L’unica in-di-gna-zio-ne che un critico può diffondere, è un foglio bianco da offrire agli assassini del mondo affinché gli inutili possano rispecchiare la loro mancanza in una memoria del nulla, dove esiste nessuna referenza a indicare il loro passaggio sul pianeta
di Antonio Gasbarrini
Chi e che cos’è un “critico d’arte militante” com’è stato, e ben a 360 gradi, Antonio Picariello insieme ai suoi altri combattivi compagni di strada del passato o contemporanei?
L’anomale disciplina della “critica d’arte”, è troppo spesso confusa con quella della “storia dell’arte” con conseguenti riverberi sulla figura del “critico d’arte militante”: una copia sbiadita del puro e imperturbabile “storico dell’arte accademico”? E se il “critico d’arte militante” fosse, alla fin fine, un suo epigono, per di più anche mancato? Cerchiamo di mettere, in proposito, qualche puntino sulle i ripercorrendo alcuni brani della straordinaria esperienza militante di Antonio Picariello.
Prima di entrare nel merito della nostra precedente affermazione elogiativa nei confronti di un collega con il quale sono state condivise varie iniziative espositive, performative o culturali tout-court, un’altra domanda.
Quali e quanti “critici d’arte militanti” (alla Baudelaire tanto per intenderci) sono ancora oggi in circolazione nell’epoca “curatoriale” in cui l’emergente “mostrificio” a tutti i costi finalizzato esclusivamente al conseguimento delle più alte quotazioni di un mercato internazionale drogato in favore di questo o quell’artista indegno molto spesso di una tale nobile qualifica? Omettiamo di scriverne i nomi, non già per reticenza, ma per non fare loro una gratuita pubblicità.
Il primo comandamento da rispettare, per un “critico d’arte militante” (e Antonio Picariello lo sapeva molto bene) è la stretta interdipendenza esistente tra la qualità della sua scrittura esegetica e la frequentazione dell’artista (se vivente) nello studio in cui la sua creatività prende a mano a mano corpo, mente e anima. Apprendendo così, e facciamo un solo esempio, la differenza esistente tra un dipinto ad olio e un acrilico, tecnica quasi mai distinguibile ad occhio nudo. A meno che non si annusi la tela, percependone l’odore della trementina (olio) o meno (acrilico). Se poi è la condivisione della poetica di un gruppo – com’è avvenuto per la Transavanguardia di Achille Bonito Oliva o l’Arte Povera del compianto Germano Celant – tanto di guadagnato, anche in termini della più adeguata elaborazione teoretica.
Ebbene. Ci permettiamo ora di affiancare ai due illustri nomi della “critica d’arte militante” non solo italiana, quello di Antonio Picariello, un autentico “genius loci” molisano, tale diventato dopo la sua errabonda esperienza sciamanica nell’Isola della Réunion dal 1993 al 1998 o di docente precario per oltre trent’anni nell’imposto randagio spostamento tra una regione e l’altra italiana.
Laureatosi al DAMS di Bologna con Tomàs Maldonado ed avendo avuto tra i docenti l’insigne Umberto Eco, era stato sì affascinato dal rigore semiotico e filologico di ogni parola, ma conterà molto di più, successivamente, la sua origine mitico-labirintica innervante ogni combinazione sintattica della sua spiralica, avvolgente, visionaria scrittura: «Amore è il nome dello schiavo réunionese che fecondò le belle piante della vaniglia. […] Anch’io qui sono la solitudine di Giacometti, la luce fievole che scontorna le forme della vegetazione arricchita dalla tensione dell’ homme qui marche, sono Cézanne che squadra i vortici delle paure affiancate dai tagli senza filettatura del cubismo. Sono il cielo di De Chirico, un paesaggio greco meridiano fatto di silenzi di piazze disabitate come gocce di resina azzurra tropicale e il trionfo caduco dello straniero mediterraneo. Sono un uomo solo. Un latino che si arrampica nella foresta della Réunion con il solo coraggio di essere disperato, perso, squattrinato in una foresta piazzata in qualche punto sperduto dell’Oceano indiano. […]» (Dal racconto autobiografico Creoli, firmato con il suo alter ego creativo “Pilò”, nel libro Comunque prima c’era uscito nel 2006).
Per apprezzare al meglio l’intrigante scrittura picarelliana, rigogliosamente riversata anche nelle pagine di questa stessa rivista, si faccia anche attenzione ai suoi contributi multimediali (videoproiezioni, filmati, registrazioni audio…) “confezionati”ad hoc per i testi riproposti con i sottostanti links. Difficilmente l’immagine-parola dell’Ut pictura pöesis propugnata da Simonide di Ceo e rilanciata da Orazio, riuscirà ad esser così perfettamente metamorfizzata, ma anche fusa, con la medianica, speculare parola-immagine del Nostro.
Ecco il perché dello straziante rimpianto di non aver potuto pubblicare il testo concordato nel solo titolo Il tempo delle arti. Ciclico, industriale, informatico. Wiva “Don Quijote preannunciato nell’Editoriale del n. 23/24, più volte rimandato all’uscita dei numeri successivi fino all’epilogo della sua precoce scomparsa avvenuta qualche mese fa.
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Antonio Picariello: “critico d’arte militante”. “E non solo”, come recita lo stesso titolo di questa messa a fuoco della sua attività permeata da una naturale predisposizione interdisciplinare (scrittore, dicitore, artista, direttore… – sin dagli albori di internet nel 2006, della rivista online www.criticart.it, al momento ancora in rete, recante nell’occhiello la dicitura “certificazione di qualità dell’arte” – , ruoli, tutti, ben apprezzabili in una delle ultime interviste a lui rilasciata da Zygmunt Bauman, massimo teorico della ” società liquida”, nonché dalla recitazione del V Canto dell’Inferno dantesco che accompagna, a mo’ di commento, la videoproiezione delle immagini da lui selezionate per il testo (vedi i due links di riferimento più sopra segnalati). A proposito di quest’ultimo, messo in rete nel n. 5 – Estate 2014 – di ZRAlt!, va stigmatizzato un antipatico incidente di percorso subito dallo stesso recentemente. Al posto del video (oscurato) è apparsa e tuttora appare la scritta:
Questo video è soggetto a limiti di età ed è disponibile solo su YouTube. Ulteriori informazioni
Leggendo le informazioni, eccone le ragioni:
Contenuti soggetti a limiti di età
«Alcuni contenuti, pur non violando le nostre norme, potrebbero non essere appropriati per gli spettatori di età inferiore ai 18 anni. In tali casi, potremmo applicare un limite di età al video in questione. Queste norme riguardano video, descrizioni dei video, miniature personalizzate, live streaming e qualsiasi altra funzionalità o prodotto di YouTube».
Questa, la casistica in cui il video è stato inserito dagli improvvidi censori:
«Nudità e contenuti sessualmente allusivi
- Un video che invita a compiere atti sessuali, ad esempio danze provocanti o carezze
- Un video in cui la posa del soggetto è studiata per provocare sessualmente lo spettatore o l’abbigliamento raffigurato è generalmente considerato inaccettabile in contesti pubblici, ad esempio la biancheria intima».
Confondere le ironiche immagini pseudo-erotiche proposte da Picariello, con la pornografia, è come dire che tutti i capolavori in cui la parte anatomica del sesso o corpi variamente avvinghiati come avviene ne L’Origine du Monde di Courbet e nella realistica copula di Due personaggi di Bacon, devono essere “immediatamente” rimossi dai musei in cui sono esposti (anche ai bambini accompagnati da “sconsiderati” genitori).
Tornando all’eclettico “critico d’arte militante” qual è stato Antonio Picariello, due sono le parole chiave riconducibili alla sua spumeggiante scrittura: “archetipo” e “labirinto”. Attinte non solo da reminiscenze filosofiche o mitiche, ma direttamente dal suo vissuto, in molte circostanze più che avventuroso. Su tutte, l’incredibile esperienza réunionese, che ha radicalmente metamorfizzato la sua formazione estetica occidentale permeata da uno sguardo tridimensionale euclideo-rinascimentale prospettico, con una conseguente posticcia percezione visivo-intellettuale della realtà analogica da cui siamo circondati (Natura in primo luogo), in un panico, e perché no? abbraccio animistico e frattalico.
Tal che masse geometriche, colori, odori, trasuderanno nella sua sensitiva scrittura, approdando quindi nella elaborazione teoretica dell’Arcetyp’Art, il cui Manifesto co-firmato e lanciato nel 1994 in Francia, riproposto due anni dopo in Italia in occasione del XLI Premio Termoli nella rassegna “Archetip’Art” Italia-Africa, mette la lente d’ingrandimento sull'”artista autoctono”: «[…] L’artista non deve più produrre su basi culturali istituzionali ma deve avere coscienza di essere il centro del sapere creativo. L’artista non è il professionista pubblicitario asservito alla politica asettica della società del consumo, ma è colui che detiene la cultura locale, il sapere tradizionale e le specificità etniche: il possessore dell’imprinting del suo territorio […]».
Da questa premessa, che qui non è il caso di approfondire, deriva la particolare attenzione da lui sempre riservata agli artisti contemporanei molisani, con la presentazione, non solo testuale, di mostre personali o rassegne tematiche, in parte ripercorribili nell’altro suo libro (pubblicato nel 2000, con la presentazione di Giuseppe Siano) “Molise mon amour. Diario di un critico d’arte”, ove si può tra l’altro leggere: «[…] Il compito di questo diario è raccogliere quanto di vero c’è nell’arte menzognera molisana considerando il luogo tra i più forti ed energici perfino tenaci per la conservazione dello spirito originale che ha sempre distinto e caratterizzato questa terra […]».
Si riferiva ovviamente, il “critico d’arte militante», ai tanti pseudo-artisti circolanti non solo in quella terra, portatori di una mistificante “arte menzognera” rispetto a quella riscontrata nelle opere degli artisti frequentati – anche successivamente – fino a che sua “Sorella morte” non l’ha voluto, francescanamente al suo fianco: «Laudato si’, mi Signore, / per sora nostra Morte corporale, / de la quale nullu homo vivente po’ skappare: / guai a quelli ke moranno ne le peccati mortali; / beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime volontati, / ke la morte secunda no’l farrà male».
***
Post scriptum
Pilò, Antonius Aquilanus & l’indignazione
Nel 2010 i cittadini aquilani insorgevano, contro il Governo berlusconiano, marciando compatti verso la sigillata “Zona Rossa” del loro centro storico devastato dal sisma di un anno prima, muniti di carriole per rimuovere le montagne e montagne di macerie abbandonate a sé stesse. Sfidando, con la loro plateale indignazione, la legge con il reiterato sfondamento delle barriere dissuasive e dando così vita al movimento civico de “Il Popolo delle Carriole”. Le cui “gesta” (è proprio il caso di dirlo), contrassegneranno la ripresa della convivenza comunitaria, fino ad allora azzerata dalla diaspora dei 35.000 suoi abitanti ospitati nelle tendopoli ed altrettanti negli alberghi della costa. In piena sintonia con l’esortazione hesseliana dell'”Indignez vous!” e con i sommovimenti internazionali delle “Primavere arabe”, anche la cultura e l’arte davano, nella città capoluogo, un loro contributo per la sua ri/nascita non solo fisica (si rimanda, in proposito, ai tanti interventi testuali-multimediali ben presenti in vari numeri di questa stessa rivista).
In tale tellurico contesto il “critico d’arte militante “Antonio Picariello ch’era stato coinvolto, anche emotivamente, dal sisma che nel 2002 in Molise a S. Giuliano di Puglia aveva causato – con il crollo della scuola elementare “Jovine” – la morte di 27 scolari ed una maestra, dava spazio, immagini e voce, sulla sua rivista on line “criticart.it”, alle iniziative messe in campo da ” Il Popolo delle Carriole”, per rilanciare anche a livello nazionale, i mille e mille patimenti sofferti dai terremotati del così detto “cratere sismico”.
Nella ventina di slides qui proposte, si possono sincronicamente ripercorrere alcuni dei molteplici tratti del suo costante impegno militante (l’artista Pilò, ma anche il dicitore o il mentore visuale dell’ex carriolista autore di questa nota).
Slides Antonio Picariello alias Pilò (Portfolio a cura di Antonio Gasbarrini)
Il testo dell’email a suo tempo indirizzatami e che val la pena di riproporre, si riferisce, inoltre, all’invito rivoltogli per scrivere una sua testimonianza sulla tematica dell’indignazione, tematica confluita poco dopo nel mio libro L’epopea aquilana del Popolo delle carriole. All’avanguardia dell’indignazione hesseliana, che a pag. 71 riporterà questo “autoritratto” etico-estetico di un autentico cavallo di razza qual è stato l’indimenticabile “critico d’arte militante” Antonio Picariello.
Da: antonio picariello <criticartmagazine@gmail.com>
Data: 21 novembre 2011 09:30:35 CET
A: antonio.gasbarrini@gmail.com
Oggetto: picar indignos
In-di-gna-zio-ne
di Antonio Picariello
Arise, ye refuse to be bondslaves!
Indignation fills the hearts of our countrymen, /Arise/Arise/Arise
P . R.
Le parole non bastano. Chi guarda con occhi e cuore indignato la storia di generazioni tragicamente in lotta con una civiltà accelerata nell’autodistruzione (civiltà spietatamente bestiale), le parole non bastano. Non bastano le immagini di città saccheggiate dalla cupidigia mortifera di un capitalismo finanziario che non ha gusto e non ha spirito. Non ha dono per esistere. Ho lavorato sei mesi su questo testo, ogni tentativo di scrittura non soddisfaceva il cuore. Poi, ho capito. La scrittura non serve, le parole non servono. Non servono le immagini per poter sfogare un’in-di-gna-zio-ne profonda che non trova pace.
L’unica in-di-gna-zio-ne che un critico può diffondere, è un foglio bianco da offrire agli assassini del mondo affinché gli inutili possano rispecchiare la loro mancanza in una memoria del nulla, dove esiste nessuna referenza a indicare il loro passaggio sul pianeta.
La “nostra in-di-gna-zio-ne” sono fogli bianchi; pagine non scritte e silenzi. Fogli bianchi ad indice dello sguardo punitivo degli indignati. Barlumi e fremiti di fogli bianchi, voci mancanti dalle biblioteche: voce indignata come blues dei non rassegnati. Ecco il mio testo. Niente scrittura, niente parole. Ecco il mio testo caro Antonio: sguardo bianco, indignato che accusa. Vorrei ridare al mondo una visione degna del piacere di vivere, ma questo è tutto ciò che posso dire, tutto ciò che riesco a fare. Nient’altro.
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