Qual è, dal punto di vista tecnico-formale, la caratteristica primaria della Piedigrotta di Cangiullo? Probabilmente l’ipercodifica, dal punto di vista dell’espressione, sul versante acustico e sonoro
di Matteo D’Ambrosio
I primi segnali dell’interesse rivolto da F. T. Marinetti alla cultura napoletana risalgono agli anni 1905-1909, vale a dire al periodo corrispondente all’incubazione dell’estetica futurista e alla pubblicazione della rivista milanese “Poesia”, i cui rapporti con gli ambienti culturali napoletani avanzati risultano particolarmente intensi[1].
Dalla cultura popolare napoletana il Futurismo mutuerà tra l’altro varie forme di comunicazione creativa, orientate nella direzione di una logica della spettacolarizzazione, delle mitografie della festa e della spontaneità creativa pre-culturale e (presuntivamente) anti-culturale.
Un primo documento è una breve dichiarazione rilasciata da Marinetti in occasione della Piedigrotta del 1908, apparsa in un fascicolo stampato ad hoc dalla casa editrice Morano:
La festa di Piedigrotta (che io ebbi molte volte occasione di ammirare) è sempre una delle manifestazioni più pittoresche e più caratteristiche della affascinante vita napoletana.
Fanatico di grandi feste popolari, volli vederne in Oriente, in Spagna, in Francia, e, da noi, a Roma e a Venezia: ma certo non vidi mai, altrove che a Piedigrotta, un più meraviglioso incendio di gaiezza, di spirito, e d’ingegno diffuso.
Quanto alla canzone napoletana, ne conosco a memoria quasi tutti i melodiosi capolavori, e appunto per questo deploro di dover constatare una sensibile decadenza in una genialissima produzione artistica, la quale onorava altamente l’Italia.
Non dispero, però, in un prossimo rifiorire di un tale genere d’arte, poiché confido nell’inesauribile ispirazione del genio Napoletano[2].
Dunque Marinetti, che ama le feste popolari, visita Napoli e riconosce nella festa di Piedigrotta alcune tensioni creative che andranno a costituire dei punti fermi dell’estetica futurista, una marca del vitalismo e del mito della creatività spontanea.
Dal 1913 l’estetica futurista si sta ulteriormente diversificando, e appaiono i primi scritti sul teatro. Nel Manifesto dedicato al Teatro di Varietà, del 1913, troviamo un primo attacco a quello che Marinetti chiamò il “teatro morto”, espressione che accomuna quello classico con la produzione contemporanea più convenzionale.
Il bersaglio polemico viene messo a confronto con un segno alternativo e rigeneratore, in grado di demistificare i valori presunti della tradizione. Al punto 4 del Manifesto Il Teatro di Varietà si poteva leggere:
[Bisognerebbe assolutamente] prostituire tutta l’arte classica sulla scena, rappresentando p. es. in una sola serata tutte le tragedie greche, francesi, italiane, condensate e comicamente mescolate. – Vivificare le opere di Beethoven, di Wagner, di Bach, di Bellini, di Chopin, introducendovi delle canzonette napoletane[3].
Nel 1913 Francesco Cangiullo, nei mesi di settembre e ottobre, tra Napoli e Catania, scrive il poema parolibero Piedigrotta, pubblicato soltanto nel 1916[4]. L’edizione sarà aperta dal Manifesto marinettiano dal titolo La declamazione dinamica e sinottica, datato 11 marzo 1916 (e, ovviamente, non esente dagli 11 punti)[5]. Si tratta di un documento particolarmente importante per la storia delle estetiche e dell’arte di ricerca del Novecento; tra l’altro, prefigura un sistema di campi espressivi caratteristicamente sperimentali, che hanno avuto sviluppo soprattutto nel nostro secondo dopoguerra: l’Happening, la Body Art, le arti del comportamento, la performance, insomma le varie forme di spettacolarizzazione delle diverse arti. Ma l’ambito espressivo di partenza è, nel caso in questione, la poesia, intesa non in senso tradizionale ma come azione, come rituale, come ritorno all’oralità e alla declamazione; la poesia viene insomma percepita, grazie alle riflessioni in corso, come una forma di spettacolo.
Il Manifesto auspica in particolare che il processo di spettacolarizzazione investa il testo poetico in prospettiva intermediale; in tal modo viene dato avvio alle ricerche di quella tendenza definita Poesia fonetica e, nel secondo dopoguerra, con l’introduzione delle nuove tecnologie, Poesia sonora.
Con questo Manifesto, Marinetti provvede a integrare i risultati delle ricerche condotte sia sul versante letterario che su quello spettacolare, convertendo in una serie di indicazioni prescrittive i procedimenti messi in opera dagli aderenti al movimento nel corso delle serate futuriste per quanto riguarda l’abbigliamento, l’uso della voce, la gestualità, il movimento nello spazio, la scenografia, le caratteristiche e l’organizzazione dell’ambiente.
Slides
Al punto n. 7 della sua «conferenza-declamazione» Marinetti suggerisce – o, meglio, prescrive – l’uso di strumenti elementari, utili a produrre «con precisione le diverse onomatopee semplici astratte e i diversi accordi onomatopeici»[6]. Questi strumenti allontanano definitivamente l’onomatopea dalla sua utilizzazione in chiave decadente e simbolista. Ma la ricerca si allontana sia dall’aspetto acustico del testo poetico sia dalle sonorità della musica tradizionale (vicina al “teatro morto”), per ricorrere al rumorismo, soprattutto sulla base delle ricerche svolte da Luigi Russolo[7].
Tra i modelli culturali confluiti nella serata futurista c’è certamente il rapporto fisicamente diretto tra l’autore e il pubblico, non insolito nelle forme del teatro popolare. L’artista interpreta sulla scena, oltre ad una molteplicità di ruoli, la propria identità, creativamente definita. L’artista comincia così a diventare figura sempre più complessa: auspicabilmente deve essere in grado di fare un uso creativo del corpo, della gestualità, della dizione e perfino, quando necessario, degli strumenti musicali.
Marinetti informa che il progetto della nuova declamazione era già stato presentato in pubblico. I diversi testi proposti vengono ora indicati come testi paradigmatici, come modelli per le ricerche a venire. Nella seconda serata segnalata, Marinetti aveva declamato a Londra il suo Zang Tumb Tumb[8], considerabile come uno degli esiti più avanzati in quel periodo per la sperimentazione poetica d’avanguardia.
Ma la prima presentazione pubblica di questa nuovo modello spettacolare, ispirata ai canoni che ora Marinetti intende rendere espliciti, era avvenuta due anni prima, il 29 marzo 1914, a Roma[9].
In quella data, nel salone della Galleria futurista di Giuseppe Sprovieri, in Via del Tritone a Roma, era stato messo in scena proprio il poema parolibero Piedigrotta di Cangiullo. Marinetti ci consente una parziale ricostruzione della scena: il fondale, ispirato alla festa popolare, è di Giacomo Balla; la troupe[10] si è munita di «cappelli fantastici di carta velina»[11]; il testo è letto, a tratti, a più voci, e l’autore ricorre anche all’improvvisazione di un pianoforte. Marinetti interviene per spiegar «al pubblico il valore artistico e simbolico dei diversi strumenti onomatopeici»[12], che sono poi quelli tradizionalmente usati in occasione della festa popolare piedigrottesca, vale a dire la tofa, il putipù, lo scetavaiasse e il triccaballacche. Sul versante rumoristico e post-musicale, la declamazione trova evidenza ed efficacia nella fusione con gli strumenti onomatopeici; l’effetto complessivo è un «meraviglioso frastuono»[13].
La declamazione delle parole in libertà della Piedigrotta viene dunque proposta da Marinetti come esplicitazione di un testo paradigmatico, coerente sia con la poetica paroliberista che con i canoni della declamazione dinamica e sinottica, scaturito dal «genio esilarantissimo e originalissimo» di Cangiullo, il «primo umorista d’Italia».
Questa caratterizzazione dell’autore implica una definizione di genere alquanto limitativa rispetto alle caratteristiche del poema parolibero. Attraverso la mediazione del testo cangiulliano Marinetti esplicita la messa in opera, sub specie futurista e avanguardistica, di «un’arte gioiosa, ottimista e divinamente spensierata».
L’analisi testuale produce due risultati:
1- il poema è in effetti un complesso macrotesto, che presenta al suo interno perfino qualche ricetta gastronomica e alcuni passaggi di canzoni dialettali tipicamente piedigrottesche;
2- altro elemento dirompente, l’interpretazione della messa in crisi del modello lineare, che prepara l’individuazione del passaggio successivo della sua poetica, costituito dalla tavola parolibera e dal suo accentuato materismo: il poema di Cangiullo è fatto di tante pagine indipendenti.
Cangiullo dimostra dunque di conoscere strategie e procedimenti del programma paroliberista, ma uno degli aspetti singolari dell’opera è l’inserimento, nella logica dell’avanguardia, di un tema in quel momento certamente anomalo.
Il tema della festa propone un attante, un protagonista collettivo, la cui voce corale ha l’indistinzione del rumore, diventa un pandemonio non comunicativo ma imprevedibilmente espressivo. Gli aspetti materiali dell’evento vengono registrati nello spazio fisico della pagina.
Qual è, dal punto di vista tecnico-formale, la caratteristica primaria della Piedigrotta di Cangiullo? Probabilmente l’ipercodifica, dal punto di vista dell’espressione, sul versante acustico e sonoro.
Il mimetismo dinamico del codice grafico, l’accentuazione dell’aspetto iconico servono soprattutto a registrare fenomeni acustici differenziati; il registro più volte indicato è infatti quello acustico, anzi onomatopeico, inteso in senso rumoristico e post-verbale. La presunta estraneità contenutistico-argomentativa, rispetto alla tradizione dell’avanguardia, viene ridimensionata se la festa viene considerata come dispositivo anti-culturale, in senso antropologico e comportamentale, e quindi anche linguistico.
In relazione a questo aspetto va riconosciuto un primo elemento che consente di integrare questo tema, anche secondo il punto di vista di Marinetti, nella logica dell’estetica futurista: la festa è un universo polimorfo, percepito come una macchina complessa, una macchina di corpi, voci, luci, suoni, colori, di cui il poema mima, attraverso un percorso di tavole-pagine che va verso l’iconismo e la partitura, un evento che sembra ritualizzare uno sfondamento dimensionale; e Cangiullo conclude con un «tutto da capo».
Nell’estetica futurista della prima stagione gli sviluppi della mitografia dell’originalità si intrecciano con la polemica anti-culturale. Cosa intende Marinetti per “originale”? Tutto quanto può essere prodotto di un dispositivo anti-culturale in relazione ai codici (e alle dinamiche che li aggregano in sistemi), risultando primevo, spontaneo, diretto, affidato a modelli comunicativi non contaminati né usurati dal consumo comunitario.
Qual è il tipo di teatro che amano i futuristi, alla ricerca di generi propri, caratteristici e distintivi? L’avanguardia non poteva che rifiutare in blocco il teatro borghese, ma tra le forme popolari di comunicazione teatrale recupera quelle forti di una tradizione della differenza che affonda le proprie radici in un humus etnico, nel teatro leggero e di intrattenimento, e dunque nell’espressività spontanea, etnica, anti-culturale nel senso dell’incontaminazione. I futuristi aggregheranno i generi d’intrattenimento, giungendo a definire un proprio teatro, che incamera il varietà, per privilegiare il café chantant (che, con qualche comprensibile ritardo, aveva del resto stabilito la sua capitale italiana proprio a Napoli).
Il segno, primario ma disomogeneo per identità, messo a reagire con l’intrattenimento, illumina un inedito campo espressivo, il cui metaforico e concreto dilagare nello spazio urbano, nel polimorfismo della macchina della festa, costituisce l’esito estremo e maggiormente antagonistico rispetto alla tradizione. Il post-comunicativo, la creatività liberata vengono recuperati come strategie di demistificazione e attacco contro il passatismo, la tradizione, i modelli culturali comunicativi e di consumo di massa.
Quando, nel 1921, il Futurismo riformulerà la propria idea di teatro, Marinetti pensò ad una vera e propria tournée di una compagnia appositamente costituita. È la stagione del Teatro della sorpresa, e il capocomico, non a caso, è il napoletano Rodolfo De Angelis.
All’inizio degli anni Trenta si registra una sorta di significativo ripiegamento. Nel 1932 Cangiullo, da poco tornato nelle file del movimento, ripubblica su un quotidiano il testo della Piedigrotta, completamente trasformato, ridotto ad un percorso lineare continuo, emendato nel lessico e defunzionalizzato rispetto all’ipercodificazione iconica e rumoristica della prima versione: sulla pagina del “Mattino” non c’è più traccia della ricerca sperimentale dell’iconismo della tavola, né dei procedimenti che portano all’ipercodifica della sonorità. Più modestamente, sono state rimosse anche le “maleparole”.
Il testo conserva comunque l’intensità musicale e onomatopeica, il cromatismo caleidoscopico, l’epica popolaresca del tripudio e dell’esagitazione della folla (il «follone elastico» e «spaventoso»), il recupero del segno folclorico con tutti i suoi elementi rituali e figurali, a riscrivere la città come macchina di suoni e di luci, di canti.
Il ripiegamento è in corso anche sull’altro versante. Il 1937 è l’anno del Manifesto Contro il teatro morto … Ora Marinetti attacca anche i generi di teatro di intrattenimento, leggero e popolare:
Combattiamo … l’umorismo funebre a pillole nere … e l’asma funebre di ciò che si può chiamare il negrismo musicale ostinata melopea gemente rotta sincopatamente da canzoni e danze a stantuffo da cui sperammo 25 anni fa …;
Pesa invece plumbea la monotonia nelle sale del caffè concerto nei balli eleganti danzanti dove tutti pensano al suicidio.
Insomma, se il “teatro morto” continua a raccogliere consensi, se hanno deluso il jazz e la musica “negra”, se la monotonia ha conquistato pure le sale dei caffè-concerto, una volta luogo di energie, di creatività, di comunicazione per antonomasia, allora:
Basta basta basta.
Piuttosto piuttosto evviva e avanti la tarantella con i virili strumenti musicali del Golfo di Napoli.
Avanti la tofa […] Avanti il putipù […] Avanti lo scetavaiasse […] Avanti il triccaballacche [.,.].
Tutto ciò con prorompente gioia a scorno del tetro negrismo musicale e dei deprimenti tanghi gemebondi.
Mentre si constata dunque la crisi delle forme di spettacolo su cui nella prima stagione si era voluto puntare nella prospettiva del rinnovamento, appare ancora intatto e pronto all’uso polemico il segno spettacolare della tradizione popolare napoletana, che non ha tradito confondendosi tra le forme del consumo di massa.
Lo svolgimento della festa, in quella sua piena definizione che il Futurismo volle confermare e interpretare, piegandola al suo progetto di una nuova creatività, negli anni del regime fascista divenne un funebre rituale che soltanto compiaceva i responsabili della colpevole arretratezza degli ambienti culturali cittadini, a cominciare da Libero Bovio, l’ineffabile segretario del Sindacato Artisti, tristemente appesantito dalla dipendenza per l’antifuturistica pastasciutta.
In conclusione, il rapporto particolarmente e caratteristicamente intrigante tra la festa di Piedigrotta e l’estetica futurista, tra il segno creativo estremamente specificato (ma anche plurale e complesso per la sua tradizione) e il progetto dell’estetica modernista possiede delle ragioni interne per confrontarsi e convivere con modelli testuali e creativi inseriti in quel processo di trasformazione che è storia del teatro e delle arti del Novecento.
[1] Una prima ricostruzione è in M. D’Ambrosio, Nuove verità crudeli. Origini e primi sviluppi del Futurismo a Napoli, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1990, pp. 1-41.
[2] Piedigrotta Morano, numero unico, Napoli, Società Libraria Italiana, 1908, p. 25.
[3] F. T. Marinetti, Il teatro di varietà, “Daily-Mail”, 21 novembre 1913. Ora in Manifesti programmatici, teorici, tecnici, polemici, a cura di M. D’Ambrosio, Roma, De Luca editore, 2019, cit., p. 128.
[4] F. Cangiullo, Piedigrotta, Milano Edizioni futuriste di “Poesia”, 1916 (datato «Sett. Napoli-Ott. Catania 1913»).
[5] F. T. Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica. Manifesto futurista, Milano, 11 Marzo 1916; ora in Manifesti programmatici …, cit., pp. 190-191.
[6] Ivi, p. b.
[7] Cfr. in particolare L. Russolo, L’arte dei rumori nuova sensazione acustica, “Vela latina”, IV, n. 5, Napoli, 12 gennaio 1916, p. 1; ora in Manifesti programmatici …, cit., p. 189.
[8] F. T. Marinetti, Zang Tumb Tumb, Milano, edizioni futuriste di Poesia, 1916.
[9] Cfr, il volantino riprodotto F. T. Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica. Manifesto futurista, cit., p. c; ora in Manifesti programmatici …, cit., p. 191.
[10] Gli artisti futuristi presenti sono Settimelli, Corra, Chiti, Cangiullo e Boccioni.
[11] La pluralità di artisti presenti in scena può essere considerata una prima realizzazione della poesia simultanea, in seguito sviluppata dal movimento dadaista. Il volantino riprodotto nel Manifesto segnala tra i «celeberrimi artisti nani» presenti nella prima declamazione anche Sprovieri, Radiante (che è Revillo Cappari) e Sironi. F. T. Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica. Manifesto futurista, cit., p. d.
[12] F. T. Marinetti, La declamazione dinamica e sinottica. Manifesto futurista, cit., p. d.
[13] Ibidem.
Scrivi un commento