Anche la IV Edizione di “Seminiamo Arte” ha cercato di favorire lo sviluppo della “rigenerazione civica” in atto, nonostante il perdurare di contraddizioni su contraddizioni, negativamente presenti non solo nel Centro storico di L’Aquila
di Antonio Gasbarrini
con Manuela De Leonardis, Giulia Del Papa
In piena sintonia con le prime due edizioni della rassegna interdisciplinare “Seminiamo Arte” tenute negli anni 2021 e 2022 nel Borgo di S. Lorenzo del Comune di Fossa , e, con la successiva “Seminiamo Arte III” del 2023 (i relativi links sono riportati a margine)*, questa quarta proposta ha insistito nel far dialogare la laicizzante lingua della contemporaneità estetica con la spiritualità tuttora aleggiante in alcune delle sue sedi espositive (Monastero di Clausura di S. Basilio, Chiesa di S. Maria dei Centurelli a Caporciano, Orto Botanico del Convento di S. Maria di Collemaggio). La rassegna è stata varata all’insegna della parola d’ordine “Continuiamo a seminare Arte Contemporanea diffusa nella Magnifica citade e nei borghi”. Peraltro sincronica con l’agostana Perdonanza Celestiniana, al fine di annodare il suo sublime messaggio di Pace con le più avvedute ricerche creative contemporanee.
Vale la pena di ricordare che le quattro rassegne a cadenza annuale (2021-2024) sono state promossa e organizzate dal Museo dei Bambini L’Aquila (MuBAq) con sede espositiva nel Borgo di Fossa. L’iniziativa culturale (curata nelle sue linee generali dalla Presidente del MuBAq – l’artista Lea Contestabile – e dal critico d’arte Antonio Gasbarrini estensore della presente nota) continua a mantenere la sua forte connotazione interdisciplinare.
Le quattro sezioni di cui si leggerà appresso sono state arricchite da visite guidate, workshop, laboratori, interventi musicali, performativi, laboratori creativi e convegni in collaborazione con associazioni e Accademie regionali e nazionali. Proponendosi, in tal modo, di far scoprire o riscoprire ai numerosi fruitori, alcune delle bellezze architettoniche e naturalistiche rimesse a nuovo dopo la terribile devastazione sismica del 2009, non solo nella città capoluogo.
Anche questa IV Edizione ha cercato, inoltre, di favorire lo sviluppo della “rigenerazione civica” in atto, nonostante il perdurare di contraddizioni su contraddizioni, negativamente presenti non solo nel centro storico di L’Aquila. Oltre alle confermate sezioni ARTE E SPIRITUALITA’ ed ARTE E NATURA – molto apprezzate dai cittadini residenti e dai turisti – sono state organizzate anche mostre tematiche attrattive, quali LA FIABA ed i LIBRI D’ARTISTA.
I vari incontri sono avvenuti in tempi e luoghi diversi, caratterizzando ognuno di essi con segmenti dedicati a linguaggi artistici specifici a cura di uno o più critici d’arte del settore, co-firmatari dei relativi testi riportati di seguito.
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A CAVALLO DI UN MANICO DI SCOPA. Fiaba, mito narrazione
la favola | il sogno | lo specchio | il mito | il gioco | l’infanzia | la memoria | la narrazione
di Manuela De Leonardis
La mostra collettiva A cavallo di un manico di scopa. Fiaba, mito, narrazione, che nel titolo trae ispirazione dalla raccolta di saggi A cavallo di un manico di scopa (pubblicata nel 1971) dello storico dell’arte Ernst H. Gombrich, attraverso la declinazione fiaba-mito-narrazione permette un attraversamento trasversale delle diverse sfaccettature della vita dell’essere umano, fornendo indicazioni pedagogiche che sono alla base delle regole dell’esistenza.
La favola, il sogno, lo specchio, il mito, il gioco, l’infanzia, la memoria, la narrazione sono anche le “parole chiave” che hanno guidato 18 artiste e artisti internazionali – Ali Assaf, Paola Babini, Cimen Bayburtlu, Marco Bernardi, Massimiliano Camellini, Franco Cenci, Primarosa Cesarini Sforza, Lea Contestabile, Laura De Paolis (LADEPA), Federica D’Ambrosio, Angela Ferrara, Antonella Gandini, Gabriele Lamberti, Claudio Martinez, Ahmed Faizan Naveed, Paola Paganelli, Marina Quaranta, Virginia Ryan – nell’interpretare questo ampio tema, prendendo per mano spettatrici e spettatori di ogni età in un viaggio che è prima di tutto introspettivo.
La favola è anche esercizio di emancipazione dai luoghi comuni, dalla pericolosità di un pensiero ottuso, indottrinato e prevedibile che contempla un improbabile lieto fine.
Dal mito alla favola: seguendo un itinerario che parte dall’antichità e travalica confini temporali e geografici, troviamo subito il leone e il topolino di Esopo modellati da Angela Ferrara in terracotta smaltata come metafora dell’amicizia tra il piccolo e il grande, così come le sirene di Virginia Ryan migrate nell’iconografia di Mami Wata, simbolo dell’archetipo femminile al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico e l’uovo cosmico di Federica D’Ambrosio che trae ispirazione dalla creazione dell’universo secondo una tradizione induista.
La narrazione è una trasmissione generazionale affidata tradizionalmente agli anziani, custodi di un patrimonio culturale e identitario che si tramanda ai più giovani. Nelle fotografie di Ahmed Faizan Naveed i loro ritratti sono circondati dagli alberi in plexiglass colorato dell’installazione di Paola Babini: alberi che affondano le radici nella storia passata con le chiome che svettano sui tronchi, rivolti verso il cielo come antenne che si propagano verso il domani.
Al rovesciamento dei ruoli con l’abbattimento degli stereotipi di genere ci pensa, invece, Franco Cenci con la rilettura della favola di Cappuccetto Rosso non più bambina ingenua, vittima delle voraci attenzioni del lupo, ma lei stessa soccorritrice dell’animale “cattivo” minacciato dai cacciatori. L’eco di questa favola, insieme a Le Scarpette Rosse e Barbablù – esemplificazioni della lotta tra il bene e il male – affiora anche nell’installazione di Antonella Gandini con acquarelli e fotografie di matrice onirico-surreale in cui si assiste alla restituzione di potere alle figure femminili per lo più descritte come fragili, indifese e insicure.
Dedicate al tema “deposizione/fiaba” le sculture di Marina Quaranta che mette in relazione la raffigurazione della Principessa sul pisello, Biancaneve e La bella addormentata con l’iconografia del monumento funerario: qui lo slittamento dal mondo reale a quello della fiaba lascia una porta aperta alla rinascita, alla guarigione, al perdono.
Fate e creature mitologiche popolano le coloratissime e poetiche opere tessili di Cimen Bayburtlu in cui le figure ricamate sembrano affiorare dal subconscio e con leggiadria trasformano le paure in momenti di gioia e viceversa. Narrazioni complesse, evidentemente, che incoraggiano nuove possibilità nella percezione di storie e favole tradizionali attraverso un’imprescindibile presa di coscienza da parte del soggetto. L’ambiguità della rappresentazione, in ogni caso, pone di fronte a molteplici considerazioni e quesiti, partendo dalla consapevolezza che il racconto non è mai così immediato diversamente dall’apparenza.
L’immaginario popolare è fonte d’ispirazione anche per Gabriele Lamberti con la sua pittura di velature e sovrapposizioni in cui l’ironia è strumento di negoziazione di meraviglia e crudeltà, divertimento e serietà. La sua palette di colori vibranti si ricollega, in parte, a quella delle illustrazioni di Laura De Paolis (LADEPA) che indaga con grande sensibilità il legame tra l’essere umano e la natura, in un dialogo serrato con il proprio mondo interiore.
Magia, incantesimo e metamorfosi sono altri elementi ricorrenti nell’affrontare mito e fiaba: nei fotomontaggi di Claudio Martinez si parla di un “ipotetico incontro” in cui l’autore, nell’autorappresentazione all’interno di paesaggi improbabili e dalle atmosfere oniriche, diventa presenza metaforica circondato com’è da tartarughe preistoriche e gigantesche lumache, lui stesso nei panni di un moderno centauro.
Al mito della creazione, nella sua deriva di abnorme e mostruoso, ci riportano le fotografie in bianco e nero di Massimiliano Camellini. In questo viaggio fotografico nei laboratori degli effetti speciali per il cinema, dove artisti-scienziati ambiscono a ricreare la vita riproducendo l’uomo dalla materia inanimata, si consuma un’ossessione che dalla notte dei tempi accompagna l’evoluzione dell’essere umano.
Benché linguaggi, tecnica e materiali siano profondamente diversi, c’è un vero e proprio fil rouge tra le immagini fotografiche di Camellini e le opere tessili di Paola Paganelli in cui la tridimensionalità veicola un immaginario di animali fantastici, bambole, fantocci e “mostriciattoli” in una rappresentazione che sconfina tra visibile e invisibile.
Invece, nel calarsi nel ruolo di Narciso, memore della lezione caravaggesca, Ali Assaf manifesta l’urgenza di rivedere uno dei più raffigurati miti della classicità con uno sguardo contemporaneo. L’esperienza personale dell’artista diventa un monito nell’affrontare tematiche di estrema urgenza per la collettività, come l’inquinamento dell’ambiente e le sue conseguenze. Un Narciso adulto si riflette, quindi, in acque che diventano torbide e dense di rifiuti, finché l’immagine stessa dell’artista non scompare del tutto lasciando affiorare solo un senso di frustrazione e impotenza.
Ma torniamo al mondo dell’infanzia con la sua carica di leggerezza, ingenuità, colore. Come non perdersi nel mondo incantato di Lea Contestabile che con i suoi ricami, i disegni, le sculture, le installazioni coltiva “giardini” che sono un flusso di ricordi profondamente legati alla famiglia e al territorio? Anche Primarosa Cesarini Sforza nelle sue piccole lavagne riporta la freschezza di una natura tracciata con trame e fili sospesi: la cifra espressiva del non finito garantisce allo sguardo una maggiore libertà.
Giocare è il verbo che riconduce, infine, alle sculture “soft” di Marco Bernardi: un cubo ad incastro, un aeroplano e anche un carrarmato. Giochi pericolosi a dispetto della natura morbida che li caratterizza.
Immaginifica orchestrazione di una visione corale, A cavallo di un manico di scopa. Fiaba, mito, narrazione trasforma il primo piano dell’ex Asilo di Viale Duca degli Abruzzi in un luogo “incantato”, e anche per questo effimero, per grandi e piccini.
[Allestimento Architetto Dino Lorusso – Ex Asilo Viale Duca degli Abruzzi, L’Aquila, 7-31 agosto 2024]
Slides (a cura della redazione)
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ARTE – NATURA, Sculture e istallazioni
di Giulia Del Papa
L’assenza di mani non è segno di mancanza, ma la conseguenza della continua immersione della stessa materia che esse modellano senza sosta. Le piante coincidono con le forme che inventano: per loro tutte le forme sono declinazioni dell’essere e non del fare o dell’agire.
Emanuele Coccia, La vita delle piante, 2020
Per definizione l’orto botanico è un “Giardino o campo sperimentale, che racchiude una collezione di piante vive, indigene ed esotiche, disposte sistematicamente, o secondo criteri ecologici o geografici, con la finalità di conservarle a scopo didattico e di ricerca scientifica”. Un luogo dunque di studio, conservazione e promozione del patrimonio vegetale, anche autoctono, del territorio. L’importanza culturale e storica degli Orti Botanici è ormai oggetto di comune riconoscimento poiché rappresentano un bene fondamentale per i cittadini. L’Orto Botanico, per sua struttura e costituzione, ci ricorda il legame profondo tra l’uomo e le piante.
Per tale motivo di pregevole interesse, dopo l’esperienza del 2023, è stata l’ideazione e realizzazione della mostra “Arte – Natura, sculture e installazioni”, allestita quest’anno nell’Orto Botanico di Collemaggio in occasione della quarta edizione di Seminiamo Arte, il progetto di rigenerazione civica che trasforma la città de L’Aquila in un museo diffuso.
La connessione tra arte e natura è lunga e potente. L’una trova linfa vitale nell’altra e in talune occasioni si rafforzano vicendevolmente nella reciproca promozione e conservazione, nella ricostituzione di un contesto cittadino che non sia mero abbellimento, ma anche simbiosi di significato e scopo. Sovente nascono progetti artistici ed espositivi con il fine di riqualificare spazi urbani poco frequentati e, inoltre, di coinvolgere la comunità cittadina in una rinnovata presa di coscienza sulla necessità di preservare o ripristinare habitat naturali e sociali. In un momento storico in cui la tutela dell’ecosistema è di vitale importanza, l’arte e la natura possono attuare una feconda collaborazione per realizzare quella sinfonia di bellezza e ispirazione che funga da richiamo all’armonia tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda.
Il percorso espositivo si snoda lungo tutta l’area dell’Orto Botanico. L’accesso limitrofo alla storica Basilica di Collemaggio, simbolo della città de L’Aquila, dà avvio ad un percorso in discesa che conduce ad una piana in cui sono raccolte specie vegetali rare e autoctone. L’Orto Botanico moderno ha origine proprio dall’antico giardino dei semplici, realizzato all’interno dei monasteri con la funzione di raccogliere quelle tipologie medicamentose difficilmente reperibili. In questo luogo, ponte tra l’antica concezione di preservazione della natura e la moderna finalità di conservazione, sono state posizionate le opere di sedici artisti contemporanei che rappresentano ciascuno uno spazio di ricerca distinto, coerente in ogni caso con le finalità progettuali.
In rapporto con la terra o con le specie arboree, queste opere si adagiano al terreno o agli alberi come in un continuo dialogo che pervade l’intero Orto. La ricerca di ciascuno porta a pensare e lavorare per opposizione o armonia con gli elementi naturali, laddove l’opposizione è moto di denuncia, segnale d’allarme che la natura invia ormai da troppo tempo ad un’umanità, ahimè, spesso sorda. Metallo, marmo, ceramica o vetro sono gli elementi che sostanziano la produzione di molti di loro, laddove si riscontrino anche ricerche artistiche vissute nelle pratiche di recupero o nell’utilizzo di materiale plastico e industriale. Linee e volumi astratti si incontrano con immagini figurativamente identificabili, che appaiono quasi come personaggi fiabeschi immersi in scenari dal sapore onirico. E se per alcuni è imprescindibile la riflessione sulle tragedie che la popolazione de L’Aquila e dell’Abruzzo hanno vissuto nel recente passato, altri usano quell’humus culturale che la propria terra di origine offre per lanciare lo sguardo oltre, come un messaggio che parli all’umanità intera. Chi trova soluzioni formali a un profondo interesse e intensa riflessione su aspetti filosofici ed esistenziali incontra chi sviluppa esiti plastici su elementi essenziali del fare e comporre in scultura. Origini, tradizioni e culture, sociali o religiose, si incontrano in questo ensemble, in cui non c’è timore di far affiorare pratiche e ricerche specifiche, che nell’insieme delle differenze è la ricchezza dei popoli.
Così come l’Orto Botanico raccoglie specie rare e diverse per mantenerle, preservarle e promuoverle nello studio, ugualmente la polifonia di intenti ravvisabili nelle opere che compongono la mostra vuole significare e restituire la multiforme ricchezza del patrimonio creativo umano. E questa varietà è forse proprio simbolo di quel legame, spesso inosservato ma solido e indissolubile, che ricongiunge l’umano al naturale.
Perché “natura” non designa quel che precede l’attività dello spirito umano, né ciò che si oppone alla cultura, ma ciò che permette a ogni cosa di nascere e divenire, il principio e la forza responsabili della genesi e della trasformazione di qualsiasi oggetto, cosa, entità o idea che esiste, è esistito o esisterà. (Emanuele Coccia, La vita delle piante, 2020)
[Artist * Vito Bucciarelli, Lea Contestabile, Marco Fioramanti, Danilo Fiorucci, Armando Gioia, Mauro Magni, Sergio Nannicola, Riccardo Monachesi, Massimo Pellegrinetti, Marco Pellizzola, Enrico Pulsoni, Romano Leli, Alberto Timossi, Enzo Tinarelli, Anne Elisabeth Tronhjem, Yongxu Wang]
* A cura del Centro culturale APS TRAleVOLTE e della critica d’arte Giulia Del Papa
Slides (a cura della redazione)
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Arte e Spiritualità
VERSO IL CIELO – OMAGGIO A PASQUALE DE CAROLIS
di Antonio Gasbarrini
Tra i principali protagonisti del rinnovamento culturale a L’Aquila nella seconda metà del Novecento, va annoverata l’“appartata” figura dell’artista Pasquale De Carolis, scomparso nella primavera scorsa all’età di circa 95 anni.
Nel curare nel 2006 la sua seconda ed ultima mostra personale (preferiva partecipare a quelle di gruppo), scrivevo, tra l’altro, nel mio testo in catalogo: «Non sempre, il protagonismo espositivo dell’artista, coincide con la qualità della sua ricerca. Pittori e scultori, osannati in vita, non hanno poi retto all’impietoso giudizio della storia. Maestri pressoché ignorati per lungo tempo, se non addirittura osteggiati (si pensi ad un Cézanne posizionato en avant rispetto ai coevi impressionisti, criticamente incompreso persino dal fraterno amico Zola), sono spesso diventati un punto di riferimento obbligato per le successive generazioni (molto deve il Cubismo proprio a Cézanne).
Ebbene. Questa terza esposizione di sculture, dipinti e disegni-progetto di Pasquale De Carolis vede la luce a distanza di oltre mezzo secolo dalla sua prima mostra personale tenuta a L’Aquila nel 1957.
Non che il Nostro, nel frattempo, si sia appartato in una aristocratica Turris eburnea. Anzi, il magistero della sua valida arte si è dispiegato sia in ambito accademico che partecipativo alle mostre collettive o a quelle di gruppo (“Officina Culturale ‘77” e “Gruppo d’Arte Saturnino Gatti” di cui è stato uno dei fondatori) non solo in ambito cittadino e regionale, ma anche nazionale […]».
Negli ultimi 15 anni della sua longeva vita, l’artista ha dovuto fare i conti – a livello esistenziale –con il sisma del 2009 e con la successiva salute compromessa. Nonostante gli inevitabili limiti frapposti al suo quotidiano plasmare, dipingere e disegnare nella sua casa-studio-laboratorio situata a S. Demetrio ne’ Vestini, ha continuato caparbiamente a sfidare le leggi di Natura riguardanti la sua persona e la sua arte aperta a decisive sollecitazioni formali antigravitazionali.
Anche se – sulla base delle testimoniane dei due figlioli – insoddisfatto degli esiti creativi, negli ultimi anni della feconda attività, distruggeva quasi tutto frantumando sculture, sovrapponendo il colore azzurro ad una tela già dipinta, lacerando disegni su disegni.
Da una ricognizione effettuata nel suo atelier – alcuni giorni dopo l’estremo saluto – dove sculture su sculture, quasi tutte in terracotta patinata (ma anche in gesso), di medie e grandi dimensioni pressoché accatastate insieme alle tele ed ai disegni, senza alcun criterio d’ordine filologico (data esecuzione e titolo, in particolare), s’imponeva subito l’urgenza di un minimo di una loro visibilità, data l’eccelsa qualità stilistica percepibile ad occhio nudo.
Concretizzatasi, poi, con questa mini-retrospettiva diffusa nella Chiesa di S. Maria dei Centurelli a Caporciano (4-11 agosto 2024) e nel Monastero (tuttora di clausura) di San Basilio a L’Aquila (23-29 agosto 2024).
Se l’arte di Giovanni De Carolis veniva integralmente identificata con la prassi della scultura, dopo questo Omaggio a lui dedicato, si scoprirà anche l’inedita versione del pittore e del disegnatore, più che degna della migliore attenzione.
I criteri espositivi seguiti, in base agli spazi messi a disposizione, sono stati quelli di concentrare nella chiesa di S. Maria dei Centurelli la mostra di una ventina di sculture di medie dimensioni ed una diecina di tele, mentre per il Monastero di S. Basilio sono state proposte sei sculture di grandi dimensioni e vari disegni-progetto eseguiti con tecnica mista su carta.
Entrando ora nella poetica dell’artista abruzzese, si può subito osservare come nelle opere scultoree l’Astrattismo, in tutte le sue declinazioni storicamente affermatosi, sia stato il baricentro della sua ricerca. Peraltro imbevuta di suggestioni boccioniane per quanto attiene al vibrante dinamismo impresso ad eteriche masse, Henry Moore per alcune assonanze plastiche, mentre la stella polare di un Brancusi si è ben manifestata sopratutto nella verticalizzazione di alcune di esse.
Con un non secondario particolare formale. A dominare patinature bianche, nere, bronzee… con cui la terracotta è stata cromaticamente diversificata, è, sotto l’angolazione espressiva, una loro aggiornata struttura volumetrica. Raramente idealizzata secondo i dettami euclidei di sfere e cilindri perfetti, ma “fratta”: per un verso (alla stregua della “Geometria della natura” di un Mandelbrot), e, plasticamente risolta, altre volte, secondo i dettami stilistici di lisce pieghe in libertà.
Non a caso, proprio nel ciclo “Voli” della sua seconda mostra personale tenuta nel 2006 (sempre a L’Aquila) rilevavo: «La parola d’ordine sottesa alla ricerca dell’artista abruzzese è, e non poteva essere altrimenti, “togliere peso alla materia”. La questione, ovviamente, non consiste nella sostituzione della terracotta alla pietra o al bronzo. C’è coincidenza, invece, tra gli esiti più recenti della smaterializzazione del manufatto estetico (dal Concettuale al Digitale) e le ineguagliabili Lezioni Americane di un Italo Calvino. Il quale, alla stregua del Nostro afferma, a proposito della “Leggerezza”: «[…] La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; sopratutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio».
Le sculture monumentali ed i disegni-progetto (Monastero di S. Basilio – L’Aquila)
Una levità plastica, quella dell’artista abruzzese, particolarmente efficace nelle candide sculture monumentali allestite nel suggestivo orto del Monastero di S. Basilio in contiguità con le mura trecentesche urbiche. Evocanti, con le loro attorcigliate scalanature, non già colonne doriche destinate a sopportare pesi architettonici, ma elasticizzati menhir protesi verso il cielo. Se poi la soluzione formale è quella dell’accumulo di frammenti su frammenti di terracotta o più geometrizzate superfici affusolate, è sempre e solo un empito antigravitazionale a connotare una cifra espressiva, in cui la vitale metafora del già richiamato “Volo”, fa da stretta congiunzione tra la terra e il cielo. Congiunzione esaltata da una delle rare sculture “pittoricizzate” che nelle sue apparentemente instabili sette masse imbevute di dialoganti verdi e marroni, si è rivelata ideale per proporre una installazione site–specific a perfetto suo agio con il pergolato dove sono già presenti promettenti grappoli d’uva.
Sono ancora i disegni-progetto mai esposti dall’artista, a renderci conto dei guizzi grafici con cui lo stesso dava subito anima e corpo alla idee che, come già si è accennato, erano diventate negli ultimi anni convissuti con la sua malattia, particolarmente appannate e del tutto insoddisfacenti nella loro concretizzazione materica.
Le sculture di medie dimensioni ed i dipinti (Chiesa di S. Maria dei Centurelli, Caporciano)
Quella invisibile molla capace di far scattare verso l’alto le sculture commentate precedentemente, si moltiplica in ogni direzione nelle opere di medie dimensioni, come è dato di riscontrare in quelle esposte all’interno del monumento nazionale della rinascimentale Chiesa di S. Maria dei Centurelli costruita nella biforcazione del tratturo L’Aquila – Foggia.
Mai uguali a sé stesse, ma sempre fedeli alla dinamizzata, vibrante urgenza poetica di conferire alle loro molecole su molecole inorganiche a cui è stata finalmente tolta la catena di forza della loro intrinseca, apparente immobilità, le “creature” di Pasquale De Carolis, siano esse variamente scanalate o morbidamente effigiate, sorprendono per la loro coerenza stilistica.
Coerenza peraltro ben rappresentata in questa retrospettiva in cui dietro le quinte del sinora sconosciuto “De Carolis pittore”, è il fruscio segnico dell’hic et nunc d’una catartica gestualità impressa sulla tela, a svelarci il “retroterra estetico” d’una terracotta completamente rimodulata secondo i dettami espressivi più avanzati dell’arte moderna e contemporanea.
Terracotta trasfigurata nelle sue euritmiche variazioni plastiche in cui primeggia una padronanza tecnica fuori del comune ed una edenica, concertante sensibilità artistica: da applaudire.
Slides (a cura della redazione)
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Nota redazionale
LIBRI D’ARTE
Accademia di Belle Arti di L’Aquila e Ravenna
A cura di Paola Babini, Gianluca Bellucci, Carlo Nannicola, Daniel Tummolillo
Opere degli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna
La sezione dedicata ai libri d’artista nell’ambito della rassegna “Seminiamo Arte IV”, ha visto protagoniste le opere degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna con una produzione che spazia in un ampio ventaglio di linguaggi espressivi quali mosaico, scultura, installazione, pittura, grafica d’arte e new media. Il progetto “ILLEGGIBILI Libri d’artista” è nato da un percorso didattico multidisciplinare all’interno del corso di Tecniche e Tecnologie delle Arti Visive della prof.ssa Jessica Ferro.
L’argomento del libro-opera è diventato per gli allievi un forte stimolo creativo, strumento entusiasmante di esplorazione e sperimentazione, che ha generato una produzione di sensazioni dal carattere etico ed estetico, scambi, confronti, discussioni, relazioni e dialoghi. I temi principali che vengono trattati riguardano la dicotomia tra natura e artificio, animale e vegetale, antico e contemporaneo, vita e morte, verità e finzione, interazione e isolamento, contenitore e contenuto. Il libro, inserito nel contesto artistico contemporaneo, diventa un pretesto stimolante per i giovani artisti, ossia una questione cardine di ricerca artistica genuina caratterizzata dalla pluralità di linguaggi espressivi nel panorama delle arti visive: le dimensioni musiva, grafica, pittorica e plastica si fondono per formare un ventaglio ampio e sfaccettato di visioni estremamente attuali. Le opere esposte rappresentano una selezione dei libri d’artista realizzati attraverso una vasta gamma di tecniche e materiali in connessione ad una didattica dinamica; esiti inevitabilmente eterogenei che si propongono di affrontare un’indagine incentrata sulla rielaborazione e la manipolazione della forma-libro in un continuo processo di mediazione tra l’idea e la materia, attraverso uno slancio dato dall’immaginazione. Sono opere uniche, originali e personali.
Hanno esposto: Anna Agati, Rita Amadori, Lorenzo Baruzzi, Chiara Benedetti, Virginia Casadio, Samuela Cottignoli, Martina Di Mattia, Miriam Fabietti, Enrico Giardini, Daniela Iurato, Letizia Malavolti, Tudor Padurean, Giulia Petronio, Alba Trombini
L’evento, curato dalla docente Paolo Babini, ha fatto capo all’Accademia di Belle Arti Statale di Ravenna.
B) Opere degli allievi dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila
La Scuola di Grafica dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila (ABAQ), ha come carattere identitario la propensione alla ricerca e alla sperimentazione dei linguaggi grafici.
Le varie attività svolte dalla Scuola di Grafica ABAQ, con i suoi diversi indirizzi e la produzione e la ricerca dei suoi docenti, promuovono l’innovazione attraverso l’integrazione e la sperimentazione di tecniche e linguaggi provenienti da differenti discipline artistiche e grafiche. Questo approccio cross-disciplinare non solo favorisce la crescita personale degli studenti, ma stimola anche un dialogo aperto e dinamico all’interno del panorama artistico contemporaneo.
Nella mostra sono state esposte, oltre ad alcune pubblicazioni degli anni passati, le opere delle studentesse e degli studenti della Scuola di Grafica, coordinati dal prof. Gianluigi Bellucci con il supporto dei docenti Carlo Nannicola e Daniel Tummolillo. Le opere, raccolte in un prezioso libro d’artista in edizione limitata, sono realizzate dalle studentesse e dagli studenti che hanno frequentato i corsi di Grafica d’arte e di Editoria d’Arte durante l’anno accademico 2023-24. Le allieve e gli allievi partecipanti sono: Laura Cataldi, Emanuele Censi, Maira Alejandra Cialone, Mara Ciuffetelli, Vincenzo Damiano Cristallo, Valentina Diletti, Greta Di Naccio, Valentina Equizi, Maria Vittoria Gentile, Giulia Landonio, Asia Lauri, Caterina Pio, Leila Richter e Manuela Valloscuro.
Slides (a cura della redazione)
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* Questi i links alle tre precedenti edizioni (2021-2023) della Rassegna interdisciplinare “Seminiamo Arte” pubblicate nei numeri 33 – 37 – 41 di ZRAlt!
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