Dal concettuale di Duchamp siamo arrivati ai Jeff Koons e Damien Hirst e Maurizio Cattelan… là dove l’arte confina o si confonde con la spudorata cialtroneria, peraltro remuneratissima a suon di milioni e milioni di dollari…

di Marco Palladini

… mi incontra il Gianni Dodi e subito dichiara: il culto più astuto non è il culto dell’oblio? … vorrei dimenticarmi di lui e invece lo invito a bere un cocktail in quel bar che chiamano ‘la cloaca’ perché è la sentina dei pettegolezzi di tutto il paese e dove c’è ancora un vecchio juke-box con il 45 giri della canzoncina sui giovani più giovani che sono l’esercito del surf, nella versione intonata da Catherine Spaak… peraltro l’amena canzonetta viene mixata con le grevi battutacce sull’esercito del pene che era capitanato da un divetto del porno locale, un tale Bubi Louisiana che si vanta di avere inforcato non meno di mille e trecento donne di varia età e condizione sociale, dalle operaie alle marchese… Dodi intanto mi confida che sta attendendo alla compilazione di una crestomazia di citazioni, visioni, frasi spezzate relative alle più diverse stramberie del genere umano, collazionate come coiti verbali interrotti… a mia volta gli confesso che, dopo un periodo di abulia, scrivo tanto, in eccesso, sempre di più per confondere le acque e cancellare le tracce che possono portare a me scrivo insomma per volatilizzarmi, per dissimularmi e penso che bisogna essere davvero ottenebrati come lui per pensare di trovare una luce di senso in ciò che ci circonda…

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… così mi lascio andare a rimasticare i versi di Luigi Di Ruscio, poeta e per 40 anni operaio metalmeccanico in Norvegia; i suoi fagogitanti versi come stille e faville del suo essere proletario:  “… la boria della scimmia era insaziabile / e riuscivo ad essere incazzato e felice / mentre aspettavo di essere premiato dal nemico… / prima scappavo e non volevano prendermi / ora vengono a prendermi e non riesco a scappare… / si muore sempre e non sempre si nasce… / con questa poesia che mi graffia e mi terrorizza / non avendo veramente nulla da perdere… / riescono a combattere il fascismo diventando tutti fascisti / posso scrivere anche questo spero solo che non esiste… / scrivere poesie è facilissimo basta avere il coraggio di ingoiare tutto… /  per un mese ho suonato tutti i campanelli / e sono riuscito a vendere solo il primo volume delle opere complete di mao / e forse quell’unico compratore sarà diventato un terrorista… / un giorno che è tutto uno sputare sangue e fatica / otto ore che finiscono quando siamo già spezzati… / tu all’improvviso mi dicesti / che cristo aveva un fratello gemello che era satana… / se le possono dire solo due come noi affiancati alla stessa macchina / alla stessa precisa disperazione / allo stesso sudore… / scrivere poesie schifosissime senza speranza… / la poesia non posso capirla posso solo scriverla / quando sarà capita nessuno perderà tempo a scriverla… / non basta veramente aver ammazzato mussolini / l’amica di mussolini per non essere più fascista / quello che si ammazza si diventa scrisse pavese… / la scimmia vive nella vergogna di assomigliare agli uomini… / la poesia è come il sangue universale / possiamo darlo a tutti / però ogni altro sangue / ci mette in pericolo estremo… / e così mi alzo tutte le mattine raccomandate alle 4,30 del mattino / come niente fosse mi dirigo verso la fabbrica e l’inferno / chi è veramente oppresso può esprimere solo l’oppressione… / i versi più belli erano stati scritti / quando non c’era più una ragione per scriverli… / lo strazio della fabbrica risultava indicibile / chi era dentro l’inferno della condizione operaia non diceva niente / e chi era fuori della condizione / poteva dire tutto però non sapeva niente… / partire alle cinque del mattino con la bicicletta / anche con venti gradi sotto zero verso la fine del mondo / con una furibonda allegria timbro la mia presenza… / … c’ero anche io / con tutti i miei versi che venivano decifrati solo / dai complici della nostra congiura poetica… / e ci urtavamo ridevamo / poi ritornò tutto come prima / e rivedemmo nelle nostre facce la solita ferocia…”

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… già, la ferocia di chi ha sempre il look, il dress-code, il make-up, l’outfit giusto… la ferocia di non sbaglia mai una mossa… la ferocia di chi ha gli amici che contano e sa sempre chi rivolgersi… la ferocia di chi sta sempre dalla parte più forte e conveniente… la ferocia di chi cade sempre in piedi anche se ha le gambe mozzate… la ferocia di coloro che stanno invariabilmente col politicamente corretto… la ferocia, appunto, di chi uccide mussolini epperò resta ontologicamente fascista prima, durante e dopo… il soprascritto, che non sono io, deiettava locuzioni alquanto arronzate, forse, ma indefettibilmente perfide ed esatte… che poi, è il Dodi a parlare, non è concettualmente sbagliato condividere, quando si sa che è il gene egoista a strutturare, a guidare tutti i nostri comportamenti? … la con-divisione, il collettivismo, il comunismo vanno intesi, insiste, secondo una isteria ideologica che ha fallito ogni volta, in tutti gli appuntamenti della historia, ormai dovrebbe essere chiaro vista anche l’eclisse mondiale di ogni sinistra… ma proprio in quel bar vedo gli spiriti animali, ferini del capitalismo che ti feriscono e, talora, si feriscono pure, quasi per un inavvertito auto-sadismo, per non sapersi fermare mai in tempo… io ritengo che il per sempre mai chiuderà il cerchio (per aprire un quadrato o un ottagono?)… poi un inferno di angeli ci accoglierà e ci rallegrerà…

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… con il Dodi a tarda sera ci congediamo proseguendo a blaterare di sogni che ora montano e ora tramontano e di segni che svaniscono… potremmo persino incontrare l’Illusionista che completa il suo numero migliore mostrandoci cosa c’è nel mondo che non esiste e ponendoci due quesiti: il sacro del màssacro dove lo mettete? … tu tenes la garra? … il nostro mutismo favorisce le mosse innaturali, quelle che si fanno per arrivare in nessun dove, per lo più esibendo improvvide maschere di cera… dunque l’enclos delle sue varie, metamorfiche case ci resta precluso… un giornale abbandonato da molte decadi su una panchina e tutto ingiallito annunciava che la testa di ponte della cleptocrazia era sbarcata nel cuore nero della padrematria… sai che novità! … per liberarmi la testa appronto una frizzante compilation dei dieci axemen rock da me prediletti: Jimi Hendrix, Jerry Garcia, Frank Zappa, Jimmy Page, Keith Richards, Eric Clapton, Jeff Beck, David Gilmour, Rory Gallagher, Carlos Santana… il chitarrista è un dio indio che non perdona nessuno… in compenso egli dischiude una potente prospettiva liberatoria, qualcosa che scivola verso una prepotente attitudine venatoria, intesa come una caccia all’altro da sé, una caccia versus la caccia alle streghe, una caccia versus quelli che vogliono cacciare gli ultimi e i post-ultimi con le facce emigranti e i corpi mendicanti…

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… leggo “Il calzolaio e l’assassino” un bel giallo dove alla fine si scopre che sono la stessa persona che ha fatto fuori dopo quarant’anni una ex fidanzata cornificatrice che si era completamente dimenticata di lui, mentre lui niente affatto… l’autore del libro peraltro opina che la natura non abbia alcuna simpatia per gli umani, per questo appena può si scatena, fra tsunami e terremoti, e li sopprime, pur sapendo che anche gli umani sono natura e che così facendo sopprime dunque una parte di sé… ma proprio non li sopporta… dopo il tornado misteriosamente i barchini erano ancora alla fonda, mentre le navi erano tutte affondate… Ennio Flaiano avrebbe ironizzato: “coraggio, il meglio è passato”… mentre lo psicopompo burberoso e accanito faceva il ‘body count’ dei cadaveri da portare via e distribuiva copie del volume “Autobiografia di una distruzione”… si sa i becchini hanno stipendi non proprio stupendi, anzi proprio da fame, da lavoratori poveri in croce, avendo a che fare tutti i giorni con la morte che ti invelena la bocca e scocca nuove frecce semantiche e dovendo cavare molti ragni dai buchi dei loculi… io mi riascolto la voce e la chitarra di Johnny Clegg, lo zulù bianco da poco defunto, rimuginando che tra l’inferno dei cattolici e il paradiso dei musulmani opto per il purgatorio dei buddhisti… non li capisco certi miei coevi: vogliono l’oro e pure la poesia, non chiedono troppo? … vogliono pesare il sapere in lingotti? Ma che sono matti? … mi sdraio allora sul futon giapponese e sfoglio un librino sulla storia della pastasciutta… stanotte mi immensifico di luce stroboscopica e mi illudo di nuotare nella acquaticità del genio…

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… giacendo supino percepisco che il tempo è un impostore, cerca di passare facendosi passare per quello che non è… immagino la trama di una pièce in cui una donna diventa amica della madre del suo compagno, più giovane di lei di circa tre lustri, di cui lei si lamenta in continuazione… e la simil-suocera amica le dà ragione, le due vanno a teatro, al cinema, a far compere assieme… la donna le confessa che le invidia il marito, un tipo giovanile che fa ancora lo ‘splendido’ ed in effetti appare assai più fascinoso del figlio… fosse libero me lo sposerei subito, dichiara, facendo capire che il simil-suocero se lo scoperebbe più che volentieri… la donna non sopporta più un compagno, mezzo figlio, anaffettivo, refrattario ai divertimenti, chiuso nel suo studio davanti al suo pc e perennemente incollato allo smart-phone… ma anche l’uomo si lamenta di lei, di una donna che non è riuscita a renderlo padre, una donnacchera sterile che lui ha scopato reiteratamente anche quando non gli tirava granché, giusto per rispettare i periodi in cui avrebbe dovuto essere in teoria più feconda, e invece nada de nada… una donna inetta che faceva la gran dama e poi non sapeva appunto fare un figlio e neppure compilare un modulo 740… sempre ad un passo dal separarsi, però i due rimangono ostinatamente insieme, separati in casa e nella testa, e tuttavia attaccati come cozze all’appartamento-scoglio che nessuno dei due vuole mollare all’altro e senza mai riflettere che un figlio può pure essere preso in adozione… la pièce si riempie delle battute e delle micro-strategie ossia delle loro mosse micragnose assai per portare avanti questo tirare a campare nel segno del né con te e né senza di te… il non essere ufficialmente moglie e marito funge come formidabile deterrente per restare assieme, per detestarsi rimanendo indivisibili… una pièce asfittica, soffocante, emanante odore putrefatto come un auto-assedio senza fine…

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… mi sbobbo e sblobbo tonnellate di pessime e tragiche notizie provenienti da oltreatlantico ed è sempre più netta l’impressione che tutti questi omicidi di massa, queste sanguinose stragi, questi killeraggi collettivi nelle scuole, nei centri commerciali, nelle chiese, nei ristoranti, nei cinema, nelle sale-giochi, ai concerti, nelle piazze, nei parchi etc. facciano parte integrante del paesaggio hard-pop dell’America, al pari delle insegne pubblicitarie luminose giganti, dei tabelloni video, degli yellow cab, della skyline dei grattacieli, dei cappelloni da cow-boy e di tutta la segnaletica visiva metropolitana, ma anche suburbana e rurale che connota la tanto rutilante quanto angosciosa vita statunitense… dove vivere e morire a Los Angeles come a Las Vegas, nel Texas, nell’Idaho, a New York o a Miami, è un fatto normale, quotidiano, da accettare con indifferenza e perfetta impotenza, ripetendo ogni volta le medesime accorate frasi, le deprecazioni, le false promesse di cambiamento, mentre la ‘ggente’ continua a comperare centinaia di milioni di pistole, fucili, mitragliatori e ogni tipo di arma da guerra… armi temibili che prima o poi debbono essere imbracciate ed usate, altrimenti a che scopo tenersi un arsenale in casa? … per rimirarlo e non farci nulla? … è completamente illogico… ci si arma in attesa di diventare assassini o vittime, in fondo non c’è una grande differenza… basta lamentazioni e lagrime di coccodrillo, chi semina pallottole raccoglie raffiche mortali e così sia… amen e sotto con il prossimo mass murder…

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… peraltro anche dall’altra parte dell’oceano proliferano le zone calde ove c’è il guerro che sguerra o sguerriglia secondo uno sgherro che colpisce senza regole né leggi, con il solo obiettivo di eliminare quanti più nemici, veri o presunti, possibile… sento la solitudine assai prossima alla esilitudine, alla attitudine all’esilio… e così dopo l’incendio di Troia perché non immaginare Ecuba a Cuba? … progenitrice dei barbudos castristi? … sulla strada della illusoria liberazione la scimmia cade nella mota dopo avere paurosamente sbandato con la moto… è la scimmia onnicomunicatrice che ha locupletato l’intero spazio social-reticolare, la scimmia scimmiata quale punto d’approdo terminale dell’homo sapiens sapiens, che forse era meglio se non si fosse mai evoluto… ma forse per devolversi c’è sempre tempo… l’Espoir rimeggia con la Gloire, ma ha giusto una sintonia ctonia con le stagioni dell’utopia perduta… ricordo Mario Diofa’ che una sera aveva appena finito di fare sesso con una racchiona e fu convocato in questura, di lì si ritrovò in prigione per una accusa che non aveva neppure capito… Diofa’ – scherzavo – e chi ti credi di essere Josef K. ? … lui naturalmente non afferrava la citazione kafkiana… caro Diofa’ che ancora giocava a dire-fare-baciare e si imbrancava con una improbabile compagnia che includeva: un pittore ambulante provvisto di fidanzata fotografa non vedente, un giocatore di carte che barava, ma poi si confondeva e di regola perdeva, un ciarlatanesco filosofo mexicano, una ballerina andalusa ancorché zoppetta, un commerciante alquanto borderline, una sedicente artista bulimica e sessualmente tanto vorace quanto sempre insoddisfatta, uno scadente pianista di piano-bar dallo sguardo triste, una pronipote di Tina Modotti, un lontano, remoto parente di Sibilla Aleramo, un canzonettaro che tutti canzonavano perché non aveva mai venduto un disco… Diofa’ però stava bene con loro, in una notte di mezza estate a sognare il sogno idilliaco di una comunità di sbandati che rappezzava assieme frammenti psicoemotivi, segmenti solitari e maniacali, schegge d’incubi e malesseri varî, per produrre l’esperimento di un consorzio balzano, ma che teneva, che miracolosamente trasformava degli esseri deformi in un corpo collettivo quasi armonico… Diofa’ che fino a quel momento gli sembrava di avere come vissuto una vita in prestito, commentava: è tanta roba…

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… vagando sulla spiaggia mi attirano i versi di Tutta la vita dei Cor Veleno sputati rap da un chiosco bibitaro: “Ciao io sono un foglio bianco / fermo sopra il tuo banco / e posso portare il mondo / dalla tua stanza fino su un palco / e se tu puoi toccare il fondo / per poi tornare abbastanza in alto / qua c’è tutta la vita intorno…” … già, tutta la vita di chi nella vita ambisce ad essere un leone e poi si riduce ad essere soltanto un beone… sento poi melodie per assoli assurdi o spaventosi e il monellaccio che ex abrupto provoca la fringuella: Perla perché ti sei messa con quel pirla? … altri pischelli si impinzano di droghine sintetiche fino agli occhi per andare a ballare techno per l’intera nottata, come draculetti speedizzati che all’alba stramazzano esattamente secondo gli zombies colpiti al centro del cervello… poi ci sono i panzoni che se ne stanno spaparanzati a divorare beati una intera anguria magari immaginando di stare su un arenile della Liguria… e che dire dei fascisti da spiaggia? … grugni duri, crani rasati, barbe rade, anche brizzolate su mascelle protese, ray-ban specchianti, voci pedestri e rabbiose, saluti romani, bi-tricipiti, pettorali, schienali, braccia e gambe ravvolti negli ipertatuaggi di croci celtiche e Dux e aquile imperiali e svastiche e ‘Gott mit uns’ in caratteri gotici: un vero fascio di errori ed horrori… ecco però un altro tatuatone che gli si avvicina e li provoca dichiarando: chiamatemi Israele! … ed insiste il possente, melvilliano filo-ebreo: pagherete tutto vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, piaga per piaga, morte per morte… intanto sorbendo un’aranciata e addentando un panino, il ragazzotto che si crede spiritoso mi chiede: ma la ragazza Carla non fa mai la cacca nel poema del famoso autore d’avanguardia? … naturalmente posso soltanto dirgli di andare a cagare…

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… come dimenticare Maurizio Paulucci, quel compagnuccio alquanto lavativo che puntualmente non sapeva tradurre l’ablativo assoluto? … a scuola e nel doposcuola si stava senza saperlo dentro la ricerca infinita della “santità del tutto”… Paulucci era sempre all’inseguimento del palinsesto tv migliore e gli piacevano i ‘filme de paura’ con gli alligatori delle paludi con le fauci spalancate che poi si insinuavano nei suoi sonni-sogni in classe… io opinavo che il controdolore così come il controamore erano soggetti alla contropropaganda, qualcosa che era il segnavia per dischiudere la mente all’incomprensibile e al deplorevole… del resto, oggi i ragazzi si limitano a googlare e rinunciano in partenza a comprendere, chissà forse hanno ragione loro… io rammento pure che gli arcipreti ci guardavano disapprovanti, ma noi ce ne infischiavamo… e gli dicevamo che l’emoteca è il luogo diletto dei vampiri, perciò che non facessero gli stronzi nelle case del sangue altrui, santo o laico che fosse… loro scandalizzati se ne fuggivano via… mentre Paulucci ripeteva: le cose che non riesco… le cose che non riesco… le cose che non riesco… e non terminava mai la frase… adesso penso che no, non sarà la bruttezza ad affossare il mondo, ma parimenti non sarà la bellezza a salvarlo… suggestioni limacciose aggallavano a ondate dal mio inconscio per suggerirmi che quando qualcosa riesce è come rendere visibile l’invisibile… poi un giorno Paulucci scomparve e non lo rivedemmo più, senza peraltro condolercene…

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… stavo giusto compulsando un libretto con un titolo vagamente nietzscheano “Genealogia della morale”, quando non mi potetti esimere dall’obbligo di andare al funerale di un anziano professore, per molto tempo mio amico… il luogo era angusto, la folla di parenti, amici e conoscenti debordava… io mi ritrovai intruppato sotto un arco d’ingresso tra gente che spintonava, sputazzava, si salutava ed esalava commenti sfiatati, quasi in acidosi respiratoria (“se n’è ito all’alberi pizzuti… eh sì, porello, mo sta a fa’ terra pe’ ceci”)… alle mie spalle si era incollato un vecchietto con la camicia celeste che tossicchiava e ogni tanto fastidiosamente mi toccava, mi urtava, un paio di mie occhiatacce non lo dissuasero dal proseguire in questa sorta di marcamento a uomo… poi d’un tratto il matusa si eclissò come richiamato da una voce di ragazza che immaginai potesse essere la figlia… rientrato a casa, scoprii di essere stato derubato del portamonete che, comunque, non conteneva più di qualche spicciolo, e il ladro non poteva che essere stato l’antipatico vecchino che mi tampinava… un borseggiatore coi capelli bianchi che evidentemente si infiltrava nelle commemorazioni funebri per svuotare le tasche degli astanti compunti o commossi… una canuta ‘mano di fata’ che probabilmente si faceva un punto d’onore di imbucarsi nelle adunate esequiali per alleggerire le persone distratte come me o che non pensano che anche le estreme onoranze ad uno studioso sono occasioni per delinquere… quale sarà allora la morale del vetero ladruncolo? … probabilmente è l’etica del taccheggiatore vecchiardo che si compiace delle proprie ruberie eseguite con inappuntabile professionalità… e forse c’è una genealogia anche di tale morale malandrina, di tale visione manigolda… come sempre è una questione di punti di vista o di svista…

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…  Andrea R. mi vuole presentare la sua più recente fiamma… lo raggiungo sul bordo di una piscina e rimango sconcertato: mi appare un puttanone 50enne, coi capelli lisci e finto biondo-cenere che ricadono morbidamente sul collo, il corpo abbronzatissimo è strizzato in un bikini nero tenuto assieme da cerchi dorati, le dita inanellate delle mani trascorrono dai fianchi all’imponente seno quasi per dare rilievo alle proprie formosità, sensuali, ma già un po’ (palesemente) cadenti… Cecilia ha un sorriso assassino e occhi verdi da gatta, quando parla tira fuori una linguetta guizzante ed appare assolutamente autocentrata nella convinzione di poter dominare gli uomini, direi l’intero androceo in virtù del suo irresistibile sex-appeal… fa la seduttiva insinuante pure con me, che però non gli dò soddisfazione, la tengo a distanza, la snervo, non mi faccio irretire nella sua tela di ragno per cui tutti i maschi le debbono cadere ai piedi, debbono invocare il piacere della sua carne come il paradiso in terra, l’eden ritrovato, l’estasi raggiunta… Andrea R. la segue obbediente secondo un cagnolino, ma è evidente che lei si è già stufata di lui, troppo arrendevole e sottomesso, e sta puntando una nuova preda così da allungare il suo curriculum di uomini acchiappati e poi lasciati con il cuore spezzato… il giuoco è appena iniziato e mi dico che stavolta ci sarà parecchio da divertirsi… da come infila la cannuccia nell’aperitivo e poi lo sugge con un allusivo risucchio, capisco che pure lei si sta eccitando… è il momento migliore questo: quello in cui non si sa chi soccomberà… l’eros è un duello mortale… e talora fino all’ultimo non è chiaro chi ne uscirà sconfitto… ma qualche volta è pure bello perdere insieme…

… c’era (e c’è) Comunione e Liberazione, ma adesso mi pare che sia tutto comunicazione & non liberazione, bensì asservimento completo al pluriverso dei new media… un tragitto socio-politico che è una tragedia che nessuno vuole veramente vedere… ascolto Muddy Waters e flutto nelle acque fangose della cinica capitale, andandomi a rileggere Federico Fellini: “… Roma è una madre, ed è la madre ideale, perché indifferente. È una madre che ha troppi figli, e quindi non può dedicarsi a te, non ti chiede nulla, non si aspetta niente. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai… In questo c’è una saggezza antichissima; africana quasi; preistorica. Sappiamo che Roma è una città carica di storia, ma la sua suggestione sta proprio in un che di preistorico, di primordiale, che appare in certe sue prospettive sconfinate e desolate, in certi ruderi che sembrano reperti-fossili, ossei, come scheletri di mammut”…

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… il Gianni Dodi lo ritrovo immancabilmente al bar degli zozzoni gossipari… vorrei dirgli che è la secrezione del fare, del poiein che dà tono e senso al suo e mio esserci, per quanto vago e problematico possa apparire… invece che ammaliante il mondo odierno mi appare ammalante, ci fa infatti pressoché tutti malati, infermi, schizzati, insani, soprattutto pazzi… pazzi che non di rado sono (siamo) fuori controllo… lui sta spiegando ad un tizio alquanto brillo l’ingegnosità di un’opera dai cui forami filtrano lance di luce purpurea che, ruotando, si proiettano su uno schermo caleidoscopico generando immagini ad alto tasso inferico… ma sì, tanto oggi sembra che si possa proporre tutto e il suo contrario: e dal concettuale di Duchamp siamo arrivati ai Jeff Koons e Damien Hirst e Maurizio Cattelan… là dove l’arte confina o si confonde con la spudorata cialtroneria, peraltro remuneratissima a suon di milioni e milioni di dollari… e anche questa è una genealogia morale da tenere in considerazione, visto che i quattrini stabiliscono il valore di ogni cosa… così allora: it’s ok not to be ok? …