Quando nell’estate del 2013 ZRAlt! (“La rivista della Zona Rossa”, come testualmente annuncia il suo logo ideato dal giovane artista Carlo Nannicola) approdava nell’immateriale rete del web, a nessuno sarebbe passato per la testa che quella auto-definizione di “Zona Rossa”, avrebbe assunto inedite, quanto spettrali connotazioni.
Già. Spuntata come un irriducibile fiore tra le erbacce delle macerie sismiche aquilane, tuttora ammucchiate ad oltre 11 anni dal tragico sisma delle 3.32 del 6 aprile del 2009 in molte parti del medioevale centro storico (a cominciare dallo sventrato Duomo e dall’analoga chiesa medioevale di S. Maria Paganica che sta rischiando di crollare), il trimestrale culturale multimediale ZRAlt! continua il suo zigzagante percorso interdisciplinare con vocazione transdisciplinare (si rimanda in proposito alla Carta della Transdisciplinarità redatta e firmata il 6 novembre del 1994 in Portogallo da Basarab Nicolescu, Edgar Morin e Lima De Freitas), dedicando questo suo monotematico doppio numero 27-28, all’iper inflazionata “parolaccia” Coronavirus.
Riflettendo, su come, un familiare termine quale “casa” possa aver cambiato radicalmente il proprio significato. Se dopo ogni sisma sono le macerie a certificare distruzioni e lutti, con conseguente diaspora com’è realmente accaduto per i 70.000 terremotati aquilani e tutti gli altri compagni di sventura abruzzesi, con l’avvento dell’invisibile sterminatore (per gli occhi umani, ma non per il microscopio) Covid-19, quella stessa “casa” è diventata il simbolo di una potenziale salvezza a portata di mano. Ma, ad una sola anglicizzata condizione linguistica: la reclusoria pratica del lockdown sperimentata negativamente sulla propria pelle e dentro la propria mente da miliardi di esseri umani.
La conseguente messa in discussione dello stile di vita narcisisticamente affermatosi nella mercificata “Società dello spettacolo” di debordiano copyright, diventata, sempre a livello spettacolare, parossistica nell’epoca del vertiginoso sviluppo dei social media, obbliga ad un “globale ripensamento antropico”. Praticabile ad una sola condizione: curare, una volta per tutte, “Il pianeta malato” per salvare, forse ed a dispetto del Coronavirus, lo spocchioso “homo demens” di questa de/generata società spettacolare.
Scriveva tra l’altro in proposito, mezzo secolo fa, il rivoluzionario pensatore in un suo saggio titolato, appunto, La planète malade: […] «Se l’ampiezza e la realtà stessa dei “terrori dell’Anno Mille” sono ancora un oggetto controverso tra gli storici, il terrore dell’Anno Duemila è evidente quanto fondato; fin dal momento presente è una certezza scientifica. Ciononostante, quello che sta accadendo, non è nulla di fondamentalmente nuovo; è soltanto la fine forzata del vecchio processo. Una società sempre più malata, ma sempre più potente, ha ricreato dappertutto il mondo come ambiente e scenario della malattia, come pianeta malato. […]».
Si riferiva Guy Debord, in particolare, alle problematiche dell’inquinamento che «è oggi di moda, esattamente come la rivoluzione: s’impadronisce di tutta la vita della società, ed è rappresentato illusoriamente nello spettacolo».
Spettacolo che, nell’epoca della “rivoluzione digitale” non ancora deflagrata negli anni in cui Debord lanciava, insieme agli altri compagni situazionisti, il suo tremendo J’accuse!!! nei confronti della società capitalistica, ha avuto i suoi esiti parossistici nell’ “Iperspettacolo pandemico” che stiamo vivendo.
Captato, nelle schermate digitali di ZRAlt!, con i brani creativi approntati con le tessere musive delle singole firme, tessere incorniciate con il fil rouge del Covid-19.
Pino Bertelli, con Maria Di Pietro. Sulla fotografia della vita quotidiana d’una contagiata dal Coronavirus e l’immagine contaminata di un popolo nella civiltà dello spettacolo, da combattivo neo-situazionista quale è sempre stato, affronta subito, ideologicamente, tutte le perversioni generate dal sistema economico-finanziario capitalistico dentro le cui contraddizioni – ad iniziare dalla distruzione in progress dell’intero pianeta – sono state messe in luce proprio dall’indemoniato, trasformista Covid-19. Entra poi nel merito della resilienza fotografica di chi, come Maria Di Pietro, non abdica alla sua esigenza di esprimersi – ancorché colpita in prima persona dal virus – percorrendo, con i suoi clic, una sorta di « cartografia immaginale (che è la sostanza dell’immaginario)», cartografia «essenziale, austera, scevra d’ogni orpello estetizzante – una finestra aperta sul muro di una casa, i suoi piedi che sbucano da sotto il lenzuolo, il lavandino con i saponi, l’obiettivo della fotocamera accanto a un flacone medico, un piatto di pasta su una sedia, la mano che mostra una scatola di farmaci…».
Sulla stessa lunghezza d’onda d’una critica feroce al sistema capitalistico, ma con un approccio testuale differente, sono i due stimolanti interventi di Eva Rachele Grassi (… Dédié à tous ceux qui… / … Dedicato a tutti quelli che …) e Ermanno Senatore (Le virus, c’est nous ! / Il virus siamo noi!), affiatata coppia artistica operante da vari decenni nell’ambito del milieu avanguardistico parigino. Entrambi formatisi ed attestati sul versante interdisciplinare (i loro video qui proposti a corredo del loro frizzante apporto ne sono una vivida testimonianza), hanno approfondito, rispettivamente, le possibilità transitive di una scrittura continuamente da reinventare e le dissacranti simulazioni sinestetiche di una urticante visualità, all’insegna della loro accomunante parola d’ordine “CyberDada”. A mo’ di esempio, due citazioni: «Ma basta un buco nel cielo di carta per tentare di uscire dal gioc(g)o?/ di questo ambiguo dramma grottesco!?! / R-esistere all’ipotesi della tragedia per evitare la storia «cosiddetta reale»…?/ » (Eva Rachele Grassi); «Il virus siamo noi, o per meglio dire, sono loro, i nuovi predatori umani che, con la complicità di politicanti-maggiordomi e di ideologie trans-umaniste/anarchico-capitalistiche e di dinamiche uberizzanti, giocano con le nostre vite, distruggendo la biodiversità e l’armonia tra umani, animali, vegetali… (Ermanno Senatore)».
Scritto come tutti gli altri in pieno lockdown, All’ombra del Coronavirus di Francesco Correggia, rende conto del disorientamento psichico avvenuto al cospetto di una ingessata mobilità sociale, tragicamente ritmato da aride, quanto tragiche cifre, sull’andamento quotidiano della pandemia. Il dialogo tra l’autore ed i brani di un riletto suo libro “in cattività” non ancora pubblicato, rende stringente il confronto tra ciò che si è vergato ante Covid-19 e la verifica di una sua persistente attualità nel mutato contesto esistenziale: «Queste parole, rileggendole ora, sembrano appartenere ad un’altra epoca, eppure non è così».
È comunque il racconto inedito In quei giorni. Homo homini virus di Marco Palladini ad alleggerire – grazie alla sua agilissima, smaliziata e scorrevole prosa – il puzzle dei 15 episodi ruotanti attorno allo spauracchio del Contagio. Il cui incipit (“In quei giorni”), alla stregua di un salvifico esorcismo, annoda attorno al principale personaggio Lafcadio Morriconi (forse, il suo simpatico, disincantato alter ego), alcuni momenti topici del vissuto “In quei giorni”, appunto: «Lafcadio Morriconi aveva rincorso antichi maestri d’ascia perché gli sagomassero una elegante imbarcazione a vela. […] dialogava (a distanza) col suo amico Giorgio S. su questa esperienza assolutamente inedita. […] era (un po’, ma non proprio come monsieur Proust) alla ricerca del tempo perduto. […] riceveva non poche chiamate da parte di persone che gli confessavano di destarsi al mattino, dopo sonni disagevoli e perturbati, con la percezione di avere fatto un sogno orribile e la convinzione che tutto fosse (tornato) a posto. […] raccoglieva involontarie confessioni di giovanotti e giovanotte dei vari pianerottoli». Per concludere, nelle righe dell’ultimo di essi, con quest’amara constatazione: «Lafcadio o dio Lafca usciva in giardino e interrogava la luna piena, impassibile e muta, che tondeggiava sul mare in bonaccia. Forse, pensava, l’astro stesso non sapeva e non capiva. Ecco, tutto quello che dirvi possiamo è che non sappiamo e non capiamo».
Laterale al Covid-19, ma in sintonia con la tragica monotematica proposta in questo numero inerente l’eternato abbraccio della malattia con la morte, è, “ma anche non è”, il diaristico monologo testuale Moder humus – Cronaca del ritorno alla terra di Luigi Fabio Mastropietro. Creativamente e organicamente supportato dalla soundtrack originale di Mari de Jesus Correa e dalla videoproiezione di alcune opere dell’artista molisano Nicola Padula – “sottovoce narrante” –prematuramente scomparso a causa di una rara malattia autoimmune. Frutto di una pura invenzione letteraria dell’autore, data la tecnica narrativa dello pseudobiblion, la incalzante scrittura fa rivivere una serie di riflessioni aforistiche su un corpo ch’è diventato altro da sé: «Tutto svanisce intorno a me e le opere sono partorite dal vuoto. Maturi, i frutti simbolici cadono. La mia mano è diventata lo strumento obbediente di una volontà lontana».
Non poteva mancare, e non è mancato, l’apporto teoretico – nell’inimmaginabile, scombussolato scenario che ha inciso così profondamente nella produzione e fruizione culturale latamente intesa – su due forme espressive capitali quali sono la Poesia e l’Arte visuale. Apporto dovuto alla penna (come si poteva scrivere una volta) di Giovanni Fontana con Ristabilire contatti e Antonio Gasbarrini con Il Covid-19 e il tonfo dell’Estetica relazionale e della altermodernità di Nicolas Bourriaud?
Poesia da intendere, per Fontana, non più nella sua imbalsamata presenza di parole sgranate su una qualsivoglia superficie (su tutte, cartacea), ancorché sconvolte tipograficamente dall’avanguardistico impaginato futurista o Dada, ma performativamente – così come ha insegnato Fluxus anche alle generazioni successive – proposta «facendo riferimento al continuo attraversamento di linguaggi diversi: dove la voce è in movimento, tra parola, suono, gesto, immagine, tecnologie». Dopo aver rammemorato le tappe fondamentali di questa rigenerante metamorfosi in area italiana e internazionale da parte di artisti nomadi (sia fisicamente che sotto un’ottica interdisciplinare), l’autore non fa alcuno sconto ai poeti o ai dicitori tradizionali, in quanto: « Non tutti coloro che leggono versi hanno la precisa coscienza di cosa significhi praticare la vocalità in chiave poetica. Siamo stanchi di sentir biascicare parole stente imbucate malamente nel microfono. La voce, il respiro, il flatus sono elementi fondamentali nella ricerca poetica».
Infine, Antonio Gasbarrini va dritto dritto nel cuore pulsante della creatività contemporanea in ambito visuale, affrontando le numerose implicazioni teoretiche poste dagli scritti e dalla curatela di mostre (a partire dagli anni Ottanta-Novanta) da parte del critico d’arte francese Nicolas Bourriaud con la sua Estetica relazionale prima, ed Estetica della globalizzazione poi. Condividendo alcune tesi dello stesso, ma ponendo più di una riserva su altre. Al fondo di queste ultime c’è un netto dissenso soprattutto sul de profundis salmodiato su una presunta, non più praticabile prassi avanguardistica, in quanto: «dare per improponibile un’attuale (ma, anche futura) ricerca estetica attestabile sui canoni della rottura formale, simbolica e linguistica in essere storicizzabile in ambito avanguardistico, secondo noi non ha alcun senso. Per una semplice ragione. Se è ben vero che il cosiddetto “darwinismo” in Arte (Achille Bonito Oliva) ha pressoché esaurito la sua energia innovatrice, è altrettanto vero che esso costituisce e costituirà il lievito naturale della crescita cognitiva in ambito scientifico, nonché dei suoi riverberi in quello tecnologico. Di rimbalzo in rimbalzo, con il conseguente cambiamento della Weltanschauung (lo spirito del tempo), anche l’Arte sarà tenuta a fare i conti – tanto per fare un solo esempio – con le enigmatiche materia ed energia oscure (tali sono, al momento)».
INDICE BINARIO
Fotografia
Pino Bertelli Maria Di Pietro. Sulla fotografia della vita quotidiana d’una contagiata dal Coronavirus e l’immagine contaminata di un popolo nella civiltà dello spettacolo
1 Portfolio
Arte
Francesco Correggia All’ombra del Coronavirus
Slides
Ermanno Senatore Le virus, c’est nous ! / Il virus siamo noi!
1 video
Antonio Gasbarrini Il Covid-19 e il tonfo dell’Estetica relazionale e della altermodernità di Nicolas Bourriaud?
Slides + 1 video
Letteratura
Eva Rachele Grassi …Dédié à tous ceux qui…/ Dedicato a tutti quelli che…
1 video
Marco Palladini In quei giorni (Homo homini virus)
Slides
Luigi Fabio Mastropietro Moder humus – Cronache del ritorno alla terra
Slides + 1 soundtrack
Giovanni Fontana Ristabilire contatti
1 video
ALCUNI TITOLI DEL PROSSIMO NUMERO DI ZRAlt!
Pino Bertelli Edward Burtynsky – Sulla fotografia della bellezza e poetica dell’insorgenza
Antonio Gasbarrini Omaggio ad Antonio Picariello cavallo di razza della critica d’arte italiana
Matteo D’Ambrosio Per una storia della Poesia sonora
Dino Viani Leudh (Uomo libero)
Marco Tabellione Sanguineti, Laborintus e le condizioni esterne
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