La scelta strategica della Cappella Orsini, grazie ai suoi tre livelli d’azione, mi consentiva di giocare sul piano spazio-temporale. Ho infatti concepito l’intero ambiente come fosse una clessidra
di Marco Fioramanti
“Lei, Leggenda d’amore e di guerra”
spettacolo di teatro performativo che
mette insieme agli attori,
proiezione, musica dal vivo, canto e danza.
Pilota su aliante di volo a vela già a 16 anni, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Renato, ventenne, si ritrova a combattere in Montenegro a bordo dei caccia C.R.42 “Falco”. Negli intervalli della guerra incontra una splendida ragazza appartenente al popolo nemico e tra i due nasce un amore travolgente, dal finale tragico, narrato nel romanzo con un crescendo emozionante. Trent’anni dopo torna in quegli stessi luoghi, si sdoppia in se stesso ragazzo e gli fa raccontare la storia nei dettagli, come fosse un diario intimo, e i ricordi spesso si confondono col sogno.
L’intensa passione li porta a voler fissare il loro legame per sempre, ma il sacerdote sul posto non ha l’autorità di unire in matrimonio due giovani appartenenti a fazioni nemiche. Servono i necessari permessi. L’incalzare della resistenza partigiana minaccia di capovolgere la situazione. Il comando decide di inviarlo in patria a scortare una squadriglia di caccia bombardieri. L’occasione gli permette di ottenere i preziosi documenti.
È l’estate del ’41 quando i partigiani jugoslavi decidono di insorgere contro le forze occupanti e con aspra ferocia puniscono anche i civili, visti come potenziali collaborazionisti. Anche Lei cadde vittima di quella rappresaglia. (S’avventa contro i miei occhi una confusione incredibile di pietre, pezzi di muro anneriti dal fumo, in una spaventosa buca che il crepuscolo rende tetra e irreale, come le persone che frugano tra le macerie).
Tutto parte dal dattiloscritto che mio padre redasse intorno al 1970 e che fece leggere a un suo intimo amico, critico letterario. Costui, di sua iniziativa, lo inviò a un concorso letterario dal quale risultò vincitore. Il libro fu quindi pubblicato dal Club degli Autori (1973) e avviato alla sceneggiatura di un lungometraggio da parte di una casa di produzione austriaca. Con la riedizione del libro, nel 2016, da parte di Edizioni Conoscenza e la prefazione di Giorgio Patrizi (già docente di Letteratura italiana all’Università di Roma la Sapienza e all’università del Molise), ho ripreso l’idea della sceneggiatura creando inizialmente una drammaturgia scenica per poi gettare basi solide per un futuro progetto cinematografico.
Mi ero già occupato di regia nei primi anni ’80 quando, stanziale a Berlino Ovest, diedi vita al Gruppo Multimediale Trattista Berlin formato da Christiane Kluth, danzatrice e coreografa, David M. Thompson, musicista (violino e pianoforte), Julie O’Grady (attrice), e dal sottoscritto (testi, pittura live e regia).
Il Senato alla Cultura organizzò per il Gruppo Trattista una tournée in Gran Bretagna (Bristol, Londra, Edimburgo, con la partecipazione all’omonimo Fringe Festival (1985) e un invito al Theater Festival di Monaco di Baviera.
Due anni dopo fummo poi invitati alla I Biennale Internazionale di Arte Contemporanea di Algeri e, nell’aprile 1991, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, in occasione di una rassegna per la riunificazione delle due Berlino, riproposi le mie performance storiche berlinesi.
Nelle mie drammaturgie le varie discipline si fondono con il teatro recitativo: gli attori interagiscono con il pubblico (spesso seduto tutt’intorno alla scena) e questa scelta sinestetica permette a quest’ultimo di condividere e percepire ogni singola emozione.
La scelta strategica della Cappella Orsini, grazie ai suoi tre livelli d’azione, mi consentiva di giocare sul piano spazio-temporale. Ho infatti concepito l’intero ambiente come fosse una clessidra. Il piano inferiore, dove inizia lo spettacolo, là dove la sabbia è già scesa, rappresenta la memoria, il ricordo di Lui adulto (Valentino Orfeo) che oltrepassa l’indefinibile barriera del tempo. (Aspetto non so chi o che cosa nell’oscurità che m’acceca e mi pesa sull’essere come materia densa. Non lo so dove sia. Lontano, un barlume stenebra appena l’orizzonte incerto e alla fioca luce vedo un paesaggio sconosciuto che dal fondo si distende al limite d’una transenna bassa davanti a me), e il ricordo di Lui giovane (Diego Rifici), pilota di guerra, di quando era adolescente e già presentiva la magia del volo. (Pà, voglio andare lassù, voglio volare! Ero già un aviatore nato! L’aquilone si librava bianco e rosso, la coda inanellata, i nastri svolazzanti, e dalla veranda mio padre cedeva sempre più filo, finché ne ebbe). Il pubblico viene poi invitato a salire – attraverso la lunga benda bianca della danzatrice – al piano superiore, là dove la sabbia s’appresta a scendere e la storia dei due giovani amanti rivive, attimo per attimo, l’intera storia.
Portfolio (ph. Paola Spinelli)
I personaggi sono soltanto due, LUI e LEI ma il cast è composto di dieci elementi. La frammentazione di Lei nelle componenti emotive, esoteriche e artistiche consente al pubblico, a fine spettacolo, di ricostruire l’intero puzzle del mosaico. Tutto ruota attorno a Lei, il cui spirito in voce (Fulvia Patrizia Olivieri) aleggia nell’aria e risuona, come autocoscienza del giovane pilota (Strumento, ti dicevo sempre, perché sei tempo e sei spazio. Non c’è vincolo al passato, al presente e al futuro, né alto né basso, per il tuo pensiero) e agisce (Mariaelena Masetti Zannini) sotto forma di evanescente ebbrezza (Bianca è la tua nave, come la vela abbattuta e il nostro primo bacio tra il bianco della tela sgualcita. Era bianco il mio vestito la sera che suonai la prima volta per te, e ti parvi eterea e irraggiungibile).
L’impianto drammaturgico, che ha come perno centrale il ruolo di Lei, è stato da me progettato – ed equamente diviso – in sei differenti chiavi interpretative, di cui tre attoriali e tre performative. Le prime due (Malvina Ruggiano e Licia Amedola) vedono simboleggiare in posizione dialettica, rispettivamente, la razionalità esoterica e l’emotività amorosa. I loro ruoli spesso si intercambiano e il giovane pilota più volte resta interdetto nell’ascoltare le risposte ora dell’una ora dell’altra. Entrambe portano su di sé il fardello della guerra e vivono questa esperienza con la consapevolezza sconcertante della tragedia.
La terza Lei (Valeria Flore), è la splendida ragazza del pilota, che incarna il sentimento e l’audacia della giovane che vive e sospira ogni attimo di questo amore nel momento stesso in cui avvengono i fatti, ignara del futuro che l’attende.
Il trittico performativo è invece interamente legato alla professione di Lei, quella di pianista classica (Mi sono diplomata in pianoforte al Conservatorio; figlia d’arte, potrei dire, perché mio padre è un violinista abbastanza noto, l’ho accompagnato spesso nei suoi giri di concerti per il mondo, prima che scoppiasse la guerra) ruolo che ho poeticamente esteso a livello performativo alla danza rituale e al canto struggente.
A Maria Borgese spetta il ruolo della sacerdotessa bianca degli atti rituali, “dea ex-machina” dell’intera leggenda. A lei il doppio compito: quello iniziale, di affascinare il pubblico coreografando le Lei, tutte ugualmente vestite di bianco, spiriti spaesati – creature quasi dissolte, che vagano aeree in uno spazio non definito – e quello finale, di farle convergere verso il centro polarizzatore della scena.
Il Maestro Theo Allegretti, al pianoforte, scandisce dal vivo i ritmi dell’intera drammaturgia, modula le atmosfere dei combattimenti, anima le variazioni del mare in tempesta, soffre le inquietudini della giovane coppia. Ed è il protagonista del concerto per piano che dialoga prima con il solo di danza di Maria Borgese con le sue bianche bende e, in chiusura, accompagna la struggente melodia del canto in lingua slava di Vendy Pumprlová, fatta venire per l’occasione.
È necessario citare infine l’intero staff tecnico che ha contribuito in maniera impeccabile alla realizzazione dello spettacolo: Julia Pietrangeli che ha realizzato e montato il video dell’incontro alla boa; Giulio Tonelli (2a camera) per gli effetti zoomati; Paola Spinelli per le foto di scena e l’intera documentazione in backstage; Raffaele Rivieccio per la documentazione storica; Ulderico Fioretti per l’opera pittorica del poster; la Holy Film di Luca Torzolini per le riprese a più telecamere, il montaggio e la realizzazione del docu-film dello spettacolo. Riccardo Barnia e Simona Verdisco (staff Farian Parrucchieri) per il trucco&parrucco. I costumi sono stati gentilmente forniti da Coup de Théâtre, raffinata boutique del vintage firmato di via del pellegrino.
Il romanzo: LEI. Leggenda d’amore e di guerra
«[…] La vicenda è semplice, all’interno di uno schema classico di amore e morte. Il protagonista –l’io scrivente gioso pilota d’aereo impegnato nei raid contro basi militari nemiche incontra casualmente, negli intervalli dei cruenti giochi di morte e distruzione di cui è brillante attore, una giovane donna bellissima quanto misteriosa, appartenente al popolo nemico e legata alla tradizione di una cultura e una società di cui l’aviatore è intransigente avversario. Ma, muovendo dai campi opposti, i due si incontrano, si ritrovano anzi: quasi, anime perse, fossero guidate da un destino ineluttabile, insieme dolcissimo e feroce. Dolcissimo perché accompagna la conoscenza reciproca, e quindi la curiosità, l’interesse, l’attrazione, la congiunzione su cui la narrazione si costruisce, con un crescendo che intriga il lettore, affascinandolo. Feroce perché nella storia non c’è lieto fine (come nelle storie di vita vissuta, non c’è mai, è solo illusione!) e la conclusione è, inevitabilmente, nell’arenarsi del sogno nella cruda realtà del quotidiano […]» (dalla prefazione di Giorgio Patrizi).
Il romanzo è ispirato a eventi realmente accaduti.
L’incipit (di Renato Fioramanti)
Tutto è realtà nella vita, ma è la vita ch’è sogno.
La realtà non tarda a farsi ricordo, e tra ricordo
e sogno il passo è breve.
Aspetto non so chi o che cosa nell’oscurità che m’acceca e mi pesa sull’essere come materia densa. Non lo so dove sia.
Lontano, un barlume stenebra appena l’orizzonte incerto e alla fioca luce vedo un paesaggio sconosciuto che dal fondo si distende al limite d’una transenna bassa, davanti a me. Monti dal profilo indefinito, brulli, dirupati, nel crepuscolo di un’alba nordica. È freddo.
Freddo nell’agonia di un sole che non sorge, freddo nell’albore ch’è luce per la notte non fugata, freddo e buio per il giorno che non verrà.
Da strette valli avanzano in lunghe file esseri poco più che ombre. Coperti da scuri mantelli, camminano e ondeggiano per sentieri di nebbia, le braccia avvolte nelle opposte maniche, larghe e cadenti.
Come sguardi rivolti a terra, cappucci inclinati celano i loro volti, se volti essi hanno.
Un canto monotono e angosciante accompagna le figure che avanzano nell’indefinibile passo del tempo. Anonime e impenetrabili, sfiorano la transenna e si perdono con essa nelle fonde tenebre.
Non so definire quale parte di me viva e dove, se nell’irrealtà del sogno o una visione allucinante. Come sospeso nella trepida attesa di eventi immancabili, odo suoni modulati che finiscono per divenire parole… “… laggiù… l’amore… la luce… oltre…”, mi giungono col flusso della risacca e svaniscono col suo riflusso da un mare lontano, ansimante e senza colore.
Mani fragili afferrano le mie e le stringono con forza: forza disperata di fragili mani nelle mie mani forti, ma indifese.
Un tenero abbraccio mi coglie di sorpresa; le mie labbra ricevono un bacio inatteso, di un sapore inesplicabile, e mi abbandono a questo bacio che sempre più m’avvince.
”Chi sei? Chi sei?” domando, “Un’ombra? soltanto un’ombra?”
Dov’è il tuo corpo che mi stringe? dove sono le tue labbra che mi baciano e che non posso baciare? dov’è mai il tuo volto? Chi sei, tu?…”
Non odo voce che risponda al mio intimo parlare.
A poco a poco smarrisco la coscienza, mentre la forma densa del mio corpo s’allontana da me. Ora vivo tra ombre vive, oltre la dimensione del sentire umano, e i suoni mi parlano, si diffondono nel mio nuovo modo di esistere… ma il corpo, laggiù, brama imprigionare di nuovo me, essenza di se stesso, e distorce ogni suono nell’attimo che si fa parola.
Qualcosa mi giunge ugualmente: frasi tronche come portate da turbini di vento, ravvivano il mio stupore… “…l’amore non è fuggito via… e l’attesa… il tempo… la vita… la luce… qui…”.
Cosa m’accade ancora? Una forza ignota m’attrae nella forma del corpo in un vortice che gira vertiginosamente, mi capovolge, mi risucchia, e fuggono via le immagini… E il bacio, le mani, la musica, dove sono? dov’è la creatura così amorevole? svanita? dissolta nel nulla? Le tenebre, le tenebre nella mia mente…
Improvviso, un baleno illumina la coscienza che torna alla vita: era Lei, e con Lei i miei vent’anni.
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LO SPETTACOLO
CAPPELLA ORSINI, Roma
2-3-4 dicembre 2020
https://vimeo.com/ondemand/lei
Drammaturgia e regia – Marco Fioramanti
Assistente alla regia – Ortensia Macioci
LUI (il giovane pilota) – Diego RificI
LUI (adulto) – partecipazione straordinaria di Valentino Orfeo
LEI (la razionalità esoterica) – Malvina Ruggiano
LEI (l’emotività amorosa) – Licia Amendola
LEI (la ragazza del pilota) – Valeria Flore
LEI (coreografia e danza) – Maria Borgese
LEI (canto in lingua slava) – VendyPumprlová
LEI (concerto per piano solo) – Theo AllegrettI
LEI (spirito/voce) – Fulvia Patrizia Olivieri
LEI (spirito/azione e donna del vaporetto) – Mariaelena Masetti Zannini
Trucco&Parrucco – STAFF RICCARDO BARNIA
Costumi e decori – Coup de Théâtre
Foto di scena e backstage – Paola Spinelli
Riprese/esterna e montaggio – Julia Pietrangeli
Riprese/spettacolo, montaggio docu – Luca Torzolini
Operatore 2a camera – Giulio Tonelli
Documentazione storica – Raffaele Rivieccio
Poster Artwork -Ulderico Fioretti
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L’installazione CR42 “FALCO”
nella Rassegna “OPEN BOX – L’arte contemporanea nei Giardini dell’Aventino, a cura di Francesca Perti
(Giardino Piero Piccioni, Roma Aventino – 19 dicembre 2020-28 febbraio2021)
La video-intervista a Marco Fioramanti (a cura di Julius Kaiser, video e Kyrahm, intervista)
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