Il fil rouge delle paginette de Il Taccuino dell’Arte dedicate al “MAXXI L’Aquila”, a ben seguirlo nei labirintici spazi del barocco Palazzo Ardinghelli, si è ammatassato in modo disordinato dentro un bicchiere: sostanzialmente mezzo vuoto per l’autore delle stesse, ma stracolmo di ogni “ben d’arte contemporanea” per gli entusiasti della prima ed ultim’ora

di Antonio Gasbarrini

Quale pacata risposta alla censura effettuata dalla redazione centrale romana de Il Messaggero  al  mio articolo “Il Maxxi L’Aquila attende il programma espositivo dopo l’avvenuto spoil system” già impaginato e che sarebbe dovuto uscire il 16 maggio u. s., ho ritenuto opportuno mettere su, in quattro e quattr’otto, una sorta di “Libro quasi bianco”. Ove è possibile ripercorrere le principali fasi espositive e le altre iniziative culturali collaterali più significative proposte dal “MAXXI L’Aquila” nei suoi primi tre anni di attività nella città capoluogo (2021-2024), nonché alcune problematiche connesse alla politica museale svolta nel territorio da parte del Ministero della Cultura (ex Mibac, attuale Mic).

Circa la dinamica della “oscurantista censura” effettuata con perfetto sincronismo al “caso Scurati e affini” dai fiancheggiatori mediatici del destrorso governo meloniano, rimando alla lettura dell’articolo firmato da Alessandro Monti in questo stesso numero di ZRAlt!.  Il quale, nella sua veste di qualificato studioso di politiche culturali e gestioni museali aveva segnalato a suo tempo, su varie testate nazionali: «le incongruenze di una operazione politica verticistica che – priva di analisi costi benefici culturali e sociali, ignorando le prioritarie esigenze logistiche ed espositive degli organi periferici Mibac – ha disposto la concessione gratuita di Palazzo Ardinghelli alla Fondazione MAXXI per aprire un “Centro per la creatività e l’arte contemporanea”, senza coinvolgere direttamente né Soprintendenza e Polo Museale, né la popolazione, né tanto meno gli addetti ai lavori presenti nel territorio, con il rischio di penalizzare la tradizione artistica aquilana e le capacità professionali, organizzativo-creative della città, in una sorta di “neocolonialismo culturale”».

Per quanto concerne, invece, la bontà o meno delle proposte che si sono alternate, sono rintracciabili miei rilievi connessi sia alla non sempre lungimirante offerta espositiva del “MAXXI L’Aquila”, che riciclaggi di mostre già tenute a Roma. Evidenziando in tal modo molti limiti e carenze di vario tipo (a tutt’oggi mancanza di un archivio digitale, pressoché totale assenza di cataloghi cartacei, eccessiva durata delle mostre, scarsa visibilità delle risorse finanziarie impiegate a fronte dei 2 milioni di euro l’anno garantiti dal Mic e dalla Ales).

Alla sostanziale impasse gestionale registrata sul finire del 2022 dopo l’avvenuto spoil system attuato dal neo-governo meloniano e su cui ho richiamato l’attenzione in vari articoli, ha fatto riscontro quello espositivo con la strampalata mostra in corso al momento di stendere questa nota “Architetture e città nel Corno d’Africa . Un patrimonio condiviso”, relativa alle derubricate sanguinarie avventure mussoliniane, a tutto vantaggio della subliminale esaltazione coloniale dell’avvenuta urbanizzazione italica. Cosa c’entri questa invereconda proposta con l’arte contemporanea d’un “Centro per la creatività e l’arte contemporanea” qual è il “MAXXI L’Aquila” («Il MAXXI L’Aquila si configura come “un polo del contemporaneo, un luogo di confronto e interazione in cui programmi di approfondimento, conferenze, workshop, progetti educativi e attività di formazione accompagnano  le diverse esposizioni, dando vita a uno scambio continuo e vivo con il territorio circostante» – citazione tratta dall’omonima pubblicazione), è tutto da chiarire. Solamente i buontemponi in mala fede, d’una rivisitazione storiografica dell’estetizzato fascismo, possono aver concepito tale subdola oscenità ideologico-propagandistica che nulla ha da  spartire con l’arte dei nostri giorni o di quelli più prossimi.

Sarà invece la collaudata rassegna ideata nelle sue prime tre edizioni dal precedente direttore Bartolomeo Pietromarchi, il “Festival internazionale di performance d’arte, musica e teatro” (da me tempestivamente recensite, si veda nel “Libro quasi bianco”)  # PERFORMATIVE04 – programmata per fine estate – a ricondurre l’attività istituzionale d’un Centro di ricerca, negli intriganti binari della creatività contemporanea.

Ma, veniamo adesso al sensibile tasto del numero dei visitatori, ponendo a raffronto le cifre del “MAXXI L’Aquila” e quelle del Museo Nazionale d’Abruzzo (Munda). Nel marzo del 2022 titolavo una mia paginetta “Numero visitatori: se il Maxxi ride il Munda continua a piangere”, mettendo in rilievo i 21.000 del primo con i poco più di 5.000 del secondo.

Tutt’altro discorso è da farsi, invece per il 2023, aureo anno in cui si è registrato in tutt’Italia il boom degli stessi nei Musei pubblici, con il Munda attestato tra le più brillanti posizioni con i suoi decuplicati 56.824 fruitori e il “MAXXI L’Aquila” con dati calanti rispetto ai circa 13.000  indicati nel Bilancio consuntivo 2022 della Fondazione, ma omessi in quello dello scorso anno: vale a dire circa un quarto. Se l’inatteso balzo si deve, ma non solo, al traino effettuato da una super mascotte – quale si è rivelata il Mammut esposto al Bastione Est del Castello cinquecentesco, visitabile periodicamente – è  da prevedere che con l’imminente trasferimento delle sue splendide collezioni dagli emergenziali locali post sismici nell’ex Mattatoio a Borgo Rivera nella parte già restaurata del Castello, un’ulteriore impennata degli amanti dell’arte in tutte le sue declinazioni formali e temporali.

In questo stesso anno il MAXXI nazionale – a guida del giornalista Alessandro Giuli – ha fatto registrare, in negativo, un’accentuata contrazione  dei ricavi connessi ai biglietti venduti pari a meno 30%, con una sorta di rimbalzo per il “MAXXI L’Aquila” (con il suo meno 17% e conseguente contrazione del numero di visitatori).

Entrando adesso nel merito della quarantina di articoli da me dedicati nella rubrica Il Taccuino dell’Arte al “MAXXI L’Aquila” (ma comprensivi anche di quelli relativi all’acceso dibattito avvenuto sia in città che nella regione Abruzzo, nonché in Italia sin dal finire del 2018 sulla bontà culturale della scelta verticistica governativa effettuata con il suo varo), va subito evidenziato lo standard tipografico disponibile per i singoli “pezzi” (intorno ai 3.600 caratteri + un’immagine a colori connessa all’evento da me quasi sempre scattata).

Slides (a cura di Antonio Gasbarrini)

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Circa il taglio giornalistico dato alle stesse – come ben può riscontrarsi  nell’allegato “Libro quasi bianco” –, alla recensione esclusivamente d’ordine estetico-critico riservata alle varie mostre succedutesi, veniva spesso intercalata quella inerente alla politica museale ministeriale svolta nel territorio locale e regionale, sottolineandone di volta  in volta pregi (rarissimi) e difetti (di varia entità). A proposito dei quali né l’ex Ministro della cultura Franceschini, né l’ex Presidente della Fondazione MAXXI Giovanna Melandri si sono mai sognati d’intervenire nella sede redazionale centrale o regionale del giornale per bloccare l’uscita delle “paginette” del Taccuino non gradite.

Come sintesi di quanto sin’ora prospettato, ritengo opportuno riproporre, per tutti, due articoli chiarificatori del mio approccio – specialistico sì, ma con taglio discorsivo – al “MAXXI L’Aquila” ed alle tante problematiche aperte dalla sua presenza in un contesto che in materia di arte contemporanea, l’ha sempre saputa, lunga, molto lunga. E ciò, sin dall’immediato dopoguerra grazie alla modernizzante attività “rigenerativa culturale”antifascista  svolta dal Gruppo Artisti Aquilani (in merito rimando alla Rassegna “Artisti &venti a L’Aquila 1944-1999” da me curata al Castello Cinquecentesco più o meno un quarto di secolo fa https://www.angelus-novus.it/wp-content/uploads/2013/05/artisti-venti-a-laquila-web.pdf).

Il fil rouge delle “paginette” del Taccuino dedicate al “MAXXI L’Aquila”, a ben seguirlo nei labirintici spazi del barocco Palazzo Ardinghelli, si è ammatassato in modo disordinato dentro un bicchiere: sostanzialmente mezzo vuoto per l’autore delle stesse, ma stracolmo di ogni “ben d’arte contemporanea” per gli entusiasti della prima ed ultim’ora.

È stata la controprova dell’acceso dibattito sulla bistrattata collezione d’Arte Moderna e Contemporanea del Munda forte delle sue oltre 300 opere relegate a tutt’oggi, dopo il sisma del 2009, in vari depositi non adeguatamente attrezzati in fatto di microclima ambientale, a mettere in evidenza la contraddittoria scelta effettuata a suo tempo dal Mibac. Dati i corposi danneggiamenti evitabili con la loro esposizione a Palazzo Ardinghelli anche sotto forma d’un partenariato potenzialmente instaurabile tra MAXXI e Munda. Una razionale soluzione di compromesso, questa, suggerita dal prof. Monti e dal veterano artista nonché decano degli storici italiani dell’arte Bruno Toscano con i loro puntuali interventi a quattro mani su Il Sole 24 ORE del 17 maggio 2020 e Il Manifesto del 18 dicembre 2020 – si veda nell’Appendice del “Libro quasi bianco”).

Download del “Libro quasi bianco

Contraddizioni tutte, sin qui telegraficamente ricordate – istituzionali e non –, puntualmente scoperchiate a più riprese nella “silenziata” mia rubrica  settimanale de Il Taccuino dell’Arte.

Perciò, dopo qualche decennio d’una proficua collaborazione instaurata con la testata romana nella sua sede redazionale della città svevo-angioina (troncata di botto con l’improvvida censura), non mi è rimasta che una obbligata, irreversibile e non indolore scelta: bye bye Il Messaggero!

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IL TACCUINO DELL’ARTE
Il Messaggero Abruzzo 19 marzo 2022

Maxxi L’Aquila e la nuova mostra: allestimento originale solo a metà

di Antonio Gasbarrini

Archiviata dopo ben circa nove mesi dall’inaugurazione, la prima mostra “Punto di equilibrio. Pensiero Spazio Luce da Toyo Ito a Ettore Spalletti” con cui il Maxxi L’Aquila ha aperto i battenti nel barocco, monumentale Palazzo Ardinghelli, un doppio fil rouge lega ora la nuova proposta varata qualche giorno fa. Incentrata sulle fotografie e installazioni video indaganti il rapporto tra arte e scienza nella sezione “In Itinere”(a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Fanny Borel, con gli apporti creativi di Armin Linke, Masbedo e Claudia Pajewski, la consulenza storica del Museo Nazionale d’Abruzzo e quella scientifica del Gran Sasso Science Institute ed i Laboratori Nazionali del Gran Sasso), insieme alla parallela interlocuzione espositiva “Di roccia, fuochi e avventure sotterrane” (a cura di Alessandro Dandini de Sylva, con i lavori dei fotografi Fabio Barile, Andrea Botto, Marina Caneve, Alessandro Imbriaco, Francesco Neri). Da aggiungere, l’approccio al digitale metaverso con l’opera di Miltos Manetas, la scultura installativa di Hidetoshi Nagasawa “Compasso di Archimede” posizionata nella corte dell’Ardinghelli ed il video “Asia One” di Cao Fei, visibile nella Project room. Prima di entrare nel merito delle stesse in successive paginette del Taccuino, si ritiene opportuno evidenziare alcuni aspetti problematici riguardanti la precedente rassegna “Punto d’equilibrio…”. Innanzitutto, la mancata edizione di un “obbligato” catalogo (anche nella sola versione digitale) corredato da testi critici ed immagini documentanti – non solo per le future necessità di studio e ricerca storiografica – l’evento; a seguire, il fatto che, delle sei installazione site-specific e delle due campagne fotografiche commissionate dal Maxxi (tutte a titolo oneroso), siano rimaste in loco solo quelle di Ettore Spalletti e Nunzio. E tutte le altre? Sono andate forse ad implementare la già nutrita collezione romana, tradendo in tal modo la stessa filosofia insita nelle installazioni “site-specific” vincolate esteticamente per sempre all’ambiente architettonico o naturalistico per cui sono state ideate? Ma, a parte questi rilievi e dubbi, più di una cosa non va, secondo noi, come dovrebbe. Un solo esempio per tutti. Che senso ha “riciclare” sostanzialmente al Maxxi L’Aquila, in una città ed una regione più che smaliziate in materia di arte e cultura contemporanee, la mostra fotografica “Di roccia, fuochi e avventure sotterrane”, con tutte le penalizzanti conseguenze del “déjà vu” direttamente nella sede romana (per quanto riguarda i fruitori) o nei video disponibili su internet? Il semplice confronto tra l’allestimento delle foto effettuato negli astrali ambienti progettati dall’architetta Zaha Hadid e quello nei labirintici spazi dell’Ardinghelli caratterizzati dalla prevalenza di stanze di piccole dimensioni, la dice lunga sulla valutazione più che negativa di una tale scelta, riassumibile nel criterio-guida espositivo enunciato, dal curatore, in una intervista rilasciata sulla mostra allestita nella capitale: “L’idea di allestimento era semplice: provare a dare ad ogni autore circa 20 metri di parete senza interruzioni, dove poter esprimere flussi di immagini il più possibile aderenti alle loro rispettive pratiche”. Lo zigzagante, singhiozzante percorso espositivo all’Ardinghelli, tradisce alla radice tale impostazione, penalizzando, alla fin fine, persino la poetica dei cinque autori. Denominatore comune delle due sezioni è stato quello della committenza (del Maxxi per “In Itinere” e di un’impresa privata per “Di roccia…), in base alla quale i singoli artisti prescelti hanno aderito, nel realizzare le loro opere, alle necessità progettuali del committente.

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IL TACCUINO DELL’ARTE
Il Messaggero Abruzzo 23 febbraio 2023

Ministero della Cultura,  spoils system e suoi riflessi sul Maxxi L’Aquila

di Antonio Gasbarrini

Che in Italia, competenza e professionalità nel comparto della pubblica amministrazione latamente intesa, alla fin fine possano valere solo qualche spicciolo è ben risaputo. Se poi si aggiunge a ciò, la piratesca pratica dello “spoils system” con cui i vincitori delle elezioni politiche nazionali o locali sostituiscono “motu proprio” i vertici apicali  nei vari settori in cui l’ente pubblico (a cominciare dallo Stato) ha voce in capitolo, quei requisiti vanno letteralmente a farsi friggere. Anche se siamo solo agli inizi, una probante cartina di tornasole in merito la possiamo rintracciare con quanto sta avvenendo a Roma nella Fondazione Maxxi, da noi chiamata in causa per i potenziali suoi riflessi negativi sul Maxxi L’Aquila. Già la nomina del suo nuovo presidente da parte del Ministro della cultura Sangiuliano subentrato al “veterano” Franceschini – il giornalista politologo Alessandro Giuli – ha generato più di una perplessità tra gli addetti ai lavori, data la sua sostanziale estraneità alle complesse problematiche museali ed espositive dell’arte contemporanea. Ma, tant’é. Sta di fatto che alcuni dei principali protagonisti che in questi ultimi anni hanno segnato il bello e il cattivo tempo della Fondazione (a cominciare dall’ex presidente Giovanna Melandri alla sua guida per un decennio, al direttore artistico Hou Hanru a cui non è stato rinnovato il contratto ed agli altri nomi caduti nella mannaia della nuova “governance”), hanno già lasciato a malincuore le loro stanze. E tutto ciò mentre è stato avviato il percorso progettuale della sua espansione fisica ed operativa protesa all’avvento del “Grande Maxxi” che, per dirla con le stesse parole della Nota Integrativa al Bilancio consuntivo del 2021: “Il Grande Maxxi sarà hub, green, sostenibile, accessibile e intelligente. Ospiterà un centro di eccellenza per il restauro del contemporaneo, spazi destinati alla formazione specialistica, un giardino pensile”. In presenza di tutto ciò, una domandina s’impone: ci saranno contraccolpi anche per il Maxxi L’Aquila? Inaugurato nel maggio del 2021 grazie al finanziamento pubblico di 2 milioni di euro l’anno (garantiti sino al 2024), nonché la contestuale cessione in uso gratuito per 20 anni del monumentale Palazzo Ardinghelli, la conferma del direttore, il critico Bartolomeo Pietromarchi, è stata prorogata per alcuni mesi dell’anno in corso. E poi? Intanto, cerchiamo di fare “en passant” il punto sull’offerta culturale sino a qui proposta nella città capoluogo.  Consistente nella tenuta di: tre rassegne d’arte contemporanea della durata media espositiva di circa sei mesi ognuna con una particolare attenzione prestata alla fotografia, due edizioni del Festival “Performative”, la presentazione di alcuni libri e qualche altra marginale iniziativa come la risicata attenzione dedicata ad una manciata di artisti abruzzesi. Circa la fotografia c’è da rilevare che altre mostre allestite su iniziativa di “entità culturali” presenti nel territorio, sono risultate  di gran lunga più organiche e storicizzanti. Per quanto riguarda l’immediato futuro è stato preannunciato un radicale cambiamento di passo espositivo con la programmata inaugurazione ad aprile di due sincroniche mostre personali  dedicate ad artiste di levatura internazionale rispondenti ai nomi di Marisa Merz (scomparsa nel 2019) e  dell’indiana Shilpa Gupta, oltre al Festival. Sarà comunque la prevista riapertura del Museo Nazionale d’Abruzzo al Castello cinquecentesco e la messa a disposizione di alcuni suoi spazi per la tenuta di mostre temporanee, ad obbligare il Maxxi L’Aquila a rivedere la filosofia di fondo sinora espressa: non sempre trainante ed innovativa.