Pensiero e materia trovano sempre corrispondenze e relazioni quando interviene un riconoscimento che emerge da una conoscenza sensitiva
di Giuseppe Siano
Chiediamoci innanzitutto come potremmo definire oggi la locuzione “bene culturale”.
Con estrema sintesi, nel 1972, dopo che Cesare Brandi ebbe pubblicato la Carta del restauro, un bene culturale poteva riguardare in generale qualsiasi opera umana d’interesse storico, artistico, architettonico e archeologico. Nel 1992 fu sancita per legge l’estensione del campo dei beni culturali anche alle piazze d’interesse storico, agli antichi laboratori artigiani, ai beni paesaggistici e naturali. E fu aggiunto che «qualsiasi produzione umana trascorsi i 50 anni» poteva rientrare nella «conservazione del Bene culturale».
Il campo del bene culturale è ampio, quindi.
È evidente, inoltre, che l’opera d’arte va conservata oltre che come produzione umana dal valore artistico, anche come appartenente alla più ampia categoria di “bene culturale”. Pertanto se a un’opera d’arte non fosse attribuito subito “il valore” artistico, potrebbe essere trasmessa ai posteri come patrimonio dell’organizzazione umana; e poi un giorno potrebbe esserle conferito anche quel suo intrinseco valore artistico precedentemente misconosciuto.
La conservazione del passaggio nel tempo delle opere e di modelli prodotti da un insediamento umano è oggi indiscussa; altra questione è il “tipo” di riconoscimento da attribuire alle produzioni umane.
Il “bene culturale” dà un riconoscimento più ampio alle stesse, mentre il “bene artistico” ha una caratterizzazione più specifica e relativa.
Si potrebbe affermare, in generale, che il primo rientra nella più ampia categoria delle produzioni umane o dei siti paesaggistici, mentre il secondo ha in aggiunta anche altri canoni di pensiero sensitivo di riconoscimento.
Comunque, entrambi rientrano nell’ambito dell’azione di “riconoscimento” della cultura e della evoluzione sociale e civile prodotte dagli umani.
Per questo motivo prima di affrontare l’argomento di come si conservi un’opera d’arte o un bene culturale, va ancora precisato quali siano gli ordini di riferimento, o i modelli.
Sia l’opera d’arte e sia il bene culturale, per essere considerati tali, per prima cosa hanno bisogno di qualcuno che ne riconosca il valore.
Questo qualcuno dovrebbe essere un conoscitore degli eventi, dei segni e degli elementi storici principali delle culture che li hanno prodotti, tramandato leggende o storie, costumi e modelli di relazioni sociali, che sono stati veicolati con la testimonianza o con la conoscenza, e a volte ancora emergenti nei rapporti interindividuali.
Si stabilirono, così, anche i canoni attraverso cui ricercare come si producesse negli umani, o si palesasse, il riconoscimento.
I critici d’arte e i cultori di estetica del Novecento concordarono che per un atto di riconoscimento dovessero essere presenti in modo palese due elementi comuni alla produzione umana. Gli elementi su cui si fonda ogni riconoscimento sono: la materia e il pensiero. Quei critici convennero, perciò, che il riconoscimento di una produzione umana avvenisse attraverso un’analisi del pensiero e della materia di cui è composto di solito ogni bene culturale o anche più specificamente una produzione artistica. (Ovviamente ciò vale meno ad esempio per i supporti su cui sono duplicate e trasmesse le opere di poesia, di canto, di musica, di scrittura romanzata, o di opere d’arte similari. Questo tipo di opere hanno bisogno meno della materia e più della percezione e dell’immaginazione — o del pensiero rappresentativo in generale — del fruitore, a meno che non siano opere originali che sono state vergate dall’autore; quando, cioè l’opera e il tempo storico, o l’ambiente evocano il momento in cui l’umano lasciava la traccia storica, e il sentire estetico si manifestava come composizione).
Con questi elementi teoretici che riguardano il riconoscimento di un’opera d’arte o di un bene culturale, affrontiamo l’argomento di una produzione umana unica, non duplicabile, in quanto fabbrica che rimanda a un ambiente percettivo-sensitivo del passato, che giunge a noi, e che dovremmo tramandarlo ai nostri posteri con meno interventi possibili.
Partiamo dal presupposto che ogni opera d’arte nasce, si trasforma e poi è destinata a finire, proprio come gli uomini e le loro opere, o come un giorno avverrà anche per il nostro pianeta.
Eliminiamo qui l’argomento delle opere d’arte visive delle tele e delle tavole, che molte Soprintendenze italiane del sud Italia pretendono vadano ristrutturate secondo una tabella prezzi non aggiornata, e risalente al 2006-2007.
Tralasciamo anche l’argomento delle immagini dipinte, insieme ad un annoso problema conosciuto da pochi: spesso delle opere sono entrate nei laboratori di restauro con l’attribuzione certificata da documenti a un autore, e quando ne sono uscite altri storici dell’arte hanno assegnato lo stesso dipinto, ad altri artefici.
Un evento non secondario che può accadere durante la vita di un’opera d’arte, è che si possa verificare un’alterazione della sua materia. Ciò può accadere fin dal momento successivo alla sua ideazione e realizzazione. Ecco perché a uno storico dell’arte si richiede una costante di diligenza e di prudenza prima di esprimere un giudizio.
Egli dovrebbe sempre rammentare che un bravo professionista deve avere più d’un dubbio nel mentre determina le sue valutazioni; in quanto dobbiamo tener conto di questa variabile che potrebbe confondere anche lo storico dell’arte più attento.
Questa variabile va considerata sempre.
Reportage (a cura di Antonio Gasbarrini)
Spesso è attribuibile a eventi che riguardano l’irreversibile trasformazione dell’opera, come nel suo lento deteriorasi durante il passare del tempo; ad esempio a causa di agenti fisici, atmosferici o di interventi di restauri commissionati dai proprietari dell’opera per la conservazione o l’adeguamento della stessa a un gusto recente, come spesso è avvenuto in epoche storiche antecedenti al 1970.
Ecco perché si è solito affermare che, in generale, l’analisi della materia dovrebbe raccontare nella sua costituzione e nella sua immagine, non solo il passaggio nel tempo della produzione umana — o la varietà costitutiva della natura compositiva degli elementi paesaggistici, dei siti storici, delle botteghe artigiane etc., — ma anche il modello di pensiero che esso ispira.
Vi è perciò una stretta correlazione tra il tipo di composizione formale iscritto nella materia, e il pensiero che ha indotto l’uomo ad organizzare quel prodotto secondo alcuni canoni e non altri.
Pensiero e materia comunque trovano sempre corrispondenze e relazioni, specie quando interviene un riconoscimento che si fa emergere da una conoscenza sensitiva.
È questo il motivo per cui si ritiene che qualsiasi produzione umana, e in particolare le opere d’arte, debbano essere sempre riconosciute sia attraverso la forma che ci è stata tramandata, e sia per mezzo di quel pensiero corrispondente che è rilevabile ed è emergente da una specifica organizzazione della materia.
Quando affermiamo che vi è una correlazione tra un’organizzazione del pensiero e la materia, riconosciamo anche quel modello ideale che ispira — o ha ispirato, — un determinato modo di organizzare la vita, le relazioni sociali e il pensiero, oggi come nel nostro passato.
Comprendere ciò ci permette di intendere in che modo il sentire umano abbia radice nei modelli di conoscenza sensitiva. Secondo Baumgarten la conoscenza sensitiva emergeva nell’uomo come appartenente a una metafisica minore; e fu proprio ciò che egli scrisse nel 1750, nel suo testo con cui aprì il dibattito sull’Estetica (e sull’arte) moderna.
Grazie a questo autore l’arte acquisì anche lo statuto del riconoscimento, sia di una metafisica minore che della conoscenza sensitiva.
Storia, cultura, relazioni sociali, costume, comparati dalla percezione e emergenti dalla conoscenza sensitiva — dopo quel testo di Estetica — concorsero a ravvivare e ad allargare il dibattito sull’“artisticità” di un’opera d’arte. Di recente, poi, la discussione ha allargato l’interesse a tutte le produzioni umane, anche per la corretta conservazione del bene culturale, almeno con l’azione della rappresentazione del modo in cui la conoscenza dei modelli ha influito sugli eventi, sulle qualità di rapporti e sulle forme fino a modificare le relazioni umane.
Il racconto emergente, ad esempio, dalla qualità della pittura, dall’armonia della forma, dalle luminescenze distribuite sul quadro o dalla materia costitutiva dell’opera, da quel fatidico 1750 fu comparato anche al modello di percezione e di conoscenza sensitiva (— alias metafisica minor —) il cui effetto percettivo e di conoscenza sensitiva si trasmetteva ed era rilevabile nel tipo di modello scelto dall’artista per la sua rappresentazione.
Questo intreccio di relazioni ha permesso nel corso dei secoli a un fruitore di rappresentare, o illudersi di percepire, o di risalire attraverso l’ambiente evocato dalla propria cognizione del passato, un mondo di relazioni ormai scomparso. Sarebbe questo il procedimento che s’innesca ogni volta che le persone visitano i luoghi museali dove sono conservati i “beni culturali” o “artistici”.
Per questo alcuni sostengono che le produzioni umane antiche o i siti storici o naturali diventano “vivi” ogni volta che noi li utilizziamo per ricostruire una propria — singolare — mappa delle credenze, delle supposizioni, delle superstizioni o delle suggestioni prodotte (o evocate, o emergenti) dalla nostra conoscenza sensitiva.
Gli elementi più sono ordinati secondo una serie o una sequenza di eventi artistici, e più appaiono come emergenti da una realistica ricostruzione storica e ideale del passato; specie se essi entrano in contatto con elementi filosofici, di conoscenza delle produzioni delle forme in generale, e di relazione delle organizzazioni socio-culturali.
Il riconoscere che vi concorrano elementi filosofici o artistici nella storia della percezione delle forme — sia se sono riscontrabili iscritti nella materia di un’opera d’arte o nell’analisi di un bene culturale, o anche nel racconto della vita quotidiana — fa supporre che qualsiasi procedimento conoscitivo abbia una parte che sia di natura estetica.
Non a caso, abbiamo voluto ricordare, che dopo la nascita dell’Estetica moderna (Alexander Gottlieb Baumbgarten Aesthetica 1750) il procedimento di conoscenza e trasmissione del sapere rende palese sempre che vi è una parte in cui è coinvolto il “sentire”, o meglio l’estetica intesa come pensiero sensitivo.
Per questo motivo si può poi affermare, in sintesi con Brandi (specie nella citata Carta del restauro 1972), che il riconoscimento abbia il proprio fondamento in un pensiero sensitivo, che si rileva dalla materia e induce a produrre relazioni tra le forme e le modalità del sentire e dell’organizzare la vita degli uomini attraverso un collegamento ideale o immaginifico che coinvolge il racconto di una rappresentazione, o le altre facoltà umana sensoriali legate al rappresentare.
Quando si analizza perciò un’opera d’arte, o si fa esperienza di un bene culturale, abbiamo bisogno di comprendere, o meglio “riconoscere” attraverso il bagaglio di conoscenze sensitive, un modello ideale iscritto nella materia.
Ed è per questo motivo che osservando un “oggetto artistico” o “culturale” diventano importanti gli strumenti evocativi prodotti da una scelta di elementi storici, filosofici, religiosi, ambientali, materiali, che includano anche una visione critico-culturale.
L’evocare un pensiero sensitivo oggi permette di riprodurre e trasmettere la visione di una probabile esperienza riferita a una conoscenza sensitiva o estetica; e in questo consiste e si rafforza l’azione del riconoscimento.
Senza una tipologia di riconoscimento percettivo e di emergenza di un pensiero sensitivo l’opera d’arte o il bene culturale sono contenitori di fatti e di eventi senza “valore” per i fruitori.
Bisogna, perciò, che le persone esercitino in modo cosciente l’azione di riconoscimento della materia e del pensiero attraverso l’emergenza dei pensieri sensitivi che colleghino gli eventi a una storia ed a uno o più giudizi valutativi.
È questa la tecnica che si può sviluppare con la conoscenza delle cose, dei fatti storici, della evoluzione umana e del pensiero, insieme alla frequentazione di oggetti d’arte e di beni culturali.
In conclusione, gli uomini nella trasmissione delle proprie narrazioni comunicative, si avvalgono sempre di pensieri sensitivi; però solo alcuni raccolgono la propria esperienza secondo un ordine e un percorso storico-culturale.
Pochi intrecciano un racconto di riconoscimento culturale tale da includere nella propria esperienza sensitiva umana anche le altre esperienze di pensiero riconoscendone la varietà nella materia formativa (o costituiva) delle opere d’arte e dei beni culturali.
Il riconoscimento di queste varietà di esperienze avviene sempre per l’emergenza dall’opera di una rappresentazione storica unitaria legata a un pensiero sensitivo o estetico.
Le indagini condotte sia sulla materia e sia sul pensiero rappresentato, per questo motivo, per Brandi, vanno sempre confrontate, coordinate e intrecciate a un’esperienza unitaria, la quale implica una conoscenza sensitiva interrelata.
Affrontiamo ora un caso specifico. Tracciamo le linee guida per un ideale intervento di restauro o per una ristrutturazione di ambienti. Procediamo sensitivamente nell’analisi di una fabbrica che vediamo per la prima volta, e segniamo le linee guida attraverso cui dovrebbe essere rispettata la materia architettonica di un palazzo o di una chiesa, o di un muro, o di una fabbrica antica, in modo da facilitare l’emergenza di una conoscenza sensitiva per la sua conservazione ai posteri.
Per prima cosa dovremmo analizzare la materia e la sua corrispondenza con un pensiero che emerge dalla composizione formale o dalla fabbrica. Da questo confronto s’impone all’osservatore un modello di pensiero artistico e di sentire le relazioni iscritto nella materia. Il modello che emerge, oltre a rivelare una interpretazione artistica di un determinato periodo storico, traccia una relazione tra quello che si percepisce e il pensiero allora dominante nelle relazioni individuali e sociali. Contestualmente il fruitore di un’opera d’arte o di un bene culturale s’interroga anche sul tipo d’intervento che dovrebbe scegliere per aver riguardo sia della materia costitutiva della costruzione, e sia dell’immagine storico-artistica degli ambienti architettonici della fabbrica storica, o di un muro.
Dal momento che di recente il nostro patrimonio architettonico è stato grandemente ferito (mi riferisco ai vari terremoti che ultimamente hanno colpito l’Italia centrale, dopo aver fatto già nel 2009 quasi tabula rasa dell’intera città dell’Aquila) potremmo avanzare una serie di critiche al tipo di intervento conservativo che è stato prodotto nel corso di questi ultimi cinquant’anni, proprio analizzando la materia che è stata utilizzata per la conservazione delle fabbriche. (Fine I parte).
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