Yang Lian ha «superato» positivamente il dramma dell’esilio («esilio significa toccare il limite e superarlo» confessa a Renato Minore) attraverso la poesia che lo fa sentire dovunque a casa propria
di Liliana Biondi
«La mia patria è la poesia», e «La poesia è la nostra madrelingua»: queste due affermazioni del poeta di origine cinese, Yang Lian, sono il punto nodale del suo universo sapienziale e della sua poetica «cosmologica e insieme razionale». Oggi, cittadino del mondo, o meglio, come egli stesso dice, «cittadino di ogni luogo in cui mi trovo», senza mai spogliarsi della sua orientalità («Un orientale rimane un orientale anche dopo una vita vissuta in occidente»), Yang Lian nasce casualmente a Berna nel 1955, dove suo padre era diplomatico di alto rango dell’Ambasciata Cinese. Appena un anno dopo, la famiglia, travolta dalla «rivoluzione culturale» di Mao, è di nuovo in Cina, dove Yang cresce, studia arte, letteratura e lingue straniere, lavora in campagna come dètta la rivoluzione, viaggia nelle regioni periferiche del Paese.
Le prime poesie nascono nel 1976, in seguito alla morte prematura della madre, anch’ella in un campo di lavoro, morte per lui dolorosa, e anno in cui muore Mao; nel 1979 comincia a pubblicarle su una rivista indipendente appena nata, «Jntian» (Oggi), portavoce dei poeti nuovi; per il potere, poeti “menglong” ossia oscuri, non rispondenti ai voleri del partito comunista cinese, che dal 1949 in poi ritiene che unico compito della letteratura sia quello di servire la politica. La poesia di Yang, tuttavia, è intimistica ed eticamente politica: eliminare dalla poesia i termini partitici, vuoti di contenuto e di valori a favore di quelli relativi alla natura, come «pietra, terra, luna, sole, vita, morte, dolore», non significa disinteresse: tali parole, utilizzate insieme a una catena di sinonimi e di metafore, esprimono gli stati d’animo comuni a tutta quella umanità che vive in tempi e luoghi diversi condizioni di dolore e di morte e nello stesso tempo di denuncia e di attesa. E i suoi poemi sono lunghi, colti, di largo respiro, e toccano storia, politica e cultura: Il sole è nuovo ogni giorno e Confessione. Alle rovine dello Yuanmingyuan del 1981; Norlang (nome di una divinità tibetana) del 1983; Tibet del 1984, Yi (trascrizione di un pittogramma da lui inventato dove immagina un uomo che passa attraverso il sole), del 1985. E tra i volumi di prose poetiche, Il bambino in riva al mare del 1982 e Colui che passa,del 1985.
In questi anni, mentre la Cina comunista apre agli interessi e ai capitali occidentali, in particolare a quelli statunitensi, Yang Lian comincia a viaggiare oltre confine. In Nuova Zelanda collabora con l’Università di Auckland quando avvengono nel 1989 i fatti di Tian’an Men. Essi impressionano il mondo, non Lian, il quale, nella poesia 1989 («anno perfettamente ordinario» – lo definisce), li legge come «esito e prolungamento di una situazione che non era mai cambiata» essendo «già accaduto migliaia di volte». Esce, nello stesso anno, la silloge Maschere e coccodrilli, da cui traggo, come esempio, alcuni versi più eloquenti di ogni commento: «Il coccodrillo ti morde con lo sguardo / palpebre come foderi di coltelli / nascondono denti insonni / sentieri nella carne / premono verso lo stagno / vieni divorato dalla tua stessa occhiata» (trad. Claudia Pozzana). E i suoi scritti lo obbligano all’esilio forzato. Ma, pur viaggiando da un paese all’altro nel mondo (Berlino, New York, Sidney – dove insegna letteratura cinese all’Università – e, nel 1994, Londra, che diventa la sua città di residenza), seguita a comporre sempre in lingua cinese, alternando, alla poesia lunga, tradizionale, quella corta, occidentale, a lui nuova. Pubblica Impersonale (1991) e Dove si ferma il mare (1992), Cerchi concentrici (1997); Tutti quegli uni (1999), Poesie di Le Valley (2001); mentre, in Italia, Einaudi lo accoglie nell’antologia Nuovi poeti cinesi (Torino 1996; a cura di C. Pozzana e A. Russo). Nel 1999, a dieci anni dai fatti di Tian’an Men, la Cina (che egli ha ripreso a frequentare dal 1994 con passaporto turistico neozelandese, e che chiama «il mio paese straniero») acconsente alle sue pubblicazioni; e il Premio Internazionale Flaiano per la poesia lo rende noto in Italia con la silloge tradotta in italiano Dove il mare resta calmo (trad. Dante Marianacci), che Lian definisce «poesia spaziale». Segue, nel 2002, Il pane dell’esilio (Medusa): anche questo, edito in traduzione italiana, raccoglie un lungo dialogo sulla letteratura cinese con lo scrittore conterraneo, premio Nobel del 2000, Gao Xingjian.
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Candidato al Nobel nel 2002, tradotto in quasi trenta lingue, annoverato tra i grandi nomi internazionali del post modernismo, pluripremiato (in Italia, oltre al Flaiano, Premio Nonino 2012, Premio Internazionale Capri 2014, Premio Internazionale per la Poesia Nord-Sud 2017), oggi Yang Lian ha «superato» positivamente il dramma dell’esilio («esilio significa toccare il limite e superarlo» confessa a Renato Minore) attraverso la poesia che lo fa sentire dovunque a casa propria. Si definisce, infatti, «poeta della Cina» e «poeta della lingua cinese»: una lingua, quella di Lian, che grazie alla conoscenza di altre lingue e culture occidentali, non è più il cinese classico, ma una lingua che egli definisce «Yanglish, un misto di “Yang” ed “English”», persuaso, dalle tante culture conosciute, che è la scrittura creativa a creare la lingua, essendo, la poesia, per lui, «libertà del pensiero e della parola. (…) il luogo in cui possiamo opporre la nostra resistenza etica. Proprio per il potere che ha la poesia – afferma – penso che alla fine riuscirà a collegare e a unire tutti quei pensatori liberi che ci sono in tutto il mondo» («Giornale di Vicenza»,13.05.10). Saggista e traduttore egli stesso di molti autori americani ed europei, soprattutto di Ezra Pound, che fortemente “sente” per il suo immaginismo, è convinto che «tutti, a Est come a Ovest» si vive «nella ricerca e nella fascinazione dell’Altro». Unico suo poema edito in lingua italiana è Dove si ferma il mare (a cura di C. Pozzana, Scheiwller-Playon,2004; e Damocle 2016). Un testo emblematico, dove l’io poetico si estranea da sé stesso e dalla propria materialità permettendo così alla poesia di uscire anche dai fattori di tempo e di spazio per fermare la riflessione, attraverso una «struttura rigidamente architettonica» e un’«organizzazione spaziale in sezioni» sul rapporto tra poesia e lingua su un piano atemporale, che è proprio della lingua cinese. «Ed è in questa immobilità dialettica – afferma la curatrice – che emergono frammenti della movimentata vita di Yang Lian: paesi, città, luoghi isolati dal flusso della memoria e ricollocati secondo una logica compositiva che poco ha della linearità occidentale». Egli stesso dichiara che «in cinese la parola “mare” è il nome del dizionario enciclopedico per antonomasia: il mare delle parole». Se quindi «Le mille parti dell’enciclopedia delle onde sbattono dentro la frase»,è evidente che solo la poesia – e nella poesia – può avere il potere di fermare il mare: «la polvere del mare vola / in piedi sulle gambe dei ragni / un albero splendente è carico di esche di fiori /seduce chi da millenni è sedotto/ tu».
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Il poeta dissidente cinese in esilio Yang Lian – ospite d’onore al Premio letterario Laudomia Bonanni – ha dedicato questa sua poesia alla città terremotata
一颗落入泥土的葡萄
——为意大利L’Aquila地震受难者而作
我碎了 我的血渗入一小片泥土
把它变甜了 我的肉
一刹那已长成甜甜的星球 甜甜的世纪
月色拉不住流淌的山
一只鹰眼里
大地和葡萄一样小
睡梦中挤出的黑暗 向下向上都是无限
陨落的一课 诗歌拉不住
泥土裸露出一个荒凉的 未成形的孩子
学习石头的心跳 用零的高度
一颗葡萄甜甜搂着葡萄园 我长成自己的诗
杨炼
2018年10月19日
Un chicco d’uva sprofondato nella terra. Per i terremotati dell’Aquila
sono in frantumi il mio sangue / impregna un lembo di terra / l’addolcisce la mia carne /
in un istante cresciuta in stelle dolcissime / secoli dolcissimi / la luce della luna non può trattenere /
lo scorrere delle montagne / agli occhi di un’aquila / il mondo è piccolo come uva /
il buio spremuto fuori nel sogno / verso il basso e verso l’alto è illimitato / una lezione precipitata /
la poesia non può trattenere / la terra rivela, desolato e informe, un bambino / studia il battito cardiaco della pietra /
con l’altezza di zero / un chicco d’uva cinge dolcemente il vigneto / io cresco nella mia poesia //
Yang Lian (19 ottobre 2019 – Traduzione di Federico Picerni)
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Premio Letterario Internazionale “L’AQUILA”BPER XVII edizione – L’Aquila 23 e 24 novembre 2018
In diciassette edizioni, il Premio Letterario Internazionale “L’AQUILA”-BPER intitolato alla scrittrice Laudomia Bonanni ha visto avvicendarsi negli anni la presenza dei più importanti poeti del mondo, quali ospiti d’onore del Premio medesimo: il russo Evgenij Evtusenko, i nostri Edoardo Sanguineti e Franco Loi, il Nobel indiano Derek Walcott, il giapponese Kikuo Takano, il palestinese Mahmud Darwish, la romena Ana Blandiana, il canadese Mark Strand, il greco Titos Patrakios, l’israeliano Natan Zach, l’australiano John Deane, il marocchino Tahar Ben Jelloun, il greco Nasos Vaghenàs, il polacco Adam Zagajewski, il serbo Charles Simic, la libanese Joumana Haddad, il danese Michel Faber.
Per l’anno 2018 un altro gigante della poesia è stato presente nei due giorni di cerimonia di premiazione: è il cinese Yang Lian, che venerdì 23 novembre al Carcere aquilano “Le Costarelle” ha presieduto la premiazione della sezione “Detenuti” del Premio, e il giorno successivo ha onorato, presso l’Auditorium di Renzo Piano, la premiazione ufficiale della sezione “Poesia edita”, che ha visto tra i finalisti i poeti italiani Elio Pecora (vincitore con il libro “Rifrazioni”), Daniele Pieroni e Giovanna Cristina Vivinetto.
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