Tutta l’arte è un ritorno all’origine, è nell’oscurità, i suoi frammenti vivono sempre nell’artista

di Luigi Fabio Mastropietro

Le figure, negli atteggiamenti sempre immerse e pensose, quasi sempre isolate, rappresentano la realtà nella quale l’uomo di oggi vive la propria esistenza. Queste figure, apparentemente indifferenti e solitarie, sono la testimonianza che il mondo è sempre più ostile e che l’unica realtà è quella di ritrovarsi meno con gli altri e sempre più soli con noi stessi.
Nicola P.

In questo mondo divorato dal terrore globale, l’arte visiva di Nicola P., come quella di pochi altri, è un balsamo salvifico per la coscienza dell’uomo martoriata dalla guerra perpetua per il profitto. Le sue opere incarnano una cosmogonia delle radici che parla direttamente al cuore dell’uomo. Evocano una escatologia del ritorno alla madre terra che si innalza al centro dell’immaginario della specie umana in via di estinzione.
Il ritrovamento poi, da parte della moglie Adele M., in occasione della preparazione della retrospettiva del 6 dicembre 2015, tra le tante carte e appunti custoditi nello studio, di una cartellina azzurra contenente documenti fino ad ora sconosciuti, getta una nuova luce sulla vita e le opere dell’artista prematuramente scomparso nel 2005.
La cartellina contiene alcuni fogli sparsi con appunti numerati ma non datati, probabilmente risalenti ai primi anni duemila, e la pagina di un libro annotata a margine. I frammenti, di contenuto essenzialmente memorialistico e analitico, sono scritti a macchina, qualcuno è stato corretto a mano. Nel fascicolatore sono presenti anche una scheda dell’Unità Operativa di Reumatologia e Immunologia clinica della Humanitas University di Milano, con una nota in chiusura del medico, e un cartoncino 20 x 30 sul quale è dipinto un autoritratto realizzato con una tecnica mista di olio, bitume  e cenere. Il dipinto è unico nel suo genere, anche per un artista squisitamente poligrafo che ha attraversato molti linguaggi visivi e sperimentato le tecniche espressive più diverse nella scultura come nella pittura.
L’effetto per chi osserva il ritratto è quello di una vampa di luce che illumini per una frazione di secondo ciò che non può essere illuminato o forse non è mai stato illuminato. Ma solo distogliendo gli occhi da questa fiamma obliqua, affiorano alla coscienza di chi ha guardato, come una immagine a stento impressa sulla retina, i contorni di un volto umano immerso nel fogliame del sottobosco. Un incarnato panico fuso con la vegetazione più fonda. Il profilo pulsante di una sindone di fango e di luce. Un’orma umana impressa nel bolo della terra. Il titolo del lavoro senza data è Il mio ritorno alla terra. In basso a destra solo le iniziali NP, segnate con il bitume.
Si riportano di seguito la pagina annotata del libro (numerata con lo 0), la scheda clinica e infine i frammenti, nell’ordine di numerazione dell’autore.

0.

L’arte contemporanea soffre il complesso della quarta parete. È un’arte esibizionista, le  piace farsi guardare dal mondo attraverso il muro trasparente che ha edificato tra artista e destinatario dell’opera d’arte. Ma così persegue l’inevitabile risultato di dimenticare il mondo. Di agire come se il mondo, la natura, l’origine della realtà non esistessero. Come se l’opera avesse il solo scopo di essere venduta al migliore offerente, di essere collocata a futura memoria in qualche museo polveroso, magari di diventare l’arredo urbano di qualche piazza, buono per raccogliere le deiezioni dei piccioni. Gli artisti poi saltano come indemoniati da un vernissage all’altro, parlano quasi sempre tra loro (se parlano), comunicano a loro stessi e ai loro sodali sempre la stessa litania promozionale delle presentazioni e delle mostre, in un circolo vizioso infinito. E la gente, le persone, dove sono? Dove sono la loro storia e la loro identità che l’arte deve incarnare e mantenere in vita? Il legame inscindibile tra arte e umanità, dov’è? Forse l’artista contemporaneo farebbe meglio a fare arte come il protagonista di questo racconto. Almeno l’operazione avrebbe un senso.

Da quando ha vissuto nel bosco di Lavarone, ha preso a raccogliere cortecce d’albero di tutti i tipi per tracciare l’ideogramma perfetto in stile semicorsivo Sosho. Ogni sera nel bosco stempera in un cucchiaio di acqua piovana un pizzico di polvere scarlatta di henna e la lascia riposare per tutta la notte. All’indomani raccoglie una nuova corteccia sulla quale dipinge un nuovo kanji, servendosi del suo fude a setole corte intriso di pasta di henna. Dopo aver dipinto più di trecento ideogrammi diversi su altrettante cortecce, ridotto allo stremo anche a causa della dieta insettivora, Raniero dispera di riuscire mai nel suo intento di rappresentare tutta la vita del mondo con un solo volo della mano, in un solo segno d’acqua, la sola bellezza senza sbavature. Una mattina decide di cercare l’albero più alto del bosco e di lanciarsi nel vuoto dal ramo più alto. Così, al bordo di una radura vicina ad un piccolo lago, quella stessa mattina di aprile incontra l’albero più grande che abbia mai visto o anche solo sognato. Un maestoso esemplare di Abies Alba, alto più di sessanta metri e con una circonferenza che supera i cinque metri. La corteccia grigio perlacea dell’abete bianco è molto sottile. Ha la consistenza quasi diafana della pelle di una geisha imperiale. Raniero trascorre due giorni interi a studiare e carezzare le venature vellutate dell’abete. Alla fine scopre sulla pelle dell’albero qualcosa, come una vena di sole appena più gonfia. Con le dita formicolanti ne segue il corso sinuoso, con i polpastrelli ciechi ne assaggia le divine spire. D’improvviso realizza che l’ideogramma perfetto è già stato scritto *.  

***

Unità Operativa di Reumatologia e Immunologia clinica dell’Università Humanitas di Milano

Scheda di accettazione

Nome e cognome: Nicola Padula
Sesso: maschile
Peso: //
Altezza:  //
Anno di nascita: 1939
Località di nascita: Isernia
Data di ricovero reparto UORIC: 7 settembre 2003
Diagnosi di accettazione: sindrome di Sjögren
Diagnosi di uscita: sclerodermia sistemica
Motivo del ricovero: il paziente, con anamnesi negativa rispetto a patologie artrosiche e/o artritiche, giunge alla mia osservazione per una importante sclerodattilia da fenomeno di Raynaud secondario con diffuse teleangectasie. Lamenta inoltre una artralgia atopica.
Stato di coscienza: presente
Condizioni generali: buone
Temperatura: 36,5 °C
Pressione arteriosa: 130/80
Atti respiratori: 16/min.
Ritmo respiratorio: regolare
Frequenza cardiaca: 685/min.
Ritmo cardiaco: regolare
Prognosi: //
Terapie: a seguito di test ANA/ENA per la ricerca di autoanticorpi e  capillaroscopia positivi, sono eseguiti in regime di day hospital manometria esofagea, ecocardiogramma, TAC ad alta risoluzione. Rivelata presenza residuale degli alleli HLA-DRB1*01 e HLA-DRB1*11.
Prima fase terapeutica: consigliato Prednisone e Plaquenil in dosaggio progressivo. Solo in follow up ciclofosfamide da somministrare in protocollo CT (n.b. inibire TNF-alfa).
Osservazioni: la sclerodattilia e l’ispessimento cutaneo sono di grande impedimento al paziente, pittore e scultore, abituato a modellare con le mani i materiali artistici.
(Si rileva al centro della schiena una infiorescenza spatiforme di colore bianco).
Milano, 8 settembre 2003

Il medico
(siglato)

 

***

1.

Un solo sogno all’alba. Disteso sul letto, il tronco imbevuto del bianco e del rosa del caprifoglio. Sopra di me corre il mio sguardo, sotto di me si rincorrono lampeggiando nel vuoto notte e giorno. Vetrificato, come se fossi nella corteccia di me stesso, ricevo e accolgo la luce dal basso. I reni inondati dal calore vellutato del buio, sprofondo volando nel fondo del bosco di betulle e larici alti sugli apici delle dita. Li sento stormire, eppure non c’è vento. Solo l’argento del silenzio. E l’ocra del sogno. Al risveglio, l’inedia mi assedia le membra, come alla fine di un lungo volo a fior di terra

2.

Sindrome di Sjögren? Domani l’ultima capillaroscopia e la conferma della diagnosi.

Le mie dita sono ancora bianche.

3.

Lo stesso leggero crepitio dell’argilla che cuoce. La notte posso sentire le cellule addensarsi, indurirsi nel tegumento della terra.

4.

I miei fibroblasti secernono troppo collagene.

Questa notte un prurito urente al centro della schiena, in alto tra le scapole. Allo specchio al mattino, il sangue fugge e l’ombra germoglia un nuovo fiore bianco.

5.

Ancora un sogno, poco dopo l’alba. Crollano i palazzi della strada di casa. Uno ad uno, vengono giù come fucilati sulle ginocchia. E osservo l’orizzonte della città cedere ai contrafforti lacerati della montagna. Io sono in strada e sto correndo verso la cattedrale. Il cielo ha il colore della creta e piovono uccelli, carcasse di volatili ovunque.

Ai piedi della torre campanaria dell’arco di San Pietro vedo tre donne. Le tre madri. La prima, di carnagione bianca, stringe al seno una coppa di vino. La seconda, di pelle nera, tiene tra le braccia un fascio di spighe. La terza, di carnagione rossa, ha tra le mani una melagrana.

Intorno tutto è muto e congelato come in un ricordo perduto. Solo gli uccelli continuano a cadere senza rumore. Ormai l’acciottolato è un tappeto di rostri e ali spezzate, di piume insanguinate e occhi come chiodi. Davanti a me il portale della cattedrale è sbarrato dai banchi della chiesa accatastati in una piramide vertiginosa. Non ho via di scampo.

Al risveglio le mie membra sono scavate nel marmo.

Portfolio (Opere di Nicola Padula)

Questo slideshow richiede JavaScript.

6.

Ieri ho disseppellito nello studio un vecchio libro illustrato con le opere di Paul Klee che non aprivo da anni. Al ritorno da un lungo viaggio in Tunisia, Klee confessò a Kandinskij che il colore ormai lo possedeva e non aveva più il controllo della propria arte.

Tutta l’arte è un ricordo all’origine, è nell’oscurità, i suoi frammenti vivono sempre nell’artista.

Meglio: tutta l’arte è un ritorno all’origine, è nell’oscurità, i suoi frammenti vivono sempre nell’artista.

Vivono dentro di me.

7.

Dove si nasconde il mio cuore minerale?

8.

La scultura è la pelle della terra e la pittura la sua trasfigurazione.

9.

Studio per una scultura della restituzione.

Un corpo che regredisce lentamente alla matrice indifferenziata. Le sue vene sono radici, rami le sue braccia. Il suo sangue è fango impastato di luce. Aderisce al cuore la pelle, fino ad assorbirlo. La sua carne si asciuga e affonda come il legno nel bugno primigenio. Nervo dopo nervo, al fondo si innerva e le ossa si sciolgono nella notte dell’origine.

Il mio ritorno alla terra.

10.

Lui e le sue opere sono fatti della stessa materia sgravata dalla terra. Hanno lo stesso fusto colore della pietra, la stessa anima d’argento e d’azoto, lo stesso cuore di fuoco pietrificato.

11.

Niente più sogni. Questa mattina ancora Paul Klee perché non riesco più a stringere la creta tra le dita. Dicono che anche lui sia morto di sclerodermia perché all’epoca non c’era la ciclofosfamide.

Peccato che gli immunosoppressori sopprimano anche la vita.

12.

Ricorda: l’immagine che percepisci è un pallido riflesso della realtà e l’immagine che dipingi è solo un riflesso di quel riflesso.

13.

Sarà il canone di una nascita all’inverso.

Il primo stadio dell’opera d’arte al nero è la morte di tutti i desideri dell’artista. Non abbiamo più occhi per vedere.

Il corpo dell’artista è gettato nel buio dentro il cavo dell’albero e ancora più in fondo, sotto la corteccia del mondo, affinché marcisca e si sciolga lentamente nel nero indiviso.

Come il seme deve aprirsi e morire per dare frutto, così ogni frammento materiale del simulacro di vita deve essere abbandonato alle tenebre del disfacimento fisico per riemergere all’alba della nuova vita.

14.

Il ritorno si compie attraverso tre stadi di mutazione:

  1. l’infiorescenza si allarga fino a ricoprire tutto il corpo;
  2. la pelle si indurisce assorbendo il cuore e si separa in zolle cretose;
  3. gli organi interni si disseccano e sbriciolano in cenere.

In fondo all’anima la fonte rossa continua a zampillare semi azzurri.

15.

Tutto svanisce intorno a me e le opere sono partorite dal vuoto. Maturi, i frutti simbolici cadono. La mia mano è diventata lo strumento obbediente di una volontà lontana.

15 giugno 2020

___________________________________

* La pagina è estratta dal libro Dodici casi più uno di Denis Brandani.