevissimi silenzi che ne conseguono creano un andamento ritmico costante. Nella seconda parte, invece, i vuoti sono raccordati da una riverberazione di base e da una serie di ribattiture d’eco. Tecniche queste che verranno usate anche in alcune composizioni successive. Per esempio Esperienza [1965] risponde alla prima modalità, e E è [1966] alla seconda, ma in entrambi i casi si fa ricorso alla tecnica del “sound on sound” che inaugura interessanti prospettive simultaneiste.

Così egli spiega esprimendosi in terza persona: “L’interesse di Arrigo Lora Totino nei riguardi della poesia fonica si è dapprima esercitato nell’indagine parascientifica delle differenze ambigue tra le vibrazioni vocali minime, cioè le articolazioni non ancora interpretabili e pertanto solo suoni o rumori […] e le articolazioni significanti, i fonemi […]. Valendosi di apparecchiature elettroniche quali il generatore di impulsi e il riverberatore-eco e dell’aiuto del musicista elettronico Enore Zaffiri […], Lora Totino ha segmentato un materiale inciso su nastro, isolando frammenti più o meno brevi, a seconda della durata del tempo di ripetizione del generatore impulsi, in modo da cogliere quei punti ove il dettato comincia ad essere significante, ma anche lasciando i frammenti nei quali il valore semantico è zero”.[25]

7.

Gradualmente Lora Totino si apre all’articolazione fonematica pura senza più ricorrere al cut-up. La scelta di catene di fonemi e di brevi sequenze verbali da organizzare sul multipista lo spingono a porre maggior attenzione a quella che chiama “melodia naturale del parlato”, ai valori dell’inflessione e dell’intonazione, al ritmo della dizione, alle ricerche timbriche, accentuando gli effetti contrappuntistici, polifonici e poliritmici. Appartengono a questo tipo di ricerca opere come Intonazioni – Se sì o Essere o non essere, entrambi del 1974. Preso dall’entusiasmo per queste esperienze ALT affianca alla pratica creativa della “poesia sonora” quella delle elaborazioni teoriche e degli studi storici e intensifica le sue frequentazioni internazionali. Approfondisce le ricerche sull’argomento indagando su Futurismo, Dadaismo, Simultaneismo, Zaum, Lettrismo, ecc., senza perdere di vista i rapporti con ogni antecedente collegato all’espressione orale o comunque agli esisti sonori delle scritture poetiche. Egli scriverà: “A monte sta la fitta gamma di possibilità offerte dalle ‘figure del significante’, dall’onomatopea agli incroci sillabici nelle polifonie, al simbolismo fonico delle cosiddette lingue immaginarie (nenie magiche, mistiche, utopiche), dalla creazione di parole sesquipedali all’uso intensivo di vocaboli che, per la loro veste fonica rara e curiosa, producono, riuniti in massa, un effetto eccezionale come nell’Adone del Marino o nei Leporeambi del Leporeo. Ciò prova la possibilità di una strumentazione sonora della lingua del tutto indipendente dall’organizzazione dei significati”[26]. Ma prestissimo si accorgerà della necessità di ampliare l’ambito degli strumenti espressivi, aggiungendo al lavoro delle registrazioni in studio quello effettuato in performance, dove alla voce e al suono, si fondono corpo e spazio, espressione e movimento. “Il poeta sonoro vuol dunque riscattare la parola parlata, ma ecco che abbandonandosi al flusso sonoro del parlato, egli raggiunge una zona intermediale ove s’intersecano, sconfinando dai propri codici, più arti, dalla poesia alla musica, alla mimica, alla danza, alla pittura, ecc. Così il poeta non è più solo con la propria parola, ma deve al contempo gestire tono, timbro, ritmo della voce, il proprio spazio scenico, la luce che l’illumina nonché il rapporto complesso che egli instaura col pubblico: egli è ‘una voce in movimento'”,[27] scrive, bontà sua, citandomi.[28]

Nel 1968, infatti, crea la poesia liquida: invenzione spettacolare, attuata con l’operatore plastico Piero Fogliati, che viene realizzata con l’idromegafono, strumento che consente di “‘annaffiare le vocali’, di umidificare il fiato, tuffare affogare e inabissare qualsiasi testo”,[29] che costringe le parole a passare attraverso l’acqua caricandosi di gorgoglianti umori, ma soprattutto che crea attese e tensioni nel pubblico grazie alle gag dell’artista, che con dinamiche saltabeccanti compie gesti che minacciano il pubblico di finire inzuppato. Si tratta di strategie sceniche in perfetta sintonia con quanto teorizzato nel manifesto del Teatro della sorpresa, che stabilisce di provocare la platea con azioni imprevedibili e suggerisce “una continuità di altre idee comicissime a guisa di acqua schizzata lontano, di cerchi concentrici di acqua o di echi ripercossi”.[30] Con questo strumento è tra i protagonisti del festival Parole sui muri di Fiumalbo nel 1968, rassegna alla quale aveva partecipato anche nella precedente edizione, che rappresenta in quel momento la volontà e il bisogno di cambiare la maniera di pensare l’arte, di comunicare con il pubblico, al di là delle limitazioni del mercato, ma anche un modo nuovo di concepire lo spazio d’azione. Fiumalbo è un grande gioco, una vera festa della comunicazione artistica, in perfetta armonia con il clima di totale rinnovamento di allora: un vero e proprio modello per i futuri festival internazionali di performance, al quale Arrigo Lora Totino contribuisce a dare un notevole ed originale contributo.[31] La sua performance col liquimofono impegna buona parte del film girato da Marco Gerra sugli ormai mitici eventi di quel festival.

8.

Arrigo Lora Totino, sempre più impegnato in ricerche sulle interrelazioni tra poesia visuale e fonica, tra linguaggi plastico-figurali e gesto, arriva ben presto a concepire la poesia sonora come vero e proprio spettacolo. In realtà la maggior parte delle sue ricerche sulla vocalità e sulle potenzialità sonore della scrittura si esprime al meglio se congiunta all’uso dinamico del corpo, al gesto che interviene in maniera determinante nella composizione poetica. Osserva Eugenio Miccini che nel suo lavoro “tutto è ritmato dalle cadenze delle mani, dagli andamenti del corpo, morbidi, saltellanti, vibranti”.[32] ALT concepisce le “mimodeclamazioni”, per linguaggi fonogestuali, e la “poesia ginnica” dove afferma pienamente le ragioni del corpo. Di quest’ultima scrive: “L’idea mi venne rileggendo il sempre attuale manifesto sulla declamazione dinamica e sinottica di Marinetti (1916). La inaugurai nel 1971 a Martina Franca (Gruppo nuove proposte). Si tratta della integrazione di mimica e parola. Il gesto si sposa alla parola in un contesto estremamente calcolato di allitterazioni verbali e mimiche corrispondenze. La si può pure considerare un contributo personale all’arte totale. Ne ho dato numerose performances sia in Italia che all’estero. La sua esteriorizzazione è naturalmente sulla scena teatrale o sul video”.[33] In realtà anche in questo caso un riferimento fondamentale è il manifesto del Teatro della sorpresa, che conclude in questa maniera: “Il Teatro della Sorpresa contiene oltre a tutte le fisicofollie di un caffè-concerto futurista con partecipazione di ginnasti, atleti, illusionisti, eccentrici, prestigiatori, oltre il Teatro Sintetico, anche un Teatro-giornale del movimento futurista e un Teatro-galleria di plastica, e anche declamazioni dinamiche e sinottiche di parole in libertà compenetrate di danze; poemi paroliberi sceneggiati, discussioni musicali improvvisate tra pianoforti, pianoforte e canto, libere improvvisazioni dell’orchestra, ecc.”.[34] Arrigo Lora Totino ha sempre amato collegare le sue pièces alle atmosfere del cabaret sperimentale, in particolare quello di marca futur-dada, dove il principio dell’ironia era una costante irriducibile, ribadendo che la mimodeclamazione costituisce uno degli aspetti essenziali della performance sonora: dimensione, questa, alla quale non ha mai smesso di connettere i suoi testi lineari, che, da studioso della poesia giocosa e, in particolare, del barocco, arricchisce di allitterazioni e di assonanze, per poi lanciarli nello spazio acustico, cimentandosi spesso con effetti di contrappunto ottenuti organizzando la melodia del parlato su differenti piani spazio-temporali. Il gioco delle stratificazioni sonore avviene tramite la regolazione dei ritmi, dei timbri, dei volumi, dei registri e delle cadenze recitative, perfino attraverso l’uso di lingue diverse, sia su nastro, sia dal vivo, in concerto con gruppi “polifonici”, non sottovalutando mai la funzione scenica del gesto. Egli appare in calzamaglia nera o bianca, con fisico agilissimo, sempre pronto a meravigliare con forzature vocali condizionate dal movimento del corpo, dalle esigenze della scena, dal contesto e dal rapporto con il pubblico, non sempre preparato ad accettare le sue ironiche provocazioni.[35] Nel 2001, nel testo di apertura al poema visuale in 17 tavole Anatomia di un percorso, la moglie di Arrigo, Lou, scrive: “Abituato da secoli a ‘pensarsi anima’, l’uomo ha dimenticato la sua corporeità ed è per questo che l’opera di Arrigo Lora Totino a volte ironica e satirica ci riporta l’immagine di un corpo sollecitato dai bisogni, che si ritaglia nel mondo il proprio ambiente, corpo da sanare, da uccidere, da redimere, da disfare, corpo inconscio come simbolo da reinterpretare. La sfida condotta da Arrigo Lora Totino nel suo lavoro non appare quindi quale opposizione alla consapevole ambivalenza della corporeità, ma come lettura alternativa del corpo che nella sua evoluzione storica viene sottratto al pensiero metafisico e riproposto come significato fluttuante che si concede a qualsiasi giudizio di valore in un gioco dialettico di continue opposizioni”.[36]

Delle sue performance ALT ci ha lasciato numerose partiture. Le tecniche e le modalità adottate sono di vario tipo. Si passa da testi lineari,[37] che presentano sempre una qualità grafica molto curata, a scritture sincretiche di tipo concreto, da appunti estemporanei, specialmente per poesia ginnica e brevi composizioni fonetiche, fino agli spartiti delle pièce più complesse, molto elaborati e distesi secondo l’andamento dei tempi dell’azione.

Quando l’autore prescinde dal valore visivo del pattern, per far riferimento ai puri valori sonori, gli spartiti non sono che scritture di servizio. Il vero testo è quello che si organizza e vive nella dimensione spazio-temporale. L’artista scrive: “Il testo? Il testo sarà da tastare con orecchi ed occhi, ché nel contesto la parola si fa gesto. Parlo del testo reale, quello che si ascolta o si registra su disco o su nastro magnetico. Il testo scritto vien declassato a semplice spartito, sia pure pregevole, talvolta, visualmente, o come uso spesso dire, optofonicamente, come lo erano sovente e superlativamente le tavole parolibere futuriste o il poème-affiche dadaista. Oppure si ridurrà a sintetica annotazione per un’improvvisazione verbale. Così, finalmente, la poesia esce dal libro, oltreché dal verso, per andare a cercare un pubblico diverso, ed in questa ricerca, beh, lasciateci divertire!”[38]

 

NOTE

[1] Vale la pena ricordare a questo proposito i suoi “pappapoemi” e le sue cene-performance apparecchiate con Sergio Cena (“L’ora di Cena da Totino”).
[2] Giovanni Fontana, Appunti per una poesia pre-testuale, in “Dismisura” n° 67/73, 1984; poi in G. Fontana, La voce in movimento, cit.
[3] Arrigo Lora Totino, Il teatro della parola (a cura di Giampiero Biasutti), Edizioni Biasutti, Torino, 2011.
[4] Arrigo Lora Totino, La comédie humaine – études analytiques, autoedizione, Torino, 2001.
[5] Per la performance Arrigo Lora Totino ama parlare di “teatro della parola”, locuzione che può essere ampiamente riferita anche ad altri aspetti del suo lavoro. Si veda a questo proposito Mirella Bandini (a cura di), Arrigo Lora Totino – Il teatro della parola, cit. e Arrigo Lora Totino, Il teatro della parola (a cura di Giampiero Biasutti), cit.
[6] Arrigo Lora Totino, Il teatro della parola (a cura di Giampiero Biasutti), cit.
[7] Cfr. René Thom, Morfologia del semiotico, a cura di Paolo Fabbri, Meltemi Editore, Roma, 2006.
[8] La multiforme produzione creativa dell’artista è stata documentata in un corposo catalogo a cura di Giovanni Fontana, curatore anche della mostra, ed è stata l’argomento di un convegno all’Accademia di Belle Arti di Brera, organizzato nell’ambito del progetto didattico Impermanenze, a cura di Chiara Giorgetti, coordinato da Margherita Labbe. L’incontro, presentato da Anna Mariani e da Gabriele Perretta, ha raccolto testimonianze di storici, artisti e collezionisti che hanno condiviso esperienze con Arrigo Lora Totino in tempi e momenti diversi del suo lungo percorso, al fine di comporre una memoria dell’artista e del suo lascito al di là della semplice commemorazione. Al convegno, intitolato “La poesia in gioco”, sono intervenuti Renato Barilli, Paolo Brunati, Sandro De Alexandris, Pasquale Fameli, Giovanni Fontana, Lorena Giuranna, Luciana Lora Totino, Anna Mariani, Franco Marrocco, Gabriele Perretta, Patrizia Serra e William Xerra.
Al centro dell’attenzione, sia nella mostra che nel convegno, è stata posta l’intera opera di Arrigo Lora Totino, ricca e complessa. La molteplicità dei suoi interessi, infatti, ha chiamato in causa media sempre diversi, tanto che il suo lavoro si è presentato nel tempo nelle forme più disparate: pitture, monotipi, serigrafie, collage, libri d’artista, oggetti plastici, fotodinamiche, partiture, scritture paramusicali, testi lineari, nastri magnetici, dischi, video, performance, spettacoli, ecc.
[9] “Antipiugiù”, n° 2 (novembre 1962) è introdotto dal saggio Una teoria dello sperimentalismo: il romanzo come costruzione morale di Armando Novero, dedicato alla teoria del romanzo, e accoglie i racconti in prosa di Paolo Carra, Arrigo Lora-Totino, Giorgio De Monte, Ugo Carrega, Giuseppe Davide Polleri, Aldo Passoni, Sergio Acutis, e Sergio Quartesan.
“Antipiugiù”, n° 3 (giugno 1964) pubblica il saggio introduttivo di Armando Novero La ricerca dei confini individuali e i testi poetici di Franz Mon, Chris Bezzel, Karl Heinz Roth, Segio Hediger, Salvatore Caruselli, Paolo Carra, Sergio Acutis, Alfredo de Palchi, Aldo Passoni, Alberto Tomiolo, Giuseppe Davide Polleri e Ugo Carrega.
“Antipiugiù”, n° 4 (novembre 1966) respira una dimensione culturale internazionale. Come specificato nell’avvertenza sul verso della copertina: «La rivista non consiste in un numero chiuso di collaborazioni ma si forma per mezzo di continui incontri di testi, la sua apertura verso l’esterno è la condizione stessa della sua esistenza». Il fascicolo approfondisce l’interesse per la Poesia Concreta, pubblicando testi di autori statunitensi ed europei quali Jochen Lobe, John Ashbery, Franco Rella, Ladislav Novàk, Jackson Mac Low, Sergio Quartesan, David Antin, Alfredo De Palchi, Joseph Hirsal, Bohumila Grögerovà, Maria Schiavo e Claus Bremer.
[10] Arrigo Lora Totino, in-costante [1962] pubblicato in sei esemplari numerati e firmati nel 1982 e in trenta copie numerate e firmate nel 2003, autoedizione, Torino.
[11] Mirella Bandini [a cura di], Arrigo Lora Totino – Il teatro della parola, Lindau, Torino, 1996.
[12] Arrigo Lora Totino, notes sur ‘in-costante’, in in-costante [1962], cit.
[13] “[…] il testo-poema di belloli risulta da una scelta ben determinata di materiale linguistico puro antianalogico infradiscorsivo asintattico […] il testo-poema di belloli anticipa quel linguaggio di parole-segnali collocate nella rete comunicante di una civiltà matematica che dovrà riconoscersi nell’economia del colloquio dei gesti delle emozioni. / anche un monosillabo potrà costituire uno spettacolo fonetico compiutamente comunicante”. Filippo Tommaso Marinetti, “collaudo” a Carlo Belloli, Testi-poemi murali, Edizioni erre, Milano, 1944; poi in F.T. Marinetti, Collaudi futuristi, a cura di Glauco Viazzi, Guida Editore, Napoli, 1977.
Scrive Arrigo Lora Totino: “È significativo che nel 1953, in occasione del quarto centenario di fondazione della città brasiliana di San Paolo, Belloli esponga tutte le sue pubblicazioni al Club Ipitiranga e all’Istituto culturale italo-brasiliano, nello stesso periodo in cui si collocano i primi tentativi degli autori brasiliani concreti”. Poesia concreta, in Claudio Parmiggiani (a cura di), Alfabeto in sogno, Mazzotta, Milano, 2002.
[14] “Modulo”, n° 1, gennaio 1965.
[15] Ivi.
[16] Arrigo Lora Totino, Poesia da ascoltare, in Poesia concreta. Indirizzi concreti, visuali e fonetici, a cura di Arrigo Lora Totino e Dietrich Mahlow, La Biennale di Venezia, Ca’ Giustinian, Venezia, 1969.
[17] Filippo Tommaso Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica, 11 marzo 1916, in Francesco Cangiullo, Piedigrotta: parole in libertà, Edizioni futuriste di Poesia, Milano, 1916.
[18] Arrigo Lora Totino, Poesia da ascoltare, cit.
[19] Arrigo Lora Totino, Ragioni di una scelta per un’antologia di poesia concreta, in “Modulo”, n° 1.
[20] Arrigo Lora Totino, Poesia concreta, cit.
[21]  Maria Drudi Gambillo, Teresa Fiori (a cura di), Archivi del Futurismo, De Luca Editore, Roma, 1958.
[22] Musica di ricerca: proposta per una metodologia Operazionale, relazione letta al Convegno promosso dal Sindacato Nazionale Musicisti a Milano nel maggio 1967, in Enore Zaffiri, Raccolta di articoli (1964-2003), a cura di Marco Ligabue, “Musica/Tecnologia”, 1 (2007), University Press e Fondazione Ezio Franceschini, Firenze, 2007.
[23] Arrigo Lora Totino, Nuovi corpi di poesia, in “Futurismo Oggi”, n° 3-4, Roma 1975.
[24] Filippo Tommaso Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica, cit.
[25] Arrigo Lora Totino, Poesia da ascoltare, cit.
[26] Arrigo Lora Totino, Poesia sonora / Poesia dell’oralità, in Le Arti del suono. Poetiche fonetiche ed altre (a cura di G. Fontana), n° 5, Aracne Editrice, Roma, 2012.
[27] Arrigo Lora Totino, in Le Arti del suono, cit.
[28] Giovanni Fontana, La voce in movimento, vocalità, scrittura e strutture intermediali nella sperimentazione poetico-sonora, Harta Performing-Momo, Monza, 2003.
[29] Arrigo Lora Totino, Poesia da ascoltare, cit.
[30] Il Teatro della Sorpresa, manifesto firmato Filippo Tommaso Marinetti e Francesco Cangiullo e datato 11 ottobre 1921, esce nel primo numero della rivista «Il Futurismo», 11 gennaio 1922.
[31] Cfr. Eugenio Gazzola, Parole sui muri, Diabasis, Reggio Emilia, 2003.
[32] Eugenio Miccni, Poesia visiva e dintorni, Meta, Firenze, 1995.
[33] Arrigo Lora Totino, Poesia ginnica, in “Y”, Dismisuratesti, Frosinone, 1983.
[34] Il Teatro della Sorpresa, cit.
[35] Ricordo quando al Festival Internazionale dei Poeti di Piazza di Siena, a Roma nel 1980, preso di mira da un gruppo di contestatori con lanci di cocomeri, riesce, in perfetto stile futurista, con calibrati rilanci, a trasformare l’evento in una godibilissima pantomima, che finisce per rappresentare, con tagliente ironia, una chiara denuncia dell’intolleranza.
[36] Lou (Luciana Braghin Lora Totino), prefazione a Arrigo Lora Totino, Anatomia di un percorso, poema visuale in 17 tavole, autoedizione, Torino, 2001.
[37] A. Lora Totino, Pot-pourri – punto e linea, autoedizione, Torino, 2001.
[38] In Parola fra spazio e suono: Situazione italiana 1984, catalogo a cura di Luciano Caruso, Ubaldo Giacomucci, Arrigo Lora-Totino, Lamberto Pignotti, Adriano Spatola, Palazzo Paolina, Viareggio, 1984.