Toscani ha posto il problema dell’artista maledetto… del creatore sovversivo… tranciando le estetiche del consenso attraverso un’azione artistica elaborata nel “luogo del delitto”… nel cuore dello spettacolo

di Pino Bertelli

La fotografia è una puttana che non sorride (Estratto cap. II)*

“Sono italiano, quindi figlio di puttana. A scuola mi hanno insegnato
che la patria è come la mamma e si deve rispettare… la mia patria non è certo
i confini di questa Italia che non riconosco. In questo appiattimento televisivo
che ci vuole tutti consumatori perfetti e soddisfatti io, mostro, chiamo a raccolta
tutti gli altri mostri, tutti quelli che non hanno mai avuto un doppiopetto blu
e una cravatta; faccio appello ai cattivi di questa terra perché si diano da fare
per smascherare i buoni, prima che ci annientino senza che ce ne accorgiamo con la loro bontà”.

Oliviero Toscani

“Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio, il cuore”.

Henri Cartier-Bresson

“…io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato,
privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri…
Io reclamo il diritto di dire anche che i poveri possono e debbono combattere i ricchi…
…l’obbedienza non è più una virtù”.

Don Lorenzo Milani, priore di Barbiana

 

Ouverture. Sarebbe stato meglio per la fotografia che Oliviero Toscani non fosse mai esistito… ecco cosa scriveva Asger Jorn di Guy Debord[1] e di altri poeti dell’eresia come Godwin, Shelley, Coleridge, Wordsworth, William Blake, Proudhon, Courbet… e che potremmo allargare (con l’insolenza che ci è a propria) a Edward S. Curtis, Lewis Hine, Lewis Carroll, J. E. Bellocq, Henri Cartier-Bresson, Roman Vishniac, William E. Smith, Tina Modotti, Diane Arbus, Sally Mann (e Robert Mapplethorpe, Gian Paolo Barbieri o Oliviero Toscani)… l’affabulazione creativa di questa bandiglia di fuoriusciti dal pensiero dominante (su poetiche differenti dello strumento fotografico), è accompagnata da una passione ereticale in grado di sovvertire le regole imposte della società dominante… nella fotografia e dappertutto si applaude la forma ma tutti sono spaventati dal contenuto, specie quando si coniuga alla forma… quando i fotografi, come i politici, cominciano a parlare di principi, morali, valori, i popoli cominciano a perdere i propri diritti… al di là della bellezza c’è il sale la verità e l’innocenza del divenire.

L’artista maledetto attraversa la società dello spettacolo nella dismisura della propria poetica e  disvela lo spettacolo (quando non lo incensa e ne diviene appendice conclamata al culmine della mercatale), perché sa che lo “spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediato dalle immagini” (Guy Debord)[2]. In questo senso, il dissidio che mette in campo inverte il reale dal quale parte e annuncia i franamenti dell’apparenza, della simulazione, dell’alienazione del proprio tempo. Di per sé la fotografia così fatta, in quanto pensiero separato o inviso al potere, si pone in grado di distinguere il vero dal falso e denunciare la merce come ricostruzione materiale dell’illusione religiosa… lo spettacolo è il brutto sogno della società moderna incatenata, diceva… e la merce il custode di questo sonno della ragione. I fotografi maledetti, come Toscani, esprimono il valore d’uso dell’immagine più abusata e formulano il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso nel suo rovesciamento… il détournement (deviazione, dirottamento, sottrazione, malversazione, o meglio, riorientamento di elementi estetici precostituiti e riattualizzati su altri fronti espressivi superiori) che ne consegue, è una sorta di cartografia dell’esistenza tutt’ancora da inventare o da sopprimere… la storia della fotografia non deve ridire ciò che un fotografo dice, ma dire (alla maniera di quanto scrive Deleuze della filosofia) ciò che egli sottintendeva necessariamente, ciò che non diceva e che però è presente in quello che dice”[3]. Configurare cioè il fatto fotografico fuori dalle preclusioni del mercantile e fare del mercantile la tomba di ogni totemismo dell’immaginario istituzionalizzato.

L’etichetta di “maledetto” sovente è una valorizzazione diffusa del giornalismo d’accatto… basta farsi maledire per essere sulla cresta dell’onda… è piuttosto facile apparire in televisione o sui giornali… poiché qualsiasi sproloquio provoca consenso o disdegno… ma in questo modo il concetto di “maledetto” si è alterato… minimizzato e buttato fuori dalla asperità del genio in rivolte che il principio di “maledetto” contiene…  e, come sappiamo dalla storia (non solo dell’arte), il genio comincia sempre col dolore ed è sempre in anticipo sul suo tempo. Gli innovatori sono sempre stati compresi almeno una generazione dopo… dobbiamo dedurne che la valorizzazione e la maledizione sono decisamente simultanee… l’etica del “maledetto” si riconosce dell’epica del bandito…  i colpi di genio, che lo si voglia o no, lo si ammetta o no, lo si denigri o no, cambiano al fondo l’ordine delle cose… e a partire da questi momenti di rottura o incrinatura del discorso imperante, le condizioni di produzione/ricezione dell’immagine cambiano completamente per tutti. Si potrebbe dire che tale mutazione morfologica dell’immagine produce anche le diversità  sociali che accompagnano il suo romanzo… ogni azione che non si comprende a fondo o si mitizza malamente o si maledice giustamente… i furbi collocano il “maledetto” nella santificazione o nel delirio… Toscani non credo sia mai stato infastidito da certe acclamazioni o banalizzazioni del suo fare-fotografia, anzi penso che le abbia trovate spesso divertenti… non ci sono “geni misconosciuti”… la realtà è uno specchio e coloro che non vogliono farsi manipolare fino in fondo, si chiamano fuori dai pretesti formali della commedia umana.

La grande lezione di Toscani sin dal principio è stata la franchezza contro le truccherie della comunicazione e contro ciò che meritava di essere maledetto… la forma pubblicitaria è stato un linguaggio come un altro per infrangere le ipocrisie di tutto quanto era ed è spettacolo soltanto… a partire della grande cartellonistica e inondazioni progettuali (riviste, giornali, libri, televisione) Toscani ha posto il problema dell’artista maledetto… del creatore sovversivo… tranciando le estetiche del consenso attraverso un’azione artistica elaborata nel “luogo del delitto”… nel cuore dello spettacolo… il suo portolano d’immagini, riuscite o meno,  sono portatrici  di significati, di contenuti, di abrasioni che avvertono di un certo disagio… non si è mai a proprio agio di fronte alle opere di Toscani (come a quelle di Debord)… e quel che è peggio, è fatto apposta. Toscani non è mai truculento o accattivante, semmai è sottile, ironico, cinico… è difficile coglierlo in flagrante piattezza figurativa, quanto molti fotografi dell’agenzia Magnum, specie quelli che si ergono nel più cialtrone e svuotato dei cieli, quello dei calendari Lavazza o Pirelli. Va detto. Sono i padroni dell’immaginario che fanno le regole del mercato e i bisogni sono mangime per le istituzioni. Il fatto è che “Le istituzioni sono la garanzia del governo di un popolo libero contro la corruzione dei costumi e la garanzia del popolo e del cittadino contro la corruzione del governo” (Louis Saint-Just, da qualche parte), ma quando le istituzioni sono marce vanno abbattute.

Ritorniamo al paradosso del banditismo culturale di Toscani… la persona eccezionale (fuori dai  canoni comuni) trasforma le regole… non fa mai parte completamente del gioco delle parti… né di fazioni politiche né di quelle culturali… la forza della diversità contrasta il potere che trasforma gli uomini in cose… respinge la rassegnazione, si fa ponte per costruire mondi più umani… il potere impone relazioni quotidiane tra le persone, genera violenza, sopraffazione, disuguaglianze… ma nulla può quando la libertà, la verità e la bellezza lo denudano di fronte alla dolcezza che va al cuore degli ultimi, degli esclusi, degli oppressi… il richiamo all’uomo in rivolta, che è fra tutti i conflitti che contrappongono gruppi umani, il più fondato, il più serio, se non addirittura l’unico… “la rivolta non nasce solamente e necessariamente nell’oppresso, ma può nascere anche dallo spettacolo dell’oppressione. Esiste in questo caso un’identificazione con l’altro individuo. Non si tratta di un’identificazione psicologica, sotterfugio per mezzo del quale l’individuo sentirebbe nella sua immaginazione che è a lui che s’indirizza l’offesa (perché, al contrario, si arriva a non sopportare di veder infliggere ad altri delle offese che noi stessi abbiamo subito senza rivolta). Esiste solamente un’identificazione di destini e un prender partito. L’individuo, dunque, non è in se stesso quel valore che vuole difendere. Occorrono tutti gli uomini per costituirlo. È nella rivolta che l’uomo si supera nell’altro, e, da questo punto di vista, la solidarietà umana è metafisica. Nell’esperienza assurda, la tragedia è individuale. A partire dal movimento di rivolta, essa ha coscienza d’esser collettiva” (Albert Camus)[4]. L’uomo in rivolta è innanzitutto un uomo che sa quando dire sì e quando no! è l’uomo che custodisce il passato e si richiama al divenire… afferma che in lui c’è qualcosa di cui vale la pena prendersi cura e resta irriducibile alla difesa, fino a morirne, della libertà individuale e del maggior numero…. è l’uomo che trasforma la speranza in realtà. La vita senza utopia è la tomba di un uomo come di un popolo… dinanzi alla sfilata lugubre degli imperi dello spettacolo finanziario, politico, dottrinario, burocratico, non ci resta che fomentare — fra  il ghigno e il risentimento — attentati contro la scuola dei tiranni.

In principio è stata l’icona, il segno, il graffito… poi la parola a rendere gli uomini mansueti o ribelli, fedeli o agnostici, tenutari di case chiuse o lampadieri di lucciole in amore e della libertà autentica a Maggio… allo sguardo del fotografo che accarezza e raccoglie (o incrina) l’accadere che ha di fronte, succede il collare di ferro del mercimonio o il guinzaglio del successo che pochi conoscono e ancora meno sono riusciti a spezzare… Oliviero Toscani è uno di questi cavalieri dell’eresia che fecero l’impresa. Nel suo fare-fotografia una mutazione si annuncia. La creatività fotografica che butta addosso alla civiltà dello spettacolo è una sorta di specchio nel quale si riflette una psicologia generalizzata da grandi magazzini… dove il cattivo edonismo è il prodotto di una economia/politica in declino, la soggezione all’ordine costituito è il risultato di una caduta esistenziale. Toscani sa bene che “lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle condizioni di esistenza” (Guy Debord)[5], e attraverso il valore d’uso della sua opera infrange le cinte daziare della comunicazione imposta. Ancora. Il fotografo milanese si chiama fuori da tutte le conventicole della fotografia incensata e, a modo suo, mostra che “dove la merce ha seminato la libertà non spunta più che la sua tirannia” (Raoul Vaneigem)[6]. Il suo immaginario fotografico, libertario, esprime un’etica del sentire che insegna a “guardare il mondo con occhi spalancati” (Edith Stein), le sue immagini attraversano il mondo e disvelano o strappano l’abitudine al disagio… figurano una lingua franca della comunicazione/filosofia contemporanea che contrappone la generosità alla bassezza, il coraggio alla viltà, l’impudenza all’alterigia, l’audacia dell’impudore al pudore ipocrita dei valori e delle morali costituiti.

Nel disordine delle idee, Toscani riporta l’ordine del cuore e dentro la pratica di una fenomenologia dell’inattuale rovesciato, insegna a decostruire l’ordine del discorso fotografico imperante e costruire la felicità possibile nel rovesciamento di prospettiva di un mondo rovesciato che non va aiutato a sopravvivere ma aiutato a crollare. Etty Hillesum, prima di passare per i forni crematori di Auschwitz, appuntava sul suo diario: “Anche oggi il mio cuore è morto più volte, ma ogni volta ha ripreso a vivere. Io dico addio di minuto in minuto e mi libero da ogni esteriorità. Recido le funi che mi tengono ancora legata, imbarco tutto quel che mi serve per intraprendere il viaggio. Ora sono seduta sulla sponda di un canale silenzioso, le gambe penzolanti dal muro di pietra, e mi chiedo se il mio cuore non diventerà così sfinito e consunto da non poter più volare liberamente come un uccello”[7]. Ecco, la fotografia di Toscani è come un volo d’uccello che s’innalza ai quattro venti della terra (o nelle strade del mondo) e libera il piacere di esistere fuori dalle devastazioni culturali, politiche, religiose sulle quali regna la disumanità dominante.

È lo stile di un’infanzia interminabile quello che Toscani affabula nel suo fare-fotografia… nelle sue immagini, anche quelle più criticate o censurate (o celebrate) fiorisce la bellezza di tutto ciò che è giusto e la poesia a venire che si fa storia… la felicità, come la libertà, non si concede, ci si prende. “Non c’è dubbio che oggi è soprattutto di questo che avremmo bisogno: di un po’ di luce sopra la nostra frammentaria esperienza morale, ma anche di un po’ di voce articolata o di ragione da dare alla meraviglia, allo sgomento e alla pietà” (Roberta De Monticelli)[8]. Tutto vero. I servi contenti, come i fotografi del mondano, non sembrano capire che il bisogno più importante e più disconosciuto è quello dell’anima bella o dell’angelo necessario che si oppone alla dissipazione della bellezza, tanto del passato quanto del futuro. “La perdita del passato – ci ricorda Simone Weil –, collettivo o individuale, è la grande tragedia umana, e noi abbiamo gettato via il nostro come un bambino strappa una rosa”[9]. L’immaginario fotografico di Toscani, appunto, riprende un passato disconosciuto e lo dissemina in un futuro dell’accoglienza, rispetto, condivisione… contrasta il brutto e l’osceno nell’elevazione delle forme, nella sapienza delle luci, nel coraggio di fotografare l’indicibile… non alimenta il marketing internazionale della moda, ma lo denuda e restituisce le sue spoglie all’autodistruzione della coscienza personale e collettiva.

La fotografia di Toscani architetta una filosofia del risveglio, una catenaria del dolore o dell’amore che, incidentalmente, è anche grande espressione comunicativa e al di là dalla campagna pubblicitaria (ma non solo) dalla quale parte, passa dal disagio sociale alla disobbedienza civile. Ci ricorda che morale, giustizia, politica, religione si rinnovano a partire dalla coscienza verso la bellezza, vista come fondamento di valori e giustizia sui quali si poggia. La conquista di una società libera è giusta sbaraglia tutte le banalità del male e rivendica lo spirito pubblico di una pubblica felicità. “Noi siamo liberi di cambiare il mondo e di introdurvi il nuovo. Senza questa libertà mentale di riconoscere o negare l’esistenza, di dire sì o no, non ci sarebbe alcuna possibilità di azione; e l’azione è, evidentemente, la sostanza stessa di cui è fatta la vita politica (Hannah Arendt)[10] e sociale. La cultura non è pane ma lo difende o lo toglie dalla bocca degli esclusi dal gioco delle parti. Il turbamento della legalità imposta, fuoriesce dall’azione culturale libera, innovativa del fare-fotografia di Toscani e alla pratica dell’ingiustizia risponde con la violazione dell’ordine costituito (non solo dei mercati), sa che l’arte fine a se stessa è il marchio di cui si servono i codardi e gli artisti falliti. La sola obbligazione che incombe ad un artista è di fare sempre quello che crede sia bene, bello e giusto, e tutto ciò che fa non può mai essere genuflesso a nessun potere.

La radicalità visuale di Toscani ha pochi eguali nel gazebo culturale di questo Paese (e oltre)… in questa landa di abusi e soprusi impuniti, le immagini storiche di Toscani contengono il giusto e l’onesto a molti fotografi sconosciuto… al fondo di quel fare-fotografia c’è lo splendore del vero, del nobile, dell’autentico, che sono poi aspetti importanti della giustizia. Toscani combatte l’osceno, la bruttezza, la volgarità attraverso le sue fotografie (interviste, articoli, saggi, incursioni televisive) e ovunque dice che l’idiozia, la violenza e la domesticazione sociale sono parte della vita totalmente svalorizzata. Insegna, in qualche modo, a fare buon uso del mezzo fotografico a fianco della sofferenza, dell’indignazione, della diversità… denuda l’irresponsabilità e l’impotenza della politica di fronte ai calcoli gelidi della finanza e fa dell’eccellenza estetica/etica il principio libertario della sua poetica.

La perfezione, in ogni opera d’arte, è il lavatoio dove tutti i talenti mancati si danno convegno… l’imperfezione il terreno della resistenza e dell’insubordinazione dove il temperamento dei poeti maledetti si forgia e rompe i vertici artistici dell’infamia. Non riesco ad immaginare la Fotografia senza il romanzo autobiografico che l’accompagna.

La prima immagine che Oliviero Toscani ha visto, credo, era una fotografia di suo padre, Fedele Toscani. Forse l’angelo nuovo che gli è venuto in sogno, forse il sorriso aperto di Don Lorenzo Milani o la visione libertaria, desacralizzata, impudica di Pier Paolo Pasolini lo hanno accordato a quel possibile magico che fa di un uomo un maestro ed ha compreso presto che un artista non si definisce tanto per la sua libertà di coscienza, quanto per la capacità di rifiutare la propria arte ad essere incatenata alle inferriate dell’obbedienza. La fotografia gli è apparsa lì, pura e indimenticabile, e nel contempo il ragazzo dagli occhi volanti deve avere avvertito che di qui all’eternità la fotografia è una puttana che non sorride.

Il ’68 è stato un’eruzione libertaria generazionale che ha infranto l’ingiustizia che governava l’universo. Uno dei libri che hanno annunciato la rivoluzione della gioia nel ’68 in Italia, Lettere a una professoressa[11], è opera di un prete un po’ burbero, un po’ diverso, un po’ sovversivo, don Lorenzo Milani (e dei ragazzi della scuola di Barbiana), esce nel maggio 1967 (don Milani muore per un linfoma a 44 anni nel giugno 1967), e da quella canonica sperduta nell’Appennino toscano, senza acqua, né corrente elettrica, né una strada per arrivarci (ci vivono nemmeno quaranta persone), il grido del parroco contro l’autoritarismo nella scuola è diretto, qualche volta feroce… è un testo scritto per i figli dei lavoratori, di fatto esclusi dall’università (che in massima parte accoglie i figli dei ricchi), e alla solerte professoressa fiorentina (non voleva i pidocchiosi in classe che non parlavano correttamente l’italiano, anche per la fame che avevano addosso) scrive: “Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia la lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro… Che siete colti ve lo dite da voi. Avete letto tutti gli stessi libri. Non c’è nessuno che vi chieda qualcosa di diverso… Solo i figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. E neppure svogliati. O per lo meno sentiamo che sarà un momento, che gli passerà, che ci deve essere un rimedio. Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare… La lotta di classe quando la fanno i signori è signorile. Non scandalizza né i preti né i professori che leggono l’Espresso… Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti che siete voi, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali”[12]. Tutto vero. Don Milani tocca qui le tematiche del proprio tempo e lo fa con la forza della sfrontatezza o dell’utopia, e affermava: «Io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi»[13]. Si capisce perché il Sant’Uffizio ordina la censura del suo primo libro, Esperienze pastorali[14] e, successivamente, il prete di Barbiana viene più volte minacciato di sospensione a divinis… la seminagione dei suoi scritti tra i ragazzi del ’68 fu esplosiva, dilagante, atonale a quanto correva nella sinistra comunista e nei beghini democristiani… le parole di don Milani rinnegavano i titoli risolutivi della civiltà moderna e mostravano anche possibilità e disobbedienze contro tutto ciò che rappresentava l’assoluto della chiesa e dei partiti. Sotto ogni formula giace un’oppressione secolare e i politici, insieme alle gerarchie ecclesiastiche, sono gli assassini gentili di vittime predestinate.

Una delle letture più attente di Lettera a una professoressa è quella di Pier Paolo Pasolini, il libro lo impressiona, scrive che il «contenuto ideale violentissimo, addirittura, in certi momenti, meravigliosamente terroristico, dei ragazzi di Barbiana, si immerge però, prende forma, dentro uno schema, che è lo stesso schema della moralità contadina diventata piccolo-borghese della professoressa»… dice anche che si è trovato tra le mani uno dei più bei libri che abbia letto negli ultimi anni[15]. Pasolini aveva avvertito nella filosofia educatrice di don Milani quella fierezza delle sconvenienze che non s’impara a scuola ma nella strada… l’ostilità appassionata di una folgorazione del giusto, del buono, del bello che farà saltare in aria le illusioni degli dèi e le mediocrità delle caste istituzionali… i giovani irrequieti del ’68, e per un certo tempo, riusciranno a far provare la paura a chi l’aveva sempre inflitta e nella creatività dei loro eccessi, dismisure e sregolatezze, mostrare di che nullità erano fatti i partiti[16]. L’ostilità delle giovani generazioni verso coloro che sono ossessionati dal peggio incarnato dai politici… è frutto di una lucidità culturale e passionale che porta all’insubordinazione, e l’abdicazione – anche estrema – di qualsiasi tirannia, verrà sempre troppo tardi.

L’iconografia (tutta) di Toscani, se guardata fuori dalle categorie e classificazioni, desta meraviglie e interrogazioni… i contenuti oltrepassano i contenitori dai quali parte e si porta dietro il romanzo autobiografico dello stupore… ma è uno stupore che non stupisce affatto, anzi, rivela il mistero dello stupore… è il risultato di una cosmogonia sovversiva che attraverso la fotografia infonde un’idea del mondo. La storia delle democrazie spettacolari e dei regimi comunisti smentisce i loro princìpi… l’omologazione delle folle in atto, orchestra politiche, guerre e merci… l’accumulazione, il possesso, la discriminazione sono gli strumenti adeguati sulla passività generalizzata… i poveri non hanno diritto che alla loro miseria e alle speranze elettorali che li mantengono in questa miseria… solo una società partecipata da tutti i cittadini può rimuovere l’indegnità della politica, distruggere l’incompetenza e l’arroganza della ragione imposta e farle precipitare nella storia di un nuovo umanesimo.

Sulla fotografia sovversiva della bellezza. La perfezione dell’incompiutezza della fotografia di Oliviero Toscani, non infeuda menzogne né persevera nella volgarità o nell’apoteosi della necessità… rifiuta come accessorio il futile e l’entusiasmo degli stolti… libera la giovinezza sopra i tabernacoli dei potenti e si abbevera alla generosità della commedia umana… s’accosta a un’idea, spesso contro controcorrente, e la rende contagiosa… liquida le ossessioni dell’artista inafferrabile e sceglie la diversità contro l’indecenza… Toscani è un intruso nella fotografia che conta, sconfina nelle grammatiche del linguaggio definito e non teme sconfitte né adulazioni… è un incursore nella saga generale della fotografia come mito realizzato e decreta morte tutte le formule di salvezza e cristologie d’illuminazione… è fotografo nella presenza dei suoi atti, più corrosivo di un barattolo di acido solforico… sempre in lotta contro i dispotismi o le nullità del pensiero dominante e, più ancora, è un incendiario dell’immaginario! Un capitano Achab[17] sempre in cerca della balena bianca, del mostro da rigettare negli abissi… impugna la fotocamera come un arpione e imbarca nel Pequod della fotografia del disinganno, una ciurma di passatori di confine che alla dissolutezza dell’arte, preferiscono l’arte di gioire della vita.

Appena ventunenne (1963), Toscani sale sui monti del Mugello insieme al giornalista Giorgio Pecorini, per insegnare ai ragazzi di don Milani la macchina fotografica… su una parete della scuola c’è scritto grande, “I CARE”… è il motto intraducibile dei giovani americani migliori, dice il priore: “Me ne importa, mi sta a cuore. È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”. Il pensiero disarmato di Don Milani ricongiunge le sue origini ebraiche con il cristianesimo[18], ma a noi importa poco… quello che conta è il valore pedagogico che il curato infonde ai suoi ragazzi, la forza emotiva con la quale opera uno spaesamento della mendicità professorale, della creazione raffazzonata di una vita senza amore di una società che ha costruito le cattedrali come i campi di sterminio e si è emancipata con gli orrori delle bombe. Come diceva uno sciamano cieco del deserto del Mali: “Quando un solo bambino piange per la fame, altre migliaia sono già morti perché qualcuno possa avere uno smartphone di ultima generazione e ascoltare la musica dei neri d’Africa. Misero quel popolo che ha bisogno di genocidi o di altre porcherie per parlare – solo parlare – di libertà e diritti dell’uomo.

Il priore di Barbiana aveva le idee chiare su molte cose… aveva compreso che l’intelligenza, una volta diventata sovrana, si erge contro tutti i condizionamenti della società istituita e non offre nessun appiglio o speranza ai bastonatori della storia: “Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”, diceva[19]… è il viatico della conoscenza che soppianta tutte le attività sospette dei governi… un principio di elevatezza che si accompagna al tramonto delle belle glorie dei partiti e delle fedi che ammaestrano le genti alla sottomissione… giacché non è la politica che rende liberi, ma il desiderio di rivolta per la conquista di un mondo più giusto e più umano.

Toscani scatta alcune fotografie a Barbiana… fissa nella pellicola lo sguardo del prete che fa lezione all’aperto… si vede don Milani che pensa o legge il giornale, attorniato da ragazzi impegnati nello studio… le immagini esprimono un senso di serenità e di spiritualità, anche, ma non come predica della gerarchia cattolica, piuttosto come maestro di vita che lotta e invita a lottare per un divenire migliore. I ragazzi sono educati alla fatica della conoscenza e più di ogni cosa avviati a una ricerca della verità come congedo dal dolore di vivere… di più… nella scuola di Barbiana, l’idea-esperienza del bene comune non è una religione ma il suo contrario, un legame profondo tra la vita dello spirito e il raggiungimento della libertà: “Concepire il mondo nella luce dell’idea di creazione è concepirlo come continua genesi del nuovo” (Roberta De Monticelli)[20]. La scienza, l’arte, la filosofia, la letteratura, la politica… sono trattate da don Milani come forme di sviluppo della persona, sostengono e rimandano alla felicità personale e collettiva, che è autentica solo se condivisa. Ogni ragazzo è più del libro che ha nelle mani e la somma dei monologhi è nulla rispetto a un abbraccio, una carezza, un atto d’amore fra chi non ne ha mai ricevuti.

La scuola di Barbiana è una comunità inclusiva fondata sul dialogo… sulla disobbedienza civile, anche, che si prende cura del destino degli ultimi… se c’è tanta miseria nel mondo, vuol dire che ci sono dei responsabili di questa miseria e vanno smascherati o detronizzati… il male non è mai stato raffinato… va combattuto con il sapere, la conoscenza, la radicalità di persone aiutate a pensare… non è il voto o la delega che trasforma le cose, ma il gesto, l’azione, il disinganno che si fa desiderio, passione, eresia o fuoco di mutamento sociale… migliore è la conoscenza, migliore sarà la persona in cammino per la conquista di una vita sganciata da ogni forma di autoritarismo.

La fotografia non è una dottrina o una merce soltanto… ma un’attività culturale che filosofa col martello di Nietzsche[21] e opera nella “trasvalutazione” di tutti i valori, il rovesciamento degli “idoli” che impongono la storia del più forte. Il mondo vero diviene favola quando la favola impedisce di vedere la realtà… Hannah Arendt, Edith Stein, Simone Weil, Michel Foucault, Carl G. Jung, Martin Buber, Hans Jonas, Buenaventura Durruti… ci hanno fatto comprendere che una serie di colpi ben assestati contro gli archivi della mediocrità politica liberano i pregiudizi e con questi franano anche i simulacri… fuori dalle semplificazioni sommarie, don Milani insegnava che uno spirito rassegnato non può che insegnare la rassegnazione, uno spirito libero, la ricerca della verità. “La forza è ciò che trasforma in cosa chiunque le sia sottomesso. Quando viene esercitata fino in fondo, tramuta l’uomo in un cosa nel senso letterale del termine, perché ne fa un cadavere” (Simone Weil)[22]. I servi non hanno diritto di esprimere niente, tranne ciò che può compiacere il padrone ed è il capovolgimento di questa regola che don Milani ha lasciato in sorte a quanti vogliono spezzare i guinzagli (etici, estetici e morali) che li tengono a catena… i padroni tremano quanto gli schiavi davanti all’insurrezione dell’intelligenza e nessuno mai può fare violenza senza pensare che un giorno non sarà pagato con lo stesso sale.

Le fotografie di Toscani figurano l’agorà della scuola di Barbiana… don Milani osserva attentamente i cuccioli… i ragazzi sono chini sui quaderni, sui libri, discutono, leggono, scrivono… qualcuno guarda il fotografo in macchina, altri affondano la curiosità nelle pagine di chissà quale testo… l’impronta di Toscani è rigorosa, spuria dal reportage occasionale… c’è un’immagine (corale) importante… si vede don Milani che legge il giornale in fondo allo spiazzo bianco davanti alla scuola… al suo fianco alcuni allievi, dietro una piccola cattedra un po’ rotta, un altro ragazzo guarda nel giornale del priore… in primo piano, alla sinistra della fotografia alcuni ragazzi sono seduti sulle panche, parlano, prendono appunti, qualcuno (in piedi) si guarda intorno svagato… alla destra dell’immagine due ragazzi su una panchinetta sono immersi nello studio, uno si tiene la testa con una mano… l’insieme visuale ha la forza di un film western di John Ford o la filosofia libertaria dei ragazzi felici di Summerhill[23]… la composizione istintiva di Toscani è subito bruciante… mostra una realtà che supera e recupera la meraviglia del vero per definirla come presenza del giusto… è una fotografia del profondo, quella di Toscani, che non si rifugia nel tasso giornalistico né in forme raffinate della nostalgia… coglie alla radice l’agire di anime sensibili che nulla hanno a che vedere con i parametri consueti della scuola dell’ordine.

Il fine della fotografia qui non è la tirannia della ragione, ma la seminagione della libertà! Toscani privilegia l’insieme e all’interno dell’immagine architetta frammenti di verità… i neri i bianchi s’intrecciano a figure dell’innocenza e non includono l’oscuro, ma la luce del divenire… l’originalità è il principio di ogni fotografia, è il desiderio di fare dell’immagine una fonte di bellezza. Per conoscere la fotografia non basta conoscere la storia e una fotografia è importante quando comincia a splendere di verità e di bellezza non compromesse con i luoghi comuni… ogni fotografia che obbliga a prendere coscienza di una società dell’inganno e del dolore, è un atto rivoluzionario.

A ragione James Hillman scrive: “Sono fermamente convinto che se i cittadini si rendessero conto della loro fame di bellezza, ci sarebbe ribellione per le strade. Non è stata forse l’estetica ad abbattere il Muro di Berlino ed aprire la Cina? Non il consumismo e i gadget dell’Occidente, come ci viene raccontato, ma la musica, il colore, la moda, le scarpe, le stoffe, i film, il ballo, le parole delle canzoni, la forma delle automobili. La risposta estetica conduce all’azione politica, diventa azione politica, è azione politica”[24]. Tutto vero. È la bellezza che fa la politica, ecco perché è il brutto che domina il mondo. Il brutto è conseguente al successo che lo incensa come bello e nei governi, come nei musei, il regime del brutto s’accorda al lezzo del potere che lo smercia… la forza del potere è l’arte di modificare la realtà e mortificare la conoscenza… solo alcuni bombaroli del bello piazzano ovunque interrogazioni… non basta che una fotografia sia pericolosa, più importante è che il pensiero che l’ha affabulata sia sovversivo quanto basta per far crollare il mondo apparente.

Un giorno un Maestro di Bellezza incontrò un grande artista della fotografia e lo salutò con amorevolezza. “Io non so nulla della Bellezza, Maestro”, disse il fotografo. “Ma io vedo che tu conosci il segreto della fotografia”, rispose il Maestro. “So solo fare fotografie. Non so nulla, se non che morirò e non m’importa di essere consacrato da nessuno”, disse il fotografo. “Allora conosci il segreto della Bellezza”, disse il Maestro, sorridendo.

Ogni fotografia è condannata prima di nascere… non si comprende nulla della fotografia se non si ha il coraggio del fallimento o dell’eversione contro i vincitori o quelli che detestiamo:  “Cari ragazzi, ho voluto più bene a voi che a Dio, ma sono sicuro che non baderà a queste piccolezze”, il priore di Barbiana, diceva… e queste parole riverberano nell’intimità alchemica delle fotografie di Toscani… quei volti, quei gesti, quel modo di accogliere del precettore e dei ragazzi di Barbiana, travalicano il momento fotografico… Toscani non scippa niente all’evento, né rende eccezionale qualcosa o qualcuno che lo è già… il fotografo – ma è solo un esempio fatturale – s’accosta a quella fragilità e al contempo risolutezza infantile, in eguale misura di Pier Paolo Pasolini, quando errabondava nelle periferie di Roma e per mano a ragazzini scalzi nel fango cercava quella “straziante meravigliosa bellezza del creato”[25]. Il realismo nudo delle immagini di Toscani, raccontano una vivenza senza vergogna, un risveglio spirituale, culturale, ben più importante delle affermazioni politiche che cadono nel vuoto di sentenze sommarie… il giovane fotografo non lascia niente all’improvvisazione, semmai aderisce alla passionalità di una fotografia che è coscienza della coscienza… si tiene in disparte e mostra che non c’è storia autentica che non sia dell’anima liberata.

C’è una fotografia (che configura Toscani già come artista fuori dagli schemi e dai vezzi dell’elogio interessato) dove si vede il priore attorniato da quattro ragazzi che cammina in una strada sterrata con dietro un casolare… don Milani guarda in macchina, sicuro, bello, con il corpo e il passo del giusto… i ragazzi camminano ciascuno per proprio conto e se ne fregano della fotocamera… tre hanno gli ombrelli, l’altro, più grande, è accanto al padre… sembra di “toccare” l’atmosfera di alcune fotografie fatte proprio a Pasolini tra le baracche di Roma, quando cercava i luoghi dove girare Accattone. Il giovane fotografo interroga la storia di un prete inviso alle gerarchie della chiesa e raccoglie il romanzo della sua vita… in quell’immagine c’è un’evidente linea di confine che separa chi ha potere e chi non ne ha… ma c’è anche altro… la bellezza della dignità di una geografia umana che non vuole essere condannata all’invisibilità, alla paura, alla solitudine, al silenzio e si prende il diritto all’istruzione, alla bellezza e alla libertà… a fare della propria vita un’opera d’arte… che “cos’è l’arte – don Milani, – se non una mano tesa al nemico perché cambi”. Quando raggiungono il limite estremo della povertà gli esseri umani trovano il servaggio, oppure sfuggono ad ogni controllo istituzionale e cominciano a scavare alle fondamenta del Palazzo, per minarlo alle radici e farlo crollare.

Ci piace pensare anche che la fotografia di don Milani con i ragazzi seduti nei banchi disposti a cerchio nella scuola di Barbiana (un ragazzino più piccolo è al centro della stanza, accanto alla stufa) l’abbia scattata Toscani… ma questo importa poco… contiene la medesima bellezza creativa/sovversiva di molte immagini d’impianto sociale del fotografo milanese, come quelle, ad esempio, fatte nella metropolitana di New York (o davanti a Wall Street), i pretini che sorridono alla fotocamera nelle strade di Palermo, i bambini morenti per la carestia in Somalia[26] o il cieco con la fisarmonica in Oxford Street a Londra che risplende di dignità (1962)… qui, come altrove, Toscani mostra che l’atto creativo non è un elemento di fuga o di elusione dei problemi trattati, ma è una condizione mentale, culturale, politica che profana le speranze istituzionalizzate, banalizzate al rango di pretesti e in più, deterge le giustificazioni, le definizioni, gli inganni che contribuiscono a mantenere la magnificenza dei privilegiati sulla disperazione degli ultimi. La verità della fotografia (non solo di Toscani) vive nobilmente negli avvenimenti che la negano.

Nel 2017, al salone del libro di Torino, Toscani ricorda don Milani con affetto e acutezza critica: «Don Milani era un uomo di grandissima intelligenza che capì subito i meccanismi della comunicazione di massa; comprese che per far passare il suo messaggio doveva implicarsi in prima persona. E così fece… non solo quelli di Barbiana, ma tutti coloro che lo hanno conosciuto, letto o studiato sono suoi allievi. Don Milani è un patrimonio degli italiani»[27]. E poi, don Milani è «un irriducibile sovversivo e anche una prima donna nel senso che era primo», continua Toscani, «un sovversivo che vedeva in anticipo, un “beginner”, come scriveva Walt Whitman: “Appaiono raramente sulla terra, sono cari e pericolosi/si mettono a repentaglio…”. Anche io mi sento un “beginner”, un iniziatore»[28]. Toscani è davvero un iniziatore, ma spesso viene male copiato e peggio compreso… chiunque non parla il linguaggio dell’utopia non può capire la visione profonda dell’esistenza che Toscani sparge sulle strade della Terra… sono atti di coraggio che appartengono solo a coloro che sfidano l’illusione che sostiene il mondo e lavorano alla caduta dei suoi miti. “Se un fiore cade è un fiore completo, ha detto un giapponese. Si è tentati di dire altrettanto di una civiltà” (E.M. Cioran)[29]. Le immagini ereticali di Toscani, come certi fiori di Maggio, rifiutano la rassegnazione e nell’indignazione estetica/etica si trascolorano in segni di vita autentica.

La fotografia sovversiva della bellezza è un rivolgersi, cambiare prospettiva, vedere la realtà con altri occhi… il vuoto alle mie spalle, il vero accanto a me, diceva… la pratica della fotografia d’impegno civile è una filosofia al servizio degli esclusi, lavora al divenire dell’insieme sociale che si libera della sopraffazione dei pochi a danno del maggior numero… si porta dietro cambiamenti epocali di cui ancora molti non comprendono ma, anzi, che vorrebbero impedire… e forse a ragione, perché quando gli uomini conosceranno la forza della bellezza, i responsabili di tanta sofferenza si pisceranno addosso dalla paura di ricevere quello che loro stessi hanno dispensato… nessuno può governare innocentemente, il male si subisce o si serve… non vogliamo condannare un padrone, vogliamo ucciderlo, diceva (con un certo garbo) di Luigi XVI, Danton. Il terrore riproduce le forche che voleva abbattere. La pace armata presuppone il mantenimento indefinito del capitalismo parassitario e solo la sua soppressione può mettere fine all’impero delle disuguaglianze. “Mi rivolto dunque siamo, ma al siamo soli della rivolta metafisica, la rivolta alle prese con la storia aggiunge che invece di uccidere e morire per produrre l’essere che non siamo, dobbiamo vivere a far vivere per creare quello che siamo” (Albert Camus)[30]. Va detto. Considerare la storia degli uomini come strettamente legata all’impostura delle religioni monoteiste, significa svuotare l’uomo della sua intelligenza e la storia della sua sostanza… nelle simbologie terroriste delle religioni solo gli angeli sono innocenti e i santi, come i martiri, sono avvolti nella beatitudine della stupidità celeste… la speranza è la sola condizione che i padroni dello spirito concedono volentieri agli schiavi, e agli uomini senza dio basta solo un colpo di fucile… la paura è l’ostia di tutti i regimi che fanno della distruzione del diverso da sé, il consolidamento dei propri terrori. Se un dio esistesse veramente, andrebbe avvolto a una croce di sputi, per cosa ha rappresentato e rappresenta sulla Terra… non deploreremo mai abbastanza le morali da ghigliottina che le religioni impongono al genere umano. Il cammino dell’umanità passa dalla liberazione dell’uomo sull’uomo. E comunque vada, senza nessun rimorso.

Lettera a una professoressa è un atto di accusa contro il conformismo scolastico del tempo… con un linguaggio semplice, quasi orale (e piccoli errori che si porta dietro l’immediatezza descrittiva), disseminato di digressioni e interpunzioni gergali… sostiene che la scuola è di classe quando riproduce e consolida le disuguaglianze socioeconomiche e culturali presenti nella società, impedisce la mobilità sociale, ovvero la possibilità di migliorare la propria condizione sociale[31]… l’allacciamento all’art.3 della Costituzione è conseguente: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. I ragazzi che sono morti nella Resistenza (anche se tradita dall’intero arco parlamentare) non sono morti invano, i loro corpi e i loro sogni continuano a sollecitare l’indignazione di quanti continuano a combattere contro l’indifferenza, il parassitismo e il servaggio insiti nel sistema dei partiti e della società consumerista… nel 1917 Antonio Gramsci scriveva: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare”[32]. La scrittura fotografica di Toscani, lavora contro l’indifferenza e mostra che tutto ciò che attiene alla santità del successo cade inevitabilmente nel luogo comune… che siano le immagini sulla osteoporosi, della The Bowery (New York), i “ragazzi” di Stazzema (ormai vecchi), un casting a Livorno o il manifesto di un film contro il nazismo e la collusione del Vaticano nello sterminio degli ebrei (Amen., 20012, di Costa-Gavras), che ha suscitato furiose polemiche perché il fotografo ha fatto vedere una croce trasformata in svastica (o viceversa)… ciò che fuoriesce dal suo portolano d’immagini singolari è l’adesione alla verità come bellezza e all’impudenza o alla tragedia che si porta dietro… a un certo grado di qualità della fotografia, ogni franchezza diventa indecente.

Portfolio (Foto di Pino Bertelli e Oliviero Toscano)

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Non si tratta di rifiutare o accettare l’ordine sociale (dei partiti) ma renderlo ridicolo nelle sue certezze… del resto l’ingiustizia degli uomini è il fac-simile di quella di dio… sono architettate sugli altari dei vincitori (banche, partiti, chiese, sindacati…) e anche l’arte, quale che sia, è uno dei caratteri distintivi della sottomissione per un pugno di dollari (titolo di un film orrendo)… Toscani è un artista non riconciliato e come sappiamo da un grande regista francese, Jean-Marie Straub (e da sua moglie, Danièle Huillet), nel film Non riconciliati, ovvero solo violenza aiuta dove violenza regna (1964-1965), all’orizzonte c’è sempre un dio o uno stato che minaccia, i poeti che stanno al margine o irrompono nell’arte si chiamano fuori dalle corti senza dignità né franchezza e disseminano le loro opere contro la mediocrità trasfigurata in visione del mondo. Sono dei sognatori, certo… e in un percorso di tentazioni, provocazioni e vertigini si fanno eretici dell’esistenza liberata (come Oliviero Toscani). Anticipano il desiderio di giustizia con l’ossessione dell’altrove e accettano l’avventura o il deliquio di non essere compresi in piena coscienza… vivono allo scoperto nel tempo degli equivoci e sanno bene che il consenso tormenta soltanto i santi, i criminali e i megalomani della partitocrazia, tutta gente che – a un certo grado di civiltà – andrebbe passata per le armi.

Del resto, la filosofa Simone Weil aveva già compreso il marciume dei partiti e dopo aver fatto l’operaia e la Rivoluzione di Spagna del ’36, nel 1943, a Londra, scrive il Manifesto per la soppressione dei partiti politici; qui dice: «I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia… La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. È perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi»[33]. Aderire all’ideologia di un partito o di una chiesa (o credere che una scheda elettorale possa cambiare il corso delle cose) è una forma normale di delirio… fuorché la rivolta, quale che sia, tutto è falso… falsa la civiltà dello spettacolo, falsi i partiti che la sostengono, false anche le verità sui terrorismi internazionali che i finanzieri della guerra alimentano (che armano) per alzare profitti e dividendi… il ballo è in maschera, la farsa è negare che l’umanità non si è emancipata sulla polvere da sparo e nel dolore dei secoli… i tiranni, i macellai, i carnefici sono sempre gli stessi… quelli che hanno fatto il covo (di serpi) nei partiti, nelle banche, nelle chiese a aspirano a fondare o a mantenere la religione del mercato… sono i figuranti dell’ordine costituito e i protagonisti impuniti dell’olocausto della storia. Solo quando i popoli scopriranno la fame di bellezza che c’è nei loro cuori,  ci sarà la rivoluzione nelle strade della terra (da e con James Hillman). La miseria costituisce la trama di tutto ciò che respira nel mondo… ma la miseria non è ereditaria e va combattuta, e tutti i mezzi sono buoni per abbattere l’ordine del superfluo o i pretesti di pietà con i quali milioni di uomini sono tenuti a catena. L’obbedienza non è mai stata una virtù.

La fotografia è una scrittura o un  dispositivo usato per ingannare o per fornire poetiche che vanno al di là della realtà. “La macchina fotografica non mente neanche quando cita una menzogna, e l’effetto di questa convinzione è che la menzogna, ogni tipo di menzogna visiva e non, diventa credibile” (Marco Belpoliti)[34].  Ogni fotografia è sempre una meta-fotografia e il cadavere di Aldo Moro, i ritratti di fotografi randagi come Riis, Hine, Sander, Evans, Modotti, Arbus, Salgado, le immagini dei campi di sterminio della Shoah, l’iconografia dell’insurrezione planetaria del ’68 o la fotografia della bellezza di Oliviero Toscani… travalicano il senso della storia e vanno a figurare l’universalità della bellezza e della giustizia. Insegnano a conoscere la nostra coscienza mentre la commuovono. Non è cosa nuova. I Greci non separavano etica ed estetica… “non avevano codici che definissero bellezza o rettitudine. Ma esisteva un consenso generale su entrambi, e anche sul fatto che erano intimamente legati. Erano due diverse facce della stessa qualità: la virtù e l’eccellenza” (Luigi Zoja)[35]. La politica della bellezza non conosce frontiere né giudici… è un esercizio spirituale del bello che parte dal rispetto dell’altro per andare a cogliere il valore dell’uomo, “sentito” e innalzato insieme al valore della sua bellezza (anche se è stata infranta). La distruzione della bellezza in ogni sua forma passa dal suicidio programmato della società consumerista. Guerre, merci, politiche, religioni… costituiscono l’arcipelago di una vita moribonda e ogni patria è un letamaio dove gli esseri umani naufragano nello sfruttamento e nel massacro dei propri simili.

Politica della bellezza significa contrastare la fenomenologia del brutto e dell’osceno, bandire la brutalità dei dominatori, chiedere ragione dei loro misfatti, rivendicare libertà, democrazia e diritti dell’uomo… ci sono poeti che hanno la forza di rinnovare la bellezza del mondo o di smascherare l’indifferenza dei potenti di fronte al bello, al giusto, al buono. “La nostra epoca ha nutrito la propria disperazione nella bruttezza e nella convulsioni… Noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci  per essa presero le armi” (Albert Camus)[36]. La poetica della bellezza di Toscani è un mosaico di provocazioni illuminate che vanno ad incrinare le certezze (non solo) fotografiche della consorteria amorale del mercato… a sviscerare l’insieme del suo lavoro non è difficile vedere che al fondo delle sue immagini c’è una visione dell’esistenza sganciata dalle strutture mercantili e accademiche della storiografia fotografica e ogni immagine sostituisce la compiacenza o la furbizia abituale a molti fotografi celebrati per mostrare lo stupore e lo sdegno del convenzionale… è l’interrogazione ciò che Toscani sdogana nella fotografia e fa della bellezza la coscienza del dovuto. L’estrema bellezza raramente è volgare, specie quella della quale si fa portatore di libertà liberate… la bellezza così affabulata ha sempre qualcosa di strano e di raffinato che ispira timore  rispetto, più di ogni cosa si accorda con la grazia che la sostiene. “Se i popoli si accorgessero del loro bisogno di bellezza, scoppierebbe la rivoluzione” (James Hillman)[37]. La bellezza, fuori da ogni dubbio, non fa le rivoluzioni, tuttavia viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza per contrastare la cultura dell’osceno e il suicidio etico di ogni potere.

L’economia politica ha trasformato il mondo e lo ha reso arido di ogni emozione… la dissipazione della bellezza e la catastrofe ambientale che ne consegue ha fatto il covo nei parlamenti, le banche alzano il patibolo dei dividendi sulla fame dei popoli impoveriti… le caste dei partiti stanno al giogo e privilegiano i propri interessi al bene comune. Ecco perché i partiti politici vanno aboliti: “I partiti sono organismi costituiti in maniera tale da uccidere il senso della verità e della giustizia” (Simone Weil)[38]. Non basta indignarsi e fare della resistenza il motore dell’indignazione[39], occorre insorgere e fare dell’intelligenza il crogiolo di tutte le disobbedienze. La democrazia che non si usa, marcisce[40]. Il tempo di Occupy succede al tempo della genuflessione, le disuguaglianze hanno raggiunto livelli mai visti prima nella storia e chi non ha voce né volto è escluso dalla cosa pubblica.

L’economia planetaria è organizzata a beneficio dei ricchi e chi è privo di risorse è cancellato dai disegni della politica transnazionale. La tenacia e la crescita del movimento Occupy dimostrano che sempre più persone disertano i proclami della politica e le lotte per raggiungere una reale democrazia si fanno sempre più estreme. “Occupy ritiene che la democrazia sia il miglior modo per risolvere i problemi, e mette in pratica quello che predica. Attraverso un autogoverno consensuale, non gerarchico e partecipativo, stiamo letteralmente ponendo le basi di un mondo nuovo, costruendolo qui  e ora – e funziona” (Noam Chomsky)[41]. Tutto vero. Le innumerevoli piccole azioni di persone sconosciute che si mettono insieme per modificare lo stato di cose esistenti, modificano l’immaginale di un’epoca di sfruttamento senza precedenti e gettano le basi di altri eventi che restituiscono dignità a un’intera generazione. La concentrazione della ricchezza nelle mani del settore finanziario, che implica la ricchezza del potere politico, va abbattuta e la rivoluzione informatica è un mezzo per scardinare l’ossario dei dominatori. Il compito degli uomini in libertà non è solo quello di comprendere il mondo, ma di cambiarlo. Con tutti i mezzi necessari.

Il mercato della comunicazione ingoia tutto, e i messaggi quotidiani dei media sono estranei a ogni sorta di bellezza e di giustizia. La globalizzazione dei mercati e il nuovo ordine economico esercitano il potere e la violazione dei corpi ormai è consumata con la rabbia e la speranza degli ultimi. Il volto dell’uomo non è più là dove si staglia, ma dove è sfigurato sotto il peso dell’apparenza e della sottomissione. La verità si offre a noi nuda, come un’immagine sacrale, tuttavia la copriamo con falsità e imposture. Il pensiero della fotografia, passa là dove la fotografia si fa poesia… la sovversione dei codici dominanti segna il rovesciamento delle connivenze e rompe i limiti dei sentimenti truccati. Per la fotografia in amore, come per la libertà, non ci sono catene.

Oliviero Toscani, il ragazzo dagli occhi volanti, mastica presto fotografia… è figlio di Fedele Toscani, uno dei più grandi fotoreporter del dopoguerra e di Dolores Cantoni, una “vera proletaria… una come lei, che ha incominciato a lavorare a sei anni, ha sviluppato un’attenzione particolare verso tutto ciò che è ben fatto”, scriverà più tardi il figlio[42]… e in qualche modo, non meno del padre, lascerà al figlio, credo, un profumo di buona vita, di bellezza e di giustizia che gli venivano dalla conoscenza e dalla condivisione di destini difficili, anche, che si fondevano sulla reciprocità del rispetto e del dono. Tutto quanto ci accade, infatti, ha un valore o una necessità. È un fare-anima che viene dalla nostra infanzia e forma il carattere. Il codice dell’anima è la presenza invisibile che ci sorveglia e veglia su di noi: “Ciascuna vita è formata dalla propria immagine, unica e irripetibile, un’immagine che è l’essenza di quella vita e che la chiama a un destino” (James Hillman)[43]. Il piccolo Oliviero, quando ha nelle mani la macchina fotografica che gli ha regalato il padre (una Rondine della Ferrania) comprende presto che “quando la terra sarà un reperto archeologico non ci sarà più differenza tra una foto pubblicitaria della Coca-Cola, un reportage di guerra e un ritratto” (Oliviero Toscani)[44]. Tutto vero. La fotografia è uno strumento di comunicazione o di poesia capace di contenere-mondi e andare verso la sovranità degli sguardi. La fotografia non è fotografia finché non ci ha bruciato l’anima. Davanti alla fotografia della bellezza e della giustizia, anche l’eternità è senza difesa.

La creatività ereticale e l’immaginario libertario di Oliviero Toscani fuoriescono anche dalla genialità creativa e un po’ stravagante del padre… fotoreporter al Corriere della Sera e Corriere d’Informazione, fondatore della prima agenzia fotografica (Publifoto, 1928)… fotografava delitti, Miss Italia, partite di calcio, giri d’Italia, corse dei cavalli… non erano i soldi che gli interessavano… “non era un padre rompicoglioni, lui si fidava di me” (Oliviero Toscani). A ragione, o forse per una sorta di straordinaria inclinazione a vedere e sapere che niente è dato, tutto è da conoscere e portare fuori dal disinganno… Fedele Toscani lascia a briglia sciolta che l’inquietudine, l’interrogazione o l’inclinazione all’eresia del figlio fiorisca dove vuole e sono le immagini ha cercare udibilità e visione nell’immaginale del ragazzo e poi del fotografo. Nelle mani di Oliviero Toscani, la macchina fotografica, al di là di una lettura approssimativa o superficiale delle sue immagini (anche quelle più celebrate), “canta” la voglia di bellezza e non di rado il dolore dell’ingiustizia. Il linguaggio che ha scelto, quello della comunicazione pubblicitaria, sommerso di padroni/artisti senza talento o vermetti della politica piegati totalmente alle richieste del mercato o dell’ideologia… è contaminato, rovesciato, détournato e ogni immagine o campagna pubblicitaria si trascolora in evento non solo mediatico ma culturale, politico.

Elogio del détournement. L’inciviltà dello spettacolo ottenebra. Debord aveva compreso che là dove non c’è diserzione né rivolta, l’eternità del potere continua a produrre sopravvivenza e morte della soggettività. Le forme moderne di sottomissione incarnano l’ideologia materializzata nel mercimonio e solo la situazione costruita si sottrae alla temporalità dominante. Se ci accostiamo bene al concetto di détournement, ci accorgiamo che non è una citazione ma il suo contrario. Il détournement è la profanazione della citazione, è il “segno” di rovesciamento, spiazzamento, riutilizzazione di elementi espressivi preesistenti, che se lavorati con intelligenza e senso dell’eresia, tornano a nuova luce, a nuova poesia, a nuovi radicali significati. Non si tratta di comprendere la negazione di uno stile ma di elaborare uno stile della negazione.

Il détournement, la deriva o la decomposizione della società dello spettacolo… sono i grimaldelli etici ed estetici con i quali i situazionisti lavorano alla critica della politica, al dissolvimento dell’arte, alla pratica di cambiamento della vita quotidiana. I situazionisti chiedono di vivere secondo i desideri, le passioni, i sogni… dicono che la massa è il gregge del potere e soltanto quando ciascuno sarà signore di sé ogni forma di potere crollerà. L’Utopia è di quelle forti e basta avventurarci nella storia delle utopie per comprendere che ogni uomo può essere il custode di se stesso e il governo migliore è quello che governa di meno o non governa affatto. Motto di spirito: si possono amare soltanto gli esseri che non hanno avuto mai paura dei castelli in rovina. Finché l’uomo è protetto dalla demenza accettata, gli arlecchini di Palazzo passano da un’idea all’altra, da una fede all’altra o da un partito all’altro… senza un filo di decenza per la memoria storica[45].

I soggetti di Toscani ci guardano fieri e noi guardiamo loro un po’ attoniti e abbagliati da tanta aurorale bellezza estetica… sono quello che vediamo e subito dopo esprimono anche altro… più misterioso, alchemico, surreale… come l’accostamento di corpi multietnici, omicidi di mafia, soldati trucidati nelle guerre, persone malate di Aids o barbarie dell’inquinamento globale a l’oggetto della sua comunicazione visiva… Toscani trasforma i suoi soggetti/modelli in narratori e la situazione costruita[46] cade dopo il primo sguardo… i suoi modelli non comunicano solo le cose per le quali sono stati chiamati a interpretare ma hanno anche la capacità di trasmettere, di fare vedere la storia della loro vita.

La fotografia dominante insegna a guardare attraverso la propria ignoranza e la propria paura… i luoghi di marginalizzazione forzata… ghetti, manicomi, carceri, ospedali, campi di concentramento… rappresentano la forma visibile dell’ingiusto e non c’è ragione di fare del sociologismo sinistroide che tutto assolve e tutto abbrutisce nel calco degli interessi di partito… la verità è un aspetto importante della giustizia e non ci può essere verità là dove la giustizia è recisa o calpestata dai lavacri di una società ingiusta. È riprovevole che la storia della fotografia abbia incensato autori che non hanno mai conosciuto la grazia dell’eresia… A parte la fotografia autentica (come quella di Toscani, ma non solo), tutto è menzogna. Le grandi fotografie si fanno sulla soglia della “follia” o dell’amour fou… a memoria di ubriaco non riusciamo ad immaginare un grande fotografo che non abbia un’anima da ribelle, e un politico o un prete, quella da assassino.

Così Oliviero Toscani: “Ci sono certe immagini che mi perseguitano, immagini che ormai non scorderò più, che mi hanno colpito una volta e che fanno parte del mio mondo di visionario. Il Cristo con la corona di spine, le gocce di sangue sulla fronte e un cuore, anche quello insanguinato, in mano. Era raffigurato in un quadro appeso in camera da letto nella casa dove passavo l’estate subito dopo la guerra, a Clusone, in provincia di Bergamo. Una classica camera di contadini, con il letto alto di metallo, i comodini, e questo quadro, che mi catturava con forza ipnotica. Lo guardavo a lungo, mi ricordo i particolari, il fondo scuro, la tunica di tela che copriva il corpo di questo Cristo triste ma in qualche familiare. Di giorno vedevo tagliare il collo all’oca con l’ascia, oppure squartare il maiale, spellare i conigli. La sera, mi fermavo a guardare questo cuore con una croce piantata dentro, mi interrogavo su quella corona di spine dalla quale stillavano gocce rosse di sangue. Più grande, mi colpì un’altra immagine legata all’iconografia sacra: una madonna con l’aureola e il manto azzurro, un po’ discinta però, seduta su un letto disfatto, mentre fuma e legge Annabella. Era nel film Nostra Signora dei Turchi (1968) di Carmelo Bene. E poi una cartolina di mia sorella Marmorizza: una piazza d’Italia di De Chirico, un treno che attraversa una piazza con una statua nel mezzo. Allora avrò avuto nove anni. Penso che fu il mio primo disorientamento di fronte alla raffigurazione di una realtà che oltrepassava il reale. Il reale-reale diremmo oggi, arrivò poco dopo con un’altra immagine che non dimenticherò: il Super Costellation Milano-Parigi delle Linee aeree italiane precipitato vicino a Milano. Andai con mio padre sul luogo del disastro. Corpi senza vita, oggetti, valigie.

Tra le fotografie non posso dimenticare un libro di William Klein su New York, ma soprattutto il ritratto di un muratore, un ragazzo che porta sulle spalle una pila di mattoni, accumulati simmetricamente. Lui guarda l’obiettivo di August Sander e non si capisce se i mattoni pesino oppure no, se sopporti la sua condizione con fatica o se invece l’affronti con leggerezza. Da come porta quei mattoni si capisce che serviranno per una costruzione equilibrata, con una bella forma, un’architettura affascinante.

Mi è sempre piaciuto molto Sander, con i suoi ritratti di gente comune, fotografata in una pausa del loro mestiere quotidiano. Foto così limpide da spaventare il regime nazista, che le intuì sovversive e diede ordine di distruggere l’archivio. Ancora: il film di Georges Méliès, Le voyage dans la lune (1902), Jour de fête (1949) di Jacques Tati e I pugni in tasca (1965) di Marco Bellocchio; New York vista dall’elicottero nel 1962, un vero shock. E l’immagine del mare, la prima volta che lo vidi a sette anni. Mio padre che, guidando verso Genova per andare a fotografare il varo della Leonardo da Vinci, mi dice: «Oliviero, voltati, guarda, laggiù c’è il mare»”[47].

In questo sentito racconto di Toscani sulla sua infanzia e giovinezza, c’è già tutto l’artista che sarà… è da questo immaginario che Toscani manifesta la propria avversione alla civiltà della barbarie e lo trasporta in fotografia. Il détournement per la scoperta della bellezza, dello stupore, della meraviglia della sua infanzia interminabile gli permette di elaborare una fotografia di forte presa del reale, forse, anche, di fondare una sorta di linguaggio per immagini che attraversa ogni fare, dire, percepire, sentire la coscienza di un dovuto che diventa storia.

Il linguaggio fotografico di Toscani, non importa se parte dalle campagne pubblicitarie di grandi aziende, esprime una genesi della fabbricazione e ricezione dell’immagine fotografica che è anomala, quasi un idioletto… Toscani sa che il fotografato si definisce in rapporto all’istituzione che lo autorizza e lo disperde lungo i crinali dell’accondiscendenza… tuttavia, e ogni volta, l’oggetto della sua fotografia esorta a disertare o a riconoscere le inclinazioni totalitarie di ogni ordine… alla miseria della politica utilitaristica contrappone la politica della bellezza come morale in lotta e da ribelle dell’edonismo, del ludico, del libertino senza confini, figura l’eccellenza della sua poetica e deride i modelli seriali che illustrano la domesticazione sociale. L’organizzazione della benevolenza anticipa la miseria dei popoli.

Il genio collerico di Toscani è contagioso… suppone l’abolizione della stupidità generalizzata e il reincanto del mondo. Un altro filosofo dell’eresia ha scritto: “Non più servire il capitale, ma metterlo a disposizione degli uomini. Il trionfo del capitalismo ha firmato la condanna a morte del politico e della politica a vantaggio di un puro e semplice elogio della tecnica di amministrare gli uomini come fossero beni. L’uso libertario dell’economia permetterebbe il ritorno del politico e dei titoli nobiliare, che non avrebbe mai dovuto abbandonare quest’arte della vita in comune diventata, dopo la rivoluzione industriale, la scienza dell’assoggettamento degli schiavi al padrone” (Michel Onfray)[48]. Tutto vero. Dove il primato della merce sull’uomo ha ricevuto il consenso, lì i meccanismi della predazione hanno inferto agli uomini mutazioni morfologiche, di adattamento, soggezione ai dettati dell’economia imposta… là dove i padri della chiesa dettavano legge e scorticavano gli eretici, ora comandano i finanzieri e i politici… la medesima razza di saprofiti che al minimo segno di insubordinazione delle piazze, ricorrono all’uso delle armi.

La critica fotografica/libertaria della modernità che fuoriesce dalle immagini di Toscani ribalta le prospettive ordinarie della comunicazione fotografica, deterge l’economico e il politico e pone la creatività al servizio dell’etica… fa primeggiare l’idea nella forma e conduce il messaggio in altri ambiti della ricezione… esorta a riflettere sull’onnipotenza del corpo politico sul corpo sociale e scardina i meccanismi atti a sottomettere l’individuo nei casellari della zoologia economica… è più d’accordo con Bakunin che con Marx, sopra ogni cosa è la poesia dannata di Rimbaud che architetta e dissemina nell’insieme della sua opera l’uso liberatorio e libertario proprio alla filosofia di Lefebvre, Deleuze, Guattari, Lyotard, Debord, Vaneigem… senza mai dimenticare l’insegnamento agnostico di Nietzsche: “Non vogliate nulla al di sopra della vostra capacità: vi è una falsità perversa presso coloro che vogliono al di sopra della loro capacità. Specialmente quando vogliono cose grandi! Giacché essi detestano diffidenza verso le grandi cose, questi falsari e commedianti raffinati!: finché si trovano falsi davanti a se stessi, questi occhi torti, questi vermi imbiancati, ammantati di parole forti, di virtù da parata, di opere false e luccicanti. Siate prudenti a questo riguardo, uomini superiori! Nulla, infatti, secondo me, è più prezioso e più raro dell’onestà, oggi”[49].

L’onesta intellettuale di Toscani è innegabile… anche quelli che non comprendono il suo fare-fotografia, intendiamo le cordate accademiche, gli specialisti, i galleristi impaludati nell’imbroglio del brutto fantasmato come arte museale, restano atterriti di fronte agli interrogativi che le immagini di Toscani sviscerano in tutta la loro potenza strutturale… la forza veridica che si portano dentro è un canto alla verità messa in relazione all’indipendenza vitale dell’artista. L’essenza del valore di ogni forma comunicativa è data solo nell’identità di ribellione che contiene. Lo scoramento sopravviene quando si è incapaci di leggere in ogni opera d’arte, l’invalidamento di tutti i poteri. Le teste degli stolti, come quelle dei re o dei tiranni, cadono in un giro di danza. Occorre una grande dose di sensibilità per fronteggiare l’ignoranza colta. “L’ottimismo, come è noto, è una mania degli agonizzanti” (E.M. Cioran)[50] e conduce al reparto degli incurabili.

L’immaginale fotografico di Toscani non è facilmente classificabile… non è iconografia cartellonistica né fotografia concettuale… è qualcosa d’altro che appartiene più alla sfera della conoscenza, della verità e quindi della libertà, che intreccia bellezza e giustizia e – al di là del male e del bene – va a decodificare ingiustizie e disvalori che legittimano il disfacimento del mondo. Non è poca cosa per chi usa la fotografia in ambiti professionali volti alla diffusione di un prodotto… a vedere bene e fino in fondo, il suo gesto fotografico si oppone al silenzio universale, al disgusto, alla nausea, financo all’umiliazione di quanti restano imbrigliati nei “consigli per gli acquisti” e fa del buon uso dell’indignazione un risentimento dell’anima, il  rifiuto di regalare la bellezza convulsiva a un servo e donarla a un genio (sovente incompreso) o a chi esercita la propria sovranità nella vita quotidiana.

La fotografia civile di Toscani, l’abbiamo detto, travalica la richiesta commerciale dalla quale parte e s’infila nelle pieghe dell’esistente sfidando tutti i principi di autorità… sa che il fucile, l’aspersorio e i dividendi delle banche sono sempre complici di tutte le vigliaccate storiche e le sue immagini (non importa i suoi “attori” si siedono su divani, indossano maglioni o blue jeans) vanno oltre lo strumento di comunicazione contingente per diventare un’occasione di edificazione e promessa di felicità altra, tutta da conquistare.  È una fotografia costruita sul rispetto – e tutto ciò che questo implica – degli uomini, un elogio della differenza come forma visibile della giustizia… la sofferenza, il disagio la violenza subiti dai suoi ritrattati, si trascolorano in reciprocità, equità, eguaglianza e mostrano che la persona giusta è quella che si comporta bene nei confronti del diverso da sé… è un rimando a un’etica dei padri che si richiamavano a una vita piena di valore, a un’esistenza felice o riuscita dove ciascuno sa che il giusto è anche il buono e questo e solo questo segna il valore di un uomo.

L’immaginale della ribellione (anche) fotografica di Toscani non dimentica infatti i dannati, i reprobi, i “quasi adatti”, i diversi… affila lo sguardo in afflati disadorni e mostra che servitù e destino significano la medesima cosa… la potenza visiva delle sue fotografie, il modo di essere, il carattere affascinante del poeta senza bavagli, lo pongono in alterità al mondo nel quale vive e si discosta (alla maniera di un carbonaro d’altri tempi), quando non è il discredito (specie della sinistra) che lo allontana quasi fosse un lebbroso che contamina le certezze, tutte false, della loro miseria politica. A sfogliare le sue icone (pubblicitarie, televisive, libri, docufilm) e andare oltre il marchio di fabbrica (l’ironia è di quelle fini, lapidaria, dissacratoria, eversiva) si scorge una geografia dell’uguaglianza, dell’equità, della fraternità che porta alle canzoni di gesta di un ’68 mai finito… il risentimento di Sartre[51], l’uomo in rivolta di Camus[52] o la sovversione ereticale di Debord[53] debordano fuori dal suo atlante fotografico e vanno a minare (come dinamite, Nietzsche, diceva) un’epoca dell’apparenza, per renderla più disperatamente umana.

Per non dimenticare. La festa planetaria del Maggio 1968 (vissuta dal fotografo nel pieno dei suoi rivolgimenti) ha fatto della cultura radicale un utensile etico/estetico con il quale dare l’assalto al cielo protetto da tutti i regimi e, più di ogni cosa, promosso un pensiero libertario che chiedeva la fine delle costrizioni, la liberazione  e il superamento delle sottomissioni, il godimento dell’esistente al posto dell’obbedienza, il piacere di una generazione ludica che incrinava i rapporti padroni-servi… lo spirito del Maggio, certo, è stato sconfitto ma non è mai morto… invocava la società libera di Fourier e non la nomenclatura politica di Marx… solo una minoranza si affastellava alla mistica di sinistra o all’operaismo inquadrato… i ragazzi del ’68 riversavano nelle strade della terra i giochi dell’edonismo buono, le passioni di una surrealtà senza bastoni, la fine di una vita quotidiana relegata alla genuflessione… sapevano che le camicie nere, i manganelli, l’olio di ricino stavano negli armadi del potere, sempre pronti a rientrare in servizio. Come dimostrano le Stragi di Stato, i terrorismi pilotati dai servizi segreti e la carcerazione o l’uccisione di ragazzi che aveva impugnato la pistola (sbagliando, forse)[54] per raggiungere una vita più giusta  e più umana per tutti. C’è da dire che in quell’anno di grazia del ’68 anche i vini e le marmellate vennero più buoni, e dopo niente sarà più come prima.

La cartografia fotografica di Toscani, sotto ogni taglio, costruttivo/ricettivo, si allarga a una realtà dove la vita e il principio del piacere, personale e collettivo, destinano l’umanesimo ai diritti dell’uomo e inceppano le macchine desideranti della schizofrenia capitalista dove “la ragione è sempre uno spazio ritagliato dall’irrazionale, mai definitivamente al riparo dell’irrazionale, ma attraversato da esso, e definito soltanto da determinati rapporti tra fattori irrazionali. Sotto ogni azione cova il delirio, la deriva. Tutto è razionale nel capitalismo, tranne che il capitale o il capitalismo stesso”[55]. Il rizomario fotografico di Toscani deterge la proliferazione delle coscienze sporche e l’infeudamento dei soggetti/clienti che riproducono i sentimenti ri/produttivi del libero mercato, responsabili dell’iniquità, della miseria, dell’impoverimento dei popoli che perdureranno finché la violenza dell’economia politica non sarà fermata (con tutti i mezzi necessari).

L’umanesimo, va detto, presuppone la cancellazione della politica dei partiti, la scomparsa delle democrazia dello spettacolo e dei regimi comunisti a vantaggio di comunità che partecipano direttamente alla cosa pubblica… smantellando le antiche ragioni di dipendenza, fatalità, destino costruiti dai poteri forti a ragione della loro rapacità… ogni libertà vuole eternità e là dove l’innocenza del divenire si fa storia, le idee di amore e libertà tra le genti resuscitano la vita e devitalizzano tutte le proibizioni… si tratta di far cadere i totem e i tabù che per secoli hanno comandato sulle lacrime e passare dalla sovranità sottomessa alla sovranità liberata. Ci hanno provato Proudhon, Kropotkin, Relcus, Bakunin o la Rivoluzione sociale di Spagna del ’36, i protagonisti a viso scoperto del ’68… hanno cercato di mettere fine al grande  banchetto dell’espropriazione e alle catene della violenza statuale, i loro tentativi di rovesciare l’odio in amore verso una società di liberi e uguali non è stato compiuto, tuttavia i passaggi dalla resistenza sociale all’insubordinazione generazionale che hanno lasciato in sorte non sono mai andati perduti… le nuove generazioni avanzano ai quattro angoli della terra e con il valore d’uso di tutti i dispositivi tecnologici (la democrazia della Rete, anche) del nuovo millennio si affacciano a novelle lotte sociali e chiedono a muso duro un diverso modo di abitare il mondo.

* Pino Bertelli, Maledetto Toscani, Cine Sud, 2021.

***

Lettera dell’Autore a Francesco Mazza

Amico caro,
a chiusura del nostro Maledetto Toscani… sono entrato (o uscito) nelle pieghe, negli anfratti, nei motti di spirito del libro e non ti nascondo che in questi sei anni di lavoro mi sono passati negli occhi, molte volte, i nostri vagabondaggi quando facevamo Genti di Calabria… mentre giravi il film I Colori del Cielo e mangiavamo quello che capitava e dove capitava… ricordi quante volte abbiamo parlato di Toscani?… molte delle nostre discussioni, anche accese, e delle tue riflessioni sono confluiti nel testo… come avrai visto… ricordi quelle serate, il pane arrostito, l’olio e il vino rosso di Anna che scaldavano le nostre utopie di magici amori? Ricordi? Tutto è rifluito nelle mie insolenze di passatore di confine… di Anarca solitario che vive ai margini del bosco… non temo di dirti che è un pamphlet a dir poco anomalo… certo insolito o singolare nella letteratura fotografica italiana… sembra tutto un po’scollegato, non lo è… l’uso reiterato della ripetizione, del rinnovamento, del dire, ridire, e dire ancora la medesima cosa… lo avvicina alla libellistica libertina del ‘700, attualizzata…
Mi sono fatto comprendere quanto basta, credo… uno scrittore capito è uno scrittore sopravvalutato, diceva, figurati un fotografo!… e per chi scrive a un certo grado di qualità, la prima cosa che mira a distruggere sono gli stili inequivocabili e gli aggettivi che sono fondati nel linguaggio uniformato nei social- network!  L’elogio del plagio che contiene… i saccheggi spudorati di (a gatto selvaggio) – Nietzsche, Pascal, Mozart, Baudelaire, Rimbaud, Pasolini, Arbus, Smith, Hine, Dostoevskij, Hillman, Debord, Vaneigem, Cioran, Onfray, Melville, Buñuel, Rocha, Vigo, Cassavetes, Paradžanov, Ki-duk, Sokurov, Carroll, Bonnot, i canti dei partigiani –… sono lame di coltello piantate sulla lingua del lettore… non perché è stupido, no certo… perché cerca una falsa identità o una convenienza becera o ipocrita nel cinguettio della Rete…

Non ho mai avuto bisogno di scendere in basso per capire l’ingiustizia, perché in basso ci sono nato e non sono mai voluto ascendere ai piani superiori, poiché ho sempre ritenuto che lì, regni la menzogna, l’impostura e la violenza… è un pamphlet affabulato sulla costruzione delle situazioni e secondo il linguaggio della critica radicale situazionista… che evita con cura di recitare il ruolo del “genio incompreso” che nessuno vuole pubblicare… gli affari sono affari, diceva il boia di Londra, quando impiccava un sovversivo nella piazza davanti ai troni dei nobili e all’applauso del popolo… Le mie fonti sono da cercare nella mia tribù, nei miei soli amori, nei miei amici, nei compagni di strada che sono stati ammazzati sui marciapiedi della vita offesa, non nelle mie letture… più ancora nell’inconosciuto dei disadattati, degli oppressi, degli sfruttati, dei derisi, degli ultimi… dei folli in utopia che fanno dell’amore dell’uomo per l’uomo un’opera d’arte! Se c’è un riferimento a questo libello, lo trovo solo nell’opera insuperata di James Agee e Walker Evans, Sia lode ora a uomini di fama…

Forse è un libro per tutti, forse per nessuno…

Gli editori che l’hanno rifiutato avevano ragione… non è una biografia, non è  un’agiografia, non è una bruciatura del personaggio pubblico… è vero… tutte cose che fanno vendere… è una sorta di breviario libertario sulla filosofia di un fotografo sovversivo, certo, ma soprattutto è il rizomario etico/estetico sulla bellezza ereticale di un uomo che è più coraggioso del suo mito… qui l’amicizia non c’entra, c’entra la stima, come in amore! il resto è cattiva letteratura.
Ecco amico mio, grazie a te, amico caro… fratello in utopia, compagno di strada e di canzoni di gesta… solo a te devo la pubblicazione di questo controverso, ingombrante o soltanto “ingenuo” (indigeno, nativo, nato libero) scritto, che concepisce solo un unico pensiero: fare a pezzi la secolarizzazione delle lacrime e i saprofiti che ne hanno determinato la storia!

Ti abbraccio forte con chi ami e chi ti ama, ciao a te, Pinocchio.

[1] Pino Bertelli, Guy Debord. Anche il cinema è da distruggere. Sul cinema sovversivo di un filosofo dell’eresia e commentari sulla macchina/cinema, Mimesis, 2016.
[2] Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979.
[3] Gilles Deleuze, Istinti e istituzioni, a cura di Ubaldo Fadini e Katia Rossi, Mimesis, 2014.
[4] Albert Camus, Micromega. Almanacco di filosofia,  1/2017. Il testo di Camus, inedito in Italia, è stato pubblicato per la prima volta nel n. 42 de «La società degli individui», quadrimestrale di filosofia e teoria sociale, edito da Franco Angeli (6 febbraio 2012).
[5] Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979.
[6] Raoul Vaneigem, Noi che desideriamo senza fine, Bollati Boringhieri, 1999.
[7] Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, 1998.
[8] Roberta De Monticelli, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, 2003.
[9] Simone Weil, La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, SE, 1990.
[10] Hannah Arendt, La disobbedienza civile e altri saggi, Giuffrè, 1985.
[11] Lorenzo Milani (e la scuola di Barbiana), Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967.
[12] Don Lorenzo Milani (Scuola di Barbiana), Lettera a una professoressa, come Scuola di Barbiana, Libreria Editrice Fiorentina, 1967.
[13] Don Lorenzo Milani, L’obbedienza non è più una virtù. Documenti del processo di Don Milani, Libreria Editrice Fiorentina, 1965.
[14] Don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1957.
[15] Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, 1999.
[16]  Pino Bertelli, Guy Debord, l’Internazionale Situazionista e la rivoluzione della gioia nel ’68, Interno4, 2018
[17] Herman Melville, Moby Dick, BUR, 2015.
[18] Paolo Levrero, L’ebreo don Milani, il Nuovo Melangolo, 2013.
[19] Don Lorenzo Milani, L’obbedienza non è più una virtù. Documenti del processo di don Milani, Libreria Editrice Fiorentina, 1996.
[20] Roberta De Monticelli, Sullo spirito e l’ideologia. Lettera ai cristiani, Baldini Castoldi Dalai Editore,  2007.
[21] Friedrich Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello, Adelphi, 1983.
[22] Simone Weil, Il libro del potere, Chiarelettere, 2016.
[23] Alexander S. Neill, I ragazzi felici di Summerhill, Red Edizioni, 1990.
[24] James Hillman, Politica e bellezza, Moretti & Vitali, 2002.
[25] Pier Paolo Pasolini, Che cosa sono le nuvole?, episodio di Capriccio all’italiana, 1968. Gli altri autori erano Mario Monicelli, Steno, Mauro Bolognini, Franco Rossi e Pino Zac.
[26] Oliviero Toscani, Più di 50 anni di magnifici fallimenti, Electa, 2015.
[27] http://www.lastampa.it/
[28] http://www.vita.it//
[29] E.M. Cioran, Squartamento, Adelphi, 1981.
[30] Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 1981.
[31] Lorenzo Milani (e la scuola di Barbiana), Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967
[32] Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, Chiarelettere, 2011.
[33] Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, Castelvecchi, 2008.
[34] Marco Belpoliti, La foto di Moro, Nottetempo, 2008.
[35] Luigi Zoja, Giustizia e bellezza, Bollati Boringhieri, 2007.
[36] Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 1981.
[37] James Hillman, La politica della bellezza,  Moretti & Vitali, 1999.
[38] Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici,  Castelvecchi, 2008.
[39] Stéphane Hessel, Indignatevi!, Add, 2010.
[40] Pino Bertelli, Insorgiamo!, Massari editore, 2001.
[41] Noam Chomsky, Siamo il 99%, 2012.
[42] Oliviero Toscani, Ciao mamma, Mondadori, 1995.
[43] James Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi, 1997.
[44] Oliviero Toscani, Ciao mamma, Mondadori, 1995.
[45] Pino Bertelli, Guy Debord. Dal superamento dell’arte alla Realizzazione della filosofia, a cura di Antonio Gasbarrini, Angelus Novus Edizioni – Massari Editore, 2008.
[46] Pino Bertelli, Guy Debord. Dal superamento dell’arte alla Realizzazione della filosofia, a cura di Antonio Gasbarrini, Angelus Novus Edizioni – Massari Editore, 2008. Qui abbiamo scritto: “La gioia sovversiva dell’Internazionale Situazionista fiorisce intatta dalla costruzione delle situazioni teorizzate da Guy Debord e nella pratica della negazione situazionista c’è il rifiuto al cianuro della società affluente. La sovversione non sospetta di ogni rivolta inizia là dove si denuda la prospettiva del profitto e si passa al sabotaggio delle idee dominanti. Si tratta di farsi beffa dei discorsi della politica e dei proclami di agitatori senza bava alla bocca… la storia della civilizzazione non è che la storia delle merci che l’hanno marchiata a sangue. Spesso si è creduto di lottare per la giustizia, l’eguaglianza, la libertà, l’amore… ci siamo poi accorti che eravamo parte del disegno economico e dell’impostura politica che erano al fondo di nuove forme di potere”.
[47] Oliviero Toscani, Ciao mamma, Mondadori, 1995.
[48] Michel Onfray, La politica del ribelle. Trattato di resistenza e insubordinazione, Fazi Editore, 2008.
[49] Friedrich W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, 1986.
[50] E. Cioran, Anatemi e confessioni, Adelphi, 2007.
[51] Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo, Il Saggiatore, 2008.
[52] Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, 1981.
[53] Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979.
[54] Renato Curcio, Mario Scjaloia, A viso aperto, Mondadori, 1995; Progetto memoria. La mappa  ritrovata, Sensibili alle foglie, 1994; Progetto Memoria. Sguardi ritrovati, Sensibili alle foglie, 1995.
[55] Gilles Deleuze, Felix Guattari, Macchine desideranti. Su capitalismo e schizofrenia, Ombre Corte, 2012.