La stessa filosofia maggiore o filosofia della parola, di cui l’estetica moderna è stata all’origine ancella, non traccia più una visione o un’aspirazione all’universale valida immediatamente per tutti. Oggi viviamo nell’universo costituito da singolarità
di Giuseppe Siano
Un nuovo automatismo eidomatico s’impone. [Uso questo termine nel senso attribuito da Giovanni Anceschi al design eidomatico. Egli fa risalire il termine eidomatico a una sorta di automatismo di un’idea-apparenza «che lavora per i media. E qualora il termine eidos, con il suo, abbagliante doppio senso di “apparenza” e “idea” a qualcuno non fosse gradito, si può far ricorso […] al più neutro visual design informatico […]. Design eidomatico, insomma, inteso come la disciplina e soprattutto come l’attività di progettazione di particolari artefatti, o di parti di essi, e cioè di quei prodotti comunicativi che circolano nei nuovi media audiovisivi (siano essi interattivi o no), e nei mass media». Giovanni Anceschi, Design eidomatico, sta in: (a cura di) Agata Piromallo e Alberto Abruzzese, AA. VV., Videoculture di fine secolo, Napoli, Liguori, 1989, p. 195].
Qui utilizzo la locuzione automatismo eidomatico per segnalare che l’esperienza attuale emerge da quei nuovi modelli comportamentali che sono parte integrante delle “nuove” strutture comunicative cinetiche utilizzate dalla società dello spettacolo, o, dai mass media visuali.
6. La modificazione del racconto nella “cultura di massa”
Le strutture comunicative cinetiche hanno posto le basi e sviluppato oggi un nuovo modello che permette di fare esperienza attraverso la configurazione di relazioni con l’informazione. Ogni storia narrata è trasformabile in elementi analizzabili con uno psicodramma analitico di derivazione junghiana ma anche freudiana, o anche vagliati analizzando il tipo di ambiente da cui il racconto emerge secondo le regole del drammaterapia o del Playback Theatre.
In effetti, con i giornali e coi rotocalchi tutti hanno potuto accedere ai nuovi miti moderni almeno una volta — anche se per un attimo —. Questi miti sono stati assunti come modelli o hanno ispirato fantasie nella vita di una singolarità [o osservatore], ma che può diventare un consumatore per la società di massa, o uno spettatore per la società dello spettacolo.
La cinematografia ha promosso e divulgato i miti moderni, in cui la vita dell’attore e quella dei personaggi interpretati nel cinema o in teatro o in televisione s’intrecciano.
Molti critici hanno iniziato a scrivere che l’esperienza cinetica delle immagini in movimento ha avuto un potere di seduzione e di mimetismo maggiore, rispetto ai media della rappresentazione e delle immagini fissamente universali del passato. I miti moderni sono stati esaltati e alcuni sono crollati per scelta del pubblico. Con la cultura di massa è il vasto pubblico, raggiunto dai media — giornali, cinema, televisione — a tributare il successo al divo. Ed è sempre il pubblico che fa perdere la popolarità o la fama ai divi; basta che i fini e gli obbiettivi proposti alle singolarità umane non siano più graditi al loro orizzonte estetico. Con l’appartenere al mondo dei divi cresce la fama degli attori, e si ripresenta di nuovo il riconoscimento del pubblico e del successo letterario per la presenza di un orizzonte estetico. Nello svolgimento della storia il divo rende palese e toccante al pubblico sia la sfera della cognitività (attribuibile all’assunzione di una serie di modelli di comportamenti e di conoscenze), sia quella della sensitività (come riconoscimento percettivo del simbolico in azione) e, ancora, il mondo dei fini (in che modo e attraverso quali peripezie si raggiunge uno scopo in quell’ambiente di relazioni umane). Esauritosi il fenomeno dei grandi divi universalmente riconosciuti, oggi i personaggi cinematografici o televisivi o in internet raggiungono al massimo la popolarità.
In questo modo, la scienza della conoscenza sensitiva fu rilevata anche nelle relazioni e nelle cognizioni umane che emergevano dai vari ambienti. Possiamo dire che questo insieme di nuovi miti popolari ha divulgato anche emergenti modelli di comportamento, provenienti innanzitutto dall’immaginario cinematografico e da quello televisivo.
Da molti anni si dibatte anche sulla fine, in filosofia, di quella entusiasmante ricerca con il verbo della conoscenza, o di quella duplice visione — con la dialettica o senza la dialettica — che separa il mondo della verità e quello della rappresentazione; nonostante che con la filosofia dell’esperienza da quasi un secolo sia emerso un nuovo modello che si fonda sulle decisioni e sulle scelte di direzione. Comunque l’ingresso dell’esperienza nella rappresentazione estetica attraverso la scienza della conoscenza sensitiva, ha segnato l’emergere di quelli che ho qui indicato come “nuovi modelli di racconto”, che si sono meglio radicati e sono diventati ancora più espliciti attraverso il nuovo linguaggio degli stimoli energetici.
Per questo motivo, ripeto, la stessa filosofia maggiore o filosofia della parola, di cui l’estetica moderna è stata all’origine ancella, non traccia più una visione o un’aspirazione all’universale valida immediatamente per tutti. Oggi viviamo nell’universo costituito da singolarità. La filosofia (o metafisica) maggiore si manifesta solo quando diventa lo strumento utile adoperato per raggiungere un fine. Si manifesta come un’emergenza improvvisa, e si palesa solo quando le singolarità prendono decisioni sedotte da questa o quella direzione indicata da questa o quella immagine, da questo o quel calcolo, da questa o quella parola di un oratore. Il mondo dei fini entra nella filosofia contemporanea (insieme all’ambiente relazionale e ai sistemi energetici) per tracciare un percorso utile sia al raggiungimento di un proprio compiacimento cognitivo, e sia alla costruzione di alcune relazioni momentanee da parte delle singolarità.
L’Estetica moderna nel corso del tempo ha visto modificare spesso il suo statuto nella formulazione di cosa si debba intendere come scienza della conoscenza sensitiva. Fino ad apparire oggi, ad alcuni, come un “sentire” estetico; mentre ad altri ha dato la facoltà di poter porre in relazione ogni singolarità all’ambiente vitale e al luogo di osservazione assunto dal narratore (specie attraverso l’ecdotica allargata all’estetica delle cose). Ecco perché, assumendo nel discorso sull’Estetica contemporanea l’emergenza contestuale — della singolarità, dell’ambiente e dell’osservatore — si producono anche quei modelli di cognizione sovrapposti e interconnessi. Le narrazioni, secondo noi, seguono logiche autonome costituite da sensazioni, emozioni e cognizioni interconnesse da singolarità che sono state “colpite” dagli stimoli-eventi che loro hanno “sentito” fisicamente, e come agnizione — probabilmente — in un ambiente. In questo modo il contributo all’orientamento è dato dalle scelte di un indirizzo della singolarità e dal corso degli eventi condizionati dalle regole relazionali presenti in un ambiente. Non bisogna mai dimenticare, però, che qualsiasi regola è relativa al manifestarsi di un punto di osservazione connesso a un osservatore. Questo insieme determina l’emergenza di un evento. In effetti, alla luce di queste nuove teorie, la scienza della cognitività sensoriale si manifesterebbe quando in un osservatore si produce un calcolo che permette di rilevare una direzione diversa nello spostamento energetico di una freccia spazio-temporale. Quando ciò accade l’osservatore rileva che l’organizzazione di energie, e gli spostamenti di queste, modificano la sua mappa, e contestualmente anche la sua percezione riorganizza la cognizione e gli altri valori presenti nell’ambiente relazionale. Quando l’osservatore coglie delle alterazioni, o dei leggeri spostamenti nei rapporti tra singolarità colpite da impulsi-informazioni, può notare che vi sia stata modificazione dell’intera mappa relazionale in quell’ambiente. Noi sappiamo per certo, anche, che le mappe relazionali si modificano continuamente nel nostro universo in espansione.
Per questo motivo l’indagine sulla parola e sul rappresentare diventa sempre meno praticabile — in quanto nell’analisi si dovrebbe tener conto di molte più variabili — nell’estrinsecare il dramma di un fatto tragico che si produce in un ambiente. Spesso è accaduto quando degli artisti nel secolo scorso hanno iniziato una seria riflessione tra le arti visive della rappresentazione e quelle cinetiche della configurazione di relazioni.
Cito qui, come esempio, Fabio Mauri, artista editore e letterato eclettico quando nel 1957 realizza i primi “Schermi”. Queste opere sono una versione di pittura monocroma, la quale ispirava molti artisti di quel periodo che volevano andare oltre il rappresentare. In Mauri, però, il monocromo ha già la presenza del racconto cinematografico. Lo schermo per questo artista era diventato “la nuova forma simbolica” con cui l’uomo comunica nel mondo. Sullo schermo si proiettano immagini cinetiche; e per questo motivo la mente, l’opera d’arte rappresentativa e lo schermo cinematografico erano accomunati nella costruzione del nuovo immaginario artistico. Mauri indicò questa “verità” nella sua rappresentazione monocromatica, quando intese lo schermo quale produttore di modelli mentali cinetici, cinematografici o televisivi. Lo schermo fu considerato la struttura mentale da cui emergeva qualsiasi forma del rappresentare. In qualche modo egli si sentiva un mediatore tra l’immagine cinematografica e l’immagine rappresentata con la pittura. La relazione tra queste due immagini ha attraversato tutta sua l’opera. Egli notò che sia l’arte cinematografica e sia le produzioni rappresentate con le varie forme di arti visive si proiettano entrambe sugli “schermi” delle menti. Mauri va annoverato, per questo, anche tra i primi che intuirono che nel cinema, o nelle arti cinetiche in genere, ci sarebbe stato il prosieguo dell’arte della rappresentazione visiva. Da arte del “rappresentare”, il cinema diventa per l’artista l’arte del configurare relazioni che si articolano in una storia. La storia è narrata da un punto di vista. Gli eventi evolvono attraverso lo svolgimento dei tempi teatrali, di modelli temporali letterari e con la rappresentazione visiva. Con le espressioni egli include anche la presenza dell’ideologia. L’evoluzione artistica di Mauri è conseguente. Nascono negli anni ’70, così, le sue prime performance, che lo portano a superare lo “statico” quadro appeso alla parete — che è ancora una rappresentazione — per l’azione relazionale con il pubblico, come “Che cosa è il fascismo”, “Ebrea”, “Gran Serata Futurista 1909 – 1939”. La sua fiction performativa diventa una complicità con gli spettatori, da cui emerge una rete complessa che coinvolge sensazioni ed emozioni che s’instaurano nelle relazioni tra artista e pubblico. In questo modo egli volle rappresentare l’idea che usciva dalla tela e diventava azione, e metteva in relazione le persone. I punti di vista dell’artista e degli spettatori, le varie esperienze e le cognizioni dovevano interagire e far emergere le direzioni scelte anche da tutte le altre singolarità presenti. Tutte le narrazioni delle singolarità partecipavano alla freccia spazio-temporale dello stesso evento. Ogni singolarità collocata in uno spazio-tempo coglie un aspetto dello stesso evento. In questo modo l’evento può modificarsi e trovare nello scambio ulteriori racconti e riflessioni, anche dopo qualche tempo, ogni volta che un osservatore ne è stimolato. L’arte è da Mauri intesa come arte relazionale. Si potrebbe oggi dire che scaturisca da un incontro relazionale tra una varietà di “schermi” e “schemi mentali” (o modelli). È così che nell’arte performativa l’artista trova la storia relazionale immediata col pubblico, senza mediazioni, come nella vita — proprio come avviene in uno psicodramma o in un drammaterapia.
Nel racconto cinematografico, invece, la storia è scandita già da scene sequenziali. Gli ambienti, i gesti, le inquadrature e le musiche insieme danno il pathos all’azione che coinvolge le emozioni. Il cinema ha costruito fin dalla nascita i propri tempi musicali che si accordano a quelli dinamici delle azioni, ai dialoghi o monologhi delle scene — della storia narrata insomma. Nel tempo sono state trovate corrispondenze emozionali e cognitive tra alcuni modelli di timbro sonoro e la direzione che prende l’azione. Tutto, sullo schermo — luogo di un’emergenza spazio-temporale da cui si irradino gli eventi, — si combina e rivela come i messaggi indichino una varietà di direzione agli osservatori. Ognuno di questi osservatori sceglie col proprio modello — o punto di vista — di seguire una freccia evolutiva spazio-temporale. In questo modo si manifesta un qualsiasi modello assunto o nei linguaggi emozionali o nelle direzioni energetiche — con cui la singolarità dà poi una struttura all’unità dell’azione. Suono e visione dinamica nel cinema sono interconnessi. Non a caso si dà grande valore alla colonna sonora di un film, ma anche di un documentario o di un reportage. Trovare delle giuste corrispondenze tra parole, immagini, suoni e musiche è importante nel racconto cinematografico. Un film può utilizzare musiche antiche, contemporanee, tribali o addirittura includere sonorità costruite al computer nell’accompagnare la visione di un racconto cinetico. Qualsiasi sonorità, se ben impiegata, può specificare meglio la scelta di una tipologia d’inquadratura visiva, che spesso a sua volta occorre per sottolineare un motto o un dialogo utili a sciogliere o illuminare dei punti nodali importanti alle singolarità (o spettatori) durante lo svolgimento della storia. Tutta la musica della cinematografia è determinata da melodie, armonie, concordanze o distonie, disarmonie, ritmi … che concorrono a determinare il tipo di frequenza — o intensità — utilizzata nei vari messaggi sonoro-visivi. Sono le intensità delle frequenze e i luoghi di vicinanza o lontananza dallo spettatore che producono su di lui i messaggi emozionali e gli indicano una probabile direzione dello svolgersi degli eventi. All’inizio più ambigui sono i messaggi e molta più varietà di pubblico è attratto dal prosieguo della storia. Ogni atto o sequenza o inquadratura è utilizzata dal regista per mandare un messaggio, che stimoli meglio l’attenzione di una o più tipologie di pubblico. L’intreccio della storia di solito è composto da un incalzare di azioni, nelle quali si rispecchiano anche le varie tipologie dei personaggi. Spesso il regista usa i dialoghi, le inquadrature e le musiche quali agenti per provocare una riflessione-emozione nello spettatore. In altri film, più intimistici, il paesaggio rimane più o meno statico, mentre i pensieri scandiscono l’azione — o l’indecisione nell’agire — . In questo caso la staticità fisica del paesaggio è attraversata dall’effetto dinamico o mutevole o variabile dei pensieri. Fu il neorealismo cinematografico italiano che scoprì che qualsiasi episodio, specie popolare, poteva essere tradotto in una storia cinematografica. Durante la registrazione del film, il regista neorealista poteva intervenire indicando una sottile direzione alla cognizione delle singolarità. Spesso lo faceva per venire incontro ai gusti di un più grande pubblico, il quale poteva “sentire” come sullo schermo veniva messa in scena la propria vita. Gli attori erano “arruolati” senza aver mai fatto una scuola di recitazione; gente del popolo, quindi. C’era tra attori e narrazione di un evento popolare una maggiore condivisione d’informazioni perché i modelli di comportamento erano comuni. Diventava, così, più facile non solo riconoscere i personaggi quali depositari degli stessi meccanismi interpretativi e d’azione, ma anche al regista indicare una direzione.
Quando entrò in crisi il racconto tragico, o la storia comica, specie per l’affermarsi di nuovi modelli sociali emergenti anche dai conflitti amorosi, la cinematografia negli anni Sessanta del secolo scorso iniziò a produrre molti più remake o degli adattamenti delle storie dalla cinematografia alla televisione, specie in Italia. I film americani svilupparono e acquisirono anche una specificità strumentale e tecnologica; per questo motivo molti film divennero più coinvolgenti per la “spettacolarizzazione” della storia e per l’introduzione di tanti effetti speciali. Si disse che i gusti cinematografici del pubblico erano cambiati.
Dall’altra parte si cercavano nuove trame che appassionassero il pubblico. Ci fu, ad esempio, un prolificarsi del racconto con le indagini poliziesche alla Poirot, e poi la trasposizione della guerra fredda che trovò terreno fertile nei racconti di fantascienza delle “guerre stellari”, o con gli agenti segreti che operavano come spie sullo scacchiere internazionale. Questi altri generi di film rinnovarono l’immaginario in campo cinematografico, oltre ai sempre presenti filoni dei film storici o ispirati ad eventi di cronaca o di famosi gangsters.
Fatto innegabile è stata l’introduzione nell’analisi di nuovi tempi di narrazione che caratterizzarono il racconto tragico, e che provenivano dalla trasposizione sonoro-visiva cinematografica. Si cercava di attrarre l’attenzione dello spettatore non solo col racconto della storia, ma anche con effetti auditivi e con il coinvolgimento visivo nell’ambiente scenografico, con le prime cineprese che si muovevano nella scena della narrazione. Fu in quel periodo che si diede maggiore impulso agli studi di psicologia motivazionale e dell’attenzione. Si approfondirono gli elementi visivi e auditivi che potessero influenzare uno specifico settore del pubblico-consumatore. Si diede maggior valore ai modelli attraverso i quali inviare messaggi ad un pubblico con determinate caratteristiche per indurlo al consumo di alcuni prodotti che venivano pubblicizzati anche nei film. [Penso qui al sociologo Vance Packard, I persuasori occulti, Milano, il Saggiatore, 1968 e alla risposta italiana con Gian Paolo Cesarani, I persuasori disarmati, Bari, Laterza, 1975]. Si moltiplicarono gli studi su ciò che facesse colpo sul — o stimolasse in modo irriflesso (alias senza riflessione della coscienza) — il pubblico. Destarono molto interesse gli studi di psicologia motivazionale e dell’attenzione collegati alla sociologia e alla statistica. Il pubblico-consumatore era diventato il centro verso cui andava indirizzata l’informazione pubblicitaria. Dopo questi studi si rinnovò anche la scrittura del racconto cinematografico. Cambiarono i modi di presentare al pubblico i “valori” del melenso racconto amoroso, o del filone cinematografico costruito sull’eroe tragico; e non dimentichiamo il maggiore fascino “artistico” che iniziò a suscitare l’eroe negativo, che fino ad allora poteva essere solo un gangster o un malavitoso. In quei film l’eroe negativo era quasi sempre destinato alla sconfitta sociale o morale. Chi aiutò a mettere sotto altra luce l’eroe negativo fu anche il filone della filmografia emergente degli “spaghetti western all’italiana”, che vide in Sergio Leone il più alto rappresentante.
Non dimentichiamo che la storia cinematografica romanzata fino al dopoguerra era “cucinata” nelle varie salse. Vi era l’eroe dei tempi mitici, e quindi il film epico, per lo più con attori vestiti in peplum, ma vi erano anche quelli che duellavano e rendevano partecipe lo spettatore di una storia di cappa e spada; o dall’America venivano importati i modelli del genere western, con le nuove frontiere da esplorare o conquistare. Era il tempo in cui si producevano anche trasposizioni filmiche di racconti letterari famosi; e la narrazione filmica poteva proporre, sempre in costume, la vita e le opere di personaggi realmente esistiti nella storia. Vi erano, però, anche storie inventate più frivole, sapientemente costruite con canzoni e balletti contemporanei, il cui gradimento era già sperimentato prima con un successo d’incasso nei teatri della Broadway di Manhattan. Non mancavano i film che avessero come soggetto una storia religiosa, o quelli che ripercorrevano gli eventi biblici. A questi film andavano aggiunti quelle pellicole di ambientazione storica, ma di carattere biografico, o dei semplici documentari romanzati. Di altra ambientazione erano i film di guerra o di fantascienza.
Fin dalla nascita molti studiosi notarono che il cinema produceva dei modelli di comportamento, e gli attori che avevano acquisito molta fama erano considerati divi [cfr. Edgar Morin, I divi, Mondadori, Milano, 1968]. Gli attori divi, nonostante avessero abbandonato da poco l’ultimo personaggio interpretato sul set cinematografico, erano considerati modelli anche nella vita quotidiana; e per questo motivo erano seguiti dai rotocalchi che alimentavano il voyerismo del pubblico. L’uomo stava trapassando dal suo “stato” di “essere umano” a una “singolarità del genere evolutivo umano”. Tutte le storie, fantastiche o realmente vissute e tutti i ruoli dei personaggi interpretati divennero interconnessi per le singolarità. Le singolarità sono più attratte dalle azioni, dai modelli proposti in una storia, piuttosto che dalle teorie filosofiche o mistiche o religiose.
L’“uomo artistico”, dopo le avanguardie storiche e con la società capitalistica che si andava affermando, percepì il duro colpo inferto alle certezze linguistiche, filosofiche e sociali. Comprese che aveva già perduto il suo statuto di “essere un umano” e stava acquisendo lo statuto di “consumatore” di bisogni, di desideri e di beni.
Le performance nell’arte avevano la funzione di coinvolgere il pubblico su una riflessione di questi passaggi emotivi in cui la percezione sensoriale ne dettava le logiche.
Con la modificazione dello “statuto” percettivo e cognitivo la singolarità poteva scegliere — democraticamente — uno o più modelli di relazione rispetto alle altre singolarità della sua specie, senza doverne “giustificare” i motivi.
L’Estetica moderna, quale scienza della conoscenza sensitiva, iniziava così il lento ma inesorabile percorso di trasformazione in scienza della cognitività sensitiva. Questo processo è stato ultimato con la teoretica della neuroscienza estetica. La neuroscienza estetica non è solo una teorica, ma implica una trasformazione dei modelli comunicativi, di “percezione”, di “relazione”, di “cognizione”, di narrazione e “configurazione” delle relazioni umane.
Quello che noi oggi chiamiamo scienza della cognitività sensitiva implica una nuova forma di organizzazione, di percezione e di trasmissione del conoscere. Il procedimento può avvenire ad esempio attraverso la cognitività emersa con la “società della mente”, o con la “teoria dei grafi”, o attraverso la nuova esplorazione della fisica subatomica e cosmologica, etc., e, infine, diventa estetico il messaggio contenuto nello stimolo-informazione.
Le neuroscienze cognitive e comportamentali, infatti, rientrano oggi nella nuova organizzazione di imaging mentali. Queste sono, sia per contenuto e sia per formazione, qualcosa di diverso dalle immagini eidetiche universali tradizionali. La nuova Estetica moderna, fondata sulla cognitività, (credo che ormai sia chiaro) si presenta anche come una scienza che è determinata da nuovi parametri percettivi e cognitivi, la cui centralità è occupata da un osservatore-ricettore di uno stimolo-messaggio. Dall’insieme di queste e di altre relazioni emergono percorsi e cognizioni valide solo per uno specifico contesto e per le relative determinate scelte con cui si selezionano alcuni piani cognitivi in un qualsiasi ambiente analizzato.
Questo nuovo modello — attraverso cui si crede oggi emerga il sapere della cognizione e a cui ogni osservatore estetico accede — si manifesta quando un osservatore sperimenta il transito dalle informazioni recepite solo dall’universo della comunicazione verbale o della rappresentazione delle immagini fisse — (cioè di una scienza fisica e da una scienza metafisica tradizionale fondate sulle rappresentazioni delle idee, siano esse visive o evocate dalle parole) — a quello dell’informazione degli stimoli dinamici diretti verso un fine — (cioè di una fisica e di una metafisica dinamica fondate su nuovi modelli di osservazione che coinvolgono le informazioni energetiche recepite da dispositivi sensoriali posti fuori dal nostro corpo, come ad esempio le imaging dell’universo subatomico e del cosmo) —. Il nuovo modello cognitivo dell’informazione si avvale di messaggi che si percepiscono con dispositivi che traducono la velocità della luce, il calore, l’elettricità, etc., in “conoscenza estetica” [alias cognitività sensoriale]. Per questo motivo si afferma che la conoscenza estetica attuale è una cognitività formata da informazione ed energia. Essa [cognitività] emerge in un ambiente relazionale, e determina un modello di funzionamento in continua evoluzione; fino a quando una catastrofe non permette di rilevare il passaggio in un nuovo ambiente relazionale attraverso l’assunzione di un nuovo modello. Ogni attuale configurazione Estetica, o di scienza della cognitività sensoriale, è diretta verso un fine e permette di produrre la configurazione di un ambiente relazionale. Solo dopo un certo lasso di tempo saremo in grado anche di rappresentare il racconto secondo una soddisfacente analisi col superato sistema del linguaggio e delle parole, di una fisica e di una metafisica sempre meno rispondenti alle attuali conoscenze sulla nascita e sulla vita del cosmo. Da questo punto di vista il messaggio rilevato con la scienza della cognitività sensoriale è antecedente a quello rilevato con la scienza della conoscenza sensitiva. L’uno si trasmette con l’analisi dell’informazione quantica della luce, l’altro con la riflessione sulle parole e le immagini provenienti da organismi percepiti solo dai nostri sensi tradizionalmente limitati.
Per la fine di questo secolo, perciò, credo che saremo pronti ad abbandonare quasi del tutto il sistema di costruire messaggi col linguaggio rappresentato solo dalla parola scritta o declamata.
La superata Estetica della comunicazione, o della rappresentazione verbale o scritta, che ha avuto sviluppo per circa 24.000 secoli della nostra civiltà, ormai ha raggiunto gli estremi limiti della propria attuale evoluzione. Non si può andare oltre l’organizzazione di certi messaggi, specie quando affermiamo che “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” (Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus) e del mio modo di organizzare gli eventi.
Il linguaggio della parola o il riflettere con strutture di una materia divisa dall’energia, perciò, induce a pensare e ad agire ancora con la superata fisica e metafisica di conoscenze; dove ad esempio questi mondi “logici” sono considerati separati e non in interrelazione continua. In questo universo della conoscenza, la riflessione e la valutazione della parola innesca un procedimento del comunicare tra individui molto più lento e farraginoso, perché improntato sullo studio e sull’organizzazione del discorso tra un io e un tu. Diverso è l’attuale osservazione e lo studio di imaging fisiche ed energetiche; queste, ad esempio, attraverso dei dispositivi, si possono usare per analizzare le funzioni logiche e di ricezione degli organismi in un ambiente relazionale. Le imaging si costituiscono in linguaggio non appena si decide di osservare l’ambiente relazionale attraverso il medium prodotto dagli stimoli cognitivo-sensoriali dell’informazione. Non a caso, analizzare i messaggi con un linguaggio fondato sulla Teoria dell’informazione permette di ricavare dei modelli immediati di cognitività, con cui non solo si può accedere a un più ridotto margine di previsione di errore, ma anche si determinano quali saranno i limiti da superare affinché non vada in corto circuito un sistema di relazione costituito dalle diverse singolarità presenti in un ambiente.
Il passaggio dalla società di massa e dello spettacolo — o della radio, del telefono, del cinema e della televisione, per intenderci — alla società cablata o dell’informazione digitale segna quello che potremmo definire il passaggio definitivo al nuovo universo percettivo e cognitivo non più radicato sull’universo linguistico, ma emerso con l’analisi degli stimoli-informazioni.
Segnali di questo passaggio all’apprendimento e alla valutazione delle informazioni attraverso lo studio delle energie sono presenti ad esempio nei nuovi strumenti di analisi di cui si è dotato l’Osservatorio vesuviano. Sono questi dispositivi che permettono di registrare e monitorare gli spostamenti del magma nelle profondità del Vesuvio. L’attenzione che lo scienziato presta a queste sonde e sensori produttori d’informazioni è di notevole importanza; ma lo è anche il tipo di elaborazione prodotta dalle informazioni recepite da sensori applicati alle macchine di calcolo. Con queste attrezzature attualmente si cerca di prevedere con maggiore precisione una probabile o eventuale futura eruzione. Il Vesuvio nell’immaginario mondiale è quasi scomparso da settanta anni, anche se si è sempre in allerta per la presenza di una grande attività sotterranea del vulcano.
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L’esperienza dell’eruzione del Vesuvio è ormai sopita e quasi disattivata nei circuiti mentali dei settantenni umani. Quel tipo di esperienza si può ancora trovare negli ultimi testimoni ottantenni, o si può evocare con la lettura di documenti e testi letterari, o con le rappresentazioni visive presenti nei quadri, o nelle vecchie immagini di cartoline e di fotografie prima del 1944, o visionando i documenti cinematografici delle eruzioni, oppure da alcune ricostruzioni cinetiche presenti nei film — dove si ricostruisce un’eruzione del Vesuvio secondo il linguaggio delle fiction figurative cinetiche.
Ci sono altre esperienze generate da dispostivi esterni al corpo umano, come ad esempio quella del MAV (Museo Archeologico Virtuale) di Ercolano (Napoli). In questo museo, attraverso scenografie e installazioni d’immagini costruite con la realtà virtuale, si ripropone un viaggio nella storia dei luoghi della provincia di Napoli. Il visitatore può sperimentare, così, alcune nuove forme di “estetica immersiva”, che danno un imprintig sperimentale alla nuova esperienza dovuta alla configurazione d’informazione per mezzo della realtà virtuale. Il museo offre anche l’esperienza, sempre con realtà virtuale, di una ricostruzione dell’eruzione del Vesuvio. È solo una piccola simulazione di un’eruzione, ma può essere inclusa tra quelle nuove esperienze neuro-fisiologiche provenienti dalle informazioni energetiche che caratterizzano l’affermazione dell’uomo nuovo che si sta affermando nei primi anni del XXI secolo.
7. Approfondimento degli ultimi metodi di rilevamento cognitivo attraverso le info-energie per un’eventuale eruzione catastrofica del Vesuvio, con le prime nuove esperienze estetiche dell’ultima pellicola cinematografica in 3D e con la realtà virtuale del MAV. Catastrofe e catastrofi: il trionfo del configurare relazioni
Ho tralasciato l’interpretazione delle rappresentazioni visive sia del 1700 che quelle dei secoli successivi fino ad Andy Warhol e anche alle visioni antropologiche di sangue e carne che hanno trovato fortuna a Napoli con l’istituzione del Museo di Hermann Nitsch, ad opera della Fondazione Morra. In questo contesto ho più interesse a evidenziare come il racconto estetico moderno pervada sia la rappresentazione del poetico, che dell’artistico visivo o visuale. Il Vesuvio è preso a modello sia per la nascita della scienza della conoscenza sensitiva e del sentimento sublime. Inoltre può essere utilizzato per prevedere l’avvento della cognitività sensoriale con l’emergenza della percezione delle “catastrofi”.
Non a caso per la disciplina Estetica di oggi i modelli teoretici emergono insieme al modo con cui si organizza la percezione e la cognizione dell’ambiente vitale. Questo modello “del sentire” è molto simile all’osservazione di una struttura evoluzionista darwiniana studiata nel suo ambiente naturale. Ci volle George Kubler per teorizzare e trarre la storia dell’arte e la storia delle cose da un ambiente nel suo famoso testo La forma del tempo. La storia dell’arte e la storia delle cose [The Shape of Time: Remarks on the History of Things, 1962, ed. italiana 1976, con una Nota di Giovanni Previtali]. Nella Nota Previtali evidenzia proprio che l’interpretazione delle forme artistiche nel tempo si susseguono senza una continuità e uno sviluppo lineare. La storia dell’arte è una storia delle cose, che ha una relazione inseparabile con la storia della cultura materiale. Per Kubler la storia delle cose permette la comprensione delle tecniche che si sviluppano in un ambiente e consente di riunire le idee e le cose nella rubrica di “forme visive”. Oggetti di lavorazione, o utensili, concorrono alla produzione delle opere d’arte. Scienza e arte si occupano ambedue di certi bisogni umani che la mente e l’uomo faber — in quanto costruttore di arnesi e strumenti —soddisfano producendo cose. Kubler critica — dice Previtali — la nozione disinteressata dell’opera d’arte e dell’opera unica di Kant, costituendo una relazione inscindibile tra colui che produce cose utili e l’opera d’arte. In questo modo storia delle cose, storia delle idee e storia di produttori di cose utili concorrono alla costruzione delle forme visive in un ambiente storico.
L’Estetica, quando tratta i modelli di conoscenza sensitiva, si propone di solito — almeno dalla sua fondazione con Baumgarten — di raccontare connessioni con la teoretica e allo stesso tempo di dare norme, raccordando così vari tipi di narrazione che hanno come centro la visione dell’artista, l’esperienza, l’azione determinata da un punto di vista e la distanza dello sguardo assunto in un ambiente-relazione, concorrendo a costruire una mappa cognitiva di una metafisica, che è senza fede. Questo è avvenuto anche grazie allo studio dell’ecdotica, nella sua accezione più ampia e non solo relativa alla filologia di un testo letterario; cioè quando l’ecdotica non è mera filologia, ma è estesa anche al campo della formazione di un modello “visivo” “percettivo” e “cognitivo” prodotto in un determinato ambiente. In questo allargare i confini dell’ecdotica all’ambiente induce a intendere che la normativa estetica, nel momento in cui assume un modello relazionale, introduce sempre anche un modello di “visione”, di “percezione” e di “cognizione” e riferisce anche di una struttura fisico-filosofica.
L’Estetica, poiché va considerata sempre una metafisica minore applicabile agli oggetti e alle cose sensibili umane osservate da un punto di vista (Gilles Deleuze) e da un luogo, può far emergere nello stesso ambiente varie visioni relazionali in due o più osservatori che descrivono lo stesso evento. Per questo motivo, si deve convenire che nel corso del tempo se mutano le relazioni nell’ambiente, cambiano anche le organizzazioni e il modo di come si trasformano le esperienze degli uomini e delle cose. In effetti, i mutamenti che nel corso del tempo si producono nella scienza della conoscenza sensitiva hanno permesso di evidenziare tutta una serie di cambiamenti antropologici e cognitivi — mettendo in dubbio la struttura stessa dell’«essere» umani.
Non a caso ho insistito durante tutto il mio excursus sul Vesuvio sul fatto che la scienza della conoscenza sensitiva applicata all’arte rappresentativa sta per essere surclassata dai messaggi recepiti come informazioni dalla cognitività sensoriale dell’arte configurativa relazionale o cinetica.
L’assunto, che permette di misurare queste modificazioni attraverso il linguaggio degli stimoli energetici, ci ricorda anche che il cambiamento affiora con maggiore incidenza quando nel corso del tempo in un ambiente si osserva che: (1) emergono una serie di modelli che introducono delle variazioni nel flusso energetico che dovrebbe dirigere le azioni e portarle a compimento; (2) qualcosa di mutato c’è anche nell’interpretazione del sistema delle relazioni tra organismi o tra cose o nei media di trasmissione dei messaggi; (3) si verifica negli altri osservatori (o pubblico) anche un piccolo mutamento nel modo di esperire e valutare un racconto rispetto a quanto avveniva in precedenza.
La conoscenza monolitica o duale-oppositiva proveniente dalla rappresentazione del passato si è oggi frammentata in tante mappe cognitive, in cui predominano una o più modelli di reti relazionali. Nella sistemica delle reti si sa che ogni singolarità fa emergere un modello cognitivo diverso da quello di un’altra singolarità — anche se concordante —. Sarebbe come se la filosofia del Divenire di Eraclito e la filosofia dell’Essere di Parmenide fossero compresenti, ed emergessero contestualmente nell’evento, attraverso uno stimolo-informazione che genera una configurazione relazionale in un osservatore. La verità però non è più nella parola o nella conoscenza dei sensi, ma nell’emergenza di uno stimolo energetico che è allo stesso tempo cognizione spingendo, inoltre, verso una direzione.
Le arti della fotografia e del cinema, specie attraverso i reportage, contribuirono a dare un duro colpo al modello descrittivo e rappresentativo inteso sia come esperienza individuale che collettiva.
L’uomo con la filosofia pragmatica, con l’analisi delle nuove strategie psicologiche e dell’organizzazione sociale ha introdotto in un ambiente — anche con il proprio perseguire uno status symbol — sempre una visione, una percezione e una cognizione relative a quanto descritto oggi come evento catastrofico generato da una singolarità. Qui la catastrofe si presenta come il momento di passaggio da un modello di percezione-organizzazione cognitiva a un’altra. L’analisi dei comportamenti umani ha evidenziato, inoltre, che poiché i modelli sono scelti ed emergono contestualmente negli osservatori degli eventi, oltre alla descrizione si determina, con gli stimoli, in essi [osservatori], anche la scelta di una direzione per il raggiungimento di un fine.
La scienza della conoscenza sensitiva, nel corso del tempo, ha permesso di «domesticare», determinare, elencare o classificare nelle narrazioni varie tipologie di paure fisiche o di terrore provocato sia dalla natura che dalla psiche, o dalle relazioni sociali degli individui — come ho più volte ricordato, sarebbe meglio oggi chiamare questi individui “singolarità”. Sono state trovate anche corrispondenze tra i modelli relazionali e di conoscenza con delle particolari mappe cognitive ed energetiche.
Con de Sade abbiamo percepito come la conoscenza sensitiva abbia prodotto dei primi nessi tra la popolazione napoletana e l’ambiente in cui viveva.
La stessa analisi descrittiva tra ambiente storico politico e sociale fu riproposta da Albert Mathiez e Georges Lefebre (La rivoluzione francese, 1960, vol. II), con belle pagine sul periodo di terrore, di cui fu vittima anche lo stesso Marchese. Mi riferisco alle orride stragi che trovarono il proprio culmine sotto il governo di Robespierre, figura centrale per l’analisi dei due autori. Durante il periodo del “terrore”, infatti, s’imposero anche nuovi modelli di relazione nei rapporti tra gli uomini, e alcune nuove visioni della vita che non avevano fondamento sulla parola, ma su “atti” che producevano orrore.
Non a caso fu proprio durante la rivoluzione francese che la visione teologica della vita e delle ”scritture sacre” iniziò a perdere potere per l’avvento di sistemi filosofici ed artistici anche nel letterario, più vicino alle sistemiche e alle visioni emerse con le problematiche poste dalla nuova scienza della conoscenza sensitiva e sensibile.
La rappresentazione come verità e la rappresentazione come percezione sensibile furono temi che appassionarono il dibattito, alimentato anche dalla nuova scienza della conoscenza sensitiva, per tutto l’Ottocento. Ci fu discussione fino a quando i movimenti artistici del Futurismo, Dadaismo e Surrealismo distrussero lo statuto oggettivo della verità e della percezione universale — anche sulla scia delle teorie di Albert Einstein — e con quei movimenti fu preclusa fino ad oggi la possibilità di fondare una scienza della conoscenza sensitiva e sensibile oggettiva.
I racconti sviluppati attraverso il linguaggio dei nuovi media, poi, introdussero un’evoluzione del “raccontare”. Proprio seguendo questa evoluzione della scienza della conoscenza sensitiva ho sviluppato il discorso fatto sul Vesuvio tra cronaca, reportage fotografico e cinematografico.
Nell’Ottocento il racconto di “terrore” e quello di “orrore” s’intrecciano spesso. Tralascio di trattare il racconto sull’orrore che dapprima si manifestò incarnato in un individuo, specie quando le cause erano prodotte da serial killer (già in nuce nei romanzi polizieschi d’inizio Ottocento), e poi confluì in una visione sociale, che si affermò prepotentemente tra le due guerre mondiali, quando si instaurarono i regimi dittatoriali nel XX secolo.
Quello che mi preme, invece, è evidenziare anche come il racconto cinematografico sia nel tempo cambiato Spesso si dice che la cinematografia abbia scoperto un nuovo modello di organizzare il racconto a partire dal 1974. Questo modo di proporre l’azione fu emotivamente molto coinvolgente per il pubblico, e segnò un nuovo modello di narrazione.
La rappresentazione cinematografica, quando è intesa come scienza della conoscenza sensitiva, poteva non solo raccontare e rappresentare ma anche «emozionare» o generare «terrore» col «catastrofico» nella narrazione cinematografica.
Sembra, però, che nel 1974 con il film “colossal” L’Inferno di cristallo, una nuova forma di racconto abbia fatto presa sui sentimenti. Un diverso uso della macchina da presa generò nel pubblico anche un’altra e più potente «impressione» di sentimento estetico. Questo sentimento, che pur trovando le proprie radici nella catastrofe, era provocato soprattutto per l’avventatezza degli uomini e non più solo per il verificarsi di inevitabili fenomeni naturali.
In effetti, possiamo dire che nel Novecento il sentimento contemplativo attribuito alla metafisica del sublime aveva scemato il suo interesse “naturale”; anche perché l’esperienza aveva aggiunto il proprio nuovo ordine con la scienza della conoscenza sensitiva e sensibile. L’uomo da tempo aveva iniziato ad interrogarsi sulle probabili errate valutazioni, che generano un “evento catastrofico” in cui sono coinvolti un narratore, una popolazione e un ambiente.
La narrazione di una catastrofe, ha sì qualcosa di eccezionale che travalica le leggi della natura, ma dopo quel film si divulgò un modello di osservare i fatti che potremmo definire “la poetica del sospetto”. Alcuni iniziarono a cercare negli eventi quali fatti sono segnali della manifestazione della struttura fallimentare provocata dagli uomini. I disastri, sebbene naturali, quando coinvolgono anche una grande quantità di uomini ignari di un pericolo, indicano che le Istituzioni non hanno controllato qualcosa. Si iniziò a alimentare sospetti su alcuni uomini, che spinti dal lucro, possono alienare la sicurezza e decidere di non scegliere luoghi d’insediamento entro cui le leggi fisiche non possono nuocere. L’interesse economico, a scapito della sicurezza dei propri simili, diventa il centro della narrazione di tutta questa serie di nuove esperienze cinematografiche.
Dopo quel film ci fu proprio un filone della storia cinematografica che riguarda una serie di nuovi principî, con cui si dispone una diversa interpretazione degli eventi catastrofici, generati da grandi sospetti e intrighi. Una visione che predilige la cospirazione prevede sempre corrotti e corruttori che determinano un’impresa eccezionale che finisce male. Qualcosa perciò non è stato fatto secondo le regole; proprio come nel film L’inferno di cristallo. Il colpevole è il genero del costruttore James Ducan, Roger Simmons; il quale, come responsabile dei lavori elettrici di un grattacielo di cristallo, ha deciso di utilizzare materiali scadenti per risparmiare sui costi.
Da allora qualsiasi catastrofe è generata da due componenti principali: una suscitata dalla imprevedibilità della Natura (o di un fenomeno), e l’altra da alcuni responsabili degli uffici di sorveglianza pubblica o privata, di allerta e di tutela dei territori. Di solito le risorse per i controlli arrivano, ma spesso non sono utilizzate correttamente. Non c’è difesa e salvaguardia del territorio; per cui per un miserabile arricchimento personale si produce un evento catastrofico di grande dimensioni. Col cinema i modelli di “narrazione” sono divulgati ovunque, per cui anche la visione del sospetto è applicabile in tutti i luoghi della Terra. Da allora nelle trame di questo genere di film sono principalmente queste due componenti che concorrono a formare l’evento catastrofico: l’avidità di pochi e la poca sorveglianza dei corrotti, che trovano sempre una corrispondenza nella ignoranza e sconsideratezza umana.
L’uomo che in quegli anni Settanta del secolo scorso stava costruendo la propria abitazione sul Vesuvio col licet degli organi cittadini di controllo era un criminale, allo stesso modo di chi, come in L’inferno di Cristallo, utilizza materiali scadenti per la rete d’illuminazione del grattacielo.
All’uomo telespettatore o consumatore non interessa più, né solo il sentimento sublime, né solo la portata della catastrofe. L’uomo di quel periodo storico appare più come un voyerista che trova nei reportage molti altri indizi che si riuniscono nelle componenti della narrazione. Di racconti ne nascono molti e spesso con punti di vista contrastanti. I più critici, però, inducono l’osservatore a barcamenare la propria conoscenza sensitiva tra l’esperienza di morte, il sentimento sublime e la catastrofe.
Inoltre, con il film L’inferno di Cristallo, si può dire che si affermi anche una nuova narrativa cinematografica. La telecamera, quale occhio — o sguardo — del telespettatore, entra e si muove nell’ambiente del racconto, come una componente fisica, percettivo-visiva. Questo film è da molti considerato come spartiacque. Si afferma definitivamente un nuovo modello di racconto cinematografico. Le immagini filmiche devono fare in modo, con artifici e riprese scenografiche, che i sensi degli spettatori siano sempre maggiormente coinvolti nella trama della storia.
La telecamera che si muove all’interno dell’ambiente produce molto più coinvolgimento e partecipazione nello spettatore.
Da allora molti nuovi film d’azione riscrivono le scenografie del racconto con immagini che scuotono la percezione dello spettatore e lo fanno entrare nell’esperienza dell’evento contribuendo a dare emozione alla storia. Molti registi prediligono questi espedienti, piuttosto che avvalersi di campi lunghi o di primi piani all’americana per i passaggi di scena durante il racconto dell’evento catastrofico. [Qui, ripeto, assumo il termine catastrofico nell’accezione della Teoria delle catastrofi; cioè l’applicazione della topologia ai sistemi dinamici per ricostruire una mappa di conoscenze che attraverso dei mutamenti o perturbazioni (catastrofi appunto) possono mutare l’intero sistema relazionale in un ambiente cognitivo].
Lo spettatore in questo modo è coinvolto e trova maggiori punti di riferimento con le dinamiche relazionali che si producono nell’ambiente durante l’evento.
La nuova psicologia dal racconto emotivo mediato dalla cronaca si fa strada, proprio come emerse con de Sade la prima relazione tra il fenomeno naturale dell’eruzione e quello culturale e simbolico del Vesuvio, che permettevano di tracciare relazione anche con i costumi e i modelli di vita del popolo napoletano.
Non si ha qui intenzione di citare altri film italiani che hanno come sfondo il Vesuvio; l’unico film che val la pena ricordare in questo periodo (dove però il Vesuvio non è attivo) è il film Camorra del 1972 di Pasquale Squitieri, che potremmo far rientrare nel filone narrativo di de Sade, e il cui epilogo si svolge alle pendici del vulcano.
La scienza della conoscenza sensitiva (l’Estetica), in effetti, aveva già condotto l’uomo letterato a interrogarsi su come si riproducano gli eventi nel proprio ambiente relazionale. Seguendo le indagini che emergono dalla filosofia del sospetto, possiamo risalire a una serie di modelli applicabili alle responsabilità umane. E su questa scia, ad esempio, potremmo chiederci chi ha ritardato di divulgare l’informazione sull’emergenza di un evento catastrofico, o chi e perché tardivamente ha dato l’allarme, pur avendo ricevuto le informazioni di un imminente evento destabilizzante, come è accaduto, ad esempio, per il terremoto a L’Aquila del 6 aprile 2009.
Non possiamo chiudere il racconto dell’esperienza del Vesuvio, senza accennare ad alcuni nuovi eventi, nonostante che da settanta anni la sua eruzione non provochi più reazioni al nostro sistema percettivo cognitivo ed emozionale dando nuova linfa alla nostra scienza della conoscenza sensitiva.
La cinematografia del 3D, però, alcuni anni fa ha deciso di investire soldi in un colossal dove il centro della narrazione fosse ancora una volta il Vesuvio.
Con il film Pompei, a 3D, lo spettatore è proiettato all’interno dell’evento, quasi che gli oggetti e i personaggi si possano toccare perché sembrano partecipi del suo ambiente relazionale. Possiamo dire che l’esperienza proposta attraverso la conoscenza sensitiva del 3D non dà allo spettatore solo una rappresentazione eidetica, ma induce a un coinvolgimento sensoriale e di vicinanza all’evento.
Paul W. S. Anderson, il regista, ha utilizzato molti effetti speciali per il suo film che è stato definito “disaster movie” [film catastrofico].
Milo (Kit Harington) è uno schiavo che, divenuto invincibile guerriero e innamoratosi di Cassia (Emily Browning) vuole salvare non solo lei ma anche il suo migliore amico (Adewale Akinnuoye) anch’egli gladiatore che combatte nell’arena per intrattenere il pubblico. Improvvisamente inizia l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. L’eruzione del vulcano si presenta con la caduta di enormi blocchi di lava, si annuncia con venti di cenere incandescenti, vapori mefitici e scosse di terremoto. Mentre s’inizia a delineare il contesto catastrofico, con la montagna Somma che in crescendo comincia a bersagliare la ricca e magnifica metropoli romana di Pompei con la cenere incandescente e i detriti lavici, il regista Paul W. S. Anderson fa svolgere la storia d’amore tra lo schiavo Milo e la nobildonna Cassia, la quale è anche figlia del suo padrone, il ricco mercante Lucrezio (Jared Harris), e che è promessa in sposa a un corrotto senatore romano (Kiefer Sutherland). L’eruzione diventa un’esperienza emozionante grazie alla visione del 3D. Anche nella tragedia di Pompei in alcune interviste il regista parla del suo desiderio di illustrare la “vendetta della natura” sugli uomini.
Il regista è stato a Pompei e ha ripreso il Vesuvio e gli scavi da ogni angolazione per una settimana e poi li ha ricostruiti al computer in maniera perfettamente corrispondente alla realtà di oggi.
L’evento catastrofico, se e quando dovesse verificarsi — seguendo i vari filoni cinematografici — andrebbe attribuito alle licenze selvagge date dalla politica per costruzioni o ai cattivi materiali con cui si edifica, o alla cattiveria degli uomini, o alla camorra, o alla mancata protezione dei santi o delle divinità pagane ancora presenti nella storia dei luoghi.
In qualche modo se volessimo raccontare l’eruzione del Vesuvio oggi, secondo i canoni dettati dalla scienza della conoscenza sensitiva, potremmo almeno seguire le tracce di de Sade, analizzando il fenomeno almeno come un evento disastroso dell’insediamento antropico dovuta a una cattiva o assente organizzazione del territorio.
A noi interessa il racconto per ricostruire l’esperienza estetica. In questo momento sul Vesuvio non c’è, perché l’eruzione o il pennacchio di fumo manca da poco più di settant’anni. Ci rimane, però, la “letteratura” sulla catastrofe prodotta dagli umani e spettacolarizzata dal cinema 3D. Essa col cinema è diventata un’esperienza cognitiva, e ha spostato il racconto oltre la spettacolarizzazione della vita: nella spettacolarizzazione virtuale dell’esperienza.
Non a caso il MAV (Museo Archeologico Virtuale) di Ercolano annuncia nel suo dépliant pubblicitario che: «Alla fine del percorso museale, nella grande galleria situata al primo livello dell’edificio che ospita il Museo, è stata creata una sala di proiezione per la visione della ricostruzione virtuale dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.c. Con la consulenza di archeologi e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), il MAV ha prodotto un film in i3D/multiD di 15′ che riproduce l’evento straordinario che ha cambiato la storia e il volto di Ercolano e Pompei. Fiumi di lava accompagnati da una colonna di gas e ceneri e da una pioggia di lapilli incandescenti che sembrano irrompere sullo spettatore: l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C è possibile viverla in un teatro con tecnologia 3D stereoscopica. La ricostruzione, che ha visto la consulenza dell’INGV, si basa sul racconto di Plinio il Giovane nelle lettere a Tacito ed è visibile su uno schermo di 26 metri di lunghezza, grazie a un sistema di proiezione 3D immersivo fino a 240 gradi, progettato da SpinVector. L’installazione è dotata di una piattaforma vibrante che simula i terremoti che vi furono contemporaneamente all’eruzione. Per sentirsi immersi nella scena e parte dell’esperienza proiettata i visitatori, che si trovano al centro del cilindro, dovranno indossare degli occhiali 3D».
Con il 3D e con le nuove attrezzature in dotazione dell’Osservatorio Vesuviano sono cambiati i parametri con cui monitorare, osservare e prevedere probabili eruzioni del Vesuvio.
Nuovi strumenti di rilevamento permettono di studiare i fenomeni di geochimica e di degassamento delle fumarole; con sonde, inoltre, si tengono sotto osservazione i movimenti magmatici delle profondità del vulcano. Lo studio della geodesia avviene oggi con telecamere collegate alla rete GPS e altre (settimanalmente e mensilmente) a raggi infrarosso sul posto permettono agli scienziati di trarre informazioni e fare previsioni con almeno tre giorni di anticipo su una probabile eruzione. Senza contare altri rilevamenti con la rete tiltmetrica, con la rete mareografica, con le rilevazione delle campagne di livellazione periodiche, con campagne gravimetriche periodiche e con i rilevamenti idrometrografi digitali ad acquisizione continua. Altre tipologie di monitoraggio riguardano la sismicità. Nel corso di questi ultimi trent’anni molto è cambiato nel modo di trattare ed elaborare i dati scientifici dell’Osservatorio. Anche qui si fa osservare che c’è stato un cambiamento nel modo di raccogliere i dati e di elaborarli.
Questo nuovo modello — attraverso cui si crede emerga il sapere delle cognizioni, e a cui anche ogni osservatore estetico accede — si manifesta quando un osservatore sperimenta il transito dalle informazioni recepite solo dall’universo della comunicazione verbale o della rappresentazione delle immagini fisse (di una scienza fisica e metafisica tradizionale) a quello dell’informazione degli stimoli dinamici diretti verso un fine, cioè di una fisica e di una metafisica dinamica fondate su nuovi modelli di osservazione — dispostivi tecnologici e sensori messi in relazioni con elaboratori elettronici — che coinvolgono per lo più le informazioni energetiche recepite da dispositivi sensoriali posti fuori dal nostro corpo, come ad esempio sono le imaging tratte dall’universo subatomico e dal cosmo. Il nuovo modello cognitivo dell’informazione si avvale di messaggi che si percepiscono con dispositivi che traducono la velocità della luce, il calore, l’elettricità, etc., in “conoscenza estetica”. La conoscenza estetica attuale è una cognitività formata da informazione ed energia. Essa emerge in un ambiente relazionale, e determina un modello di funzionamento in continua evoluzione; fino a quando una catastrofe non produce un nuovo modello per quell’ambiente relazionale. Ogni attuale configurazione Estetica, o della scienza della cognitività sensitiva, è diretta verso un fine e permette di produrre la configurazione di un ambiente relazionale; solo dopo si può anche rappresentare il racconto secondo il superato sistema del linguaggio e delle parole di una fisica e una metafisica sempre meno rispondenti alle attuali conoscenze scientifiche sulla nascita, sulla vita e sulla formazione del cosmo. La percezione sensibile e la cognizione di queste nuove teorie hanno prodotto una modificazione anche del modo di percepire ciò che finora abbiamo considerato il sublime. L’opera anonima attribuita allo Pseudo-Longino [Del Sublime, Rizzoli, Milano, 1991] propose il sublime come esaltazione di un animo nobile che si esalta davanti alla bellezza di un testo teatrale o poetico fino ad abbracciare il mondo intero. Diversa è la concezione moderna di Edmund Burke [Un’indagine filosofica sull’origine delle nostre idee di Sublime e Bello, (A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful), 1757]. Egli contrappone l’esperienza di bello al sublime. Sembra che a partire da questo autore l’estetica moderna, fondata sul conoscere col sentire sensitivo, inizi a propendere per il primato del sublime sul bello. In sintesi, ciò che va considerato Bello, secondo Burke, è ciò che è ben formato ed è esteticamente gradevole, mentre va considerato Sublime “ciò che ha il potere di costringerci a fare qualcosa”, e “di distruggerci”. La preferenza del Sublime sul Bello rappresenta il segno del passaggio dalla visione neoclassica alla visione romantica. La natura, nei suoi aspetti più terrificanti, come mari burrascosi, cime innevate o eruzioni vulcaniche, diventa dunque la fonte del Sublime perché “produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”, un’emozione “negativa”, però, non prodotta dalla contemplazione del fatto in sé, ma dalla consapevolezza della distanza insuperabile che separa il soggetto dall’oggetto. Il Sublime sarebbe l’orrendo che affascina. La natura, nei suoi aspetti più terrificanti, come nei mari burrascosi, nelle cime impervie e innevate o nelle eruzioni vulcaniche, diventa dunque la fonte del Sublime perché “produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”. È questa, però, un’emozione “negativa”, non prodotta dalla contemplazione del fatto in sé, ma dalla consapevolezza della distanza insuperabile che allora si credeva separasse il soggetto dall’oggetto. In effetti, le origini delle nostre idee del Bello e del Sublime, secondo Burke, possono essere definite comprendendo le loro strutture e le loro cause. Egli segue quanto scritto nella fisica e nella metafisica aristotelica, con una visione moderna però. Infatti, Burke crede che il nesso causale possa essere suddiviso in cause formali, materiali, efficaci e finali. La causa formale di ciò che si reputa come bellezza è la passione d’amore che suscita; la causa materiale riguarda le caratteristiche degli oggetti, quali la grandezza, la morbidezza o la delicatezza; la causa efficace è, ad esempio, la calma che l’oggetto provoca in noi; la causa finale è la provvidenza divina.
Burke però afferma anche che il Bello non può essere nel mondo moderno compreso mediante i criteri tradizionali della bellezza: proporzioni, forma o perfezione. Attribuisce anche al Sublime una struttura causale, che si distingue da quella del Bello. La sua causa formale, infatti, è la passione della paura (soprattutto la paura della morte); parallelamente, la causa materiale è l’immensità dell’oggetto, il suo essere infinito, la sua spaventosa magnificenza; la sua causa efficace è la tensione che provoca sui nostri nervi; la causa finale è Dio, che ha creato e combattuto Satana, come ad esempio egli dice “espresso da Milton nel Paradiso Perduto”. Questa opera di Burke è stata la prima completa esposizione filosofica che ha separato il Bello e il Sublime nelle loro rispettive categorie razionali.
Nel nostro mondo attuale, però, il Sublime ha perduto la sua attrazione, proprio grazie alla nuova fisica che si avvale di nuovi media sensoriali, di una nuova filosofia del cosmo — con la relatività generale —. Non a caso oggi siamo indotti anche a evocare l’universo subatomico a cui è stata attribuita una più recente vitalità dalle teorie delle stringhe, e nel cui ambiente hanno validità solo le leggi dell’indeterminazione. Sembra che nel cosmo si propaghi un’unica unità di misura comune, dalle molteplici e dalle diverse caratteristiche, nei vari ambiti scientifici: l’informazione. Si richiede un rinnovamento a tutte le scienze. Anche la teologia dovrebbe rinnovarsi, anch’essa avrebbe bisogno di una nuova metafisica (come ad esempio quella del Punto Omega di padre Pierre Teilhard de Chardin), che trovi nuovi fondamenti e connessioni con la Teoria dell’informazione. (Cfr. Frank Tipler, La fisica dell’Immortalità, Mondadori, Milano 1996).
Per questo motivo abbiamo affermato in precedenza che è emerso un nuovo modo di analizzare l’universo cognitivo e percettivo, dove le categorie dello spazio e del tempo separate non trovano corrispondenze in quelle cause formali, materiali, efficaci e finali descritte nel passato.
C’è bisogno di un rinnovato ordinamento estetico e cognitivo. La presente rivista ZRAlt! a me sembra che l’abbia individuato nella Catastrofe, che io leggo alla luce della Teoria delle catastrofi. Voglio esprimere qui la mia ammirazione per l’amico direttore Antonio Gasbarrini per la sua lungimiranza.
Nella nuova estetica potremmo individuare, ad esempio, la causa formale in uno stimolo che investe un osservatore e che lo distoglie da una ordinata manifestazione di una sequenza di eventi; la causa materiale è l’investimento energetico che produce una “catastrofe” nell’ambiente cognitivo e percettivo di omeostasi [equilibrio] precedentemente raggiunto dall’osservatore; la causa efficace è il modello che emerge al momento e con cui ogni osservatore sceglie di produrre una mappa dello svolgersi degli eventi; la causa finale è la congiunzione o un sistema di relazioni che dà un equilibrio momentaneo a quella organizzazione cognitiva all’orizzonte emerso con quegli eventi, prima che sopraggiunga una nuova “catastrofe”.
Vi è una diversità di linguaggio, di apprendimento e di cognizione tra il modello del pensiero espresso attraverso la rappresentazione della parola o delle immagini fisse e quello della configurazione delle mappe energetiche in evoluzione attraverso gli stimoli. Gli stimoli, come ho già ricordato nel precedente saggio sulle Catastrofi proposto in questa rivista, sono traducibili solo in un secondo momento attraverso l’ordine della parola. Infatti ho già ricordato come «Umberto Eco nel suo trattatello di estetica, Opera Aperta, fin dagli anni ’60 del secolo scorso, aveva individuato negli stimoli una nuova forma di valutazione estetica; e, inoltre, nella teoria dell’informazione aveva cercato un modello che avrebbe potuto tradurre in sistema linguistico la percezione degli stimoli — quando si apre un canale comunicativo tra individui. Lo ipotizzò ma non poté definirne l’azione e la misura linguistica relativa, se non affermando che nei canali l’informazione corre secondo le traduzioni dell’energia in strutture formali, ma queste sono interpretabili solo per alcuni, e diventano chiare solo per chi adotta i canoni della Teoria dell’informazione. Allora ordinare e interpretare gli stimoli secondo la Teoria dell’informazione non era ancora possibile, come Eco rilevò, ma ne individuò la strada».
Per la fine di questo secolo, perciò, credo che saremo prossimi ad abbandonare il sistema di costruire messaggi col linguaggio della parola scritta o declamata, per un modello di informazione, che è più veloce perché adotta gli stimoli o input elettrici, o della luce che viaggiano circa a 300.000 Km/sec..
Conclusioni
Si può affermare, in conclusione, che il racconto letterario e artistico dal 1750 è divenuto problema dell’Estetica, con il ricercare il rapporto tra l’arte o l’artistico e le varie modalità di emergenza della conoscenza sensitiva. Nel corso di questi ultimi secoli le problematiche sorte con l’Estetica, quale filosofia minore, hanno liberato il rappresentare — con la parola e con le immagini statiche — da una filosofia “oggettiva” o “assoluta” del mondo. Inoltre, in quest’ultimo secolo da poco lasciato alle spalle, il racconto letterario e artistico si è aperto alle nuove forme di conoscenza proveniente dalla cognitività sensoriale.
Questo passaggio è stato possibile grazie ai primi pionieri chiamati da più parti “ricercatori estetici”, per differenziarli dagli artisti del passato che fondavano il loro racconto solo sul rappresentare. Le nuove forme del racconto che utilizzano immagini dinamiche o olografiche o elaborate al computer insieme a imaging provenienti dai dispositivi della scienza e della tecnologia, etc., che ci permettono di aggiustare o ampliare la nostra cognitività sensoriale, stanno modificando il modo di configurare relazioni negli ambienti vitali.
Ho tentato di mostrare come in questi ultimi anni sia cambiato il modo di raccontare e di percepire attraverso il corpo, e come si stia modificando anche il nostro modo di considerare le relazioni e il racconto tra la filosofia, la fisica, la storia, la scienza, l’economia, …, e la nascita o la fine dell’universo, nonché quali altri mutamenti siano stati introdotti dalle scienze in ciò che finora abbiamo inteso come natura e come vita. Sia il riconoscimento e sia l’organizzazione degli stimoli sensoriali (alias informazioni recepite attraverso le energie, da parte di dispositivi esterni al corpo) stanno diventando più importanti della riflessione e della comunicazione attraverso la parola di una rappresentazione del mondo.
Sappiamo ormai che l’informazione si propaga con l’energia, con la luce, col calore, col calcolo, prima di diventare anche un racconto “rappresentativo” comunicabile attraverso la parola che dà voce a quei nostri più limitati cinque sensi.
Non a caso nel secolo scorso si sono poste le basi per nuovi modelli di racconti, che trovano radice proprio in quella Estetica dell’Informazione, annunciata nel 1983 da Dino Formaggio alla fine del suo testo «La morte dell’arte» e l’Estetica.
In effetti, ho voluto mostrare come il racconto sul Vesuvio interagisca dal 1750 col nuovo sistema moderno delle arti, attraverso i parametri dettati dalla scienza della conoscenza sensoriale presente nelle varie forme del rappresentare. Nel Novecento, poi, il racconto, con la configurazione di relazioni cinetiche, ha imposto una modifica anche allo statuto della scienza della conoscenza sensitiva che era nata con la rappresentazione, intervenendo anche in ciò che riguarda la valutazione dell’artistico.
Le scienze attuali, ma anche il mondo odierno del letterario e dell’artistico in generale, non possono più prescindere dalle scelte dell’osservatore quando fa emergere un ambiente cognitivo-sensitivo relazionale. Nel racconto delle scienze dinamico-energetiche del subatomico e di un universo che si espande in uno spazio-tempo, nonché nei rapporti evolutivi delle specie viventi sulla Terra, sono presenti altri parametri per valutare e connettere i modelli di vari ambienti o piani spazio-temporali relazionali. Tutti rientrano nella nuova fisica e nella nuova metafisica della rinnovata scienza della conoscenza sensitiva del Novecento, che nel presentarsi come cognitività sensoriale si avvale di una serie di configurazione di relazioni cinetiche.
Si aspetta solo che gli operatori estetici dell’arte del configurare relazioni soppiantino oggi i “superati” artisti del rappresentare in questo novello mondo delle “cose” (Kubler) rinnovato da credenze scientifiche fondate su un linguaggio energetico connesso direttamente alle strutture cognitive per mezzo di stimoli che sono traducibili in quantum d’informazioni. Ormai si sa che per costruire delle configurazioni di relazioni relative a uno spazio-tempo si ha bisogno non solo di dispositivi sensoriali posti — per ora — fuori dal nostro corpo, ma anche che trovino corrispondenze nel nuovo linguaggio formalizzato nel 1931 da Kurt Gödel, con cui oggi si organizzano e si trasmettono messaggi d’informazioni attraverso energie organizzate secondo i dettami della Teoria dell’informazione (1948).
L’uomo è pronto a raccontare la probabile nuova eruzione del Vesuvio con gli strumenti e il mondo delle “cose” (Kubler) contemporanee. Speriamo che lo faccia il più tardi possibile. Comunque quando questo evento si verificherà, noi sappiamo che emergerà ai molti, non più con l’ormai superato sentimento sublime, ma con quel “sentire” più recente emerso con la “catastrofe” (alias Teoria delle catastrofi). Le esperienze cinematografiche del film Pompei a 3D e quelle del Museo di Ercolano ci stanno già preparando all’esperienza della filosofia «del sentire catastrofico» degli eventi.
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