L’intelligenza artificiale, la produzione di esseri pensanti come noi in un futuro non molto lontano, dicono gli scienziati, finiranno per sostituire interamente l’essere umano
di Francesco Correggia
Nelle società occidentali si moltiplicano gli appelli da parte di filosofi, scrittori, docenti, personaggi televisivi ad avere una visione umanistica della storia su cui dovrebbe fondarsi la nostra società civile e democratica. Questi appelli che sono condivisibili da un punto di vista dell’etica appaiono come tentativi di rispondere al disagio che stiamo vivendo nel mondo globalizzato. Sono dei modi con cui esprimiamo il dissenso rispetto a quello che sta accadendo oggi, non solo nella politica, ma anche nei rapporti tra individui e nello stesso linguaggio sempre di più ostaggio del potere economico-finanziario. Si tratta di inviti a riflettere sul problema dell’immigrazione, dell’ingiustizia sociale, dei paradisi fiscali, del concentramento della ricchezza, in maniera morale, etica e responsabile. Di fatto l’idea che l’uomo si fa dell’umanità è una fonte per la sua risposta alla situazione di fronte alla quale noi oggi ci troviamo, una risposta alle situazioni limite che gli si presentano. È da questa prospettiva che usiamo parole come umanesimo, umanismo, umanità.
Parole che vengono richiamate nei talk show televisivi, sui giornali, sui media, come se le medesime una volta dette, bastassero a ricreare un’attenzione, uno spazio di riflessione su ciò che sta accadendo nel rimescolio di linguaggi, chiusure, egoismi e mistificazioni. Si crede che possa esistere ancora un’opinione pubblica, una sua storia, una sua concezione etica e si dimentica che la locuzione opinione pubblica non ha più alcun significato in una dimensione globalizzata e unidirezionale della vita tecnica ed intermediale degli abitanti di questo pianeta.
Fa parte del linguaggio della politica attuale generalizzare, mischiare tutto: i rifugiati, i terroristi, i delinquenti, quelli che emigrano perché fuggono dalla guerra. Da qui a prendersela con chi è diverso o è contrario alle generalizzazioni, ai populismi il passo è breve. Faremmo un grave errore a usare lo stesso linguaggio violento, apodittico di chi si fa portatore di menzogne, senza alcun rispetto verso il significato delle parole usate solo per denigrare l’altro, il nemico, chi non può reagire e far colpo così sugli spettatori-elettori.
Forse stiamo già assistendo alla fine della specie umana. La nostra è una delle ultime generazioni perché poi ci saranno la fine del pianeta e le nuove guerre per accaparrarsi le ultime risorse. La ferocia aumenterà sempre di più e dell’umanesimo, in senso religioso come compassione, comprensione, pietà cristiana verso i più deboli, gli infelici, verso chi non ce la fa più, non rimarrà più nulla.
Il filosofo Massimo Cacciari dagli schermi televisivi lancia invettive e appelli a ritrovare la strada della virtus, della dignità umana universale. Visione su cui si è costruito l’ethos della cultura occidentale. Cacciari che ormai, forse più di Sgarbi, appare sugli schermi televisivi con una costanza incredibile in quasi tutte le trasmissioni che vogliono darsi un tono culturale in un suo recente saggio dal titolo La mente inquieta scrive che abbiamo una visione del periodo dell’umanesimo non veritiera che ne esalta, da un lato, i valori estetico-artistici, e tende a ridurne, dall’altro, il pensiero a elementi retorico-filologici. Secondo Cacciari che chiama in causa la filologia come filosofia e teologia, elemento imprescindibile per qualsiasi interpretazione storico-critica, l’umanesimo non è una dimensione pacificante secondo la visione che abbiamo ereditata dal rinascimento, ma drammatica, complessa e poco edificante. L’armonia degli opposti è in sostanza impossibile e l’umanesimo non è altro che una condizione umana dove le polarità opposte non s’incontrano mai. Può darsi che sia proprio così. Forse è da questa natura inconciliabile dell’uomo con la natura che nasce il senso di una condizione umana infelice o per lo meno contraddittoria ed insuperabile. Qui l’umanesimo non può essere ridotto all’idea che l’uomo sia al centro dell’universo, ma al contrario è la sua natura umana ad essere un paradosso, un elemento inquietante. Ma questo lo sapevano perfino i greci e non solo Marsilio Ficino.
Slides (a cura di Francesco Correggia)
Che fine ha fatto l’Humanitas intesa come comprensione e assistenza verso quelli che riconosciamo come nostri simili o la Paiedeia dei Greci a cui dobbiamo ciò che ora siamo e lo stesso modo di pensare? Forse non pensiamo più? Certo può essere. L’umanesimo è cosa diversa dall’umanismo come essenza dell’uomo, la quale consiste nel fatto che egli è qualcosa di più di un semplice uomo inteso come essere vivente fornito di ragione. Quel qualcosa in più significa: più originario e quindi più essenziale nella sua essenza.
Gli appelli all’umanità o al senso umano molte volte chiamano alla mobilitazione. Diffondete il nuovo vangelo sulla rete, sui social net work, perché noi siamo per l’inclusione, per la tolleranza così sembrano dirci queste rapsodie della fine, questi vati della comunicazione aurorale. Finalmente non stiamo solo sui bordi a guardare che cosa accade ma dai bordi rispondiamo, agiamo, interveniamo. La coscienza individuale sembra ritornare all’impegno su temi così importanti e la parola “umanità” ora così fortemente richiamata ci fa riflettere anche su temi attuali come l’emissione di CO2, lo spreco, la corruzione la disparità enorme fra ricchi e poveri.
Tutto questo, sebbene sia importante, è tuttavia una finzione, una bugia lacerante. Purtroppo gli appelli a ritrovare una dimensione umana non servono a niente. Né possiamo pensare che quel che oggi viene riportato come perdita della dimensione umana del pensiero sia rapportabile alla domanda su come ridare senso ad una parola come umanità, a quell’umanismo cui si riferiva Heidegger nella lettera sull’umanismo scritta dopo l’olocausto. Qui si tratta di un’altra questione che investe direttamente il linguaggio. È vero che esso è la casa dell’essere. L’umanismo reca con sé qualcosa di erroneo che nasce e si manifesta non con l’Humanitas dei romani ma con il pensiero sull’essere. È anche abbastanza evidente il male che recano tutte le denominazioni di questo genere. Bisogna diffidare dagli ismi. Ma il mercato dell’opinione pubblica ne pretende sempre di nuovi scrive Heidegger e si è sempre pronti a soddisfare questo bisogno. Nomi come logica, etica, fisica compaiono con tutti i loro ismi non appena il pensiero originario volge alla fine. Magari avessimo a che fare con i fatti a cui queste parole si riferiscono o con tropi linguistici densi di significato ma qui abbiamo a che fare con parole, semplici e anche inquietanti (se andiamo a vedere cosa testimonia la storia) come libertà, popolo, patria, sovranismo. L’inganno è evidente: il massimalismo pubblico si ispira a sentimenti di basso profilo che servono solo a non distinguere più fra il vero e il falso, a eccitare il ventre più che gli animi e a prepararli a nuove forme di razzismo. Questa è la ferraglia linguistica di chi siede sugli scranni più alti del potere politico eletto dal popolo e cresciuto sui social rispetto ai quali è quasi impossibile tornare a ragionare e riferirsi a una visione umanistica della storia. Siamo in balia di programmi televisivi chiamati di intrattenimento ma che in realtà sono il nutrimento alla barbarie, un’onta grave alla Paideia, all’ethos, all’onestà, al linguaggio.
Con la deriva del linguaggio che ha abbandonato il significato delle parole e il loro senso, l’essere non ha più una casa, un suo fondamento. Il linguaggio cioè non è più la casa dell’essere. Se il linguaggio è proprio ciò che distingue l’essere dall’animale ne deriva che l’essere umano è coscienza d’essere, significa prendere a cuore la sua essenza, il suo essere persona prima ancora che origine. Persona vuol dire amarla, volerle bene, significa donare l’essenza. È a partire da questo voler bene che l’essere può il pensiero. Il pensiero dell’essere è un dono. L’essere si dona all’altro come linguaggio, come parola di verità. Come casa dell’essere è il linguaggio che prende in consegna la storia dell’umano. Scrive Jaspers, nel senso del nostro finito essere umano noi cerchiamo due cose: l’unità che rende liberi, intatta, trascendente, e il linguaggio infinito della sua finitezza. Questa è la via che conduce alla liberazione, strada sempre aperta, dove la sosta è ammessa come riflessione, possibilità d’essere segnato dalla trascendenza. Essere storia, passato e futuro nel presente significa che l’essere umano è pensare ininterrotto di ciò che lo trascende che non è solo fede in Dio o in qualcosa di ultraterreno ma pensiero dell’altro che mi guarda e mi interroga. Esso è la mia cifra d’essere. Cifra dell’esistenza fra opposti, fra contingenza e trascendenza che si adoperano per il bene dell’uomo e non solo progetto nel senso dell’essere pre-gettato, dell’essere gettato in ciò che è abissale come sostiene Heidegger.
Ma occorre dire anche che l’uomo non è più nel linguaggio, nella sua essenza di verità ma nel nuovo impero tecnologico sostenuto da logiche finanziarie di dominio che non hanno niente di umano. Dall’umano al transumano. Il trans umanismo è un altro di quegli ismi in cui si intravede la fine dell’Humanitas e dell’umano pensare. Il robot sostituirà l’uomo e forse risponderà ai nostri interrogativi sempre più umani intrecciandosi con le reti sociali.
L’intelligenza artificiale, la produzione di esseri pensanti come noi in un futuro non molto lontano, dicono gli scienziati, finiranno per sostituire interamente l’essere umano. Forse il robot non sarà solo più intelligente di noi, ma sarà anche meglio di noi. Forse sopravvivrà alla catastrofe ambientale, al riscaldamento del pianeta, sarà più umano. Abbiamo bisogno di guardare il cielo, di una morale dell’ascolto, di una comprensione profonda dei processi di trasformazione in corso. Bisogna saperli individuare e portarli alla luce nella loro essenza. Benvenuto robot fra noi: essere inanimato e quasi senziente; forse non inventerai nessuna storia, ma almeno non ci ingannerai con menzogne e falsi idoli.
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