Il “sentire coevo” è “complesso” e variabile; basta cambiare il sistema teorico di un modello di osservazione e questo non è più lo stesso rispetto a quello passato, nonostante gli sforzi evocativi
di Giuseppe Siano
Caro Antonio, da amico critico-teorico d’arte a amico critico-teorico dell’arte, ti scrivo pensando a una sorta di manifesto della critica d’arte a noi coeva, specie ricordando TrackerArt quella nostra manifestazione sulla nuova critica d’arte a cavallo tra i primi due decenni del 2000.
Sento di dover partire dal tipo di logica che utilizziamo oggi per risolvere i problemi nel nostro mondo quotidiano e del tipo di intelligenza che ancora vogliamo utilizzare per garantire in modo pratico la sopravvivenza nell’ambiente vivente attuale.
La nostra intelligenza oggi è investita nella ricerca di una convivenza interiore che possa regolare i rapporti con gli altri individui della nostra specie. Il fine sarebbe di regolamentare e stabilire dei canoni generali anche per la convivenza in un consesso sociale. Si dibatte, però, specie nell’arte, di affidarci al sentire; quindi in prevalenza dobbiamo affidarci a messaggi estetici emergenti da una commistione tra istinti e razionalità.
Faccio queste affermazioni prima che il pensiero attuale dell’era del postmoderno omogeneizzi anche le nostre visioni e si presenti come un intermediario inessenziale anche tra le nostre probabili posizioni sull’arte contemporanea.
Tu sai che per oltre quarant’anni mi sono interessato dell’arte prodotta attraverso le neotecnologie dell’informazione che influenzano il nostro sentire, e permettono dei collegamenti tra corpo, mente, e cervello e che coinvolge con aggiustamenti strutturali anche il modello di vita che pratichiamo nel nostro ambiente.
Non a caso nel corso degli ultimi cinquant’anni abbiamo sviluppato programmi per macchine teoriche che ora possono produrre anche autonomi discorsi teorici sul sentire umano. (Ti ricordo che me ne occupai già nel 2006 con la collazione di scritti antecedenti nel libro “L’estetica e il «sentire» nelle macchine”). Mi rifeci alle invenzioni prima tecniche poi a quelle tecnologiche successive fino a quei primi programmi delle neo-tecnologie dell’informazione, con cui si iniziava pioneristicamente a produrre opere d’arte attraverso i calcoli del computer.
Come ad esempio raccontai la storia di Harold Cohen iniziata negli anni ’70 del secolo scorso; il quale con l’aggiunta di un rudimentale plotter alla macchina di calcolo del computer poté trasferire su fogli di carta per la prima volta direttamente attraverso quel braccio meccanico casuali opere visuali assemblate dalle macchine. Alla estremità del braccio era collocata una penna, mentre lo stesso era collegato e controllato attraverso impulsi elettrici a un programma del computer. Il programma era stato dall’artista Cohen elaborato insieme ad alcuni programmatori. Essi in modo casuale avevano programmato la macchina, per cui questa riproduceva, scegliendo dalla sua memoria, una serie di petroglifi disegnati dagli indiani pellerossa d’America.
Con i computer di fine anni ’70 ci volevano ore prima che si materializzassero sui fogli i segni casuali vergati dalle macchine in interazione tra loro. Negli anni 80 Cohen elaborò anche altri programmi in cui venivano riprodotti dei veri e propri disegni, grazie a una maggiore memoria operativa riguardante i maggiori calcoli di programmazione che i software delle macchine potevano elaborare.
Non dimentichiamo poi il successivo riferimento a tutte quelle opere di Arte Generativa del 1997 in architettura, di cui Celestino Soddu si rese divulgatore in Italia, o a Marco Cardini che stava interagendo con programmi creati per lui dal centro sperimentale di Pisa. Già agli inizi degli anni ’90, del secolo scorso questo artista interagiva con i programmi della macchina, che egli utilizzava in “tempo reale” con dei pennelli elettronici di varie dimensioni su uno schermo (rimando il lettore al mio saggio L’emergenza di una nuova estetica nelle performance di Marco Cardini pubblicato su questa stessa rivista).
Da quei tempi pioneristici, che abbiamo vissuto è passato tanto tempo; pertanto come fare oggi a non ricordare almeno “ChatGPT-4.1 Nano” di “Open AI” con cui anche i non studiosi di teorie possono iniziare a collazionare e a relazionare i discorsi più strampalati facendoli passare per vere e proprie teorie pensate e “sentite” da umani?
Ti dico per fugare ogni dubbio, e come tu già sai, che non sono mai stato contro a questo nuovo universo cognitivo e teorico-percettivo… anzi!
Vorrei solo che si facessero delle distinzioni tra chi produceva opere con innovazioni estetiche e tecnologiche (specie con l’utilizzo della luce e dei calcoli prodotti da macchine) nel campo dell’arte, e chi invece utilizzava, o meglio modellava, ancora la materia per raccontare in che modo si stesse modificando la nostra percezione e cognizione delle forme d’arte.
Elettricità e computer permettevano di produrre nuove forme, riflessioni e “sentire” dell’arte.
Non a caso oggi percepiamo, pensiamo e ci relazioniamo col mondo anche con la velocità dei calcoli ottenuti dalla luce o “sentiti” e trasmessi come informazioni organizzate attraverso la luce.
Non poteva succedere diversamente per uno che ha studiato teorie di arte contemporanea e che ha messo in relazione le logiche e il sentire degli umani con quei programmi autonomizzati e elaborati per le macchine.
Le macchine, ieri come oggi, rendevano automatici solo dei modelli di pensiero attraverso dei calcoli e la loro applicazione era di fatto relegata a una funzione o a una applicazione logica. O meglio, i calcoli del computer riguardavano un fine logico particolare determinato dal programma utilizzato, ma non si teneva ancora conto di dover calcolare e utilizzare altri sottoinsiemi di programmi e che riguardavano un allargamento maggiore degli automatismi di calcoli previsti e utilizzati dallo stesso primo insieme di un programma esistente o matrice.
Comunque i calcoli di quelle macchine avevano svelato a pochi un vantaggio: ci stavano mostrando che applicare un solo ragionamento automatico prima o poi si può essere indotti all’errore per aver escluso altri sistemi e altre probabilità.
Quanto più era complesso il calcolo di un programma maggiori e molteplici erano quelli che si potevano utilizzare. Le memorie per organizzare calcoli dovevano essere sempre più veloci e precise.
Mentre emergevano seri dubbi logico-matematici sul mondo relativo di un calcolo veloce. siamo diventati testimoni di una massima fiducia nel calcolo delle macchine, senza tener conto che ci sono altri calcoli e altri modelli di pensiero che venivano per ora esclusi dal nostro orizzonte percettivo ed estetico; per cui mai si dovrebbe aver fiducia in un solo modello di calcolo.
Comunque quelle innovazioni, alla stessa stregua dell’arte computerizzata o di calcolo, attualmente servono anche per lo sviluppo di un’arte robotica.
Penso che allo stesso modo nel mondo greco accadeva con quel dio Efesto. Egli donava dalla sua fucina oggetti magici agli dei e agli eroi o inventava degli automi (o robot, li chiameremmo oggi) non solo per la sua fucina, ma anche per servire presso gli dei: come i tavoli tripodi che si muovevano da soli, o le ancelle automa dorate dotate di “phrenes” e “noos” (“mente” e “intelligenza”).
Le automa-ancelle dal corpo dorato erano tutte create da Efesto (Vulcano per i latini).
Esse pur essendo in grado di parlare e muoversi, rimanevano oggetti che eseguivano degli ordini a comando. Erano insomma comunque oggetti tutto fare al servizio degli dei sull’Olimpo.
Slides (a cura della redazione)
Il problema è diverso oggi, perché non abbiamo più quei valori sociali conclamati come quelli che oggi riconosciamo a un superato mito che però ordinava la vita degli uomini. Noi oggi siamo immersi in teorie e visioni del mondo caotiche, o meglio emergenti da un rinnovato concetto di Chaos logico e matematico.
Ti segnalo anche che nella descrizione del nostro universo attuale bisogna fare attenzione anche agli ambienti in cui si usano le neotecnologie dell’informazione, e comprendere per quali fini un autore voglia determinare che gli altri risalgano alla “connotazione” dell’opera che un autore ha ideato e che voleva far emergere proprio secondo quella interpretazione.
Sembra, però, che oggi i critici-teorici dell’arte non esercitino alcuna professione di fede, e con questa neanche quella ultima famosa supremazia del disvelamento (Martin Heidegger) del pensiero.
Il loro unico fine oggi è produrre e annunciare che con un’opera si possa stabilizzare un profitto.
Anzi, il pensiero da me è utilizzato per giustificare (teoria della giustificazione dei sistemi, specie quella elaborata John T. Jost) presunte e relativistiche teorie estetiche, che con La fine della Storia (Francis Fukuyama) rientrano in un ambiente interpretativo relativo.
Tanto che per “fare” storia nel riconoscimento dell’artistico ci si affida al mercato dell’arte. Si moltiplicano solo le teorie del sentire per giustificare dei rapporti relazionali.
Attualmente tutto ciò che ruota nel mercato dell’arte non ha alcun interesse per una ricerca estetica innovativa, ma neanche artistica innovativa; in quanto la ricerca di opere d’arte originali dovrebbero almeno tener conto di un intreccio quantistico tra materia ed energia (entanglement). Si sa perciò che tutte le opere che provengono da un concetto separato tra la materia e l’energia fanno parte di una visione del passato, e, pertanto, ancora per nulla poco originale.
Per questa innovazione nella ricerca c’è da superare ancora delle questioni percettive cognitive e d’interpretazione.
L’artista a noi coevo in che modo considera la materia e l’energia e attraverso quali strumenti egli interviene nel plasmarle, modificarle e metterle in relazione?
Egli, quale sistema argomentativo e percettivo utilizza per performare le proprie opere?
Utilizza un superato modello logico-cognitivo o un più aggiornato modello energetico e informativo che trova radici nella scienza dei modelli che trattano l’informazione (Teoria dell’informazione, 1948) nel contemporaneo.
Bisogna analizzare con la materia e l’energia attuale o con i più antichi modelli di percezione e cognizione della materia e dell’energia. A secondo di queste differenziazioni un teorico anche nell’arte potrebbe permettersi di fare luce su ciò che oggi possa interpretare come una “novità”, e secondo quali nuovi canoni artistici è percepito almeno da qualcuno un nuovo concetto di materia ed energia in entanglement.
Emergono invece tanti altri arguti transiti teorici, percettivi ed estetici di un già visto che vanno dal figurativo alle avanguardie. Ecco che per me l’arte di moltissimi autori si è fermata a ricercare le sue primordiali fondamenta, da più di un secolo a questa parte, nel riflettere sul racconto del “sentire”, o su come “si sente” anche dopo che sono emerse alcune relativistiche teorie mediate dalle nuove scoperte scientifiche o anche dalla organizzazione della mente e del cervello; e ultimamente fondate specialmente sull’utilizzo delle neotecnologie dell’informazione.
Su queste ultime sembra (e io ci credo) che si fonderà la nuova rivoluzione del sentire estetico, visuale e sonoro (o “rumoristico”) da cui emergono sempre più “probabili” forme di conoscenza per descrivere i modelli di un “indeterminato” sapere, che produce anche degli effetti del sentire sul nostro organismo e sul nostro ambiente di viventi.
Tutte queste teorie si sono sviluppate in modo autonomo anche nell’arte e fanno per ora da contrappunto a quelle a formulate da settant’anni a questa parte; vicine o lontane dalle critiche e dalle visioni imperanti. Il nostro universo teorico-artistico dagli anni ’40 in poi del secolo scorso è stato mediato con maggiore chiarezza specie attraverso le teorie della sociologia e dell’antropologia dell’arte che poi sono culminate con l’affermarsi delle teorie del postmoderno o del transito delle avanguardie o retroguardie anche con l’avvento del design, dello stile e dell’arte fotografica o cinematografica oggi “creativamente” digitalizzate.
Comunque dietro questa evoluzione ci sono i calcoli matematici con gli attuali iper nano calcoli quantistici computerizzati con cui si stanno costruendo innovativi telescopi elettronici e microscopi elettronici a radiazioni con cui configurare un nuovo universo e un nuovo ambiente vitale.
Finito il mondo della rappresentazione, da tempo si è entrati nell’universo della configurazione di relazioni.
Affermo ciò proprio perché i più popolari critici d’arte attuali, che scrivono per lo più sulle riviste e sui giornali d’arte, propongono “giuste” ma stravaganti, strampalate e accennate commistioni provenienti da fiere organizzate tutte per il mercato dell’arte in cui si affermano coincise teorie valide e solo per affermare la relatività di un’opera d’arte.
Questo modello teorico, seppure relativamente ineccepibile nei nessi (Ludwig Wittgenstein) lo percepisco come se non fosse più in grado di discernere le variazioni di ciò che “si sente” dal “già sentito”, e quali sono veramente gli indirizzi per il futuro della storia dell’arte, o almeno se ce ne potrà essere una nel futuro.
Nel frattempo questo proliferare di azioni apparentemente diverse ma ridondanti, hanno indotto i divulgatori di arte a non spiegare al pubblico neanche quanto si percepisce da operazioni anche di cattivo gusto per il carattere politico-sociale di un’opera che sorge con un intento artistico e poi finisce per significarne altro.
(Mi viene in mente a quanto l’artista Maurizio Cattelan esprime, con estrema ironia, con quel dito ora collocato a piazza della borsa a Milano). Bisogna essere almeno consapevoli che un’opera interagisce con l’ambiente; per cui occorre comprendere anche che l’opera può assumere un significato altro da quello attribuito dall’artista. Quel gesto “mettetevelo in culo” voi che state al di fuori di questo edificio, dove pochi guadagnano in brevi istanti con le transazioni finanziarie mentre molti altri perdono i propri soldi per investimenti sbagliati nel gioco della borsa, – specie, spesso, fidandosi di “incolpevoli” consulenti finanziari che giocano al posto loro. [In borsa in effetti si vince solo con le grandi multinazionali d’investimento. Le quali già prima sanno dove indirizzare il proprio guadagno, perché intervengono orientando le economie e le politiche d’investimento degli stati]. Nel frattempo, noi cittadini da piazza della Borsa di Milano abbiamo oggi un monito: di prendercelo tutti in culo, nonostante che siamo la parte produttiva della nazione, compreso quegli industriali che non hanno quotato in borsa le proprie imprese. In questo modo passa in secondo ordine, o viene addirittura assoggettato, il significato personale di L.O.V.E. [Libertà, Odio, Vendetta e Eternità] attribuito dall’artista alla sua opera. Collocata in piazza della borsa, l’opera interagisce più con l’altro significato che le viene attribuito mescolandosi a ciò che è emblema oggi il palazzo della Borsa. Sono i frequentatori del gioco in borsa dal guadagno facile e subito che fanno ora il gesto, attraverso l’opera di Cattelan, di “mettetevelo in culo” a tutti coloro che frequentano gli altri palazzi della piazza e della città. Ora è quel ristretto numero di giocatori di borsa che invita tutti gli altri cittadini a mettersi in culo il dito della libertà, dell’odio, della vendetta e dell’eternità ovvero dell’AMORE secondo Cattelan; perché l’unico scopo in questa vita è fare profitto in breve tempo, guadagnando denaro in modo veloce e con esso anche quell’Amore fatto di Libertà, Odio, Vendetta e Eternità del Nostro. L’unico scopo, ormai anche nell’arte, non è la produzione di una “economia”del pensiero ma “produrre danaro” e “valore” attraverso la popolarità e la speculazione. Penso che gli Stati della Terra al posto di tassare col coefficiente massimo queste speculazioni degli investitori d’arte fanno loro pure degli sconti. Ma noi teorici dell’arte che c’entriamo con queste interpretazioni proposte dal mercato dell’arte? Sempre di questo artista provocatore abbiamo dibattuto dell’altra sua opera che va inserita tra il concettuale e l’arte povera, “caratterizzata” solo per il “valore” che produce danaro; ad essa attribuito da pusillanimi galleristi, giornalisti e critici d’arte – se si prendono in considerazione “l’estro concettuale” e la firma dell’autore. La presunta “opera d’arte” di Cattelan, critico e che si prende gioco del sistema dell’arte, riguarda anche una banana appesa a una parete con un nastro adesivo per pacchi (o scotch). Quello che mi sono chiesto se quest’opera di arte poverissima andrebbe sostituita o curata come la lattuga o l’insalata di Giovanni Anselmo del 1968? O va consumata e quindi finisce l’attribuzione del “valore artistico” e rimane solo “concettualmente” nelle feci espulse della persona che l’ha mangiata? Questo ancora non lo sappiamo!.
Se anche l’ambiente è divenuto importante (specie per il luogo in cui si colloca l’opera), quali sono le interazioni (o nessi) che intervengono sul significato per le influenze che caratterizzano l’opera e il suo circostante?.
A questa relazione forse non è stato attento Cattelan nell’opera L.O.V. E. Seppure ciò era chiaro già a Marshall McLuhan (da Understanding media, a Il medium è il messaggio, o al Villaggio globale, etc.), il quale aveva messo in relazione le opere umane con l’ambiente circostante, dalla cui interazione può addirittura emergere un nuovo significato (rimando al mio saggio su McLuhan pubblicato senza il corredo di note nel 2000 su Juliet di Trieste e integralmente ripubblicato nel 2006 nel già citato “L’estetica e il «sentire» nelle macchine” per le Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli).
Già McLuhan si soffermava sul fatto che questo interagire potrebbe andare oltre il significato prodotto dall’accostamento di due elementi linguistici diversi e addirittura per arricchire o travisare o proporre una nuova significazione, come nel nostro caso è avvenuto con l’opera L. O. V. E. proposta dall’artista Cattelan.
Bisogna fare attenzione oggi anche a dove l’artista colloca la propria opera e preventivamente osservare se la relazione che inevitabilmente si genera non si sovrapponga o ne travisi l’interpretazione originariamente voluta.
Non basta assemblare tanti discorsi e teorie diverse da effetto, come avviene in ChatGPT, per ritrovare delle radici col passato nel mondo contemporaneo. Bisogna comprendere anche l’effetto dei medium (o dei media) sul comunicare; in quanto ogni elemento di un ambiente contemporaneo può modificare il senso di un’opera anche rispetto al presente o all’interpretazione passata.
Si può così operare una rivoluzione radicale della percezione della visione e dell’ascolto non voluta o voluta inconsciamente.
Del resto si è assistito da tempo al passaggio dal comunicare delle relazioni facendo attenzione all’uso appropriato del linguaggio, all’informare e mostrare con probabili relazioni o accoppiamenti o nessi visivo-linguistico-cognitivo. L’informare in un ambiente può produrre un significato diverso dal comunicare in presenza tra due individui umani.
Attualmente le logiche, poi, si sono moltiplicate anche per la programmazione dei computer e dobbiamo fare attenzione anche all’attuale rivoluzione informatica: si sta passando dal bit al qubit.
Ricordo che un qubit (da “quantumbit”) è l’unità fondamentale di informazione nel calcolo quantistico, analogamente a come il bit è stato l’unità fondamentale nel calcolo classico del computer.
Diversamente dal bit, che può rappresentare solo una casella di 0 o 1, il qubit può essere in una casella in uno stato di sovrapposizione di entrambi; con una certa probabilità, pertanto, una casella di qubit a volte può trovarsi in uno stato 0 e altre con una certa probabilità si può trovare in uno stato 1. Ogni casella di qubit può sopportare più stati di 0 e 1
Quindi, in breve, il bersaglio” di calcolo del vettore qubit va ricavato dall’ “interpretazione predominante” che emerge principalmente dalla logica interpretativa utilizzata dall’osservatore. Nel pieno rispetto delle leggi della meccanica quantistica, una combinazione di più qubit è soggetta ad una caratteristica chiamata entanglement.
Il termine inglese significa “ingarbugliamento”, “intreccio”, o anche “legatura”. Nel nostro caso due qubit perdono la loro natura individuale per assumere una unità di coppia in condizione di entanglement. In tale condizione lo stato di un qubit influenza lo stato dell’altro e viceversa, anche a distanza.
Aggiungo, nel nostro caso, utilizzando nel discorso sul possibile utilizzo nella logica di un qubit, si deduce che la potenzialità di analisi con più ampie connessioni logiche è più presente nell’esercizio dei teorici dell’arte piuttosto che dei critici o degli allestitori d’arte.
Il teorico calcola di solito una serie di probabilità diverse da una superficiale e quasi sempre unica proposta dall’allestitore d’arte. Quest’ultimo, l’allestitore, però, spesso tiene più in considerazione la relazione tra opera e ambiente surclassando nella scrittura con una sola affermazione o massimo due, in chiarezza i teorici e i critici dell’arte.
Il “sentire coevo” è “complesso” e variabile; basta cambiare il sistema teorico di un modello di osservazione e questo non è più lo stesso rispetto a quello passato, nonostante gli sforzi evocativi.
La forza sta nel possedere il modello di un riconoscimento di ciò che è artistico secondo una retorica sofista, dove determinante non è la “verità”(aletheia) che è personale o assoluta (epistḗmē), ma ciò che “appare (o creduta) come vero”, (doxa) che sommuove i sentimenti di tutti con le “opinioni” (Platone, Fedro, Gorgia di Leontini, Encomio di Elena).
Da qui, di rilevante importanza assume l’interpretazione del filosofo Gilles Deleuze che nel secolo scorso chiamò “punto di vista” il modo di percepire l’arte e il mondo.
C’è bisogno comunque di un maggior ricorso alle teorie estetiche dell’arte per spigare i fenomeni della ricezione e cognizione artistica; anche di quegli artisti che oggi non rientrano nel mercato dell’arte.
La probabilità oggi non ha bisogno di indicare una sola “verità”; ma bisogna verificare e analizzare i fatti con la “teoria della falsificazione” (Karl Popper).
Ci si trova, pertanto, ad affrontare comunque nuovi o superati ambienti relazionali, con risposte teoriche a modelli di sentire attuali o di un passato che si proiettano e si riscontrano nel presente-futuro con o senza continuità.
Noi stiamo dimenticando che viviamo in una civiltà o in un universo relazionale fondato su un decadente modello di democrazia. Dopo questo modello di solito si fa prepotentemente avanti il ricorso nella storia di un modello imperiale; di una socialità che ha bisogno di un capo a cui affidarsi e obbedire su cosa i sottomessi debbano credere.
Ti ricordo solo che l’unico modello riconosciuto valido in questo attuale, corrotto “consesso democratico occidentale” non è il rispetto dell’uomo, delle minoranze, della salute, della collettività, o del rispetto delle leggi dello Stato, ma è solo la filosofia della supremazia del denaro estesa anche all’arte e a ciò che è artistico.
In base a questa visione l’individuale e il sociale passano in second’ordine.
In questi tempi di corruzione del pensiero, tutti i rapporti umani e sociali vanno analizzati secondo il “valore” economico-finanziario che producono.
Il danaro non ammette alcun altro “riconoscimento” di valore. Tutto è ad esso (danaro) subordinato; anche la stessa vita degli uomini è condizionato a quel volere del capo a cui il consesso sociale affida la soluzione dei problemi.
Da questo punto vista mi sento impotente rispetto alle decisioni dei molti.
Mi sono ritagliato un piccolo spazio ancora libero, dove catalogo solo modelli di “sentire” estetico. Del resto l’artistico da quasi due secoli è diventato un racconto relativo alla comprensione dell’estetico dei modelli, o dei percorsi possibili attraverso i nessi, o le connessioni della mente, con cui si esercita ancora il sentire o il riconoscere cognitivamente il mondo.
Ma alla fine anche nell’arte emerge solo il danaro che costituisce palesemente. o nascostamente, tante teorie “singolari” sul modo di intendere la produzione del danaro con l’arte.
Possiamo anche fare dei percorsi dove nell’arte si ricerca la finalità di un’opera attraverso il suo riconoscimento ottenuto per mezzo del danaro.
Ma nel mentre costruisco il percorso mi ricordo dell’interpretazione che Sigmund Freud trovò per stigmatizzare il trattenimento delle feci nel bambino piccolo durante i 18-36 mesi del suo sviluppo psico-sessuale della sua fase anale. Egli affermò che il bambino elargiva le proprie feci-danaro come dono alle persone che riconosce con un volto piacevole o a lui familiare, esercitando così la metafora di autonomia indipendenza e controllo sul mondo esterno del suo piccolo organismo fisico e psichico in formazione (Compendio di Psicoanalisi),
Chissà se sia probabile che la “filosofia dello sfintere anale” esaminata da Freud attraverso la psicoanalisi che fa sulla formazione delle convinzioni nei bambini non abbia condizionato anche l’accumulo stitico del danaro-feci in molti adulti? Che il rimedio sia: “che tutti gli uomini crescano purgandosi una volta se non al giorno, almeno una volta a settimana”? Ma qui ci vorrebbero oggi anche dei gabellieri “democratici” coraggiosi che bussino alla porta degli uomini adulti malati di stipsi, per far rispettare la legge!
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