Ricerca sempre attenta, anche per la responsabilità di essere stato docente alle Accademie di Belle Arti dell’Aquila e di Brera, alle lezioni delle ricordate avanguardie, assimilate, ma trascese e rimescolate con il tema portante del suo doppio antropomorfico, o meglio avatar estetico dello “ Psiconauta”

di Antonio Gasbarrini

Alle avanguardie storiche (Futurismo, Dadaismo, Surrealismo), neo (Lettrismo e Situazionismo su tutte), post e post-post (Transavanguardia, in particolare), neo e neo-neo (Inismo e Arte Agravitazionale) del secolo scorso, ha fatto da

contrappunto – in questo scorcio del secondo millennio caratterizzato dall’avvento dell’Arte digitale per lo più declinata nella sua superficiale versione di “similarte” – un silenzio pressoché tombale.

Già. Se sono stati i Manifesti a parlare per conto degli artisti sulle loro programmatiche intenzioni rivoluzionarie in fatto di una ricerca estetica caratterizzata, alla fine di un percorso quasi secolare, dal tonfo dell’ideologia del cosiddetto darwinismo linguistico azzerato dalla Transavanguardia degli anni Ottanta, grazie alla quale, in opposizione alla demateralizzazione dell’opera perseguita dall’Arte Concettuale, gli artisti “recuperano le ragioni della manualità, della soggettività e ripristinano le categorie di pittura, scultura e disegno” (Achille Bonito Oliva), adesso, per rintracciarne qualcuno di essi stilato in questi primi due decenni, occorre trascorrere ore ed ore su questo o quel motore di ricerca del Web. Per carità di patria, omettiamo di sbugiardare quegli artisti che spacciano per avanguardia ciò che avanguardia non è.

Ecco perché, avendo personalmente affiancato con l’apporto di testi e la curatela di mostre quei più recenti movimenti d’avanguardia sintonizzati sul fecondo dialogo tra Arte e Scienza, focalizzerò l’attenzione sull’Arte Agravitazionale e sul suo principale esponente Vito Bucciarelli, con il quale, nella recente conversazione aperta al pubblico, tenuta a Roma nel museo Macro Asilo, abbiamo ripercorso i momenti salienti della sua ricerca creativa. Qui “messa in mostra” con la performance interdisciplinare “La parte scura dell’Europa” (L’Africa, cioè), la cui linfa vitale è stata attinta principalmente dalla sua diretta esperienza pluriennale artistico-operativa nel continente nero (per di più a Tunisi, anche durante i moti potenzialmente rivoluzionari della Primavera araba). Non a caso, un suo autoritratto gravitazionale fa parte di un intero ciclo dedicato all’evento, ed in particolare, al giovane Mohamed Bouazizi, il quale, dandosi fuoco nel 2010, ha di fatto “incendiato” con il sacrificio personale della propria vita, le rivolte sociali succedutesi poi in vari Stati.

Ricerca sempre attenta, anche per la responsabilità di essere stato docente alle Accademie di Belle Arti dell’Aquila e di Brera, alle lezioni delle ricordate avanguardie, assimilate, ma trascese e rimescolate con il tema portante del suo doppio antropomorfico, o meglio avatar estetico dello “ Psiconauta”. Senza l’allunaggio di Armstrong e Aldrin avvenuto mezzo secolo fa, molto probabilmente questo instancabile viaggiatore analogico non condizionato dalla calamitante legge di gravità, non si sarebbe mai appropriato delle sembianze fisiche dell’allora “ suo giovane artefice” per condurlo, mano nella mano, ma anche mente nella mente, tra le dimensioni spaziotemporali del gioco e della meraviglia. Già. In quanto sono le sue araldiche cromie esaltate sin dagli inizi degli anni Ottanta da teatralizzanti installazioni in cui scultura e pittura (ma anche video e fotografia); la sua fragile ma resistente materia con cui è impastato (l’argilla dipinta anche a freddo, ma spesso cotta fino al terzo fuoco); la sua moltiplicazione seriale nella stessa installazione; le sue ora statiche, ora dinamiche e strampalate posture, a mescolare la riconoscibilissima terrestrità corporale con i pindarici voli antigravitazionale di un’affamata quanto esigente fantasia. Fantasia in un certo qual modo razionalizzata e, perché no?, concettualizzata da Vito Bucciarelli, nella fertile stagione dell’Arte Agravitazionale (inizi anni Novanta), che ha registrato l’adesione di vari artisti italiani e stranieri, nonché la tenuta di loro mostre personali o di Gruppo, in prestigiosi spazi museali come il Palazzo dei Diamanti a Ferrara. Movimento che, sulla scia dell’onda avanguardistica della poetica spazialista di Lucio Fontana, ha di fatto rinsaldato i fecondi rapporti rinascimentali instaurati tra Arte e Scienza, rinnovandone – a livello estetico-lessicale – i provvisori, quanto paradigmatici canoni, con un’opera dalla doppia personalità formale: familiare nella sua  versione analogica, del tutto inattesa nella epifanica immanenza notturna ove è l’irraggiante ed impredicibile moto degli elettroni eccitati dalla luce, a favorire la trasmutazione metamorfica della materia in pura energia quantica. Chi voglia approfondire gli aspetti teoretici dell’Arte Agravitazionale e indirettamente rapportarsi alla “poetica psiconautica” di Vito Bucciarelli, può utilmente sfogliare i vari contributi testuali presenti nei link riportati più sotto. Scritti dai quali traggo queste mie aforistiche “autocitazioni” chiarenti, anche se in modo telegrafico, il succo delle riflessioni qui proposte.

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I autocitazione

Il FOTONE ESTETICO DELL’ARTE AGRAVITAZIONALE

«(…) Ma è il deciso avanzamento della creatività, la lievitazione della sensibilità psichica, le possibilità con/creative ri/generate dall’Arte Agravitazionale a disarcionare “i limiti dell’interpretazione” invocati recentemente da Umberto Eco.

Quest’affermazione può essere meglio compresa dal commento della riproduzione in copertina “La posa in opera del critico”. Se nell’“Opera Aperta” dello stesso Umberto Eco non si accennava al dubbio amletico dell’“Ermeneutica dei Fichi” e veniva chiamata in causa l’attiva partecipazione del fruitore nella manipolazione dell’ipotesi di opera proposta dall’artista, ne l’Opera Ri/aperta dell’Arte Agravitazionale è la sinergia dell’interazione tra i pensieri a modellare il nuovo statuto dell’opera d’arte.

Esaminiamone le coordinate. Il critico (Antonio Gasbarrini) entra di prepotenza – grazie alla  complicità del fotografo Franco Soldani che ha impresso su pellicola l’evento – con la leggerezza della sua mente ed il peso del suo corpo, nelle opere notturne di Vito Bucciarelli e Giovanni D’Agostino, dalla silente purezza astrale. L’ attraversamento della luce, il congiungimento con il pensiero dell’opera è stato mediato da altri cambiamenti metamorfici attivati dall’energia-luce emanata dal pigmento luminescente. Allo stato notturno (dell’opera e dell’ambiente) proiettando una fonte di luce su un solido (nel caso specifico il corpo del critico) distante qualche centimetro dalla superficie (la tela di Bucciarelli, mentre sulla sinistra campeggia quella di D’Agostino) trattata con tempera luminescente, le molecole esterne alla silhouette ricevono un’eccitazione (frequenza dello spettro elettromagnetico) diversa da quelle interne. Venuta meno la sorgente di luce, la non-ombra cinese della transeunte, effimera, analogico-virtuale de “La posa in opera del critico” è imprigionata dalla tela e la sua energia (con più bassa frequenza) interagisce con la luminescenza. Il critico, adesso, può per la prima volta da quand’è nato, liberamente andarsene; ma il suo pensiero, il suo più-non-corpo, restano effigiati (non importa se solo per alcuni minuti), impressi nell’orizzonte degli eventi. Finalmente il critico non è più Narciso riflesso nello specchio dell’opera, un non-segno che si eclissa con l’ assenza del referente (lo specchio privato del corpo non è specchio). Dietro lo specchio-tela il critico che non ha dovuto vendere la sua anima come Faust, può finalmente beffarsi del suo alter-ego, l’ipersegno generato dall’energia pensante dell’Arte Agravitazionale (…)».

[Autocitazione tratta da: Antonio Gasbarrini, Il fotone estetico dell’Arte Agravitazionale, testo in catalogo, Angelus Novus Edizioni, L’Aquila – Parise Adriano Editore, Colognola ai Colli (VR),  – Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1991. Nel link, il testo integrale

http://www.angelus-novus.it/wp-content/uploads/2013/06/libro_web.pdf  ]

II autocitazione

ANGELUS NOVUS X ANGELUS NOVUS: L’INSTALLAZIONE QUADRIDIMENSIONALE Di 

VITO BUCCIARELLI

«(…) Partendo dal nome dello spazio culturale x (per) cui è stata progettata l’installazione, omonimo, e non a caso, dell’Angelus Novus di Walter Benjamin / Paul Klee, e cioè l’angelo della storia che ha il viso rivolto al passato (la storia dell’arte secondo una nostra ‘forzatura’ interpretativa) mentre la tempesta del progresso (l’avanguardia, ancora secondo la nostra rilettura) lo sospinge irrimediabilmente verso il futuro, Vito Bucciarelli ha fissato le nuove coordinate di volo (mentale e cognitivo) all’Angelo NuovoOpera. Cerchiamo di captarne il movimento.

Il punto di partenza è obbligatoriamente il I Manifesto dell’Arte Agravitazionale – di cui è uno dei principali ispiratori –, dove è tra l’altro dichiarato: «le nostre opere fondano il vuoto […] tutto è luce ed è luce riconoscibile». Con questa parola d’ordine Vito Bucciarelli ha aggredito l’architettura preesistente intervenendo direttamente sulla poderosa volta a crociera dello spazio espositivo (posta a circa sei metri di altezza, con una superficie di oltre sessanta metri quadrati, affrontata con giorni di duro lavoro passati sul ponteggio) per installarvi i suoi piccoli cerchi di carta bianca, preziosi come tessere di mosaici bizantini, puri come schiere di angeli in volo e vitali alla stregua di brillanti stelle nel firmamento.

Ma là dove percettivamente sembravano dominare ordine ed armonia nella uniforme distribuzione delle piccole superfici circolari (diametro di 3,5 cm.), è la tremenda bellezza di quegli stessi Angeli e dell’Arte Agravitazionale a far emergere dal vuoto, allorché un timer spegne la luce artificiale delle lampade, irregolari ellissi verde-luminescenti. Qui ed adesso, in questo nuovo hic et nunc di un’opera germinata dalla fissione nucleare del tempo-spazio agravitazionale “altro”, non è più l’occhio umano a guardare in questa o quella direzione come ci ha insegnato l’Angelus Novus benjaminiano. «Che cosa sarebbero gli occhi senza la loro accortezza, senza le palpebre?» (Elias Canetti). La risposta di Vito Bucciarelli è che sono proprio quegli occhi ellittici senza palpebre, tenuti perennemente aperti dalla luce del pigmento materico agravitazionale (la luminescenza altro non è che una radiazione subatomica) a scrutare dall’alto in basso, o più precisamente, in-ogni-dove e senza alcuna benevolenza, i crimini di un’arte retinica ed olfattiva, per dirla con Duchamp, legata tutt’oggi al tra-passato remoto di metafore, metonimie e riduttivi giochi linguistici.

All’azzeramento concettuale di un manufatto estetico rinnovato nella sua genesi ontologica soprattutto con i ready-made (il ludico arbitrio dell’artista-creatore), non corrispondeva, infatti, una analoga lucida tensione investigativa tendente a rimuovere i fabulatori confini del geometrizzato ‘recinto mitico-sacrale’ in cui, tutto sommato, è stata fino ad oggi relegata l’opera.

Nello spazio-tempo di Vito Bucciarelli e dell’Arte Agravitazionale, l’idealizzante ed idealizzata prospettiva tridimensionale (destra/sinistra, alto/basso, avanti/indietro) di quella stessa opera non ha più alcun senso. È adesso una iperdimensione altra, in cui interagisce il prima ed il poi[i] dello spazio-tempo curvo, a ri-strutturare, de-strutturando, la rivoluzionaria immagine-evento autoplasmata dalla luce-pensiero dell’Arte Agravitazionale. Immagine, quindi, generata direttamente dal pensiero neuronico dell’artista («Il nostro pensiero, le nostre Opere, viaggiano su onde elettromagnetiche, si riconoscono e sono riconoscibili solo all’intero di esse. Agravitazionali») esteticamente coevo al principio di verità (della scienza) sostenuto dalla folgorante Bellezza della rivoluzionaria © Estetica subatomica (…)».

[Autocitazione tratta da: Antonio Gasbarrini, Angelus Novus  x  Angelus Novus, testo di presentazione al volume Vito Bucciarelli. Progetti di opere dedicate all’aria (a cura di Andrea Taddei), Andromeda, 1999. Nel link, il testo integrale

http://www.angelus-novus.it/blog/2018/12/21/progetti-per-opere-dedicate-allaria/ ]


Terza autocitazione

IL VUOTO QUANTISTICO DELL’ARTE AGRAVITAZIONALE

«(…) Non si comprenderà mai a fondo la vera natura dell’arte se non si rifletterà con maggiore consapevolezza sulla stretta interdipendenza esistente tra il livello delle conoscenze scientifiche (conquiste del pensiero tout-court) e lo speculare, reversibile influsso/riflusso estetico. I canoni dell’arte greca (equilibrio, proporzione, simmetria, ecc.) possono essere compresi più da qualche illuminante riflessione di uno scienziato («gli antichi greci ebbero una mirabile comprensione di cose statiche – forme geometriche statiche o corpi in equilibrio – ma non avevano una buona concezione delle leggi che governano il modo in cui i corpi in realtà si muovono»), che con migliaia di pagine esegetiche.

La scienza moderna inizia nel 1638 con la pubblicazione dei ‘Discorsi’ di Galileo: da quel momento il binomio movimento-velocità sarà un costante assillo dell’arte ‘altrettanto’ moderna. Dal Barocco all’Impressionismo, dal Futurismo allo Spazialismo ed all’Arte Cinetica degli anni Sessanta è il movimento virtuale o meccanico di linee, masse, colori ad emulare il dinamismo proprio delle leggi di natura.

Con l’Arte Agravitazionale, l’opera bi-dimensionale (pittura) e tri-dimensionale (scultura e installazione) accede all’intransitiva quadridimensionalità eisteiniana, mediante la creazione di un tempo-spazio fisico, e non solo estetico, ‘eventificato’ dalla luminescente energia fotonica irraggiata direttamente dal pigmento materico.

Quella stessa opera, adesso, non simula più profondità prospettiche con l’artificio ottico-geometrico di ‘punti di vista’ privilegiati rinascimentali, né si colloca passivamente in un amorfo contenitore spaziale (lo spazio meccanico di Newton in cui i corpi celesti replicheranno in eterno le loro orbite). Interagisce, invece, mediante la propria energia fotonica, con il cangiante ‘Vuoto quantistico’, ne modifica la struttura del campo, partecipa attivamente al polifonico concerto delle particelle subatomiche. Particelle peraltro frantumate sul parallelo binario dell’avanguardia multimediale Inista, più attenta alla contrazione del segno grafo-fonematico di palingenetici alfabeti astrali entrati anch’essi in sintonia con la frequenza delle onde-particelle[1].

Per l’arte di Fontana, abbiamo notato, il ‘vuoto’ è privazione di forma; nel I Manifesto dell’Arte Agravitazionale, di converso: «Le nostre opere fondano il VUOTO e popolano gli spazi cosmici dell’universo in espansione».

Da questa dicotomia nasce, a nostro modo di vedere, l’incolmabile solco poetico-concettuale scavato tra uno Spazialismo ‘senza tempo’ e quindi senza storia, ed un VUOTO vivo e vitale dentro cui scorre l’entropica, mortale ‘Freccia del tempo’.

La forma dell’Arte Agravitazionale approda così, dopo lo stop al darwinismo linguistico teorizzato dal post-modern (la storia di Orfeo che può e sa guardare solo indietro, o meglio il didietro, dell’amata arte d’avanguardia Euridice) nei nuovi orizzonti degli eventi, adesso sì, trans-galattici fissati dalla “evoluzione del mezzo” (il pensiero creativo dello scienziato e dell’artista)».

[Autocitazione tratta da: Antonio Gasbarrini, Il vuoto quantistico dell’Arte Agravitazionale, testo in catalogo, Angelus Novus Edizioni 1995, Musei Civici di Rimini. Nel link, il testo integrale

http://www.angelus-novus.it/blog/2018/12/22/agravitazionale/ ]

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IL CUORE NERO DELL’AFRICA

Un’installazione interdisciplinare al Museo Macro Asilo

Roma, 16 Giugno 2019

DOMANI, LA SPERANZA

Domani, la speranza / E nel cielo in lutto / Vedo i suoi occhi, calmi e dolci, / Come una carezza,
Ascolto la sua voce, pura e bella / Come una notte stellata / Leggo il suo messaggio, serio e nobile, /
Come una leggenda greca. / O, divina speranza! / Ecco che nel singhiozzo disperato del vento, / Si tracciano / Le prime frasi del più bel poema d’amore / E domani, è la speranza! //

                                    Henri Boukoulou

ESILIO II

E quelle notti terribili / Sotto l’immensa cupola / E quelle ore rosse / Rosse e piene di amarezza / Ed il tempo che scorre / Trasportando paesi che dormono / E che sconquassa quest’altro / Contro il muro di un palazzo / In questo tempo che se ne va / Non importa dove, non importa quando / Che mi trascina allo stesso tempo / Laggiù, lontano laggiù / Fuori dalla mia terra natia / Battendo la mia carne come un tam-tam / Divenuta più secca e più fragile / O tristezza che batti con le ali contro l’anima mia! / In quale porto degno della mia condizione d’uomo / Getterai tu l’ancora? //.

                                                    F.G.Mavoungou Badinga

DOLCE ED OPPRESSA

(Lamento di un Prigioniero)

Ascolta con me la notte farsi muta / Come un lutto sul cielo piatto / L’aria non ha neanche più quella dolcezza / Da noi così spesso sognata; / la sua carezza somiglia ad incorporee catene /

Sui nostri corpi allacciati. / Ti guardo come tu mi guardi / Quando mi ami; / E nei tuoi occhi che guardano il mondo, / Vedo raccogliersi l’ombra delle minacce, / Vedo cercar rifugio le anime braccate / La notte resta così silenziosa! / Senz’altro si compiace di contemplare / I tuoi occhi da cui sgorgano / Tutte le parole che le nostre labbra non hanno più / Diritto di pronunciare, e neanche di cantare //.

                                                    Henri Boukoulou

CHI SEI TU?

Ho camminato muto e solitario / Un morto senza delitto, / Per tutto il giorno che si accorda / Al soffio del mio cuore per tacere // Ho guardato il cielo diafano impallidire / In un colore tetro, silenzio……/ Il giorno annega senza violenza / Ed ho visto la Terra morta insozzarsi // Chi sei tu, tu negro che sogni, / Ho girato la testa senza coraggio / Al suono di una voce sconosciuta senza tregua // Ho camminato a piedi nudi tra i cespugli / I grilli hanno urlato di paura / Il mio sangue è scaturito con ardore / Ed ho saputo espellere quel veleno // Chi sei tu che sogni e canti? / Ho punto la mia gola con una paglia / Ho visto questa voce nella faglia / Gemere, in lenti pianti //.

                             Jacques Manpouya

LE SOFFERENZE DELLA SCHIAVITU’

Colpisci, dai colpisci / Fai vibrare la tua frusta / Falla vibrare // Con tutta la tua forza colpiscimi / Colpisci tu che hai questa forza / Colpisci, da far fischiare la tua pallottola / Colpisci! Colpisci! Finiscimi! // Colpiscimi anche sulla testa! / Fino a togliermi il respiro / Mi piace, colpisci! / Colpisci che mi rendi più duro // Colpiscimi, è il tuo mestiere / Colpiscimi cane rognoso da abbattere! / Botha / La tua frusta mi ha reso testardo / La tua frusta mi è divenuta abitudine / La tua frusta mi ha tolto la paura della morte / Colpiscimi così da saziarti / Come la sanguisuga si sazia di sangue //

Io a cui hai spezzato la schiena / Io con il corpo coperto di botte / Io a cui per tuo divertimento hai decimato la famiglia           / Come avevi promesso ,fai pure, caro fratello / Ma sappi che tutto ciò che mi hai fatto / Il cambiamento, la rivoluzione nazionale / Di tutti i figli di Azanie (A.S.) / Saprà mostrare chi sarà il vincitore //.

                                                   Peetolo Vicka

(Lettura di poesie, con voce recitante di Nicolò Galasso, danzatrice Viola Gasparotti, musicisti Nicola Bellulovich, Gianpiero Barbati e in Vino Veritas, nella performance interdisciplinare “La parte scura dell’Europa” di Vito Bucciarelli tenuta nel Museo “Macro Asilo” di Roma il 16 giugno 2019.