Ne eravamo coscienti che sarebbe stata dura, molto dura, varare questo numero 29 di ZRAlt!  (la rivista della Zona Rossa avanti-lettera come è ben visualizzato dal suo logo)

a  ridosso di uno scioccante, a tratti surreale, lockdown, che ha inciso in modo sostanziale sul nostro “defunto” stile di vita occidentale, variamente assimilato e scopiazzato un po’ in tutto il mondo.

Stile di vita che al polo del consumismo sfrenato e del conseguente dissesto di un boccheggiante ecosistema, ha sempre saputo contrapporre l’esigenza di un riequilibrio esistenziale cibato con il toccasana dell’Arte e più in generale della Cultura intese nelle loro più larghe accezioni. E, se il numero precedente, monotematico sul pestifero Coronavirus, ha cercato d’interpretare al meglio i suoi negativi riflessi, ma anche le possibile vie d’uscita da un potenziale scacco matto pandemico inferto all’umanità intera, le videate digitali inauguranti l’ottavo anno di vita di “Zona Rossa Alt!” ritornano sul consueto binario d’una creatività esplorata in tutte le sue potenziali epifaniche manifestazioni, senza peraltro sottacere la persistente “influenza” dello stramaledetto virus in alcuni testi qui proposti . È quasi certo: nell’immediato futuro occorrerà ripensare alla radice sia le modalità di “produzione”, che di fruizione, di quegli insostituibili beni spirituali, e perché no? intellettuali,  che hanno variamente punteggiato l’intera storia dell’umanità.

Dalle arti visive alla musica, dal teatro alla scrittura (letteraria e scientifica) e ad ogni altro settore creativo, la dialettica tra passato (memoria) e presente (contemporaneità), è sempre stata garantita da una fruibilità esperibili nelle biblioteche o  in sedi museali, concertistiche, teatrali, cinematografiche….

Lo stare insieme, a suo modo socializzante, ma spesso travalicato da una penalizzante  massificazione (si pensi al Louvre ed alla Gioconda), ma anche a The Floatingh Piers di Christo (2016)  con le orde dei consumatori “selfizzatisi” all’insegna dell’ “anche io c’ero!” e nei cui confronti la nostra rivista non ha risparmiato critiche,

https://zralt.angelus-novus.it/zralt-n-13-estate-2016/the-floating-piers-di-christo-una-masturbazione-collettiva-a-cielo-aperto/

 

è stato fortemente ridimensionato dall’implacabile Covid-19. Infatti, e ognuno ha potuto toccarlo con mano, gli eventi espositivi cult, nella nuova era pandemica in corso, sono stati drasticamente messi in discussione con l’obbligata ferrea regola della reiterata e reiterabile chiusura temporanea degli spazi o di un raggelante distanziamento personale. Riportando così, nel suo alveo naturale, il debordato fiume delle insulse ammucchiate a cui si è assistito negli ultimi tempi (mostre e alcuni concerti, in particolare). Ripristinando, inoltre, sia la debita distanza fisica tra opera e guardante,così ben chiarito dall’aura benjaminiana, che  il tempo lento dell’indugiare accanto alla stessa propugnato da Gadamer.

Anche ZRAlt!, per essere un po’ ripagata dell’impegno profuso dai suoi collaboratori, si augura che la lettura delle sue pagine digitali spazianti dal saggio teorico con tanto di note a margine, a più agili testi cronachistici o narrativi – arricchiti con gli immancabili apporti multimediali – sia sincronizzata, da parte del lettore, con la vicinanza etico-estetica e con il giusto ritmo temporale intercorrente tra una pagina-video e l’altra. Non a caso, per facilitare tale approccio, la rivista non fa alcuna pubblicità, né tanto meno ricorre, per la sua esistenza libera da qualsivoglia condizionamento, ad alcuna forma palese o mascherata di finanziamento. Vuole semplicemente essere, e ben dovrebbero dimostrarlo tutti i suoi 29 numeri sinora usciti ed in rete, una ben aerata palestra di idee e confronto, tra i suoi artefici – tutti di provato e comprovato impegno culturale – ed i loro potenziali interlocutori. Come può ben constatarsi anche in questo numero.

Pino Bertelli  con Edward Burtynsky – Sulla fotografia della bellezza e poetica dell’insorgenza, mette ben in rilievo, con il suo consueto stile d’una premessa dai marcati connotati neo-situazionisti. Seguita poi da una impeccabile, quanto condivisa partecipazione empatica di ogni “bella e buona fotografia”, così come avviene nelle vette creative toccate dall’eco-estetica di Edward Burtynsky:«La poetica dell’insorgenza della discordanza nel discorso fotografico di Burtynsky segna anche una dimensione della risorgenza o del risveglio… la finitezza delle sue opere va a toccare le corde emozionali dell’indignazione e nella trasfigurazione del vero si dipana sul filo aureo dello stupore, della meraviglia che s’intrecciano nell’ebbrezza del bello come valore universale».

In Omaggio ad Antonio Picariello cavallo di razza della critica d’arte italiana (e non solo), Antonio Gasbarrini, fondatore e direttore di questa rivista, ripropone innanzitutto, con gli appositi links, gli originali apporti testuali dello stesso apparsi in vari numeri. La sua prematura scomparsa, è il pre/testo per approfondire l’eclettica figura di uno dei principali protagonisti italiani d’una disciplina (quella della critica d’arte, appunto), dagli incerti, e spesso traballanti, confini culturali. È innanzitutto la componente visionaria della sua scrittura alimentata da un’esperienza di vita fuori del comune nei cinque avventurosi anni trascorsi nell’isola della Réunion (1993-1998), l’individuata cifra creativa sorretta, peraltro, da una solida preparazione cognitiva interdisciplinare.

Matteo D’Ambrosio, dopo aver offerto un altro suo potlatch al n. 23/24 di ZRAlt! con l’ampio saggio sul rapporto tra Carlo Belloli, il “Poema preciso” marinettiano e la poesia concreta

(https://zralt.angelus-novus.it/zralt-n-23-24-inverno-2018-primavera-2019/di-come-carlo-belloli-partendo-dal-poema-preciso-marinettiano-divenne-un-precursore-della-poesia-concreta/),

 

ripropone ora – con il rigore scientifico che contraddistingue la sua infaticabile ricerca – Per una storia della Poesia sonora: un suggestivo percorso diacronico con la disamina approfondita dei principali protagonisti internazionali di questa nuova forma espressiva. Legata, in modo particolare, allo sviluppo tecnologico degli strumenti audiovisivi e al coinvolgimento performativo d’un corpo ri/esplorato, grazie ad una rivoluzionata poesia ch’è, nella sua essenza:«una rovinografia del  sapere,  una  forma  di sospensione della sua trasmissione, che rivendicando un ruolo di critica delle forme della sensibilità impedisce al dominio  di riprodursi».

Allorché la scrittura trae il suo principale alimento da una incalzante oralità come avviene nel mini-racconto inedito  La musica non è finita – Un trittico low-fi  di Marco Palladini, i suoi simpatici personaggi diventano subito amici ed interlocutori del lettore. È quanto può riscontrarsi nei tre episodi  “Rap e rock pari non sono?”, “ Beatles o LesBeat?”, Dee-Jay: le pare normale?”. La perfetta fusione tra testo e video-brani musicali pertinenti, esaltano al massimo il tutto, con indubbi effetti sinestetici. Ecco un piccolo assaggio, ovviamente solo “lineare”:« Una volta Wim Wenders disse in una intervista che il rock gli aveva salvato la vita. Ecco, non so se a me ha salvato la vita, ma certamente il rock, in primis dei Beatles, me l’ha illuminata… la mia vita in bianco e nero di colpo si riempì di colori allegri, entusiasmanti. Sì, proprio nel senso dell’enthusiasmòs del greco antico, del dio che filtra dentro di te, che ti indìa, e tu ti senti posseduto, come invasato da una energia che ti libera, che ti solleva, che ti dischiude inedite prospettive, che ti apre un nuovo mondo».

Nel Manuale della solitudine  Francesco Correggia riflette e fa riflettere, con il disincanto di chi ha un approccio filosofico e artistico con la vita, su una delle problematiche, apparentemente più mortificanti, della solitudine e degli spezzati rapporti sociali. E se è la vecchiaia ad essere organica ad un auto-isolamento imposto dai media con la loro esaltazione di un giovanilismo a tutti i costi, l’antidoto alla stessa può essere individuato nella metamorfizzazione del coatto ripiegamento esistenziale in energia positiva:« Immaginiamo di frequentare le rotte dell’intangibile, dell’inascoltato, di raggiungere terre lontane e di non avere più corpo, né respiro, né tempo, pur avendo un corpo. Forse è questo il segreto della vecchiaia e della solitudine che l’accompagna e  che gli altri non possono conoscere».

È Marco Tabellione, in  Sanguineti, Laborintus e le condizioni esterne, a rivendicare, per il libro Laborintus pubblicato agli inizi degli Anni cinquanta del secolo scorso, la fondazione dell’avanguardia poetica italiana che avrà i suoi esiti più significativi nel decennio successivo. Una sorta di incunabolo della stessa, ben accordato con alcune contaminazioni surrealisteggianti, con un linguaggio portatore di un io “de-narcisizzato”, linguaggio antagonista nella sua versione poematica  ove a predominare è adesso una «visione schizomorfa, matrice teorica dedicata all’esteriorità e alla ripetizione della schizofrenia del mondo contemporaneo in senso linguistico», all’insegna della parola d’ordine di facile riconoscibilità sanguinetiana: «rivoluzione sopra il terreno delle parole».

Anna Maria Giancarli richiama l’attenzione sul Premio letterario “Laudomia Bonanni”: la ri/esistenza di una storia poetica a L’Aquila, ripercorrendone, brevemente e con taglio giornalistico,  le motivazioni nonché la storia  delle sue passate diciotto edizioni, una delle quali tenuta persino nel 2009 (il tragico anno della tremenda botta sismica aquilana). Mettendo in evidenza l’originalità, sia ricordando i nomi degli eccelsi ospiti d’onore (quali Evtusenko, Derek Walcott, Mahmoud Darwish, Haddad, Adonis ,Tahar Ben Jelloun, Kikuo Takano, Yang Lian) succedutisi e dei loro readings proposti oltre che al consueto pubblico amante della letteratura e della poesia, in particolare, ai detenuti del carcere cittadino. È poi un puntuale testo critico dedicato al romanzo Il bambino di pietra della Bonanni, a delineare l’originalità d’una narrativa declinata, nella sua essenza, al femminile.

Dino Viani, con la centellinata e scorrevole scrittura di chi per professione ha uno sguardo “mirato” sulla realtà, intreccia, in Fotogrammi con parole (anche in dialetto arese), il suo vissuto all’interno della civiltà contadina abruzzese, con quella del nucleo familiare saldamente ancorato al padre-roccia-quercia Rocco e al contesto socio-antropologico della piccola comunità di Ari. Gli innesti linguistici dialettali fanno da eco memoriale a quell’irripetibile, incontaminato cosmo, ove è il tempo lento del lavoro nei campi a doversi misurare con l’accelerazione meccanica impressa da un trattore Fiat505C che a 2000 giri, «se magne la terre» [si mangia la terra]. Sono gli autografi apporti multimediali (foto e video) a plasmare, visivamente, la magica atmosfera di una salubre dimensione non solo familiare.

INDICE BINARIO

Fotografia

Pino Bertelli  Edward Burtynsky – Sulla fotografia della bellezza e poetica dell’insorgenza
1 Portfolio

Arte

Matteo D’Ambrosio  Per una storia della Poesia sonora
Slides

Antonio Gasbarrini  Omaggio ad Antonio Picariello cavallo di razza della critica d’arte italiana
1 video + slides + links

Francesco Correggia  Manuale della solitudine
Slides

Letteratura

Marco Palladini  La musica non è finita – Un trittico low-fi (Mini-racconto inedito)
Links

Marco Tabellione  Sanguineti, Laborintus e le condizioni esterne
1 video

Dino Viani  Fotogrammi con parole (anche in dialetto arese)
1 video + slides

Anna Maria Giancarli   Premio letterario “Laudomia Bonanni”: la ri/esistenza di una storia poetica a L’Aquila
1 video + slides

ALCUNI  TITOLI DEL PROSSIMO NUMERO 30 DI ZRAlt! 

Pino Bertelli  Francesca Grispello – Sulle fotoscritture del corpo come anima in amore e l’iconografia della seduzione come fragilità della bellezza

 Luciano Romoli -Frammenti estetici nei piani immaginari del tempo

Giovanni Fontana  L’alchimia epigenetica nella relazione tra il testo e l’azione

Marco Fioramanti LEI – Leggenda di guerra e d’amore

Eva Rachele Grassi – Ermanno Senatore  ..Éléments de Dé/com/position… À la recherche du réel caché…

Antonio Gasbarrini – L’erotismo ai tempi del Covid-19 e della Storia dell’arte