Solo quando la catastrofe ci colpisce da vicino ce ne rendiamo conto, ma allora è troppo tardi
di Antonio Picariello
Ho incontrato Zygmunt Bauman al “Festival Filosofia” a Modena. Ci siamo incrociati all’entrata della sala stampa; io entravo in veste di giornalista criticart.it, e lui usciva con la sua compagna.
La retina ha fatto tutto da sola. L’ha riconosciuto immediatamente. L’attimo fuggente apriva il cuore e la bocca che ormai da tempo porto serrata perché diffido degli sconosciuti: si è aperta e ha sorriso.
Dico questo semplicemente per confermare quanto ha asserito tempo fa in un’intervista Umberto Galimberti, ovvero che la psicologia lui la ritiene branca delle discipline filosofiche. In questo caso la psicologia dimostra che l’accoglienza verso la sorgente portatrice di valori buoni per l’umanità, verso il grande sociologo Bauman, in questo caso, apre istintivamente il cuore dei diffidenti che hanno deciso di murare la barriera che separa l’individuo con il simile fin quando l’altro non codifica il messaggio di chiusura come necessario e mostra la conoscenza cavalleresca della sua missione di vita. Fanno parte di questa cavalleria, Antonio Gasbarrini, Pino Bertelli e la schiera di amici che si sono sempre battuti per il valore della vita come distillato di libertà, saggezza, bellezza e forza.
Con questa premessa introduco semplicemente l’energia magnetica che il piccolo, minuto uomo Bauman, emana intorno a sé. In quel periodo, strana casualità degli eventi, vivendo a Modena frequentavo le buone biblioteche civiche e private che la città funzionalmente offre: stavo ricercando i dati sostanziali per soddisfare una passione che voleva a tutti i costi trovare nessi congiunturali tra gli episodi bolognesi del 1977 (Klemens Gruber, L’Avanguardia inaudita,comunicazione e strategia nei Movimenti degli anni Settanta), le teorie di Guy Debord riguardo al détournement (ovvero la citazione, la ri-scrittura, la riappropriazione di un testo) e quelle di Marcel Mauss sul concetto di “dono” (M. M. Saggio sul dono, forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche).
A proposito del détournement, anche l’arte se ne avvale; ma c’è una differenza. Mentre il détournement artistico conduce alla creazione di una nuova opera d’arte, quello situazionista, pur valendosi delle suddette opere, si risolve in una negazione dell’arte, soprattutto per la connotazione di comunicazione immediata che contiene. Si tratta di decontestualizzare la provenienza e di inserirla in un nuovo insieme di significati che le attribuisca un nuovo valore.
L’apparizione di Bauman, quindi, è stata un’annunciazione inaspettata, un incontro con il Celeste che apre le menti e costringe gli uomini a confrontarsi con l’inferno che creano.
Prima della conferenza stampa, gli ho posto una domanda incentrata sul binomio catastrofe / amore. Nell’intervista che qui si propone ci sono le sue illuminanti risposte. Fanno riferimento al concetto di società insicura che combinata con le catastrofi naturali quali un terremoto (tanto per sceglierne qualcuna si mira proprio al sisma dell’Aquila ricordando con perseveranza malinconica anche il terremoto del Molise), ci si accorge, poi, come ciò che determina la Natura appare inevitabile (il fato).
La vera catastrofe, però, è quella che agisce malignamente per il tramite di bramosi, infernali personaggi di potere, a discapito della massa. Alla stregua, ha precisato Bauman, di ciò che avviene nei campi di concentramento del Nazismo, disumana esperienza che il sociologo ha vissuto direttamente. Perciò, oltre che un’opinione socio-scientifica, la sua è una testimonianza documentativa diretta.
Questi livelli di riflessioni si incontrano nel sistema baumaniano delle “Paure liquide”. In altri contesti scrive: “Per evitare una catastrofe bisogna prima credere nella sua possibilità. Occorre convincersi che l’impossibile è possibile. Che il possibile è sempre in agguato, senza tregua, ben protetto dal carapace dell’impossibilità, in attesa del momento giusto per irrompere. Nessuna minaccia è così temibile e nessuna catastrofe colpisce tanto duramente come quelle ritenute altamente improbabili. Dunque la catastrofe è volontà di alcuni di stabilire un grado di paure sugli altri. È la capacità di alcuni di saper sottrarre il senso di amore che lega gli uomini alla vita sociale. Sottrarre amore all’arte significa anche non creare più arte, ma un mero meccanicismo espressivo che appaga plutonici e finanzieri, gente senza anima né valori”.
Lascio ancora a Zygmunt Bauman la parola: “La paura è una condizione endemica. Non possiamo sottrarci ad essa: ci accompagna in silenzio in ogni istante della nostra esistenza, ma per poter conviverci dobbiamo razionalizzarla. Il mondo greco conosceva due tipi di paura, Fobos, la paura cieca e istintiva, e Deinos la paura che nasce come coscienza del pericolo. Il mondo moderno ha cancellato Fobos, la paura irrazionale, che è stravolgente, scegliendo invece Deinos, la paura razionale. Razionalizzare la paura significa “comprenderla”, assimilarla all’interno del nostro sistema culturale, proprio come hanno fatto le religioni e i miti. È l’unico modo per riuscire a sopravvivere alla madre di tutte le paure, la paura della morte. Oggi viviamo in una sorta di inconsapevolezza di fronte alla morte o ai pericoli che ci minacciano. Li abbiamo rimossi, allontanati, fingiamo che non ci tocchino e, di fronte alle notizie ferali che ci portano ogni giorno i media, chiudiamo gli occhi o voltiamo la testa, purché non tocchi a noi. La grande impostura del nostro tempo, il tempo in cui le comunicazioni hanno rivelato la crudezza dell’esistenza, è l’indifferenza. Solo quando la catastrofe ci colpisce da vicino ce ne rendiamo conto, ma allora è troppo tardi”.
Tornando all’intervista, ecco il succo delle sue riflessioni: “Come lei sa, una delle caratteristiche di realizzazione dell’età moderna è stata il tentativo di disciplinare le emozioni umane. Nel senso proprio di privare gli esseri umani della loro umanità. Questa caratteristica si è riversata sull’esperienza dei campi. L’amore in realtà è esattamente il contrario perché è la più evidente manifestazione di umanità. Caratterizzato, in particolare, dall’abolizione della differenza esistente tra altruismo ed egoismo, nonché dallo loro unificazione. Quando do qualcosa alla mia amata trovo anche piacere: quindi altruismo e egoismo al contempo. L’esperienza dei campi di concentramento ha tentato esattamente di separare questi due aspetti; di disinteressare le persone nei confronti degli altri nel nome solamente della ricerca della propria sopravvivenza fisica dalla quale appunto si realizza solo la parte egoistica e non già l’unificazione dell’amore. Quando qualcuno è lasciato a se stesso, se ne rallegrano molto coloro che detengono il potere”.
Buona visione…
Scrivi un commento