Le antistoriche, mediatiche amplificazioni delle barbariche incursioni jihadiste nei luoghi di culto o nei siti archeologici fatti saltare in aria, hanno generato una pericolosa escalation del terrore

di Antonio Gasbarrini

A ben riflettere, il terrorismo iconoclasta talebano prima e jihadista poi, prende le sue mosse dalla distruzione fisica e simbolica legata ad uno dei fondamentali numeri pitagorici: il due. Mi riferisco ai due Buddha scultorei afghani di Bamiyan e alle Twin Towers distrutte all’inizio del Terzo Millennio. 

Infatti, la prova visiva generale di ciò che sarebbe avvenuto l’11 settembre 2001, era già stata data al mondo intero dai talebani e da Al Qaeda qualche mese prima (marzo) con la ipericonoclastica distruzione ordinata con la fatwa (editto) del mullah Omar a colpi di mortaio, bombe e cariche di dinamite, dei due ultramillerari Buddha giganti di Bamiyan (nell’Afghanistan centrale, scolpiti in pietra in due distinte grotte ed alti, rispettivamente, oltre 50 e 30 metri), per cancellare storia e stratificazioni sincretiche di matrice religiosa preislamica.

Gli aspetti estetici di questa neo-iconoclastia rilanciata ideologicamente da un paio di truci, sanguinari “comandanti in campo” (Osama Bin Laden e l’autoproclamato califfo del sedicente Stato Islamico) l’ho già affrontato una decina d’anni fa [si veda in Traker-art, Terzo convegno della nuova critica d’arte italiana, Termoli 2006, ora in «Juliet», allegato al n. 133, giugno 2007, pp. 21-24].

Una fondamentale domanda che ponevo, e che tuttora mantiene la sua validità alla luce di quanto sta succedendo in vari siti archeologici mediorientali come quello di Palmira, era la seguente: «L’attentato, date le sue indubbie peculiarità iconoclaste (l’abbattimento del massimo simbolo architettonico, ma anche finanziario, dello strapotere neocapitalistico statunitense), poteva essere previsto? […]. La risposta non solo è affermativa, ma dà ragione alla intuizione di Rimbaud: il poeta è un veggente, come è riscontrabile in questa sorprendente, visionaria, sciamanica poesia di Rafael Alberti pubblicata nel lontano 1989: “Qui non scende il vento, / resta qui tra le torri, / nelle lunghe altezze, / che un giorno cadranno, / abbattute, schiacciate dalla loro / stessa vanità.// Sprofonda, città, dalle spalle terribili, / crolla su se stessa. / Che baraonda di finestre chiuse, / di vetri, di pezzi di plastica, / di vinte, piegate strutture. / Allora entrerà / potrà scendere il vento / fino al livello del fondo. / E d’allora non ci sarà / più sopra né sotto”».

Il preveggente Ground Zero “dipinto” con dettagli quasi iperrealistici dai premonitori versi di Rafael Alberti, già nel 1993 – subito dopo il primo attentato contro il Wordl Trade Center – aveva fatto scrivere ad un altro “veggente-catastrofista” della società contemporanea (Paul Virilio) dominata da una tecno-scienza priva di una qualsivoglia bussola etico-estetica: «Quali che siano gli autori, esso inaugura una nuova era del terrorismo e non ha niente in comune con le deflagrazioni che scuotono regolarmente l’Irlanda e l’Inghilterra. Infatti l’aspetto peculiare di questo attentato è dato dal fatto che mirava proprio ad abbattere l’edificio del World Trade Center. Si tratta dunque di un evento strategico che conferma il cambiamento di regime militare di questa fine secolo». Un anno dopo, sulla rivista newyorkese Contempory Architecs si poteva tra l’altro leggere:«Il World Trade Center, sebbene risplenda ancora, da una certa distanza, purtroppo al momento è interamente macchiato dal ruolo sfortunato che ha assunto di obiettivo per il terrorismo medio-orientale».

Ma, il tallone d’Achille di zoticoni iconoclasti che cercano inutilmente di radere al suolo le mille e mille affascinanti facce della stratificata, memoriale e rammemorante Mnemosine, è che proprio le risorse umane ed ideative messe in campo da quella a-morale tecnoscenza, rendono vano ogni loro azzerante delirio distruttivo.

Non è perciò un caso se quelle due anonime, ma vanitose Twin Towers abbattute recidendo migliaia di “sacre e sacrali” vite umane, stiano risorgendo, come araba fenice, dalle proprie ceneri con connotati completamente metamorfizzati e, simbolicamente, più pregnanti di come le aveva anemicamente “effigiate” a metà degli anni Settanta un Baudrillard nel suo L’échange symbolique et la mort: «Perché ci sono due torri al World Trade Center di New York? Tutti i grandi buildings di Manhattan si sono sempre accontentati di affrontarsi in una verticalità concorrenziale, da cui risultava un panorama architettonico a immagine del sistema capitalistico: una giungla piramidale, tutti i buildings all’assalto gli uni degli altri. Il sistema stesso si profilava nella celebre immagine che si aveva di New York arrivando dal mare. In alcuni anni questa immagine è completamente cambiata. L’effigie del sistema capitalistico è passata dalla piramide alla scheda perferorata» – [J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, ed. italiana, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 82-83].

Questa sconcertante anonimia architettonica rilevata a suo tempo dal pensatore francese, è stata smentita (smentendo a sua volta il fine ultimo del loro non reversibile sprofondamento negli inferi iconoclasti) dalla realizzazione in corso di un più coinvolgente sistema urbanistico-architettonico sulla stessa, massacrata area. Ove già svetta, la Freedom Tower progettata all’interno del masterplan stilato dall’architetto Daniel Libeskind (con la vertiginosa altezza dei suoi 1776 piedi, corrispondenti sì ai nostri 541 metri, ma coincidente simbolicamente con l’anno dell’Indipendenza dell’America). Le altre tre torri previste che saranno erette entro il 2021, e, soprattutto il Memoriale e il Museo, altro non sono che una sonora sberla data da Mnemosine a tutti quei criminali che ieri, oggi o domani tentano inutilmente di cancellarla dalla “memoria dei viventi” (ad iniziare dai negazionisti dell’Olocausto). Sono i nomi e le foto di tutte le vittime innocenti che ripercorrono nella loro congelata fissità i circa 180 tragici minuti di quelle esplosioni-implosioni (“Reflecting Absence” è l’indovinata denominazione del Memoriale costituito da due grandi vasche piene d’acqua recanti sui bordi le incisioni su bronzo dei nomi degli “assenti”) a restituire a Mnemosine tutto l’onore dovutole.

Un analogo discorso, nei termini dell’indistruttibilità delle straordinarie fattezze della Madre di tutte le Muse, può farsi in questa galoppante Era Digitale, per i due Buddha di Bayman. Avevo scritto in proposito nel testo segnalato sopra: «Stando alle ricerche in corso, dalle macerie sarebbe recuperabile non più del dieci per cento della pietra originaria, ridotta quasi tutta in polvere. Forse, anche per questa irrimediabile situazione che impedisce qualsiasi tipo di restauro, sta prendendo sempre più corpo l’ipotesi di un’installazione permanente sul posto ideata dall’artista giapponese Hiro Yamagata che prevede la proiezione notturna di 240 immagini laser in grado di tridimensionalizzare, virtualmente, i due Buddha».

Ebbene. Questa avveniristica soluzione è stata nella sua sostanza attuata lo scorso anno dai coniugi cinesi Zhang Xinyu e Liang Hong con la proiezione ologrammatica delle due statue d’identica volumetria nelle “svuotate” nicchie delle pareti originarie. Si dirà: i due Buddha in pietra, con la loro imponenza fisica, con le stratificate variazioni somatiche dovute agli agenti atmosferici depositatisi sulle loro sacrali, venerate posture, erano ben altra cosa rispetto alla loro duplicazione digitale. Si può rispondere: meglio questa loro impalpabile versione ologrammatica, che un posticcio restauro fisico utilizzando i frammenti residui non ridotti in polvere. Staremo a vedere. Quel che più conta, nell’economia della tesi qui sostenuta, è la vanificazione, grazie alla tecno- scienza disponibile, di ogni tentativo di abrasione dell’icona par excellence che sottende l’imperitura effigie di Mnemosine.

Purtroppo, il sangue versato negli ultimi due anni nei vari attentati terroristici effettuati quasi su scala planetaria, è sgorgato dai corpi lacerati delle 55.000 vittime innocenti sacrificate in onore di un “satanizzato dio”.

Le antistoriche, mediatiche amplificazioni delle barbariche incursioni jihadiste nei luoghi di culto o nei siti archeologici fatti saltare in aria – con gli ultramillenari reperti distrutti anche a colpi di mazze di ferro – hanno generato una pericolosa escalation. Culminata con la decapitazione (simbolica per i fondamentalisti, ma più che dolorosa per noi tutti) del direttore del sito di Palmira, l’eroico archeologo Khaled al-Asaad. Anticipata dallo sbriciolamento di un mosaico bizantino nella città siriana di Raqqua e della tomba del profeta Giona a Ninive; dalla distruzione di statue e rilievi mesopotamici nel Museo di Mosul (molti dei quali riciclati, dagli stessi Attila, nel mercato antiquario); dalla “macerizzazione”, con un bulldozer, dei resti dell’antica città di Nimrod; dall’“amputazione” a Palmira, di archi di trionfo ed altre preziose vestigia.

Senza la diffusione delle loro barbariche esibizioni mediatiche, i terroristi non avrebbero voce in capitolo in tema di “distribuzione rateale” delle loro avvelenate pillole.

Questo non secondario aspetto lo aveva subito colto l’artista italiano Francesco Guadagnuolo il quale, nel ciclo dei dipinti transrealisti New York – New York, 11.09.2001: Afterwards (presentato in prima assoluta a L’Aquila nello spazio culturale Angelus Novus da me tuttora diretto), aveva incorporato on real time nella sue opere le più significative videate trasmesse dalla CNN o da altre testate televisive, trasfigurate da una indubbia quanto certificata maestria visionaria. Ho scritto, tra l’altro, in proposito: «E quelle impeccabili finestre virtuali aperte sullo status symbol della mitogenia americana sono adesso realisticamente serrate a lutto, chiuse nel ristretto perimetro di un’opera ammutolita di fronte alla inenarrabilità dell’agghiacciante evento. Ma l’immagine può più della parola se la parola si trasmuta in immagine, e se la stessa scrittura di uno spartito musicale si fa “suono visivo” come si può percepire nel quadro “Ave verum op. 42” del Maestro Sergio Calligaris. Sono queste note a diffondersi negli spazi espositivi della itinerante mostra personale “ Omaggio a New York” concertata da poeti, musicisti e pittori idealmente presenti nel pacificante nome universale dell’arte e della cultura» – [Metamorfosi dell’iconografia nell’arte di Francesco Guadagnuolo, a cura di Antonio Gasbarrini e Renato Mammuccari, Angelus Novus Edizioni, L’Aquila – Edizioni Tra 8 & 9, Velletri (Roma), 2011, p. 376].

Opere di Francesco Guadagnuolo

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Tornando ai nostri tremendi giorni, a mano a mano che gli jihadisti arretrano da questo o quel territorio riconquistato dai vari Stati sovrani, si ripropone (com’è avvenuto recentemente per Palmira), la domanda di fondo: quale tipologia restaurativa è la più efficace, e, meno traditrice rispetto agli originali distrutti in tutto o in parte? Anche in questo caso, nuove prospettive del “ripristino”, anche parziale, della benjaminiana aura compromessa, si stanno aprendo con l’avvento di nuove tecnologie informatiche. In grado, con le stampanti 3D e con l’ausilio delle documentazione bibliografica, fotografica e video disponibili (compresi i filmati propagandistici degli jihadisti veicolati su TV e siti internet per meglio esaltare le loro deliranti imprese), di riplasmare alla perfezione le entropizzate macerie.

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Entro il 2030-2040 saranno mandati sulla luna e su marte dei robot-artigiani che preleveranno direttamente in loco il materiale per costruire, con le stampanti 3D, villaggi adatti ad ospitare successivamente i futuri coloni dello spazio.

Perciò, non facciamoci prendere dal panico. I barbuti animaloidi tra/vestiti con lo stesso monocromo colore della morte saranno irrimediabilmente sconfitti più che dalle armi, da una performante e performativa materia grigia ben rigogliosa nei cervelli pensanti. Sarà essa a castrare, alla resa finale dei conti, tutti i loro impotenti tentativi di stupro. Perché Mnemosine sa, e molto bene, come difendersi…