Non ti ho ancora detto della scena del crimine, della ricerca di connessioni tra arti e scienze, degli ologrammi, dei droni, dei boomerang, della luce e dei rivelatori di particelle, delle conferenze sull’atomo
di Ilaria Carosi
L’Aquila, centro storico. Dialogo tra un sampietrino e una colonna dei portici
S. – Mi sto rassegnando, ci hanno invasi.
C. – Eh, lo so, quest’anno le zanzare sono una vera piaga…S. – Non sto parlando di zanzare.
C. – Parli degli alpini?
S. – Ma no, ormai sono andati via.
C. – Ho capito, ce l’hai con i jazzisti!
S. – Andati via pure quelli, anche se torneranno, dicono…
C. – Allora, di grazia, posso sapere di chi parli o vogliamo continuare così?
S. – Parlo degli aquilani, non se ne vanno quelli, non ci mollano…
C. – Non sembri dispiaciuto, piuttosto…
S. – Vuoi la verità? Ho paura di abituarmi al solletico di suole e di ruote di carrozzine… e alle voci, alle note, alla confusione allegra, ai colori dei palloncini legati al polso… e se poi ci lasciano di nuovo soli?
C. – Non succederà, non vedi che non si fermano mai? Continuano a sfornare idee, non fosse altro che per tenere compagnia a voi vecchi sassi…
S. – Ha parlato la giovane… Ti sei vista, incerottata come sei?
C. – Pensa piuttosto a quello che vedo da quassù, noi colonne dei Portici sappiamo sempre tutto! Scommetto tu sia l’unico a non sapere ancora dei ricercatori, ricordi Sharper, vero?
S. – E chi non se lo ricorda? I laboratori del Gran Sasso con Università e GSSI in una festa della scienza tutti insieme.
C. – Bene. Il 25 settembre è domani…
S. – Aspetta, aspetta, vuoi dire che ritornano, che hanno avuto altre idee?
C. – Figurati se smettono di pensare, quelli! Hanno organizzato una giornata strepitosa, dovresti leggere il programma degli eventi…
S. – E che aspetti? Racconta!
C. – Se vuoi fare shopping di cultura, presso il Palazzetto dei Nobili saranno allestiti 25 “shops della ricerca” che dispenseranno pillole di fisica, chimica, ingegneria, medicina, biologia, neuroscienze, informatica e psicologia; ce n’è per tutti i palati e per tutte le curiosità. Se vuoi spostarti nello spazio puoi salire sulla navetta “Improbus” e mettere alla prova due attori che, imbeccati proprio dalle suggestioni dei passeggeri, daranno vita a delle improvvisazioni stilistiche e tematiche. E se mai volessi spostarti anche nel tempo, ti basterebbe andare al Ridotto del Teatro Comunale oppure all’Auditorium Sericchi dove, in compagnia di Doc e Marty transiterai dal presente – il 2015, quello che per loro era il Futuro, nel film – al 2045, il futuro immaginato dai bambini, attraverso il disegno di quel che potrebbe essere… e, insomma, ragionare sul ruolo della fantasia nel plasmare la realtà e nel veicolare il progresso.
S. – Futuro, futuro, e al passato? Non ci tiene nessuno?
C. – Stai scherzando, vero? Pensa che nella cornice del neo-rinato Palazzo Cappa potrai ascoltare Buccio da Ranallo duettare con archeologi storici e musicologi e sarai accompagnato in una passeggiata simbolica e reale nella storia e nel cuore della città.
S. – Così ci si sposta contemporaneamente nello spazio e nel tempo! È magico e… geniale!
C. – Aspetta di vedere i progressi raggiunti nel campo dell’intelligenza artificiale e della robotica umanoide…
S. – Robotiché?
C. – Robot così intelligenti da sembrare umani! Non mi azzardo a spiegarti altro, aspettiamo di sentire, presso l’Auditorium del Parco, Giorgio Metta, un vero luminare del settore.
S. – Strabiliante, sono a bocca aperta per lo stupore, mi si sta seccando pure la gola…
C. – Per quello ti offrirei una birra ma dovrai aspettare l’happy hour delle 19, allestito in 7 locali in cui 30 ricercatori di fama internazionale si avvicenderanno nella discussione di varie tematiche, dalla matematica all’imprenditoria, dalla sessualità alla fisica dell’atmosfera.
S. – E dopo l’aperitivo riprendiamo, cioè… le persone riprenderanno il cammino?
C. – Fino a notte fonda! Non ti ho ancora detto della scena del crimine, della ricerca di connessioni tra arti e scienze, della caccia al tesoro, degli ologrammi, delle impronte digitali, dei droni, dei boomerang, della luce e dei rivelatori di particelle, delle conferenze sull’atomo, dei “diari” dei giovani ricercatori e degli spettacoli teatrali. Il tutto per grandi e piccini, caro il mio sampietrino.
S. – Ho capito, mi preparo al peggio, calpestato e solleticato da mattina a sera…
C. – Non sarà mica un sorriso quello che vedo? Nessuna risposta. La colonna dei portici non ne ha bisogno, dal suo punto di osservazione privilegiato tutto vede e tutto controlla. E comunque, sta sorridendo pure lei.
Se puoi pensarlo, puoi farlo
Avrai capito che L’Aquila mi ha intrigato più di quanto pensassi,
anche perché le sorprese,
quando si comincia a ispezionare una città,
non finiscono mai
Carlo Castellaneta
Mi sono presa tempo. Per metabolizzare. Perché la “mia” Sharper è stata soprattutto un insieme di emozioni. E le emozioni, si sa, non sempre è facile metterle su carta. Parto dall’aggettivo possessivo, perché proprio questo mi è stato chiesto: “Racconta la tua Sharper”.
Bellissimo. Dovete coglierne la peculiarità. Stiamo parlando di un evento che, pur avendo mosso e coinvolto un impressionante numero di persone, è diventato “possesso” di chiunque abbia deciso di prendervi parte. Perché ha dato ad ognuno la possibilità di scegliere il suo percorso cittadino, se essere o meno accompagnato e da chi, il tipo di eventi cui assistere e quelli cui dover rinunciare, poiché la scienza ha fatto enormi progressi ma ancora non ci ha regalato il dono dell’ubiquità.
Chi scrive non parte dal presupposto che la sua Sharper sia stata migliore della vostra, tuttavia spera che qualcuno possa riconoscersi in un qualche punto della storia perché, si sa, le emozioni più belle sono quelle condivise.
Mattina
La vicinanza geografica mi agevola nella scelta di voler raggiungere la Sala Sericchi a piedi. La sera precedente ho provveduto a selezionare, sulla brochure degli eventi, quelli che non vorrei perdermi… ma vivo tra le nuvole, pure questo si sa, e la brochure resta sul comodino. Non me ne accorgo subito, persa a interrogarle con lo sguardo, le nuvole sparse, mentre cammino. Il cielo sembra pronto a regalarci la sua clemenza, decido di scrivere un tweet, anche se sono in un leggero ritardo: “Intanto il sole splende su L’Aquila… e su #Sharper2015”. Varcata la soglia, il mio ottimismo viene ripagato dall’accoglienza che mi fa la sala: in meno di un minuto mi ritrovo al collo il tesserino Staff, nelle mani due palloncini per mio figlio, una spilletta con gufetto sulla giacca. E mi corredo di sorrisi familiari e di giovani voci che confabulano e poi esplodono in braccia alzate per l’assegnazione di un punto di gioco. Sono le classi di alcune scuole medie impegnate in “Spot the risearchers”, il gioco a squadre che mira a far identificare la professione di alcuni ricercatori, partendo da tre indizi. La squadra vincitrice porterà “a casa” una visita guidata all’Oasi Naturalistica del Parco Nazionale del Gran Sasso. Sono bravi a districarsi tra un medico e uno psicologo, tra un chimico e un biologo. Una classe resta in testa fino all’ultima domanda. Poi perde. E vincono la visita guidata ben 4 squadre, capaci di intuire l’ingegnere che ben si mascherava tra indizi volutamente equivocabili. L’entusiasmo dei ragazzi arriva alle stelle. Fa sorridere e contagia. Manca spesso, forse troppo, a noi adulti.
Dall’Auditorium mi muovo sola. Ho voglia di cullare i miei pensieri e quando varco Porta Castello mi scatto una foto col cellulare. Ancora un cedimento social. La pubblico, con la seguente didascalia: “Io e i miei improbabili orecchini fucsia ci stiamo riprendendo il centro storico. Se puoi pensarlo… puoi farlo… #Sharper2015”. Avrete capito che lo sfondo degli eventi – L’Aquila – è tutt’altro che una trascurabile cornice, anche per chi, Sharper, lo ha pensato: è il palcoscenico vero, il tessuto connettivo che lega ogni passo, il cuore pulsante che fa pulsare pure il nostro, di cuore, al punto che alla fine non sai più se sia lei con i suoi puntelli a tenere in vita te, o tu con i tuoi passi, respiri e sospiri a tenere in vita lei, in un corpo a corpo d’amore.
Raggiungo il Palazzetto dei Nobili con calma. Mi fumo una sigaretta. Mi guardo intorno quasi volessi fissare ancora e ancora le immagini delle impalcature, della vegetazione cresciuta irregolare, delle colonne cui mancano dei pezzi, dei mucchi di sassi qua e là, delle istallazioni che abbracciano i palazzi da ricostruire. Gli occhi li alzo spesso, è più forte di me. Ancora non so se ferisce maggiormente quello che vedi o quello che non vedi più.
Il Palazzetto dei Nobili è incantevole. Sono stati allestiti degli “shops” della ricerca e ce n’è davvero per tutti i gusti. La passeggiata tra un banchetto e l’altro ti svela le passioni di chi ha deciso di fare di una branca della scienza il proprio settore di esclusivo interesse professionale; ed è divertente, perché tu nella vita ti occupi di altro ma puoi comunque avere delle curiosità che ti spingano a voler guardare nel microscopio uno spermatozoo che feconda un ovulo oppure a farti spiegare come si fa a generare energia elettrica da una serie di circuiti. Il che per me resta un mistero, malgrado la solerzia del titolare di cattedra che dedica le sue migliori energie – mentali e fisiche – a spiegarlo a me!
Reportage di Giovanni Max Mangione
Al piano di sotto mi nutro di consigli alimentari e pillole di benessere psicologico, per poi passare ad alimentare la mia vena di disgusto continuando ad osservare insetti, rospi e scheletri di topolini in teche di vetro. Quanto risulta difficile comprendere la passione che si può mettere in un lavoro così, malgrado l’ammirazione sia tanta! I rospi, vivi, sono stati raccolti solo qualche sera prima, poco dopo il temporale. Per qualcuno la pioggia è malinconia, per altri una seccatura che inchioda nel traffico, per altri ancora quello che motiva ad uscire di casa in cerca di rospi… ah, la relatività!
Pressoché impossibile, di contro, risulta comprendere come si fatichi così tanto a distogliere lo sguardo da qualcosa che disgusta orribilmente… che giro tra i banchetti e alla fine, torno sempre là, agli scheletri di topolino prelevati, non ve l’ho ancora detto, da palline di erba tornate indietro dallo stomaco di qualche animale.
E poi, sono una mamma, la mia attenzione selettiva viene attirata da un seggiolino su cui stanno brevettando un rilevatore di calore e movimento utile sia a verificare se il bambino durante un viaggio dovesse sentire troppo caldo, sia a contrastare l’abbandono del minore in auto, doloroso quanto sempre troppo ricorrente “incidente” dalle conseguenze spesso drammatiche. Il rilevatore di calore funziona anche per gli animali domestici, lo segnalo a Giovanni, uno dei fotografi, ha un cane talmente pigro da poter morire accaldato, pur di non muoversi, anche se ha una fonte di acqua a meno di 4 movimenti di zampa. Ci sono persino dispositivi per monitorare, in tempo reale, le reazioni di un paziente oncologico alle terapie. Sembrano dettagli, spesso tecnologia e progresso vengono demonizzati ma pensiamoci un attimo a quanto possano migliorare la qualità della vita, invenzioni di questo tipo.
Nel cortile esterno mi fermo a parlare con un “collega” psichiatra, mi spiega come abbiano messo a punto una versione “clinica” del gioco dell’oca che serve a riflettere su comportamenti di rischio e di salute, in modo tale che un partecipante possa auto-valutare il proprio benessere psicofisico, semplicemente giocando. Sembrerà strano, tuttavia avvalersi di tali strumenti terapeutici semplifica di molto le cose, soprattutto ai più giovani che demonizzano l’identificarsi come “depressi” oppure “ansiosi” ma sono in grado di rispondere a domande specifiche sui comportamenti agiti. Abbiamo un confronto interessante, io e Maurizio. Gli racconto della versione francese del gioco dell’oca rimodellata ed applicata in ambito psicoterapeutico sistemico-relazionale. Il principio di fondo è lo stesso: in situazioni specifiche – esemplificate nel gioco dal labirinto, dalla prigione, dal pozzo e nella vita da lutti, insonnia, tristezza, preoccupazioni immotivate o generalizzate – è importante fermarsi a riflettere, prendersi cura di sé, rimanere “fermi per un giro”, prima di andare avanti.
Pomeriggio
Decido di andare in pausa pranzo e i piedi deviano da soli dalla strada principale per addentrarsi in zona rossa, serve perdersi ogni tanto in questo amato labirinto, per tornare alla vita. Mi sento chiamare da uno dei fotografi, scavalchiamo un paio di transenne, entriamo in un palazzo, proprietà dell’università, pensate il caso. Non serve nemmeno parlare, lui scatta con la camera, io con gli occhi. Non serve parlare mai, con chi sa, capisce e sente esattamente quel che senti tu perché quei sassi, esattamente come te, li ha tanto calpestati. Ci viene fame. Compensiamo la malinconia con un bicchiere di vino e pane e frittata, al Boss (quando vedi crollare gran parte delle tue certezze, le poche che restano in piedi contribuiscono a tenere insieme i pezzi, come i puntelli!). Facciamo unire a noi anche l’altro fotografo, Luca, malgrado un filo di connaturata ritrosia. Parliamo di Sharper, ad alta voce probabilmente, mentre scorriamo e ragioniamo il programma per il pomeriggio. Al tavolo accanto, una mamma con bambino, lui avrà all’incirca 9 anni. La mamma si scusa e ci interrompe. Vuole sapere se, anche in virtù del fatto che prima delle 16 non ci sono eventi nuovi cui assistere, possono tornare a casa e riuscire più tardi. Come lo conosco quello sguardo di madre, chiede solo una sponda, ma il figlio è irremovibile, a casa non si torna.
Nel frattempo anche noi, tra un caffè e un altro paio di carezze visive e pedestri ai nostri amati, polverosi e proibiti sassi, aspettiamo le 16 per salire su Improbus, la navetta che ci scorterà da un lato all’altro della città. Arrivati alla Fontana Luminosa, ci vengono forniti dei cartoncini per scrivere il nome di un personaggio, un genere letterario, una frase che facciano da materiale per l’improvvisazione cui assisteremo durante il tragitto. Luca Serani e Matteo Di Genova, gli attori, sono strepitosi. Insomma, non è facile improvvisare passando dalle gemelle Kessler a Raoul Bova, ballando e cantando su un bus in movimento. Anche l’autista si diverte, noi ridiamo con le lacrime, dispiace quasi arrivare alla Villa Comunale. In un piccolo gruppo Staff, spontaneamente e casualmente formatosi, risaliamo verso il cuore della città a piedi, tagliando il centro storico e iniziando ad incontrare i tanti aquilani che rispondono all’invito. In Piazza Duomo c’è già un discreto pubblico e tutti impazziscono per la De Lorean, l’auto di Ritorno al Futuro. Più tardi lo farà persino mio figlio che, anche se non ha ancora tre anni e non sa distinguere un’auto vera da un’auto che “arriva” dal futuro, ha una faccia soddisfatta negli scatti che lo ritraggono alla guida che di più non si potrebbe. Io mi emoziono un po’ quando mi arriva l’immagine, via WhatsApp. Penso a me ragazzina quando il film uscì, penso al piccolo futuro di due anni e mezzo dentro quell’auto troppo grande, penso al futuro qui, in questo angolo di mondo così particolare per immaginare un futuro.
Tra una chiacchiera e una sigaretta, arriviamo all’Auditorium del Parco per fare la conoscenza di I-Cub, il cucciolo di uomo robotico che Giorgio Metta, uno dei suoi papà, ci è venuto a raccontare. Le immagini che si alternano sullo schermo sono commoventi, I-Cub sembra quasi un vero bambino. In un corpo umano il movimento è garantito dai 200 gradi di libertà che ci consentono le nostre articolazioni. I-Cub ha 54 snodi di libertà e questo resta comunque un risultato enorme perché riesce ad afferrare gli oggetti e persino a “conoscerli”, mediante gli oltre 4000 sensori tattili posizionati sul suo “corpo”.
Ci spostiamo di nuovo verso la Sala Sericchi, regalandoci il tempo per ammirare anche i più recenti murales comparsi su Viale Gran Sasso, eco di quel fermento cittadino che, a distanza di ormai quasi sette anni, resiste.
Perché resistere è l’unico modo che conosciamo per tornare a esistere e ad immaginare il futuro, proprio come sono riusciti a fare dei bambini, solo con un foglio di carta e qualche matita colorata, nella mostra allestita nel nostro punto di approdo. Chissà cosa avremo davvero, nel 2045, intanto riflettiamo su quanta parte di quello che nel film era stato immaginato abbiamo, ora che nel 2015 – l’anno in cui arrivarono Doc e Marty – ci siamo davvero. Non avremo scarpe auto-allaccianti (anche se la Nike ne ha brevettate alcune non commerciabili), tuttavia abbiamo gli ologrammi, le video chiamate, il riconoscimento facciale, il pagamento senza soldi, l’impronta digitale per aprire una porta e molto altro.
Sera
Le gambe ormai vanno da sole, torniamo a varcare Porta Castello, è ora di aperitivo. Di Sharper-happy hour ce ne sono da Via Castello a Piazza Chiarino, fino ad arrivare al Nero Caffè, sull’altra grande arteria che attraversa il centro storico. I locali che ospitano le conferenze sono pieni oltre misura, come pure lo spettacolo su Buccio da Ranallo nell’incantevole cornice di Palazzo Cappa, inavvicinabile. Rinuncio a malincuore per infilarmi in una conferenza in cui si parla di matematica. Non ve la racconto perché non ne sarei in grado ma quello che colpisce è la passione di chi la racconta a noi. Ecco, la passione dovrebbe muovere molto di quello che facciamo nel nostro quotidiano, che sia per lavoro oppure per hobby. Non solo mettere passione in quanto facciamo consentirebbe a molti di noi di godere di una migliore qualità della vita; ma anche mostrare passione agli altri fungerebbe sempre da stimolo positivo, appassionerebbe e creerebbe potenzialmente interesse anche in chi non ce l’ha o non ce l’ha ancora. Pensate a quanto possa essere stimolante, per un giovane studente, la matematica spiegata così, partendo dal sistema di indicizzazione dei risultati di una ricerca, quello che fa Google, per esempio. Di questo parliamo durante l’aperitivo, forse un po’ pure di psicologia che non è esattamente una questione di matematica o forse sì, perché le energie psichiche negative, se le accumuli in eccesso, da qualche parte prima o poi emergeranno, che tu ne sia consapevole o meno, che tu lo voglia o no. Perché quando te le tieni dentro e smetti di condividere, in parte, contribuisci ad avvelenarti, in modo spesso silente ed inconsapevole. Ci beviamo su, per poi riguadagnare, ancora, la strada.
Notte
Raggiungiamo Piazza Duomo per il gran finale, riesco ad incastrare nella giornata anche un bacio per mio figlio, facendo lo slalom tra una folla allegra come nei migliori “dì di festa”.
La Piazza non si lascia descrivere facilmente, forse è lo sguardo che fatica un po’ a vederla così, la felicità qualche volta, spaventa. Ci sono scene del crimine, alcool test, impronte digitali, droni, la De Lorean con le sue lucine, bambini con camici bianchi che si cimentano a diventare RIS, tutti concentrati ed orgogliosi dell’occhio vigile del genitore che li segue. C’è gente allegra ovunque io guardi.
E poi, loro, meravigliosi giochi di luce sulla facciata del nostro Duomo transennato. Il gufetto di Sharper compare per dare il via ad un alternarsi di immagini e suoni da pelle d’oca. Ci sediamo sui gradini del vecchio edificio delle Poste per gustarcelo in silenzio, con gli occhi lucidi di chi sa bene quanto si è perso. Perché anche se tutto è bellissimo e la Piazza, vista da quell’angolo di sufficiente distanza, sembra uguale a quella di tante altre volte, tu lo sai che dietro a quelle luci e a quella facciata intera c’è un buco enorme, te lo immagini quasi, come si vedano bene le stelle che si stagliano sui resti di quelle pareti aperte e ancora belle, affrescate, come una donna che si sia truccata per un appuntamento d’amore con quel cielo stellato.
Concedetemelo. Un soffio di malinconia che rende sempre pieno merito ad ogni singolo momento di felicità vissuto. Sono anche felice su quei gradini, sono a casa mia. Ci alziamo di scatto, quando lo spettacolo finisce, il fotografo vuole immortalare anche il palco dei giovani, nel Parco del Castello, dove si ballerà ancora fino a notte fonda. Evitiamo le strade principali, raccontandoci che faremo prima passando per i vicoletti. Ancora inevitabili carezze alle nostre macerie, un ultimo abbraccio che sa di addio, anche se è il solito arrivederci. Perché Sharper è al suo secondo e ultimo anno ma chissà. Questo angolo di mondo ci ha abituato a vedere accadere l’impossibile. L’importante è crederci e mi sembra che in merito non possa esserci dubbio alcuno: se puoi pensarlo, puoi farlo.
Buonanotte L’Aquila.
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