Transreale nella sua poetica, il Libro-Soggetto può contemporaneamente apparire e scomparire alla stregua di particelle subatomiche create, annichilite e ricreate in un energetico vuoto quantistico
di Antonio Gasbarrini
Cosa sia un libro gutenberghiano lo sanno anche i bambini. Nativi digitali, anche se sono ancora in età prescolare, hanno familiarità persino con gli immateriali e-book visibili sugli appositi lettori o su un tablet. Dei ponderosi codici miniati, con le pagine in cartapecora realizzati quasi sempre a più mani dal Maestro calligrafo e dall’artista miniaturista (un bell’esempio in tal senso è il Chronicon Casauriense del XII sec, ad opera dei monaci Johannes Berardi e Magister Rusticus), ovviamente nulla.
Eppure. Eppure un fil rouge “lega e rilega” manualmente e concettualmente quei codici zeppi di caratteri alfabetici, capilettera, fregi, architetture, paesaggi e figurine stilizzate di uomini ed animali al Libro d’artista così com’è emerso nella storia dell’arte moderna e contemporanea.
Libro d’artista, o meglio Libro-oggetto [infra], il cui “incunabolo” può essere individuato – con una forzatura interpretativa iconografica condita da un pizzico d’immaginazione – nelle “Biccherne” senesi, in auge dalla metà del Duecento a tutto il Seicento. Quelle rigide copertine lignee dipinte a tempera anche dai principali artisti dell’epoca (ad iniziare da Duccio di Buoninsegna), funzionali nel tenere insieme i singoli fogli di aride registrazioni di conti, ma unitariamente ingentilite da stemmi, scritte, scene di vario genere, trascendono l’aspetto funzionale in favore di quello estetico. Infatti, una cosa sono le singole pagine impilate alla meno peggio, un’altra la loro ordinata sequenza-libro sfogliabile con la rilegatura protetta da due asettiche tavolette (del formato standard rettangolare oscillante fra i 35-40 cm. per 25-30 cm., misura coincidente con quella dei fogli), un’altra ancora quelle immagini dipinte che ancor oggi ci parlano e raccontano di camerlenghi, provveditori, scrivani, notai, coinvolti semestralmente nella gestione finanziaria della città. Da precisare che nella seconda fase della loro straordinaria vita le “Biccherne” si emancipano dalla funzione pratica (dalla seconda metà del Quattrocento), per diventare autonomi dipinti da appendere nelle pareti degli uffici tributari (Biccherna e Gabella).
Slides (Le Biccherne senesi)
Ripercorrere gli esiti creativi del Libro d’artista, con tanto di menzione dei nomi degli artefici, non è agevole, a causa dei tanti distinguo messi in campo dagli addetti ai lavori. Perciò in questa breve nota porremmo l’accento su ciò che “non è” un Libro d’artista, partendo dall’ossimorico aforisma visivo magrittiano Ceci n’est pas une pipe.
L’arcinoto dipinto (1928-29, ora al Los Angeles County Museum of Art) intitolato dall’autore La Trahison des images, nega l’evidenza visiva di una pipa tridimensionale rappresentata su una superficie bidimensionale. Ma l’arcano, l’enigma posto dal Maestro surrealista sta celato dietro quel “Ceci”, vale a dire “Questo”. La traduzione della scritta diventa pertanto: “Questo non è una pipa”. In apparenza un errore grammaticale avendo sostituito il femminile “cette-ci” (questa) con il maschile “ceci”. Nella sostanza, invece, la frase, correttamente intesa, va letta e tradotta: “Questo [quadro] non è una pipa”. Perciò Magritte poteva candidamente affermare: «Non vedo niente di paradossale in quest’immagine, giacché l’immagine di una pipa non è una pipa, c’è una differenza».
Già. L’abissale differenza, distanza, tra l’immagine e la realtà analogica della sua consistenza fisica.
Consistenza che non assurgerà ancora a Libro d’artista, allorché un testo letterario sia stato poi visualmente arricchito dall’intervento iconico di sommi Maestri gratificati dalla Storia dell’arte.
Non sono pertanto tali i tanti libri dell’Ottocento illustrati con litografie da Eugène Delacroix (Faust di Goethe) e Manet (Le Corbeau di Poe), ed altri ancora. Quali: Odilon Redon, Max Klinger e via di seguito. Idem per il Parallèlement di Verlaine illustrato da Bonnard al sorgere del XX secolo.
Né tanto meno i Livres de peintres affermatisi prepotentemente a Parigi agli inizi del Novecento, potranno fregiarsi del titolo di Libro d’artista, ma più opportunamente sono da definire Libri d’arte, i quali toccheranno negli anni Trenta veri e propri picchi nel sempre più diffuso collezionismo. Libri d’arte impreziositi con le illustrazioni litografiche, xilografiche e acqueforti di Rouault, Picasso, Matisse…
Veri e propri sodalizi instaurati tra scrittori ed artisti possono essere considerati, poi, quelli intercorsi tra Apollinaire e Derain (L’Enchanteur pourrissant), Max Jacob e Pablo Picasso (Saint Matorel), Malraux e Léger (Lunes en papier) e tanti altri ancora.
Gli albori del Libro d’artista secondo l’accezione moderna e contemporanea, vanno perciò ricondotti primariamente alla poetica futurista, i cui principali esponenti – ad iniziare da Marinetti – amplificheranno le urgenze sinestetiche di libri-non-libri che dall’iniziale rivoluzione di segni e cangianti caratteri tipografici disseminati anarchicamente sulla pagina all’insegna delle “parole in libertà”, approderanno anche fisicamente ad un diverso statuto ontologico dei tradizionali materiali gutenberghiani (carta in primis), spesso sostituiti da metalli (acciaio e alluminio, in particolare) all’insegna dei canoni dell’estetica meccanica (né va sottaciuto il contributo dato negli anni Dieci dai Cubofuturisti russi).
In questa fase il Libro d’artista assumerà i connotati del Libro-oggetto, vale a dire il primato estetico di un manufatto tridimensionale che pur evocando le fattezze fisiche di un libro, tale non è.
Tra i più attrezzati e documentati studiosi dell’Avanguardia Futurista, Giovanni Lista ha individuato il primo Libro-oggetto nel Caffèconcerto di Cangiullo (1919) «un libro colorato le cui pagine seguono passo passo lo svolgimento di un teatro di varietà. […] la composizione parolibera è così ritmata attraverso la dimensione spaziale e cromatica della pagina, mentre la strutturazione del testo fa corpo con il libro stesso, oggetto ad un tempo ludico e cinetico».
Ma sarà il famoso libro imbullonato Depero futurista pubblicato otto anni dopo e tirato in un numero limitato di copie rispetto alle 1000 programmate (a causa degli alti costi di produzione), a rivestire i panni di un rodato prototipo del Libro-oggetto, i cui fogli sono tenuti insieme da due bulloni in alluminio con tanto di dadi ed asta filettata (e sotto questo aspetto, le copertine rigide delle tavolette della Biccherna [supra], presentano molte insospettate e insospettabili analogie).
A questo punto della telegrafica ricostruzione, torniamo al magrittiano “Ceci n’est pas une pipe”. Con un esperimento mentale alla Einstein che a sedici anni aveva immaginato di cavalcare un raggio di luce per scoprirne poi, più in là con l’età, la sua costante “velocità di crociera” nella rivoluzionaria concezione quadridimensionale dello spazio-tempo, facciamo il seguente fotomontaggio al dipinto surrealista: lasciamo invariato lo sfondo, ma sostituiamo alla pipa la riproduzione fotografica del Libro-oggetto di Depero futurista; modifichiamo inoltre la scritta “Ceci n’est pas une pipe” con “Ceci n’est pas un livre”. Mentre l’ossimorica negazione di Magritte certifica, come si è detto, che “il quadro non è una pipa”, nel nostro esperimento mentale quello che in fin dei conti ha ancora l’apparente aspetto di un libro, nella realtà non è tale, in quanto è un Libro-oggetto con tutte le differenze formali e sostanziali del caso.
Toccherà alle altre neo-avanguardie (su tutte Lettrismo, Situazionismo, Fluxus, Arte Concettuale) a rinverdire e rinnovare l’estetica del Libro d’artista, in queste righe equiparato, ma fino ad un certo punto, al Libro-oggetto.
Libro d’artista che tale è, per noi, solamente se ha i requisiti del suo essere stato realizzato in un unico esemplare (vale a dire un Libro-opera). Con un’ulteriore variante semantica, dati gli atroci tempi esistenziali che stiamo vivendo a livello planetario tra catastrofi naturali, guerre, terrorismo e fame di milioni e milioni di esseri umani: il necessario passaggio creativo dal Libro-oggetto al Libro-Soggetto. Geneticamente unico e irripetibile nella sua affascinante artisticità interdisciplinare (pittura, scultura, scrittura, musica…), ma possibilmente antagonista, “poeticamente”, a questo o quel sistema di deviati o antidemocratici Poteri istituzionali.
Libro-Soggetto sempre più arduo da realizzare nel contesto digitale, dove la sua infinita replicabilità mette fortemente in discussione la tesi sino a qui sostenuta. Ologrammi e realtà aumentata renderanno eterea la manipolabilità formale-materica storicamente sperimentata nel Libro-opera analogico, adesso trasmutato dalla matematica binaria in un suo avatar galleggiante nell’ambiente e sfogliabile con la gestualità aerea di una mano nel concertante, interattivo dialogo ipersinestetico tra opera e fruitore.
Transreale nella sua poetica, il Libro-Soggetto può contemporaneamente apparire e scomparire alla stregua di particelle subatomiche create, annichilite e ricreate in un energetico vuoto quantistico; sta alla sensibilità elettromagnetica di ogni essere umano che sarà restato tale, captarne il linguaggio cifrato di einsteiniane onde-pagina gravitazionali venute da lontano, molto lontano.
II
Più di un’assonanza è riscontrabile tra le righe precedenti e la Rassegna L’ARCOBALENO LIQUIDO DELLA CREATIVITÀ – ACQUA BIANCO ROSA NERO & ARCOBALENO – Alfabeti della creatività tra scrittura, arte, gioco (allestita al MuBAQ – Museo dei Bambini L’Aquila nell’ambito della XII Edizione di ETNORAMI).
Infatti, come scorreremo più avanti, le storicizzate modalità dialettiche dell’oraziana Ut pictura poësis, sono state linguisticamente ed esteticamente aggiornate con la sensibilità creativa contemporanea. Dando luogo non già ad un fitto fraseggio dipinto-parola, per di più con le originarie connotazioni mnemoniche, bensì a venticinque non-libri aventi le prerogative linguistiche ed estetiche già evidenziate.
Reportage (a cura di Antonio Gasbarrini)
Peraltro fusi in una triadica confluenza sia del Libro d’artista, che delle altre due accezioni, vale a dire il Libro-oggetto e l’altra innovativa versione del Libro-Soggetto. Tutti realizzati, ovviamente, in un unico esemplare (andranno ad implementare la ricca collezione internazionale del Museo stesso).
Esaminiamo adesso più da vicino questa ennesima, empatica alleanza creativa instaurata tra la scrittura poetica e l’opera, peraltro declinate, a livello antropologico, esclusivamente al femminile.
Le cinque poete (Anna Maria Giancarli, Tomaso Binga, Franca Battista, Nicoletta Di Gregorio, Jonida Prifti) hanno scritto ad hoc, per ognuna delle altrettante parole-emblema della Rassegna, un breve componimento.
Sullo stimolo, e perché no?, le suggestioni di questo input, cinque artiste (Paola Babini, Nedda Bonini, Primarosa Cesarini Sforza, Lea Contestabile, Giancarla Frare) hanno a loro volta inglobato, con soggettivi stilemi, l’intera poesia o suoi frammenti.
Se in molti casi pseudo-copertine e pseudo-pagine sono state realizzate con i più diversi materiali (vari tipi di tessuto, piume, reti, plastiche…) e pigmenti (colori naturali, inchiostro di china, acrilici, grafite…) tesi a rinviare metonimicamente nella loro forma-libro alla poesia-matrice, in altri è l’oggetto di per sé ad affermare la sua silente presenza, connotata comunque dalla scrittura poetica da cui è germogliato.
L’aspetto letterario delle poesie ed il substrato della loro genesi (Omaggio alla città terremotata dell’Aquila, la cui etimologia più accreditata deriva proprio dalla parola “acqua” ed i cui colori dei suoi principali monumenti sono il bianco ed il rosa, mentre il luttuoso nero araldico rimanda dritto dritto al devastante sisma del 1703, con l’auspicata prospettiva di un’arcobalenica rinascita) sono stati sinteticamente trattati nel testo di Liliana Biondi.
Doveroso, perciò, almeno un telegrafico accenno alle polifoniche, ma concertanti opere delle singole artiste.
In Paola Babini convivono, a livello espressivo, sia i “canoni avanguardistici” del Libro-oggetto (Acqua, Bianco) che quelli più squisitamente metaforici (Rosa e Arcobaleno, in particolare).
Le soluzioni formali di Nedda Bonini spaziano in lungo e in largo nel repertorio più agguerrito dei Libri d’artista, dai risvolti anche concettuali e post-pop, come avviene per la parola-emblema Bianco, con i vari “reperti” stipati in un barattolo di vetro.
In Primamarosa Cesarini Sforza è, invece, il paradigma estetico del Libro d’arte (la tradizionale carta come subjectile, nonché interventi grafico-testuali) a presiedere e rinsaldare l’amicale, complice dialogo tra parola ed immagine.
Morbidezza e leggerezza connotano, poi, le dense opere di Lea Contestabile con fili, stoffe, garze, imbevute di figurine stilizzate negli stringenti collages ove il tempo memoriale di familiari icone si appropria, con un non sottaciuto lirismo di fondo, della rigeneratrice parola poetica.
Giancarla Frare, a sua volta, fa interagire i vari versi delle poete con una sorta di un suo racconto visuale primitiveggiante snodato nel continuum di verticalizzabili interni ed esterni bifacciali.
(Dal testo in catalogo ACQUA BIANCO ROSA NERO & ARCOBALENO – Alfabeti della creatività tra scrittura, arte gioco)
Scrivi un commento