Non c’era ormai quasi più storia, ma la sua fine solo, un permanere nell’istinto primordiale: conquistare, per poi subito consumare. «È questa, in sintesi, la metafisica che l’ha spuntata.» Sì sì va bene che c’era stato Dio, e dopo lui quant’altro, solo Mammona però, soltanto il genio capitalista toccava i nervi a tutti, e per sempre li avrebbe toccati, ed era chiaro il motivo

di Umberto De Carolis

RETORE – «Sei sotto a un treno, o sbaglio…»

FILOSOFO – «Sfinito, amico, letteralmente… très fatigué…» Perciò, deciso… questo era l’ultimo, ma proprio l’ultimo anno di scuola… rien plus à faire, né dentro l’aula, né tantomeno fuori…

RETORE – «Perderemo una colonna a cui appoggiarci…»

FILOSOFO – «Buon per voi… finireste come gli alci della Selva Ercinia.»… No, davvero, era ormai tempo di salpare, svanire… dileguarsi in qualche esotica latebra… dove infine darsi a spiare moti di donne lievi… silenziose… bianche…

RETORE – «Silenziose, naturale…», se perfino nel suo scompartimento, nientemeno filosofico, se ne aggiravano di anche troppo loquaci…

FILOSOFO – «Tu pensa che ultimamente ho dovuto anche sentire una di queste mie colleghe proporre l’adesione, non ci crederai, alle Olimpiadi della Filosofia…»

RETORE – «Arrivereste buoni ultimi: già da un pezzo si fanno quelle di Matematica, e inopinate d’Italiano anche…»

FILOSOFO – «Beh ma diamine la filosofia…», quando in passato non s’era vissuto che di camuffamenti… «monaco, medico… tornitore di lenti…», questo spesso era stato, al secolo, il filosofo di rispetto…

RETORE – «Ed è con questo argomento che ti sei opposto?»

FILOSOFO – «Come altro argini certe mattane…»

RETORE – «Naturalmente, non volevi essere preso alla lettera…»

FILOSOFO – «Ti pare…»

RETORE – «Ma la collega non ha colto il ridicolo…»

FILOSOFO – «Niente di niente… lei vuole fare il gioco a quiz.»

RETORE -«Senti allora quest’altra…» Non più tardi dell’altro giorno era passato un avviso: le classi quinte, accompagnate dai docenti in servizio, si sarebbero recate il giorno tot, «cioè, ieri», alla Sala vattelappesca, per prendere parte all’incontro con un signor Tal dei tali, manager di un’azienda di successo. Seguiva solita coda sul da farsi a incontro finito…

FILOSOFO – «Sei dovuto andare…»

RETORE – «Per forza.»

FILOSOFO – «E t’è toccato sentire…»

RETORE – «Fino all’ultimo fiato.»

FILOSOFO – «Per ricavarne cosa?»

RETORE – «Un travaso di bile.»

FILOSOFO – «Finché ce l’hai…» Ma, andando al dunque…

RETORE – «Andando al dunque, ti dico, è stato un fatto mortificante».  Perché in sintesi quel bel tomo… quel loro liceo che entrambi ancora calcavano l’aveva bello che spetacciato, «… il Latino? Che te lo studi a fare. Le Belle Lettere, o anche brutte? Se ti piace la fame. La Filosofia? Né più né meno».

FILOSOFO – «E non c’era qualcuno a moderarlo?»

RETORE – «Ci sarebbe anche stato… posso concedere, però, che non è educato redarguire l’ospite… Ma stai a sentire il clou», ch’era venuto allorché a quello era stato chiesto ‘e… senta… per quanto riguarda la job interview?’, che era appunto un voler giungere al sodo, al centro esatto dell’intero evento. ‘Per quanto riguarda il colloquio di lavoro… che consigli può dare ai ragazzi, lei che ne hai fatti tanti, da questa parte, ma soprattutto dall’altra del board…’

FILOSOFO – «Addirittura ha detto il board…»

RETORE – «Giuro.»

FILOSOFI – «Tutti persi nel glamorama, ormai… Ma dicevi…la job interview…»

RETORE – «Ah non c’è cosa più semplice, sempre stando al Taldeitali. Basterebbe in sostanza dire tutto quello che l’azienda vuole e, meglio ancora, come lo vuole», questo in sintesi il dannato gioco. Appiattirsi come un geco sulla regola aziendale, rivestirsene a pennello, catafrarsi nello specifico linguaggio, gorgheggiandone disinvolto la prosodia cromata: inizializzare-posizionare-supervisionare…

FILOSOFO – «Ottimizzare…»

RETORE – «Appunto… Fin da subito, insomma, tu devi dare l’impressione a quei signori che nel brodo dove ti butteranno potrai starci come in una placenta, e che pertanto ci sguazzerai beato…”

FILOSOFO – “Si chiama aziendalismo…”

RETORE – “Nel mio lessico, solo e soltanto doppiezza…» C’era una volta una dialettica più chiara…

FILOSOFO – «Figuriamoci, doppiezza…» Come fosse una cosa necessaria alle correnti Risorse Umane

RETORE – «Che vorresti dire…»

FILOSOFO – «Semplicemente, che quanto in passato era divisa sociale, e alla bisogna la mettevi o toglievi, oggi è invece epidermide; è insomma pelle, pellaccia, se vuoi cotenna, e non la levi più.» Era del resto su un simile falsopiano che s’andava scivolando, in quei loro tempi post-umani, come un po’ essere api o, al peggio, termiti. «Per dire, oggi il tic nevrotico tu non lo vedi più scattare in chi soffre l’obbligo sociale, ma in chi al contrario se ne sente escluso. Se a noi insegnarono che è un male stare sempre inquadrati, oggi è diffuso il fatto che non può esserci altro…»

RETORE – «E lo diffonde chi…»

FILOSOFO – «La volontà, la forza, il desiderio spinto, chiamalo un po’ come ti pare», la filosofica cosa in sé – gli era più chiaro adesso? –, che non frenavi e che ti trascinava, e che faceva tutti sbavare, «per un gingillo oggi, e per un altro domani.» Davvero quindi non c’era ormai quasi più storia, ma la sua fine solo, un permanere nell’istinto primordiale: conquistare, per poi subito consumare. «È questa, in sintesi, la metafisica che l’ha spuntata.» Sì sì va bene che c’era stato Dio, e dopo lui quant’altro, solo Mammona però, soltanto il genio capitalista toccava i nervi a tutti, e per sempre li avrebbe toccati, ed era chiaro il motivo.

RETORE – «Sì ma perché me la chiami metafisica, se è soltanto uno stare terra terra?»

FILOSOFO – «Beh terra terra non proprio, giacché c’è il fatto, poi, che se ne fa una mistica…»; l’idolatria delle merci, che il marketing diffondeva, ne oltrepassava infatti, e di gran lunga, il valore d’uso, mettendo il popolo come dinanzi all’eucaristia, «ma con la differenza, caro mio, che qui non becchi di tanto in tanto una magra ostia, ma sangue e ciccia, e soprattutto a orario continuato. Dimmi pertanto se tu vedi attualmente un farmaco», o qualsivoglia altra panacea che, pari a quella, consentiva alle moltitudini quantomeno di fluttuare… non nelle sfere celesti, d’accordo, ma di quel tanto almeno sopra la terricola abiezione, e soprattutto, «soprattutto… con qualche cosa sempre in mano da sgranocchiare, o magari da ammazzarci il tempo, che dannazione passa, ed è una rogna di quelle grosse, ammetterai» … E se non era metafisica questa…

RETORE – «E quel tizio dell’incontro, con la sua azienda, ne sarebbe, tu dici, un sacerdote…»

FILOSOFO – «Mah, sacerdote… vedi un po’ tu…» … Ma invece… per quanto riguardava l’altra domanda?…

RETORE – «Che domanda?… Ah beh, l’ho dimenticata…», anzi no, ecco… l’inquadramento… «E così, secondo te, non lascerebbe scampo… non ci sarebbe ormai altra scelta che stare inquadrati…»

FILOSOFO – «Non ci può essere, è chiaro… giacché il marketing è scaltro, e neanche poco», e se aggrediva era nel punto più debole, la pancia, «e cioè il covile della forza che ci muove», la quale ultima, per conseguenza, annientava la funzione del piloro, dal momento che il continuo consumo, se capiva, imponeva un’evacuazione altrettanto continua…

RETORE – «E questo varrebbe anche per i ragazzi…»

FILOSOFO – «Caspita, soprattutto per loro.» Questi due punto zero, infatti, la preziosa valvola, il piloro, la perdevano già a pochi anni dalla nascita, e presto anzi non l’avrebbero proprio più avuta in dotazione, «ed è perciò che il senso della misura neanche lo sanno per sentito dire.»

RETORE – «Però… tu stesso dici che se ne vogliono stare inquadrati…»

FILOSOFO – «E allora?»

RETORE – «Come ci stai nei ranghi, se non sai darti una regolata, una misura, insomma…»

FILOSOFO – «Ci stai ci stai…», ci stavi eccome, se era quello un modo, anzi l’unico, oggi, per quantomeno avvistare la tavola…

RETORE – «Che tavola…»

FILOSOFO – «Quella dove si spartisce la torta.»

RETORE – «Puro opportunismo, quindi…» E la lealtà?… Come la metteva, con la lealtà? Perché era quello che lui pure insegnava, no? O s’era già dimenticato che sfracelli minacciava agli scolari, solo a scordarsi gli imperativi morali…

FILOSOFO – «Che c’entra…»

RETORE – «Come?…» Perché secondo lui, «secondo te, quelli, gli alunni tuoi, quando andranno a fare la loro job interview, corazzati delle astuzie del Taldeitali…» e beh quelli… sarebbero stati ottemperanti alla, per dirne una, seconda formula dell’imperativo categorico?

FILOSOFO – «Perché tu invece lo saresti sempre…»

RETORE – «Cosa…»

FILOSOFO – «Ottemperante alla dannata formula.» Lui pensava fosse insomma possibile non servirsi qualche volta degli altri, farsene il proprio sgabello…

RETORE – «Altro è una volta, altro è elevarlo a regola», il che, in sostanza, era quanto insegnava Taldeitali: dire sempre di sì all’amministratore delegato, e a ciascheduno sarebbe dato, «… l’atteso posto, appunto… ma alle catene…» Non era un caso, del resto, che, sempre il Taldeitali, dato avvio al suo show, avesse subito inneggiato all’archetipo…

FILOSOFO – «Che archetipo…»

RETORE – «La catena di montaggio.»

FILOSOFO – «Beh? C’è del male, forse?» Se per tutti era quello un modello di Paradiso… «un posto comodo e senza pensieri…»

Slides (a cura di Umberto De Carolis)

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RETORE – «La catena me la chiami comoda…»

FILOSOFO – «Comodissima: non hai niente da scegliere; ogni cosa ti è pianificata, e di quello t’appaghi.» Era questo che ciascuno voleva…

RETORE – «Anche tu…»

FILOSOFO – «Magari fosse: io fui guastato dalle troppe etiche…»

RETORE – «Dai dover essere…»

FILOSOFO – «Ecco. Pensa tu invece che struggimento il cane anche solo a lambire una mano…», quella mano che magari lo puniva… ma lo nutriva pure…

RETORE – «Ah beh la ciccia, certo…» No… un gran richiamo, il suo… davvero alto… il cane… «e, naturalmente, è per diventare cani, che veniamo tutti a scuola…»

FILOSOFO – «Ma scusa, Adamo… Adamo…» cosa diamine aveva avuto più di un cane?… Lui s’aggirava in quella sua boscaglia né più né meno d’una qualunque bestia, proprio infischiandosi d’ogni sorta di cosa che non fosse il proprio semplice, irresponsabile riperpetuarsi. «Eppure questa è stata a lungo antonomasia, la famosa condizione perduta…», che non per niente s’erano tutti dati a recuperare…

RETORE «Non io.»

FILOSOFO «Tu no, ma la maggior parte sì», c’erano secoli di contrizione a mostrarlo. E di recente solo era cambiata l’aria…

RETORE – «Di recente mi pare un po’ approssimativo…»

FILOSOFO – «Che vuoi che siano due secoletti…» Era cambiata l’aria e, dileguate le nebbie sulla cima dell’Eden, se n’era visto tutto quanto il vintage, perciò stesso abbandonato a quei suoi pochi e ormai rari amatori, una nicchia nostalgica governata da un certo Santo Padre, mentre l’immensa schiera, lo vedeva, ben altro dio ormai la solleticava, «che se anche è vero che fa molto rumore, dico l’attuale e tecnico Padreterno, poi pure è vero che ne seguono fatti, e a babbo vivo, tu mi capisci, cioè dico adesso, seduta stante, cash…»

RETORE – «Fatti, appunto, un pochettino invadenti…»

FILOSOFO – «Ah perché invece gli spazi che si sono aperti tu penseresti ancora di riempirli con le nostre vecchie giaculatorie, con quelle solite panzane?!… Ma non lo vedi…», non vedeva in che senso s’era slargata la storia? C’era una volta l’anima, e nessuno più ne sapeva niente; lo spirito, «e a dirne ancora, ormai, siamo soltanto zi’prete ed io, lui per inerzia e, alla fine, anch’io…»

RETORE – «Vedo, come no…», ma gli restava ancora una questione…

FILOSOFO – «Dimmela allora, che ti chiudo anche quella.»

RETORE – «Che sarebbe poi quella antica: che non c’è cosa che non nasca da cosa…», da un susseguirsi, capiva?…

FILOSOFO – «Ah sì, ma certo… bisogna capire, dici, com’è avvenuto che ci troviamo così», ch’era poi sempre una questione di storia… l’unico insegnamento, del resto, capace ancora di salvarli entrambi dalla rottamazione, dalla totale irrilevanza professionale, «ma non ancora per molto, però.» Perché verrebbe il giorno – sicuro a palla veniva – che, revocate le leggi del divenire, e conquistata l’agognata eternità, la storia pure avrebbe perso ogni suo senso, «Noi vediamo oggi, della futura eternità, le prove tecniche…» Quella diffusa smania di rotolarsi nella roba, d’infeticciarsi nelle merci, voleva dire, infatti, secondo lui che cosa?…

RETORE – «Che non si sa cos’altro fare, io direi.»

FILOSOFO – «Te ne consoli, ma non è affatto così.»

RETORE – «No?»

FILOSOFO – «No.» Secondo lui era quindi per quello, per quello solo che la gente comprava, e poi comprava, e ancora comprava… «… Sbagli di grosso, amico. La gente compra perché le cose durano, contrariamente a sé stessa…»

RETORE – «Beh si sa, un gioiello è per sempre…»

FILOSOFO – «Già, e come un mucchio d’altra bella roba, mobili case spille», da tramandare a pronipoti e figli, che eventualmente se ne faranno dei totem, «… fino a quel dì che lo vedranno vanire, al concretarsi dell’immenso sogno…»

RETORE – «Largo al Messia…»

FILOSOFO – «Bravo,Messia, giacché è di vita, vita eterna, che ti parlo», però stavolta di un oggetto ben polputo, altro che fuffa…

RETORE – «Parli del corpo…»

FILOSOFO – «Precisamente.»

RETORE – «Che tu prevedi immortale…»

FILOSOFO – «O prima o dopo…»

RETORE – «E chi farebbe questa cosa sensazionale?»

FILOSOFO – «Ma non lo so, immagino gli ingegneri, i nostri bravi scienziati… ovviamente applicati…»

RETORE – «Perché tu li fai capaci…»

FILOSOFO – «Se ben guidati…»

RETORE – «E da chi?»

FILOSOFO – «Ma tu vuoi che non ci sia uno stregone, da qualche parte…», un qualche Frankenstein buono all’impresa, che ben pompato, ma stavolta di quattrini, dal geniale aziendalista… «magari proprio quel tizio dell’incontro, chissà», oppure anche un suo clone…

RETORE – «E una volta che camperemo per sempre… tu cosa credi che ci faranno fare…»

FILOSOFO – «Bah… non sono cose, queste… o almeno penso…», sì insomma roba da onesti tecnici, «e nemmeno, va da sé, dell’aziendalista, ché tutt’e due sono lì a spingere a testa bassa, e non c’è tempo da perdere…»

RETORE – «E dunque noi umanisti… voi filosofi…»

FILOSOFO – «Rien plus à dire. Non c’è più un cane che voglia darci retta. La gente è altrove, ti ripeto.» Era prima toccato ai preti, adesso a loro. E pertanto era finita. «Noi siamo morti… tutti.»

RETORE – «Tu pure…»

FILOSOFO – «Tutti.»

RETORE – «Eppur ti muovi…»

FILOSOFO – «Mi muovo, sì, ma come serpe mozza.»