La Poesia sonora fa parte di un sistema di pratiche artistiche che hanno proposto una nuova politica del corpo, creativa e critica insieme

di Matteo D’Ambrosio

«I  suoni della poesia non hanno la sola
funzione di  accudire  ai significati»
Sklovskij[1]

La Poesia sonora, una declinazione della ricerca artistica d’avanguardia del Novecento, ha fatto registrare una notevole espansione  negli ultimi decenni e appare passibile di ulteriori sviluppi[2]. Le profonde differenze esistenti tra una prima tendenza, che fa un uso  consapevole delle possibilità espressive offerte dalle nuove tecnologie,

ed una seconda, che preferisce affidarsi esclusivamente alla voce umana senza sottoporla ad alcuna modificazione artificiale, ci permettono  di utilizzare la distinzione proposta da Ihab Hassan,in un saggio sulla letteratura postmoderna, tra artisti “tecnofili” e artisti “arcadici”[3].

Nella sua  ricerca di una nuova definizione della natura della poesia e della letterarietà, la Poesia sonora oscilla tra i–  la metaforizzazione  utopica  di  un’espressività  che sia prodotto della creatività di un soggetto la cui cultura ignora la scrittura e ii–  l’accoglimento  della  sfida portata alla stessa dai modelli di produzione e comunicazione linguistica predisposti dai media elettronici.

Utilizzando  il  modello teorico di Michel Benamou,  che  ha descritto  le relazioni tra i  principali discorsi contemporanei sulla tecnologia (abitualmente definiti technocriticism)[4],  le  due tendenze (la prima legata al neo-primitivismo, la seconda  all’ordine linguistico dei  new media)  possono essere messe in relazione dalla categoria dell’indeterminatezza – nozione  fondamentale  dell’estetica postmoderna –  che  riunisce tutte  le  caratteristiche principali del corpus  testuale  della Poesia sonora: discontinuità, eterodossia, pluralità, casualità, rivolta, deformazione …

Mentre i poeti “tecnofobi”  o  “arcadici”

tend to justify their work in deliberately primitivistic terms, speaking of it as a return  to earlier, more basic poetic forms, such as the chant[5],

quelli “tecnofili” aspirano a trascendere  i  limiti  del corpo  umano:

The  tape machine, considered as an extension of human vocality allowed the poet to move beyond his own expressivity. The body is no  longer the ultimate parameter, and voice becomes a point of departure rather than the point of arrival[6].

Tra neo-primitivismo e immaginazione tecnologica, la Poesia sonora  prospetta dunque un universo di comunicazione estetica e di pensiero non sia soltanto una variabile del sapere “letterato”.

Nel primo caso, i testi degli artisti strategicamente tecnofobi sono caratteristicamente “aggregativi”,  “partecipabili”, “rituali” e “situazionali”, “ridondanti” e “conservativi”(e  quindi  più vicini  al  mondo dell’esperienza e  dell’esistenza  quotidiana), piuttosto che “analitici”, “distanzianti” e “astratti”[7]. Secondo alcuni teorici il  neo-primitivismo  sarebbe espressione di quell’irrazionalismo nel privato e nella comunicazione non strettamente  informativa che l’uomo contemporaneo contrappone alla super-razionalità  cui  è costretto ad affidarsi nel lavoro. Il sociologo Gustav Kahn definì questo “nuovo tipo di uomo” come efficient sensualist[8].

Nel  secondo caso predominano dispositivi plurilinguistici  e multimediali, in  cui i linguaggi di arti e generi non più separabili e ormai difficilmente distinguibili concorrono  alla determinazione della significazione.

I contrasti e le relazioni tra i sistemi di comunicazione elettronica della società postindustriale e la precedente civiltà della stampa hanno permesso di comprendere, retrospettivamente, i contrasti e le relazioni esistenti tra il sapere delle culture fondate sulla tecnologia della scrittura e quello delle culture orali a loro precedenti.

Considerando la tradizione che dalla poesia epica porta fino alla Poesia sonora, si  riesce  ad individuare  i  rapporti  dialettici che intercorrono  tra l’evoluzione dei generi letterari  e  le  diverse  fasi della tecnologizzazione  della  parola, dalle  culture  orali  primarie fino all’oralità “secondaria” dell’epoca postindustriale, passando attraverso le culture chirografiche  e quelle tipografiche.

Nella  sua variabile neo-primitivistica, la Poesia sonora fa parte di un sistema di pratiche artistiche che hanno proposto una nuova politica del corpo, creativa e critica insieme; nel caso in questione, si (ri)scoprono e si investigano le correlazioni della gestualità con la  voce, con gli schemi ritmici  orali e  la  respirazione;  il  suono è il principio unificatore, in ragione del suo rapporto  privilegiato con l’interiorità. Questo progetto creativo rimanda alle  culture che Jousse  definì  “verbomotorie”[9],  il cui sapere  era orientato alla  parola  più che agli oggetti – al contrario di quanto avviene invece in epoca postindustriale – e spesso  esprime un’acuta nostalgia per il loro antropocentrismo.

Da una parte, entrambe le strategie creative derivano dall’aspirazione (prodotta dall’introduzione della scrittura  e accresciuta, nei secoli, dal suo perfezionamento  e  dalle  sue trasformazioni)  ad  un’espressività  soggettiva  e  idiolettica, auspicabilmente  (ma nei fatti impossibile) esente dagli  effetti delle tecnologie della scrittura e dalla ristrutturazione della coscienza umana da essa  operata; dall’altra, deriverebbero dal desiderio (e dalla necessità,  per l’artista) di reagire al sostanziale isolamento in cui la stampa ha relegato sia la pratica di scrittura manuale che la sua ricezione. In questo senso le poetiche della Poesia sonora rimandano a quella tradizione “biblioclastica” di cui ebbe ad occuparsi Jean-François Lyotard in Rudiment spaïens[10].

Se si riconoscono, nell’oralità “secondaria”:

i–  una  percezione quasi  mistica  della  partecipazione e  della  spontaneità; ii– l’aspirazione ad  un senso comune e insieme non- e trans-linguistico (come nell’uso della vocalizzazione pre-verbale e sopra-segmentale); iii– la tendenza alla concentrazione dell’energia comunicativa del testo in tempo reale, nell’evento della sua  spettacolarizzazione; iv– l’uso (e l’abuso) di set expressions, di schemi come la  ripetizione,  la  ridondanza, l’autoriflessività; v–  la diffusa  tendenza alla polifonia; vi– le pratiche ricorrenti di manipolazioni successive; vii– la predisposizione di effetti di casualità,
appare molto stretta la relazione di congruenza tra  l’immaginazione tecnologica e la ricerca, che fu già dei poeti  simbolisti, di una poesia “pura”.

Come  già l’oralità primaria, la nuova oralità ha generato  un forte  senso  del gruppo: è l’ascolto che fornisce  agli  astanti l’identità  comunitaria,  mentre  la  lettura  privata  di  testi scritti o stampati non fa che ripiegare il soggetto su se stesso.

Questa nuova oralità, benché maggiormente auto-consapevole, rimane     permanentemente  (e  inevitabilmente)   basata sull’uso,  almeno indiretto e di riferimento, della scrittura e della  stampa,  che  nella  nuova  fase  della tecnologizzazione della parola restano essenziali alla produzione dell’oggetto testuale e all’uso dei mezzi adatti alla  sua trasmissione.

Da un’altra prospettiva le due tendenze appaiono  però quasi  irriducibili  l’una all’altra:  la poetica della  prima rientra infatti in una tradizione di  pensiero  che  trova  in Occidente  un  punto  di riferimento  nelle  obiezioni  mosse  da Platone (soprattutto nel Fedro e nella Settima Lettera) contro la scrittura, considerata come una tecnologia artificiale, aliena ed esterna all’esperienza umana, come un’operazione solipsistica che indebolisce la mente e ha effetti negativi sulla memoria, come un modo meccanico e disumano di registrare il sapere, con  forte  valore dieretico.  Ancora  oggi queste  preoccupazioni   vengono  spesso riformulate e rivolte, in prospettiva tardo-umanistica, contro l’ormai avvenuta penetrazione del Personal Computer e delle nuove tecnologie nelle pratiche estetiche (oltre che nel quotidiano individuale e comunitario).

Del resto, a  voler descrivere in termini  molto  generali  il rapporto tra oralità e scrittura, bisogna innanzitutto considerare che, mentre  l’espressione  orale esiste  ed  è soprattutto  esistita prescindendo da qualsiasi ricorso alla scrittura, quest’ultima  è impensabile senza l’oralità,  che  ne costituisce l’implicita premessa.

Ancora oggi l’oralità di base del  linguaggio  umano  resta preminente, se si pensa che, delle circa tremila lingue  parlate nella  nostra epoca, solo settantotto pare possiedano una vera  e propria letteratura.

2. Come già rilevato  per  l’aspetto  iconico-plastico  della scrittura[11], anche per quanto riguarda il suo aspetto sonoro si può individuare, nella cultura occidentale, una mancata considerazione dello specifico encodage; ne assicurano il ripristino consapevole le  pratiche testuali di  particolari settori della ricerca d’avanguardia, assumibili come  esempi, caratterizzati da una programmatica indistinzione linguistica, di riunificazione estetica di sistemi linguistici, codici e generi.

Una nota distinzione di Emile Benveniste  oppone un regime di significazione di tipo semiotico (la lingua è l’ordine dei segni articolati,  ognuno  dei  quali  ha  un  senso)  a  uno  di  tipo semantico[12]. La musica, ad esempio, è l’ordine di un discorso di cui  nessuna unità è in sé significante, sebbene l’insieme (il testo)  sia  dotato  di significanza[13]: i  suoni  non  sono  segni, nessuno di loro possiede senso in sé.

Si può forse in questo modo descrivere  il  passaggio dal sistema linguistico verbale ai testi in cui l’aspetto sonoro diviene  una modalità linguistica prioritaria di un sistema  non-verbale di comunicazione estetica.

Il  corpus testuale prodotto dalla Poesia sonora permette di individuare questo passaggio anche nelle differenze  tra  la cosiddetta Poesia fonetica e i  testi  sonori contemporanei.

La Poesia fonetica, a partire dalle avanguardie storiche, intraprende una sistematica decomposizione dell’unità letteraria, in  una  prospettiva di emancipazione dei  parametri  operativi; fondamentali sono l’impiego della voce maggiore – quella dell’apparato  fonetico-articolatorio  –  e  l’interesse  per  gli elementi  semplici  (i fonemi) della struttura della  parola. La dizione fonetica impegna la voce nelle tattiche espressive del parlato:    declamazione,  onomatopea  e  relative  indagini  sui rapporti  tra  le parole e le cose … Ma  proprio il parlato, fornito di senso perché partecipa al processo di valorizzazione della  lingua, assumendone tutte le qualità mistificatrici, è  da considerare l’antitesi della voce, che esso intende costringere a farsi lingua[14]. Nella Poesia  fonetica persistono  tecniche  di  correlazione regolata tra strutture di senso e strutture di espressione[15]; essa può essere  considerata come un  insieme di testi contrassegnati da effetti di  tipo  ritmico,  allitterativi  e anagrammatici, tendenti a liberarsi dalle leggi prosodiche subordinate al sistema  linguistico. Rimane così possibile riconoscere la sintagmatica degli atti linguistici e si evidenzia soprattutto  la  centralità dei toni, malgrado  la  scomparsa  di alcuni livelli della struttura.

Diversi processi di condensazione e spostamento[16] generano, in questo tipo di testi, dispositivi semiotici che, benché utilizzino il sistema linguistico verbale, testimoniano continui sforzi  di sottrazione  alle sue regole, collocandosi in oscillazione sulla soglia  della  pertinenza. La Poesia fonetica  non si  allontana definitivamente  dalla scrittura: può essere e viene  solitamente trascritta.

Il  modo,  lo  stile  del  dire  è  in  effetti  un  atto  di comunicazione  pre-verbale, con  i suoi rumori e  i  suoi  ritmi, dunque il suo aspetto sonoro; tuttavia viene generalmente integrato alla comunicazione linguistica  propriamente  detta, considerata  e  vissuta  come messaggio unico e unitario, cui l’interlocutore deve esclusivamente prestare la sua attenzione.

In  questo  modo «il ‘corpo’ fenomenologico  del  significante sembra  cancellarsi  nel momento stesso in cui è  prodotto»[17], anche se indubbiamente il significato rimane animato dal  respiro e dall’intenzionalità di significazione del soggetto; perciò «la scrittura è il divenire arbitrario di ogni discorso»[18].

Ainsi la gesticulation expressive, prosodique et symbolique et qui exprime des contenus mentaux préconceptuels   et inconscients  passe  complétement aperçue,  malgré qu’elle se trouve à la surface ou plu tot qu’elle costitue la surface, la substance sonore qui véhicule le message conscient[19].

Insomma la parola è approssimativa e non esprime abbastanza; la separazione tra il  mondo delle parole  e  il  mondo  delle sensazioni  attraversa il linguaggio quotidiano e ne  costituisce un decisivo coefficiente d’alienazione.

L’aspetto  sonoro della comunicazione a viva voce  conserva  i suoi  margini  segreti di inconoscibilità. La voce è un oggetto introvabile, un luogo privilegiato  della  differenza  che riesce a sfuggire a ogni scienza, visto che nessuna di esse riesce a esaurirla; per questo appare  oltremodo  difficile  definirla, o almeno  tracciarne  i confini  teorici, se non per riscontri sparsi, per tentativi e  slittamenti  analitici[20].

Se una prima definizione della voce è quella relativa al parlato, una seconda la considera negli inter-linguaggi verbo-musicali; ma la vera definizione della voce è certamente oltre il linguaggio fonetico, oltre la rassicurazione del verbum, nella dimensione dei suoni sconosciuti e non codificabili. Non esistono  due voci uguali: la voce è  personale  come  le impronte digitali. La sua definizione  che qui ci interessa coglie la voce mentre abbandona il linguaggio e il suo ordine della Generalità e passa nell’ordine della Differenza e del Corporeo:

La   voce  umana  è  il  luogo  privilegiato  (eidetico)   della differenza: un luogo che sfugge a ogni scienza […] ci sarà sempre un Resto, un supplemento, un Lapsus, un Non-detto che si  designa da  solo: La Voce. Questo oggetto sempre diverso, la  Psicanalisi lo  pone nel rango degli oggetti del desiderio … non esiste  al mondo voce umana che non sia oggetto di desiderio … non  esiste una voce neutra[21].

Al di  là  dell’informazione  estetica trasmessa  dai mezzi paralinguistici (qualità vocale  del  testo e aspetti  ritmico-prosodici  non verbali della comunicazione, che presiedono all’articolazione e alla vocalizzazione), nella Poesia sonora si  realizza compiutamente un secondo encodage, che presiede invece all’«investissement libidinal des organes de la parole»[22].

Le  poetiche  di  questa  tendenza  hanno  sottolineato  il dispiegarsi delle tattiche di una nuova sensibilità, ribelle alle costrizioni della logica del linguaggio, alle sue leggi, alle regole dello scambio, alla necessità, per farsi comprendere,  del pensare, e non solo del fare qualcosa del (col) linguaggio.

Con   la scomparsa  del  discorso e della prosodia, la   disarticolazione  della  verbalità  impedisce  la  ricostruzione  del senso, e spiazza l’ordine del simbolico. Liberata da tante oppressioni, la voce porta fuori le cose  di dentro, una realtà prelinguistica che le permette di liberare  i propri automatismi, oltre gli artifici del linguaggio socializzato e l’apparente  indispensabilità   del   sostegno sillabico alfabetico. Un testo esemplare da questo punto di vista è certamente Le corps di Henri Chopin, del 1966, in cui i suoni infinitesimali, le micro-particelle sonore degli accidenti  della fonazione, componenti informi del fonema, divengono materia della costruzione poetica, e massima è l’evidenziazione  del  supporto articolatorio[23].

 

3. Nella performance di Poesia sonora le qualità acustiche dei suoni della voce si coniugano con le sensazioni muscolari e tattili; il fare del corpo, consapevolmente attivato come  medium estetico, è costitutivo dell’atto del voler-dire.

Così  come  l’opera visiva ha lasciato la  parete,  il  testo poetico  lascia lo spazio della pagina e il gesto, sua primaria modalità  di  compilazione,  riacquista  l’originaria intensità rituale.

Il corpo coinvolto non è definibile altrimenti che come corpo pulsionale,  corpo  che  irrompe e dispiega la sua attività di critica e di messa in crisi del discorso (del suo procedere per argomentazioni[24]) e in particolare della comunicazione poetica, fino  ad  ora  condotta al di sopra e senza di esso.  Il  corpo divaga,  parla ma non dice, si enuncia per accumulo  delle  trame della  sua cinestesia differenziata. La sua cifra è una sorta  di pluri-scrittura  a raggiera, più vicina, dal punto di vista  dello statuto linguistico, allo spazio  della pittura che alle sintagmatiche  della  catena parlata. Dal corpo,  ricettacolo  di sensi e di  suoni spessi inudibili, nasce un linguaggio che affonda  nell’organico  e ne assorbe la vita. Ritenendo  che la lingua sia inerte deposito di parole e che  la traduzione  linguistica  delle sensazioni non basti, ma occorra esprimerle, la Poesia sonora passa dall’uso ordinato dei fonemi  all’espressività libera dal segno e dal senso. La rottura della parola come unità fittizia della phonè e del senso restituisce  alla voce il potere dell’espressione originaria, al di là dei limiti della ragione del secolo:

Il  ne s’agit de rien moins dans des états-là que d’oublier le contenu intellectuel de l’esprit, d’avoir rompu le contact avec toutes les évidences qui sont à la base de la pensée[25].

Il  progetto è di disattivare il circuito tra il soggetto e la parola, tra il soggetto e la scrittura,  per  smemorizzarlo  e permettergli  di accettare compiutamente le leggi del  corpo,  in una  trasmissione d’impulsi senza dispersione. Per questo la Poesia sonora comunica spesso il fastidio e il senso di oppressione drammaticamente prodotti dallo sforzo del venir fuori e dell’andare oltre.

Il poema sonoro appartiene alla significanza di un  ordine semantico “musicale” (proprio la significanza musicale, più della significazione linguistica, è penetrata di desiderio): la  parola non  è più linguistica ma corporale, il corpo tutto intero  è  in stato di parole, ritrova le sue funzioni espressive  dimenticate, il mot-corps della  sua poésie physique; è la trama  delle figure  del corpo che forma la significanza: quando  diventa irriconoscibile, la voce  è più che mai se stessa.

Anche  la lacerazione dell’oggetto sonoro è  atto  sintomatico della volontà dell’artista (dell’uomo) di trasformare la voce da forma di comunicazione dell’apparato fonatorio a espressione del corpo e della materia pulsionale. Infatti «nella musica, campo di significanza e non sistema di segni, il referente non può  essere dimenticato: è il corpo. Il corpo passa nella musica senza  altro collegamento che il significante»[26].

Nell’aspetto  paralinguistico  il  ritmo  e  la  tonalità si sforzano di  codificare: la voce dice la battuta, scandisce il metro  che le permette di esistere, di venir fuori come significante; la differenza instaurata istituisce l’impossibilità del modello: anche il soggetto che parla (che  si  scrive)  si frammenta per  rompere  il  senso  e  va  alla  deriva   dentro l’intensità prodotta e garantita da questa cancellazione; nello stesso tempo,  è  presente con tutte le sue  facoltà. La realizzazione  espressiva del soggetto avviene dunque grazie  ai linguaggi dell’idioletto corporale. Mentre  si realizza il ritorno alle origini, al rito poetico arcaico e, insieme, di massima complessità, la tecnologia provvede a fissare il contingente, l’irripetibile, il causale, l’eventuale insomma;

L’électronique peut être un instrument propre à énoncer les particules aussi bien corporelles, que celles du verbe sans passer par le vieil alphabétisme, qui en fait n’est que  le son naturel capté … Mais à l’oreille, et non au physique[27].

Per registrare e conservare (non trascrivere) il flusso dei dati  percettivi emanati (espressi) dalla presenza  del  soggetto performante,  occorre  ricorrere ai media elettronici – disco, videoregistrazione – assecondando la trasformazione linguistica della produzione  testuale,  dalla sintagmatica della verbalità  alla scrittura a raggiera della semiosi multimediale. Ciò comporta la trasformazione della definizione dello specifico poetico: passando dalla   dimensione segnica della relazione tra significato e significante (propria della  significazione) alla significanza, il dispositivo testuale è percorso da  sforzi  di convergenza contemporanea  di tutti i sensi, in  cui, come ha scritto Roland Barthes,

divenendo qualità,  ciò  che è promosso nel linguaggio è ciò che  esso  non dice, che non articola. Nel non detto vengono a prender posto la gioia, la tenerezza, la delicatezza, la pienezza, tutti i  valori dell’immaginario[28]:

la tensione plurilinguistica si sostituisce alla dispersione della comunicazione convenzionale  senza escludere l’irruzione del non  mentale,  del gioco e dell’eccesso.

Nel poema sonoro può non essere  più codificata la proiezione, su un supporto significante, dei dati relativi alla presenza attiva del corpo. Nei modelli tradizionali di composizione poetica, i loro valori  vengono  semplicemente suggeriti attraverso tecniche metaforiche di equivalenza e strategie di simbolizzazione.

La  Poesia sonora permette al fruitore  la  percezione  dei vissuti  psichici  esteriorizzati nel  testo, attribuendogli  il compito di produrre una sintesi strutturale di completamento  del messaggio; a questo “atto di concrezione” è demandato il coefficiente d’arte dell’oggetto estetico interlinguistico. La fruizione  va quindi definita come esperienze promossa  in  primo luogo  dalla  sensibilità, e non dai codici di  comprensione  del soggetto coinvolto.

La Poesia sonora produce  forme  di  straziamento  della scrittura, che la delegittimano e si proiettano al di là del suo trasformismo. Prescindendo  dalle  possibilità  del  laboratorio sperimentale  di  operare  rotture  del  linguaggio  non ancora espletate, la Poesia sonora istituisce un suo linguaggio della rottura, appartenente a contesti estranei alla  comunicazione regolata. Il suo esito estremo appare dunque l’emergenza, lucidamente auspicata, di un soggetto di identità  differente, di intelligenza  desiderante, di estraneità creativa. Il   gioco   frenetico  e  de-generato   prodotto   dalla   sua intelligenza, irritata dai codici, ne declina le tensioni; le sue tendenze  alla  liberazione  si  riconoscono  dentro  le   pieghe dell’eccesso   materialistico,  nei  passaggi  dal sensato al sensuale.

Questa  poesia dei linguaggi illeggibili, intraducibili  al  di fuori  di  un  immaginario translinguistico,  vuole  inceppare  i congegni di dissuasione dalle pratiche di ricerca e di realizzazione del nuovo inaccettabile. Così  poesia  è  una rovinografia del  sapere,  una  forma  di sospensione della sua trasmissione, che rivendicando un ruolo di critica delle forme della sensibilità impedisce al  dominio  di riprodursi.

4. Furono i formalisti russi, all’inizio del secolo, a prospettare per primi una storia delle arti che si occupasse in particolare dei procedimenti linguistici e delle tecniche di costruzione dei testi. Veniva così resa esplicita una percezione della letterarietà condivisa da teorici della letteratura e artisti d’avanguardia.

Vilem Flusser ha proposto di segmentare l’evoluzione della comunicazione umana sulla base delle trasformazioni introdotte dai mezzi, dai veicoli e dai supporti utilizzati[29]. In questo senso, la storia di un campo espressivo può essere riscritta come storia dei materiali disponibili nelle varie epoche, della loro selezione e della loro utilizzazione.

Queste osservazioni permettono di considerare in una prospettiva diversa non solo la tradizione delle avanguardie, ma anche alcune tendenze individuabili nella letteratura postmoderna.

Per quanto riguarda la poesia, in questo contesto si segnalano tra l’altro due distinti settori di ricerca, uno visuale e uno acustico, entrambi caratterizzati da un’identica strategia, che può essere definita “ipercodificazione”. In entrambi i casi l’equilibrio dinamico tra i tre principali aspetti del segno poetico viene infatti abbandonato per privilegiare – “ipercodificare” – le potenzialità di uno solo: nel primo caso l’aspetto iconico, nel secondo l’aspetto acustico[30].

Sul versante acustico, le premesse assunte inducono a distinguere tra due tendenze: quella fonetica, di cui si è detto, riscontrabile nelle pratiche creative delle avanguardie storiche (Futurismo, Dada e Lettrismo in particolare) e quella sonora[31], caratterizzata prima dall’uso delle nuove tecnologie di registrazione, riproduzione e trattamento del suono (a cominciare dall’introduzione del magnetofono, messo in vendita in Europa nel 1955) e successivamente delle macchine logiche.

Per la variante tecnofoba, il corpo e il recupero del suo ascolto, mortificato dalle forme tecnologiche della  comunicazione, sono il punto di arrivo delle diverse strategie testuali; in quella tecnofila, le potenzialità del corpo sono solo il punto di partenza di una inedita interpretazione dell’intenzionalità espressiva, di quel “voler dire” investigato dalla fenomenologia husserliana[32]. Se l’arte è insieme un sapere e una abilità, secondo la definizione kantiana, i limiti dei procedimenti virtualmente realizzabili corrispondono a quelli del dispositivo adottato e alle sue funzioni, definite in senso morfologico.

La soglia fisica umana dell’espressività può divenire dunque il punto di partenza di strategie creative particolari, alle quali i linguaggi delle macchine logiche forniscono procedimenti che l’atto linguistico non può produrre.

Il corpo, in queste esperienze, è il dispositivo primario e insieme il loro limite. Le macchine del suono servono a trattenerne le emissioni e, in certi casi, a rendere possibile la percezione di quanto non percepibile ad orecchio nudo.

5. Lansky, Dodge e la tendenza “tecnofila”

La tendenza tecnofila viene qui esemplificata da due testi di natura derivativa[33].

5.1 Consideriamo come primo esempio un’opera di Paul Lansky dal titolo Sixfantasies, registrata nel 1978-79 al Computer Center dell’Università di Princeton[34]. Il testo di base è di Thomas Campion, poeta della fine del Cinquecento inglese, letto dall’attrice Hannah Mac Kay:

Rose-cheekt Lawra / Sing thou smoothly with the beawties / Silent musick, either other / Sweetely gracing. / Lovely formes do flowe / From concent devinely framed; /Heav’n is musick, and thy beawties / Birth is heavenly. / These dull notes we sing /Discords neede for helps to grace them; / Only beawty purely loving / Knowes no discord; / But still mooves delight, / Like cleare springs renu’d by flowing, / Ever perfect, ever in them / selves eternall. //

Lansky ha considerato la consistenza materiale del testo registrato come uno spettro di potenzialità musicali, ai cui limiti estremi ha collocato il parlato piano della voce standard e il canto[35].

L’opera si articola in sei variazioni; ognuna corrisponde ad un punto di passaggio lungo il percorso tra i due poli, evidenziando un particolare aspetto musicale dell’esecuzione registrata. Questa è analizzata in piccoli frames, in minuscole unità, ognuna corrispondente a 1/112 di secondo. Le informazioni ricavate dalla definizione microscopica del tracciato sonoro sono state successivamente sintetizzate, operando sui diversi parametri (altezza, durata, ritmo – cioè velocità – e timbro). A ciò si è aggiunto l’uso di filtri ed effetti speciali.

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5.2 Un particolare settore di ricerca è caratterizzato dall’utilizzazione del computer  per il trattamento a fini espressivi della voce. In questo secondo esempio si riscontra un dispositivo testuale più complesso e  tecnologicamente più avanzato.

L’opera, prodotta nel 1972 nei laboratori della Bell Telephone della Columbia University di New York[36], è stata prodotta da un autore statunitense, Charles Dodge, il quale ha  perlustrato in profondità le radicali possibilità espressive della voce computerizzata. Le sue pionieristiche  ricerche hanno raggiunto risultati esemplari, che lo rendono,  secondo Richard Kostelanetz «technologically the most sophisticated text-sound artist»[37]:

His technique of computer-assisted voice-synthesis-by-analysis offers all kinds of incredible possibilities for vocalization, because he is able to change  any aspect  of speech (e.g., pith, speed, loudness,  timbre)  without necessarily disturbing the others[38].

Dodge utilizza delle registrazioni come materiale di partenza, secondo un metodo che definisce “speech-synthesis-by-analysis”:

The   major  advantage  of  computer  voice  synthesis …  is the possibility to alter the time base of the speech independently of its  frequency  content. […] With computer  speech  synthesis  it  is possible to change the speed of the speech by great amounts  but to  retain  the frequency content of the speech at  the  original level. […] It is also possible to replace  the recorded pitch contour of the speech without changing the speech speed. […] The interesting thing about computer speech synthesis is that it has the tone quality and acoustics of speech, but it has the pitch and the rhythm of music[39].

Il materiale di partenza è costituito da un alquanto convenzionale testo poetico, In celebration di Mark Strand, un autore statunitense abbastanza noto almeno tra gli addetti ai lavori, che era anch’egli docente alla School of Arts della Columbia University. Il testo ha una struttura bipartita, segnata dalla ripetizione del sintagma di apertura “Yousit in a chair”:

You sit in a chair, touched by nothing, feeling
the old self become the older self, imagining
only the patience of water, the boredom of stone.
You think that silence is the extra page.
You think that nothing is good or bad, not even
the darkness that fills the house while you sit watching
it happen. You’ve seen it happen before. Your friends
move past the window, their faces soiled with regret.
You want to wave but cannot raise your hand.
You sit in a chair. You turn to the nightshade spreading
a poisonous net around the house. You taste
the honey of absence. It is the same wherever
you are, the same if the voice rots before
the body, or the body rots before the voice.
You know that desire leads only to sorrow, that sorrow
leads to achievement which leads to emptiness.
You know that this is different, that this
is the celebration, the only celebration,
that by giving yourself over to nothing,
you shall be healed. You know there is joy in feeling
your lungs prepare themselves for an ashen future,
so you wait, you stare and you wait, and the dust settles
and the miraculous hours of childhood wander in darkness.

Affidandosi ad una tecnologia in precedenza utilizzata esclusivamente in ingegneria telefonica, Dodge ha lavorato con un computer Honeywell sulla registrazione di una esecuzione vocale del testo poetico in questione, andando a riscontrarvi i procedimenti e i vari tipi di articolazione vocale utilizzati – comprese frasi parlate e sussurrate –, le variazioni di altezza e una varietà di concatenazioni che vanno dal solo al corale. Prevale già nella lettura primaria la compresenza di più tipi di articolazione.

La registrazione è stata in una prima fase analizzata numericamente; un convertitore ha assicurato la successiva sintesi delle unità individuate, micro-segmenti corrispondenti a 0,01 secondi. L’analisi del materiale sonoro acquisito è avvenuta in tre fasi: nel corso della prima, una volta digitalizzata la registrazione, il parlato è stato analizzato con un programma in grado di individuarne i parametri; nella seconda i parametri sono stati alterati sulla base di esigenze espressive; nella terza il parlato è stato sinteticamente ricomposto. L’ascolto in alcuni passaggi di una pluralità di voci è dovuto a procedimenti di missaggio.

Il metodo di Dodge riesce a trasformare ogni singolo aspetto del parlato, lasciando nello stesso tempo inalterati tutti gli altri. Come è noto, ciò non può mai avvenire nella performance umana. Nell’apparato laringo-farigeo umano qualsiasi modificazione dei parametri di un atto di parola (altezza, volume, velocità o ritmo, intensità o timbro) implica, inevitabilmente, una modificazione di tutti gli altri.

La voce della macchina di Dodge è umana, visto che il materiale di base è una semplice esecuzione orale di un testo poetico scritto, e insieme post-umana, visto che assicura possibilità di controllo, elaborazione e composizione estranee all’apparato fisiologico umano.

La fenomenologia dell’espressione, nella performance, da una parte è idioletticamente libera, perché diretta ed incisa nella materialità del segno, dall’altra è limitata alle potenzialità del dispositivo e alla volatile irripetibilità del qui ed ora dell’atto linguistico. La traccia vocale, come la scrittura manuale, è come già detto irripetibile per il soggetto protagonista della singola esecuzione. Anche quando la sua mise en scènè appannaggio del suo autore “empirico”, il senso compiuto di un dispositivo testuale è insomma ogni volta diverso, da una esecuzione all’altra. La pragmatica della significazione corrisponde infatti ad un uso della materialità del dispositivo che è diverso ogni volta in senso qualitativo[40].

Le radicali trasformazioni istituite nell’opera di Dodge si possono così riassumere: i- la sintesi rende possibili modificazioni di singoli parametri senza alterare gli altri; la maggior parte di quelle realizzate da Dodge riguardano l’altezza e la durata. I limiti di tale praticabilità corrispondono sostanzialmente a quelli dell’immaginazione linguistica dell’autore, verificabile in senso tecnico-formale; ii– il corpo, inteso come dispositivo pulsionale, irrimediabilmente idiolettico (produttore ogni volta di un unicum testuale), viene così sostituito da una gestione controllata del flusso discorsivo, che ne definisce sia la morfologia che i percorsi della significazione; iii– il controllo generativo cambia le inferenze interpretative e lo statuto delle definizioni possibili del senso; iv– il processo ermeneutico viene a sua volta modificato: percezione, conoscenza e comprensione dei procedimenti utilizzati – con l’obiettivo di una intensificazione complessa dell’espressione – entrano in inedita relazione con i codici culturali e artistici, nell’ambito di una ermeneutica inevitabilmente semiotica e tecno-logica.

In celebration è nel LP di Dodge Synthesized voices[41], in cui troviamo anche altri quattro “speech songs” del 1972[42]: A man sitting in the cafeteria; The days are ahead; When I am with you; He destroyed her image[43].

6. Con Aural Literature Criticism[44]Richard Kostelanetz ha offerto un importante contributo agli studi dedicati alla Poesia sonora. L’antologia, che raccoglie saggi, dichiarazioni di poetica ed altri materiali alquanto diversi tra di loro[45], si affianca a pieno  titolo  ad  altri  due volumi dedicati allo stesso argomento:  Poésie  sonore internationale di Henri Chopin[46] e Text-Sound Texts[47], un’antologia di testi creativi di autori nord-americani curata anch’essa da Kostelanetz.

“Text-Sound” o “Sound Poetry”?

 Text-Sound”, secondo Kostelanetz, è  «una distinta forma d’arte, con proprie, particolari caratteristiche e tradizioni»[48].
Kostelanetz preferisce la sigla “Text-Sound” a quella non meno frequentemente  utilizzata, in lingua  inglese, di “Sound Poetry”, perché in “Text-Sound” il termine “testo”permette di rimandare sia alla poesia che alla prosa. Diventa in questo modo possibile non escludere numerose opere di Gertrude Stein, di Jack Kerouac[49] e dello stesso Kostelanetz – e l’elenco potrebbe  continuare –, che effettivamente esplicitano modelli linguistici da attribuire alla prosa piuttosto che alla poesia. Ma l’elemento caratteristico e sempre ricorrente, resta la preminenza dell’aspetto sonoro sulle altre componenti: «By ‘text-sound’ I mean language that is enhanced primarily in terms of sound rather than syntax or semantics»[50].

“Mixed Medium” o “Intermedium”?

Un oggetto estetico, secondo Dick Higgins, è un mixed medium finché il fruitore è in grado di operare delle distinzioni tra  i suoi  aspetti:  visivo, verbale, musicale, ecc.[51], di cui un intermedium realizza invece una effettiva integrazione.
È proprio questo il caso, secondo Kostelanetz, dei “text-sound texts”, «because in genuine text-sound the language and music cannot be perceived apart from each other»[52]. L’intermedium, egli aggiunge, «is the greatest idea of the late twentieth century, much as collage was the principal idea …  of the early twentiethcentury»[53]. Anche Sten Hanson considera la “text-sound composition”[54] come un  autentico intermedium, come  un  particolare  settore della produzione estetica contemporanea a cavallo tra poesia e musica, non più tradizionalmente intese.

Per una tassonomia dei testi sonori

Nel saggio Points Towards a Taxonomy of  Sound Poetry[55] Dick Higgins ha sottolineato che,  per quanto riguarda la Poesia sonora, è possibile rinvenire «its close analogues» in periodi più o meno lontani. Questo rimando ad una sedimentata tradizione, che ha sviluppato una tipologia testuale alquanto differenziata, permette di considerare la  Poesia  sonora  «as, generally, poetry in which the sound is the focus, more than anyother aspect of the work»[56]. Ciò  non impedisce di riconoscere che, tra i testi sonori, alcuni non  hanno nessun precedente formale, il che porta molti critici a considerare questa tendenza come un fenomeno esclusivamente contemporaneo.

Tre sono, secondo Higgins, i tipi di Poesia sonora già presenti in passato: «folk varieties, onomatopoetic or mimetic types and nonsense poetries»[57],  rappresentati da opere come le Horse Songs (di cui si è  occupato Jerome Rothenberg[58]), Le rane di  Aristofane, alcuni testi del poeta vittoriano inglese  Edward Lear, Jaberwocky di Lewis Carroll  e  alcuni  Galgenlieder [Canzoni della forca] di Christian Morgenstern[59].

Nella Poesia sonora Higgins distingue invece tra: i– testi prodotti in un linguaggio inesistente, completamente inventato o artificiale, come era avvenuto per le Poesie astratte del dadaista Hugo Ball[60] e la Zaumdel russo lliazd[61]; ii– testi la  cui  significazione  risiede nell’interplay  tra elementi  «semantically meaningful»[62] ed altri che rientrano più propriamente nell’ambito del nonsense; iiiPhatic poems,

in  which semantic  meaning, if any, is subordinate to  expression of intonation, thus yielding a new emotional meaning which is relatively remote from  any  semiotic significance  on the part of words which happen to be  included[63].

L’esempio adottato in proposito da Higgins è Pour en  finir avec le jugement de Dieu di Antonin Artaud[64]:

Here Artaud uses more or less conventional words, but they are …essentially allusions or perhaps illusions, since so few can be understood anyway. Instead Artaud’s emphasis is on high  sighing breathing,  wheezing, chanting, exclaiming,  exploding,  howling, whispering and avoiding[65].

iv– testi che non prevedono alcuna notazione  né  rimandano  ad altri testi verbali e/o visivi, come i Crirythmes di François Dufrêne[66],  gli Audiopoems di Henri Chopin[67] e le opere degli  autori svedesi che hanno lavorato negli studi di Fylkingen:

For  almost  a  decade, Fylkingen has organized annual festivals   of  “sound  poetry” and “text-sound composition”, broadcasting works of recorded literature, permitting  poets, writers and composers to use its studios to create new works  and recording  such  works  on L. P. records in order to make  them permanently  accessible[68].

v testi che possiedono degli equivalenti costituiti da scritture di  notazione di vario tipo, più o meno elaborate secondo i  criteri  normativi  di solito adottati per i testi musicali  veri  e propri. Gli esempi sono da individuare in alcuni  poemi  lettristi[69].

In questo ambito Higgins sottolinea la relazione di intertestualità  riscontrabile  tra  Poesia  sonora  e   ricerche poetico-visuali (che  spesso ne ispirano i  criteri  di  notazione), soprattutto quando gli autori interessati sono attivi in entrambi i settori.

In conclusione, Higgins sottolinea che la Poesia sonora non è  attribuibile  ad  un ambito di produzione linguistica  di  tipo musicale, anche se vi prevale l’aspetto sonoro.

Nel suo intervento, dal titolo On Text-Sound Composition[70], Sten Hanson cerca di risolvere alcuni problemi terminologici e di individuare alcuni parametri utili per considerare le text-sound works  come un vero e proprio  genere,  distinguendole  dagli  altri tipi di lavoro poetico. Per  questo, «in the domain of nonprinted poetry»[71], divide le opere in tre categorie: Poesia fonetica, Action  poetry e Texts-sound composition. Le prime due affondano le loro radici nella produzione poetica delle avanguardie storiche, in particolare dei futuristi e dei dadaisti. Mentre, comunque

a recording of a phonetic poem should always be considered a documentation of an action and not the work itself, … text-sound composition or … poésie sonore[72] was created  by people who did not regard themselves as followers  of the  futurist-dadaist tradition but as users of a  new  different tool  –  the tape recorder instead of the  typewriter. […] The possibility of text-sound composition was not at hand before the Fifties when tape recorders became available for the poet’s use[73].

Nei migliori  esempi  di “Text-sound compositions”  Hanson ha  individuato tre  strategie di composizione; due rimandano  al linguaggio musicale,  la terza a quello verbale: i– l’uso di informazioni derivate da un linguaggio  orale  non-semantico,  cioè  da micro-particelle linguistiche e suoni prelinguistici (come avviene ad  esempio  in molte opere  di  Henri Chopin)[74]; ii–  la manipolazione del tempo; iii– la polifonia. Queste  ultime  due  categorie rappresentano  elementi  formali  caratteristicamente distintivi del linguaggio musicale. Ne consegue, scrive Hanson, che

text-sound compostion, at its best, brings together the exactness of written language with  the time manipulation and complexity of music[75].

Astrazione, produzione di senso, referenzialità, autoriflessività

La musica, secondo quanto ha scritto Stephen Scobie, «does not refer to objects, or concepts, or fictional worlds»[76];  per questo l’astrazione, vale a dire  «this  self-contained,  self-reflexive quality has  always  been clearest in music»[77]:

Abstract art declares its own materials sound, harmony and rhythm in music; shape, line and colour in painting to be sufficient, without any need to support themselves  by external reference, or to justify  themselves in terms of their fidelity to some preconceived standard for the ‘real’[78].

Molto  diversa  la situazione del linguaggio verbale:

A word, however, is always significant. Language is inherently referential. As a  medium, it resists abstraction  much  more strongly  than painting did: the difference is not simply one  of degree, but of kind[79].

Dal  Romanticismo ad oggi, in ambienti della  ricerca letteraria sperimentale, l’ipotesi  della produzione possibile di testi appartenenti al sistema linguistico verbale ma estranei  ai processi di significazione, insomma di dispositivi testuali privi di senso, è continuamente rivendicata da manifesti e dichiarazioni di poetica. Avversate dalle discipline linguistico-semiologiche, queste affermazioni ricorrono tuttora, a  dimostrazione della  parziale credibilità attribuibile a posizioni simili, che hanno raggiunto la massima  espansione  con le avanguardie  storiche:  «Manifestoes  are  never the best pieces to look for precise discrimination»[80].  Secondo Scobie «the inherent referentiality of language» può essere però «circumvented or subverted»:

If the word is  to  be retained  as  a compositional unit, then is must be placed  in  a context  which  will  drastically qualify,  undercut,  or  cancel altogether  its  function  as  signifier.  If  the  word  is  not retained,  the poet must work with sub-vocal elements of  speech: individual  letter-sound, phonemes, or the whole range  of   preverbal vocalisation: grunts, groans, yells, whistles,  passionate gurgling, heavy breathing[81].

Mentre  il primo modello testuale è  esplicitato dagli scioglilingua, gli effetti del secondo consistono nel fatto  che «the words are discontented, reduced to patterns of  sounds»[82], sulla  base  di scelte  stilistiche  appartenenti alla  Poesia sonora: il canto, la ripetizione, la performance polifonica, le manipolazioni rese possibili da apparati di registrazione a più piste.

Un altro accorgimento che produce  una  riduzione  dei significati del materiale verbale consiste nell’organizzarlo  non sulla  base  delle  relazioni sintattiche o  semantiche,  ma  sulla base del principio di casualità, come avviene ad esempio in diverse opere di  Jackson  Mac Low[83] e John Cage[84]:

‘Pure’  abstraction then … is possible only when the word is abandoned  altogether, and  the  performer  moves  into the  area  of  non-verbal  vocal sounds[85].

Anche  in questi casi – precisa  opportunamente  Scobie  –  bisogna  però riconoscere  che sopravvivono comunque delle  tracce  di significato:

Many of Ball’s seemingly abstract `words` are in fact onomatopoetic in quite obvious ways, and his  poems  often have  titles  identifying their `subjects`. Non-verbal gestures like a laugh, or a yell, do convey a kind of meaning.  The performer`s  physical  presence – his body  posture,  his  facial expression  signify something to an audience. One should bear  in mind  that  most text-sound includes, as the name  suggests,  the presence of a text[86].

Bisogna quindi riconoscere che

the presence of text, whatever its form, continues to imply a relationship to meaning. Even individual letter  sounds … convey, if not meaning, at least an  awareness of their potentiality to combine into meaning[87].

Ritornando ai problemi di definizione delle relazioni esistenti tra Poesia sonora e musica e alle particolarità della prima, Scobie ritiene che proprio la caratteristica appena descritta

ultimately distinguishes text-sound from music.  […] Text-sound  … always deals not with sound  per se (music),  but with sound as an aspect of language; and even when that aspect is isolated from all other aspects, isolated even from meaning,  its ground  is still in language, and its practitioners  are  called, properly, poets[88].

Scobie  recupera  così il  concetto di autoriflessività, frequentemente  richiamato proprio per suffragare  l’ipotesi di  una produzione testuale priva di significazione:

Text-sound is another manifestation of one of the most important general  tendencies  of 20th century art and culture: self-reflexiveness, the urge in all the arts to  examine  their  own means  of  expression,  to  find  their subject-matter in  the exploration of their own ontology and structure[89].

Infatti, «text-sound is analytical, and often highly theoretical,  in its approach to language»[90]. Una radicale dimostrazione è data dall’opera del poeta-compositore statunitense Kenneth Gaburo, ispirata  alle  teorie linguistiche chomskiane[91].

La ripetizione. Una poetica della ridondanza?

La ripetizione è in primis una caratteristica della musica: in generale, «repetition works better  as a form of insistence on meaning than as a form of cancelling it»[92].

Nel  suo saggioJoseph F.  Keppler[93] si occupa in particolare dell’opera  di  John Giorno, di Charles Amirkhanian e di Anthony Gnazzo, tre poeti statunitensi che  si affidano alla ripetizione come accorgimento compositivo, come «significant time-proven artistic tool»[94].

L`opera di Giorno, che da tempo si esibisce abitualmente in azioni performative, ha subito l’influenza di William Burroughs[95], ed è, secondo Keppler, solo in parte attribuibile alla Poesia sonora. Giorno «satirizes practically everything about modern culture that comes in  his  mind.  […]  Giorno mocks  the  culture  with  his own repetitions»[96],  una forma di espressione  caratteristicamente ridondante.

A modern mimesis, this recording advertises and parodies  a mind filled with obsessions drugs, media hype, self consciousness, boredom  and hate. He is vulgar, absolutely gross at  times,  but also  common.  […]  This repulsive  garbage  is  the  condensed garbage of the culture  clattering  and   cluttering   modern consciousness.  If  part of electronic culture’s  power  lies  in incessant repetition, then repetition sound artists can not  only mirror  that culture, but also effectively parody that  culture’s pervasive  pernicious  influence by using the  same  proven  tool  – namely, repetition. […] Giorno’s repetitions seem to execrate the cultural wasteland[97].

Diversamente, «Gnazzo’s  repetitious poetry satirizes only humorously  and  indirectly»[98], mentre un testo esemplare come Just del poeta-compositore statunitense Charles Amirkhanian «consists of the repetition of  four  words. […]  The technical virtuosity produces rhythm and  counterpoint with the text of these four words»[99]

Neoprimitivismo o “secondaryorality”?

Scobie sottolinea le profonde differenze esistenti tra i poeti che fanno un uso consapevole delle opportunità espressive offerte dalle nuove tecnologie e quelli che invece preferiscono affidarsi esclusivamente  ai suoni che possono essere prodotti  dalla  voce umana, senza sottoporla ad alcuna modificazione artificiale. Ne consegue  la  fondamentale  distinzione, qui già sottolineata, tra una oralità “primitiva” e  la “secondary orality” delle ricerche artistiche plurilinguistiche  e  multimediali,  rese possibili dall`uso delle nuove tecnologie. Come già si è detto, i poeti non-tecnologici

tend to justify their work in deliberately primitivistic terms, speaking of it  as  a return  to earlier, more basic poetic forms, such as the  chant[100].

Scobie cita  in  proposito  alcune  importanti dichiarazioni. La prima  è di Sten Hanson:

The sound poem appears to me as a homecoming for poetry, a return to its source close to the spoken word, the rhythm and atmosphere of language and  body, their  rites and sorcery, everything that centuries of written verse have replaced with metaphors and advanced  constructions[101].

Un’altra è di Jerome Rothemberg:

What is involved here is the search  for  a  primal ground:  a  desire  to  bypass  a civilization  that has become problematic & to  return,  briefly, often by proxy, to the origins of our humanity[102].

I poeti tecnologici aspirano dunque a trascendere i limiti del corpo umano. Ad esse si  può infatti aggiungere la seguente affermazione di Bob Cobbing, secondo il quale la Poesia sonora

is a recapturing of a more primitive form of  language,  … when the voice was richer in  vibration,  more mightily physical[103].

Phonetic  Music

Come scrive il suo principale esponente, Ernest Robson, la “Phonetic music” è un particolare settore della Poesia sonora, anzi «the tone domain of sound poetry, … based on acoustic  analysis of  speech»[104]. Robson prima precisa:

the acoustic dimensions of sound poetry are the apparent levels of  frequency, amplitude, time and silence. The apparency of these levels  poses the  problem  of perception and recognition[105];

poi passa  ad occuparsi  della dimensione tonale:

The tones of phonetic  music are  produced by the resonances in the chambers of the mouth  and throath with scalar, melodious and dissonant values.  Consonants render  these  values more perceptible and  contribute  to  vowel timbre[106].

Ma l’elemento decisivo sono le “formanti”, vale a dire

the  tongue-shape  and volume  altered  resonances  tract. Although  neither  you  or  I  can  speak  a  single  formant  in isolation  we can hear their complex tones in vowels; and we  can compose   formant  music  in different ways  by   selections  and arrangements of vowels[107].

Nella composizione delle opere  di Phonetic music un  particolare interesse viene dedicato alle vibrazioni delle corde vocali: «Vibrations  in the larynx create fundamental pitch,  the lowest and most powerful frequency of the voice»[108].

La Phonetic  music  può dunque essere  definita  come  «the pitch patterns of sound poetry generated in the mouth and/or  the vocal chords»[109], la cui dimensione dominante è la  frequenza, dinamicamente modulata dalle altre: durata, intensità, silenzio (riferito alle pause). Queste ricerche intendono innanzitutto trovare delle alternative ai fenomeni di  ridondanza caratteristici dei linguaggi naturali; Robson indica sei modi per combatterne  la convenzionalità: i–  «A writer of phonetic music  may destroy contextual  meaning  with  such excessive repetition that attention to grammar or meaning is eliminated by exhaustion of all its information»[110]; ii– «A second strategy to make tonal patterns of speech more audible is to drastically increase the occurrence of vowels  that share  either high, middle or low pitch levels»[111]. Diventa in questo modo possibile produrre dei particolari testi sonori, i Tone poems, per i quali Robson ha elaborato uno specifico sistema di notazione:

a prosodic notation  which expresses durations of phonemes by lenghts of letters;  intensity by darkness or faintness of letters; pitch by raising or lowering of vowels; pauses by lengths of blank space. Shadowings of vowels indicate  modulation of pitch which adds another pitch  level  to the three level  code»[112].

iii– La terza strategia utile per esaltare la percezione dei  toni  «is to write short non-contextual English. […] The classic exemple of how short poetry can successfully reduce the redundancy of natural language is the 17 syllables Haiku»[113].  Si consideri in proposito che

Titles can create frames of reference for fitting invented words or nonsense syllables  into themes, themes that guide reader/listener towards recognizing the acoustic story of the composition[114].

iv– Per rendere i suoni del linguaggio comune più chiaramente percepibili occorre provvedere all’invenzione di nuove parole, che abbiano un loro caratteristico valore acustico;

v– Un’altra strategia per prevenire e combattere la de-liricizzazione  della  poesia (causata dai  fenomeni  di ridondanza) consiste nel produrre delle composizioni costituite da successioni di vocali isolate, scelte sia per i  loro valori di altezza  sulla  scala  vocalica e che per i loro  toni,  melodiosi  o perfino dissonanti, visto il particolare valore che la dissonanza ha nel linguaggio musicale;

vi–  Ultimo accorgimento, l’adozione di un sistema di notazione «to cuereaders to speak the patterns of fundamental pitch  the composer wishest hem to speak»[115]. Le sue caratteristiche visive agevolano il riconoscimento del significato  musicale  dei testi, che così «look likethey sound»[116].

Word Music

Tutto  quello  che la voce umana intona,  ha scritto Toby Lurie, costituisce  una  forma di musica: il ritmo,  la  pulsazione,  il battito del cuore del linguaggio. Anche il  linguaggio parlato è in qualche modo una forma di musica; la voce umana, dal canto suo, è anche uno strumento di infinita bellezza e di straordinaria versatilità[117].

Partendo  da queste premesse Lurie ricorda alcune sue  opere come Sound  Composition for Six; Serial Number Four; Serial  Weavings[118]. Nella seconda Lurie ha impiegato una particolare  tecnica,  che chiama serial-music, concetto corrispondente ad  una  forma  di  atonalità secondo le teorie di Schoenberg, il quale «destroyed the syntax of the traditional  musical scale form which reinforces tonality, by creating an equal relationship between all tones or pitches»[119].

Le ricerche di Luriehanno proposto diversi procedimenti di combinazione tra forme musicali e linguaggio verbale,  lasciando ad  altri  la  soluzione dei problemi di definizione delle proprie opere, che egli si dichiara indifferentemente disposto a chiamare «poems,  compositions,  pieces of spoken-music, or what ever you might call them»[120].

Materiali  per  una  storia  della “Recorded Literature”

Although it is difficult to evaluate  the Dada poets’ unrecorded experiments with sounds, their experimental aspirations prefigure  many  of the  formal  characteristics  of contemporary recorded literature[121].

Nel suo articolo Regarding Recorder Literature[122] Nicholas Zurbrugg ha osservato che

The Dada poets manifest the two main tendencies  of  all twentieth century creativity  –  the impulse towards abstraction  and the  impulse towards expressive simultaneity.  While the impulse towards abstraction  reduced language to elementary sounds  …  the impulse towards simultaneity attempted to communicate several sonic statements at the  same time[123].

Le opere  contemporanee  appartenenti alla Recorded Literature

seem to offer successful technologically elaborated variants of the mixtures of words and sounds that the Dadaists attempted to produce with their ‘simultaneous’ poems[124].

Gli  incunaboli  della “Recorded Literature”  dovrebbero  dunque essere  rinvenuti proprio nella sperimentazione dada[125];  ma  la sua espansione si  è ovviamente registrata nel nostro dopoguerra. Come scrive Zurbrugg, essa «forms a  new  composite genre»[126], di cui fanno parte i radiodrammi di Samuel  Beckett[127], i poemi permutazionali di Brion Gysin[128], diverse  opere di Amirkhanian[129] e le numerose registrazioni fatte da Burroughs, che lesse  le sue opere in prosa «in a memorable manner»[130]:

Burroughs has not simply used recording techniques to document the sound of his voice reading his printed work; he has also explored recording techniques as a  means  of creation composing works for and with recording tape[131].

Ancora,  gli Audiopoems di  Chopin[132],  alcune  opere lettriste come Lances Rompues pour la Dame Gothique di  Isidore Isou[133], diverse collane di dischi (come quelli pubblicati  dalla rivista “OU”)[134] e di audiocassette  (per esempio quelle  delle edizioni tedesche S-Press), nonché le riviste che sono circolate  esclusivamente  in cassetta (come  l’americana  “Black Box”[135]  e l’inglese “Supranormal”); infine,  il servizio  di poesia telefonica Dial-A-Poem attivato a New York da John Giorno[136].

Tutte queste operazioni creative, ha scritto Zurbrugg, «treat recording techniques not merely as a way of documenting the sound of preexisting written work, but as a means of creating new works which trascend   the  written word, existing  as recorded literature»[137],  in cui le  apparecchiature  di  registrazione costituiscono un nuovo medium letterario.


[1]  Cit.  in M. Pagnini,  Struttura letteraria e  metodo  critico, Messina-Firenze, D’Anna, 1967, p. 25.
[2] Una “Antologia internazionale di ricerche fonetiche”, a cura di Maurizio Nannucci, è Poesia sonora (Milano, CBS / Sugar, 1975), ancora oggi di utile ascolto.
[3] Cfr.  I.  Hassan, Postface  1982:  Toward  a  Concept  of Postmodernism, nel suo The Dismemberment of Orpheus, Madison, The University of Wisconsin Press,  1982, pp. 259-271.
[4] Cfr. M. Benamou, Notes on the Technological  Imagination,  in  The  Technological Imagination: Theories  and  Fictions, edited  by T. De Laurentis, A. Huyssens e K. Woodward,  Madison, Coda Press, 1980, pp. 65-75.
[5] S. Scobie, Realism and its  Discontents:  the  Question  of Abstraction in Literature, in Aa.Vv., Aural Literature Criticism (di seguito abbreviato in ALC),  edited  by R. Kostelanetz, New York & Edmonton,   Precisely:  10-11-12,  1981, p. 57.
[6] Questa posizione viene così esplicitata da S.  McCaffery in Sound  Poetry: A Catalogue, a cura dello stesso McCaffere di  bp Nichol, Toronto, Underwhich Editions, 1978, p. 10. La cit. in ALC, p. 45.
[7] Si riprende qui la tipologia dei discorsi orali primari  proposta  da  W.  J.  Ong nel suo Orality  and  Literacy.  The Technologizing of the Word, London & New York, Methuen, 1982 (tr. it.:  Oralità e scrittura. Le tecnologie  della  parola, Bologna, il Mulino, 1986).
[8] Cfr. H. Kahn e A. J. Wiener, The Year 2000: A  Framework  for Speculation  on the Next Thirty-Three Years, London  &  Toronto,  Macmillan,  1967  (tr. it.: L’anno 2000. La scienza  di  oggi presenta il mondo di domani, a cura di G. Fiori e R.  Jannaccone, pref. di G. Martinoli, Milano, Il Saggiatore, 1968).
[9]  Cfr.  M. Jousse, Le style oral rhythmique  et  mnémotechnique chez les Verbomoteurs, Paris, G. Beauchesne, 1925.
[10] Cfr. J.-F. Lyotard, Rudiments païens, Paris, 10/18, 1977,  pp. 81-114.
[11] Cfr. M. D’Ambrosio, Sémiotique de la poésie concrète, “The Canadian Journal in Semiotics”, VI n. 3 / VII  n. 1, Edmonton, University of Alberta, Spring-Fall 1979, pp. 249-261.
[12] E. Benveniste, Problèmes de linguistique gènèrale, II, Paris, Gallimard, 1966, pp.  43-66: cit. in R. Barthes, Rasch,  in  Aa.  Vv., Lingua discorso società, Parma, Pratiche Editrice, 1979, p. 273.
[13] Cfr. M. Riffaterre, Semiotica della poesia [1978], Bologna, il Mulino, 1983; in particolare il primo capitolo, La  significanza di una poesia, pp. 23-53.
[14] Cfr. G. E. Simonetti, La voce e la forma voce, nel suo  Hyde Park, Milano, CrampsRecords, 1978, pp. 5-12.
[15] Cfr. ad esempio la combinatoria sillabica privilegiata in alcune opere di Mimmo Rotella e di Arrigo Lora Totino. Per il primo cfr. il  LP  33 Poemi  fonetici  1949-75,  Milano, Plura Records,  1975;  per  il secondo  il LP 33 n. 7 (side one) in Futura.  Antologia  storico-critica della poesia sonora, Milano, Cramps Records, 1978.
[16] Cfr. ad esempio alcune opere di Paul De Vree Poemi audio-visuali,  Brescia,  Edizioni Amodulo, 1972; musicassetta.
[17] J. Derrida, La voce e il fenomeno, Milano, Jaca Book, 1968, p. 112.
[18] G. Dalmasso, Nota di edizione, ivi, p. VII.
[19] I.  Fonagy, Analyses  sémiotiques  de  la  voix humaine, “Semiotica”, n. 13, Mouton Publishers, 1975, p. 97.
[20] Cfr. P. Paioni, La voce e la scrittura, in Atti del  Convegno internazionale  di  studi su Giuseppe Ungaretti [Università  di Urbino, ottobre 1979], Urbino, Edizioni 4 venti, 1981, pp. 191-197.
[21] R. Barthes, La musica, la voce, il linguaggio, “Nuova rivista musicale Italiana”, XII, n. 3, Roma, E.R.I., luglio-settembre 1978, p. 363.
[22] I. Fonagy, op. cit., p. 104.
[23] Una registrazione nel 33 giri London, Balsam Flex Production, 1979.
[24] Cfr. M. D’Ambrosio, Against Argumentation: On Sound  Poetry, New York, 1979,pp. 72-77 (tr. it. in “Anterem”, n. 13, Verona, aprile 1980, pp. 40-41).
[25] A. Artaud, cit. in L. Caruso,Une profusion obsedante des signes, presentazione di Poesia sonora II, Incontri culturali  de La Nuova Italia, Napoli, maggio 1973.
[26] R. Barthes, Rasch, cit., p. 273.
[27] H. Chopin, La “Poésie sonore” sert à quoi?, in Poesia sonora, a  cura di L. Caruso e L. Marcheschi, Napoli, Schettini  Editore, 1975, p. 66.
[28]  R. Barthes, La musica, la voce, il linguaggio, cit.,  p. 366.
[29] Cfr. W. Flusser, Testo-immagine, riassunto della conferenza tenuta il 3 febbraio 1984 presso l’Institut Français di Napoli, dattiloscritto;  per gentile concessione dell’Istituto Italiano per li Studi Filosofici di Napoli, p. 7.
[30] Cfr. M. D’Ambrosio, La voce e la corpoesia, “Carte Segrete”, XV, n. 48/49, Roma, aprile-giugno 1981, pp. 18-25.
[31] Cfr. almeno H. Chopin, Poésie sonore internationale, Paris, Jean-Michel Place éditeur, 1979; Poésies sonores, sous la direction de V. Barras et N. Zurbrugg, Annecy,  Editions Contrechamps, 1992.
[32] Cfr. J. Derrida, op. cit..
[33] I primi testi creativi computerizzati, basati sul sistema linguistico verbale, sono stati generalmente distinti in formulari e derivativi; i primi prevedono le restrizioni dell’uso di un linguaggio mediante un programma, i secondi un testo compiuto come materiale di partenza
[34] P. Lansky, Six Fantasies on a Poem by Thomas Campion, New York, Composers Recordings, 1982.
[35] «Speech and song are commonly thought of as different and distinct … It is my feeling, however, that they are more usefully thought of as occupying opposite ends of a wide spectrum of musical potential» (P. Lansky, [Presentazione], in Six Fantasies on a Poem by Thomas Campion, cit.).
[36] Il computer utilizzato è un DDP224; il sistema di sintesi della voce una creazione di Joseph Olive.
[37] R.  Kostelanetz,  Text-Sound in North  America  since  1976: further notes, in ALC, p. 31-
[38] Ibidem.
[39]  Ch. Dodge, [intervento], in A Symposium on Text-Sound,  in  ALC, p. 151-152.
[40] In Italia, Piero A. Olmeda ha prodotto, presso il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova, dei testi poetici prima elaborati al computer. La voce  dell’autore è stata preliminarmente digitalizzata dal vivo e poi sintetizzata, in  modo  da poter liberamente variare il segnale originale e attivare una serie di effetti estranei all’apparato  laringo-faringeo. Cfr., di Olmeda, Computer poetry (“Testuale”, II, n. 3, Milano, giugno 1985, pp. 47-55) e “L’allegro Faust” ovvero la scienza e la poesia  contemporanea, in Poesia &, a cura di M.  Mori,  Firenze, ArciPoesia, 1986, pp. 21-28.
[41] Ch. Dodge, Synthesized voices, New York, Composer Recordings, 1976. La partitura nell’antologia Text-Sound Texts, edited by R. Kostelanetz, New York, William Morrow and Company, Inc., 1980, pp. 362-364.
[42] Cfr. Ch. Dodge, On speech songs, in Current Directions in Computer Music Research, edited by M. V. Mathews and J. R. Pierce, Cambridge/MA, MIT Press, 1989, pp. 9-17.
[43] Le registrazioni sono state poi inserite nel CD Any Resemblance is Purely Coincidental, San Francisco, New Albion Records, 1992. I testi provengono da The Sargeantville Notebook di Mark Strand. Le ultime due erano già nel LP, curato da Charles Amirkhanian, 10+2:12 American Text Sound Pieces, Berkeley/CA, 1750 ArchRecords, 1974.
[44] Cfr. la recensione di chi scrive a Aural Literature Criticism, edited  by R. Kostelanetz (Precisely: 10 11 12, New York  &  Edmonton,  1981):  “Dismisura”, XIII, n. 67/73, dicembre  1984, pp. 112-116.
[45] Scrive Kostelanetz: «Since neither aural literature or its criticism has a prescriptive tradition of   appropriates procedures, the following essays are no less various in style and approach   than  the  works  they  describe»  (ALC, pp. 7-8).
[46] H. Chopin, Poésie sonore internationale, cit.. Rimandiamo  in  proposito  alla  recensione di chi scrive  La  battaglia  contro la parola, “Tam Tam”,  n.  26, luglio 1981, pp. 12-13. Due articoli ospitati da ALC sono dedicati  al libro di Chopin: The Chopin Phenomenon, di  Nicholas Zurbrugg  (pp. 161-168) e Henri Chopin: The French  Connection,  di Claudia  Reeder  (pp.  169-182). Zurbrugg considera il libro di Chopin «an instant classic» (p. 162) che sottolinea compiutamente la «fascinating diversity of contemporary sound poetry» (p. 163). Si tratta del documento più importante tra quelli prodotti in prospettiva storico-critica sull’argomento, un’introduzione  indispensabile per gli studi successivi.  La Reeder  rimprovera a Chopin di  aver  eccessivamente enfatizzato  il  contributo offerto dagli  autori francesi alla nascita e allo sviluppo della Poesia sonora, accusandolo  di  esprimere un punto di vista strettamente personale  (p.  177). Inoltre, deplora che la ricerca sia stata impostata sulla base di criteri alquanto  eterogenei, da quello cronologico a quello geografico a quello stilistico. Ancora, la Reeder  afferma che «Chopin does not elaborate a conceptual framework within which to analyze  these and other artistic practices but instead uses  his points  of  reference  as ‘models’. A wide  variety  of  post 1950 artistic practices are described in terms of only these points of reference or presented in relation to them» (ibidem). In conclusione la Reeder non  può  però  non  riconoscere  il  grande valore dell’opera e in particolare che essa «suggests many directions for future research» (p. 179).
[47]Text-Sound  Texts, cit.. Cfr. la recensione di chi scrive apparsa in “Tam Tam” n. 29, giugno 1982, pp. 21-24.
[48] «A distinct art form with characteristics and traditions of its own» (R. Kostelanetz, Text-Sound: Further Notes, in ALC, p. 18).  In  questo intervento il curatore aggiorna al 1980  alcuni suoi  scritti precedenti sulla Poesia sonora,  registrando  nuove opere e nuovi autori e in particolare fornendo una rassegna delle opere presentate al Twelfth International Sound Poetry  Festival, svoltosi  a New York nell’aprile di quell’anno. Sulla manifestazione  cfr. la recensione di R. Ratner apparsa in “SoHo Weekly News” il 30 aprile 1980.
[49] Cfr. il cofanetto con tre CD: Burbank, RhinoRecords, 1990.
[50] R. Kostelanetz, A Symposium on Text-Sound. Charles Dodge, Bliem Kern, & Jackson Mac Low, moderated by Richard  Kostelanetz, in ALC, p. 145.  Kostelanetz abitualmente  sorvola  sui  problemi relativi alla sintassi e alla semantica del linguaggio  musicale, investigati  in  una letteratura critico-teorica che non  trova riscontri  nei  suoi scritti. Ma in proposito cfr. almeno  J.  J. Nattiez, Fondements d’une sémiologie de la musique, Paris, 10/18, 1975 (in particolare  il capitolo Les méthodes de  la  sémantique musicale,  pp. 157-193); Problemi di semantica  musicale,  numero monografico di  “VS”, n. 13, Milano, Bompiani,  1976  (contiene anche, alle pp. 97-113, un’utile bibliografa sulla semiotica musicale, a cura di J. J. Nattiez); I. Stoianova, Geste  Texte  Musique, Paris, 10/18, 1978.
[51] Cit. da R. Kostelanetz in ALC, p. 17.
[52] Ibidem.
[53] Ivi, p. 18.
[54] Ivi, p. 13.
[55] Ivi, pp. 49-60.
[56] Ivi, p. 49.
[57] Ibidem.
[58] J. Rothemberg, Horse Songs, New York,  New Wilderness Foundation, 1977 (audiocassetta).
[59] Ch. Morgenstern, Galgenlieder, Audio Media Digital, 1914.
[60] CFr. i testi in L. Forte, La poesia dadaista tedesca, Torino, Giulio Einaudi editore, 1976, pp. 142-151.
[61] Cfr. almeno l’edizione francese di LidantiuHaram, Paris, Allia, 1995.
[62] ALC, p. 52.
[63] Ibidem.
[64]  L’opera di Artaud,  registrata nel quarto disco  di  Futura. Antologia  storico-critica della poesia sonora (a cura di Lora Totino, Milano, Cramps Records, 1978), è anche su 33 giri: La Manifacture et I.N.A., 1986.
[65] ALC, p. 53.
[66] N. Zurbrugg considera i Crirhythmes di Dufene una sorta di «abstract ‘action poetry’ offering the sonic  equivalent  of Jackson Pollock’s painting» (ALC, p. 65).
[67] Cfr. almeno le due edizioni degli Audiopoems: London, Tangent, 1971;Verona-Napoli, Edizioni Lotta Poetica & Studio Morra, s.d..
[68] ALC, p.  69. Tra i poeti sonori svedesi ricordiamo almeno  Lars-Gunnar Bodin, Sten Hanson,  AkeHodell, BengtEmil Johnson ellmarLaaban.Cfr. ancheil LP 33 giri antologicoText–Sound Festivals – 10 Years,  Stockholm, Fylkingen records, 1977.
[69] Sull’argomento resta insuperato il volume di J. P. Curtay La poésie lettriste, Paris, Seghers, 1974. Ma cfr. anche i più recenti M. Bandini, Per una storia del Lettrismo, Gavorrano, Traccedizioni, 2005; B. Girard, Lettrisme – L’ultime avant-garde, Lassay-les-Châteaux, les presses du réel, 2010; A. Scuro, Il Lettrismo, Bolsena, Massari editore, 2014.
[70] ALC, pp. 13-14.
[71] Ivi, p. 13.
[72] Secondo Hanson esse sono, evidentemente, la stessa cosa.
[73] ALC, p. 13.
[74] Cfr. almeno le opere di Chopin raccolte nei 4 CD del cofanetto OU Sound poetry. An anthology (Alga Marghen, 2002):  Sol Air; Chant du Corps; Le ventre de Bertini; Vibrespace; L’energie du sommeil; Indicatif 1 e La Fusée interplanétaire  (Audiopoèmes);  Le Rire est Debout; Le soleil est mécanique; Les Manibulesdu “Déjeuner sur l’Herbe”; Mes Bronches; 2500, les Grenouilles d’Aristophane.
[75] ALC, p. 14.
[76] S. Scobie,  Realism and its Discontents: The  Question  of Abstraction in Literature, ivi, p. 39.
[77] Ibidem.
[78] Ibidem.
[79] Ivi, p. 41.
[80] Ibidem.
[81] Ibidem.
[82] Ivi, p. 42.
[83] Cfr. la sua raccolta Asymmetries 1-260 (New York, Printed Editions, 1980) e, in particolare, l’introduzione: Methods for Reading and Performing Asymmetries 1-260, pp. xiii-ixx (ma xix).
[84] Cfr. almeno Mureau Tonband Dusseldorf-Munchen,  S Press,  1972; audiocassetta) e la raccolta Empty Words,  Middletown, Wesleyan University Press,  1981.
[85] ALC, p. 43.
[86] Ibidem.
[87] Ivi,p. 44.
[88] Ibidem.
[89] Ibidem.
[90] Ibidem.
[91] Cfr. K. Gaburo, Lingua II: Maledetto, New York, Composers Recordings, 1974.
[92] ALC, p. 42.
[93] J. F. Keppler, Repetition in Aural Literature, ivi, pp. 81-86.
[94] Ivi, p. 86.
[95] È questa l’opinione espressa anche da Kostelanetz; cfr. ALC, p. 24.
[96] Ivi, p. 81.
[97] Ivi, p. 82.
[98] Ibidem.
[99] Ibidem. Just di Amirkhanian (1972) è nel disco antologico  10+2:12. American Text Sound Pieces, cit..
[100] ALC, p. 45.
[101] Ibidem.
[102] Ibidem.
[103] Ivi, p. 5.
[104] Ivi, p. 123.
[105] Ivi, p. 111.
[106] Ibidem.
[107] Ibidem.
[108] Ibidem.
[109] Ibidem.
[110] Ivi, p. 113.
[111] Ibidem.
[112] Ivi, p. 114.
[113] Ivi, p. 115.
[114] Ivi, p. 116.
[115] Ivi, p. 119.
[116] lvi, p. 114.
[117] Cfr. Il suo LP 33 giri Word Music!, New York, CMS Records, 1971.
[118] T. Lurie, Word Music, in ALC, pp. 127-141.
[119] Ivi, p. 133.
[120] Ivi, p. 141.
[121] Ivi, p. 62.
[122] Ivi, pp. 61-74.
[123] Ivi, pp. 62-63.
[124] Ivi, p. 68.
[125] Esistono alcune registrazioni di  testi  dadaisti letti dagli autori; cfr. ad esempio, di Raoul Hausmann, Bbbb (in “OU”,  n. 26/27, 1966) Soundrel e Conversation imagé avec les lettristes (in Futura, cit., disco n. 3).
[126] ALC, p. 70.
[127] S. Beckett, All  That Fall; Embers (entrambi London, 1959) e Lessness (London, 1969).  Beckett  ha  definito la prima opera  «a specifically  radio  play or rather radio text  for  voices,  not bodies»,  aggiungendo: «I have already refused to have  it  staged and I cannot think of it in such terms» (cit. in ALC, p. 61).
[128] Per le ricerche di Brion Gysin cfr. I suoi dischi Steve  Lacy  /  Brion Gysin: Songs e Brion Gysin:  Orgy  Boys, rispettivamente  New  York  e  Therwil,  Hat  Hut  Records,  1981 e 1982, nonché la cassetta The Brion Gysin Show  –  “Where  Is That Word?”, Düsseldorf-Munchen, S Press Tonbandverlag, 1975.
[129]Cfr. almeno i suoi 33 giri Lexical Music (Berkeley, 1750 Arch Records,  1979) e Mental Radio, New York, Composers Recordings, 1985.
[130] ALC, p. 67.
[131] Ibidem. Zurbrugg si riferisce evidentemente alle ricerche  di Burroughs raccolte nel disco Nothing Here Now but the Recordings, Industrial Records, 1981.
[132] Gli Audiopoems di Henri Chopin, che possiedono «superimposing several  levels  of … fragmented words, and vocalic  and   nonvocalic noises into dense sonic textures with much in common with electronic  music»  (ALC, p. 69), sono stati raccolti nel secondo  disco cit..
[133] Questo testo,del 1945, è stato riprodotto in I.  Isou,  Introduction  une nouvelle poésie et  une  nouvelle  musique, Paris, Gallimard, 1947. Cfr. Dello stesso autore il 33 giri Poèmes Lettristes 1944-1999, Alga Marghen, 1999.
[134] Tra il 1964 e il 1973 i fascicoli di “OU”, rivista diretta  da  H. Chopin,  dal  nn. 20/21 al 42/44 sono stati  accompagnati  da un disco antologico.
[135]  Di “Black Box” cfr. almeno l’antologia  di Poesia  sonora  dal  titolo Breathingspace/77, curata  da John Wellman (n. 15, 1978).
[136] Cfr. il 33 giri Disconnected: The Dial–A–Poem  Poets, New York, Giorno Poetry Systems, 1974.
[137] ALC, p. 71.