Allora “aprire una porta” è un rito di passaggio, se si vuole interpretare, ad esempio, la rappresentazione pittorica o architettonica, in spazio spirituale, di un uscio, pur solo socchiuso. Analogamente, “salire gradini” è metaforica ascensione al sublime; come “illuminare uno spazio” può essere introiettato come abbraccio di luce

di Paolo Rico

ABSTRACT

La scienza può insolitamente giovare, come argomenta la successiva riflessione, al dibattito contemporaneo sulla penetrabilità contemplativa, formativa, intuitiva dell’arte specificamente cultuale. Focus, quindi, su un’inaspettata formulazione  – come dire –  prêt-à-porter dello spinozismo. Cifra ermeneutica qui sfruttata, per rintracciare possibili impostazioni, eminentemente razionali, a favore di produzioni artistiche, quasi esclusivamente religiose, emozionali.

Con l’aiuto, appunto, di dispositivi in grado di implementare finito e infinito: ovvero l’ordinata tipica dell’anelito spirituale con l’ascissa di un metodo, se non scientifico, strutturato e pratico. Il risultato – al di là di una lettura, comunque adatta (nel nomenclatore spinoziano) ad una perseguita fisicalità oggettuale – rincorre un punto di intersezione tra il noto della morfoprassi estetica e il congetturabile dell’esercizio dell’indagine, della ricerca, della tecnica.

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Non nell’equilibrio del mondo borghese, ma nel tuono apocalittico rinasceranno le religioni

Walter Schubart, L’Europa e l’anima dell’Oriente(1938), cit. da: Ernst Jünger, La pace (1944)

 

Nell’universo polisemico del progresso scientifico l’incidenza dell’arte, segnatamente visuale, pesa come feconda opportunità contaminante. Se gli sviluppi di un’alba balbettante nell’orizzonte dell’AI incoraggiano, ad esempio, capacità di studio indagatore, non si può tacere la straordinaria prospettiva, che l’arte sacra, nella fattispecie, germinalmente individua nei mutamenti della secolarizzazione.

«Abbiamo miliardi di dati da elaborare e, per fortuna, capacità di supercalcolo», osservava a tutta pagina un’autorevole recensione bibliografica, pubblicata da una primaria testata giornalistica[i]. E – fortuita coincidenza –  il pontefice nello stesso giorno lanciava un invito agli intellettuali  – specialmente agli artisti –  a cimentarsi nella profilazione (ormai sdoganato il lemma) di un’aggiornata figura del Cristo. D’altronde, proprio in questo non mancano riconoscimenti di opportunità e di urgenza perfino di personalità sideralmente lontane da ogni suggestione clericale, come esemplarmente qui richiama una significativa sottolineatura: «(…) ciò che è sacro attira e possiede un valore incomparabile, ma appare al tempo stesso vertiginosamente pericoloso per questo mondo chiaro e profano in cui l’umanità pone il suo dominio privilegiato»[ii].

Il riscontro è immediato nella risposta al bisogno di un itinerario efficace alla creazione artistica con tematiche spirituali: «Quando Socrate nella piazza d’Atene cercava di costringere il prossimo a dire che cosa intendesse per virtù o per sapere faceva e spingeva a fare operazioni (…) riflessive»[iii].

Soccorre conseguentemente l’insegnamento di chi ha proposto, interrogandosi all’occorrenza. A partire dal manifesto su Ominiteismo e Demopraxia[iv]. Stimolante piattaforma, per fare dell’arte sacra una scoperta epistemica dentro una metaforica caverna platonica. In essa all’Arte si consente di proiettarsi verso l’Ignoto, sviluppando graficamente un ideale Arco Spirituale governato dalla religione. Ambito quest’ultima, che considera la struttura a semicerchio opera di un artista assoluto, secondo un’esplicitata potenza del Sacro in Arte[v].

Capacità estimativa, propria della geometria classica  – attenzione, ho scritto: classica –, base per ridurre la smisuratezza della successione storica alla misura del sacro. Secondo il principio di monismo logico, che riunifica pensiero ed estensione ovvero la riflessione sulla complessità del vivente alla linearità di cifre interpretative della realtà circostante (arte compresa); fino ad equivocare differenziali spazio-temporali nel giudizio sul panorama della varietà, come pure ci è stato rimproverato in arte[vi].

Ci si dimentica, in effetti, che la geometria, nella formulazione classica  – come si è ripetuto, per coniugare l’espressione spirituale della creazione visuale secondo criteri di calcolo potenziale, invocando appunto un parametro geometrico -, ha un preminente interesse teoretico non disgiunto, perciò, da analoga suggestione sentimentale. Ambizione della disciplina è , infatti, conoscere «ciò che sempre è e non ciò che nasce e perisce»[vii], pur non disdegnando la costruzione razionale di possibili determinazioni.

Per riuscirvi, continuando nel ragionamento platonico, la geometria ricorre ad «ipotesi», di cui non sa rendere ragione, in quanto tutto quanto le riesce è di intrecciare coerentemente «conclusioni e proposizioni intermedie»[viii].

Non così, per la verità, la considerazione aristotelica, che, nella Metafisica (XI, 1061 – 29), annette alla capacità esplorativa della geometria il confine tra quantità e continuità. Chiara alternativa oppositiva al giudizio platonico, volto a stimare la geometria consistenza di «alcunché che è per sempre».

Tutto, peraltro, confermato, addirittura nei secoli successivi, per arrivare al Criticismo, che, nella kantiana Ragion Pura (§3), apprezza la geometria come «scienza che determina a priori la proprietà dello spazio, cioè la sua necessità indipendentemente dall’esperienza»[ix]. Così, l’arte può giustificare il potere di cambiare una vita e di produrre verità, che sono al di là del meramente riconoscibile.

In effetti, se le idee danno forza al risultato artistico, la sostanza (= divinità)  – come numinazione del processo creativo –  dà forma ad un’infinità di cose singolari e ad un’unica nozione di eternità, stando alle conclusioni del saggio Può l’arte essere adeguata?, scritto dal filosofo Chris Marcus Davidson dell’università di Villanova.

Con rimando alla stagione attraversata dal «più nobile e più degno di amore tra i grandi filosofi», come definì il grande matematico e logicista Bertrand Russell l’autore[x], tra il 1660 e il 1665, dell’Ethica more geometrico demonstrata et in quinque parti bus distincta ecc. Il lavoro spinoziano si presentò immediatamente quasi certosino catalogo aristotelico dell’«ateo virtuoso». Indicazione quest’ultima di Pierre Bayle (1647-1706) per il filosofo olandese. Al quale si deve una forma tripartita di gradi o livelli di conoscibilità quale autentica guida di un’onesta procedura per contenere l’erratica rappresentazione sensibile in arte sacra entro il canone della strutturazione razionale. Cosicché da tenere assieme pluriverso formale con esigenze tecnico-compositive.

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Invero, il tema e le conclusioni spinoziane non entusiasmano sempre e comunque. All’«ordine geometrico»  – per fondare una coerenza rigorosa, un’implementata integrazione tra realtà, potenza del divino con diretta traducibilità creativa in arte – sembra preferita la formula del «Deus sive Natura»[xi]. Ma l’«ordine geometrico» consente – insisto – di preservare la razionalità del reale secondo categorie deduttive consapevolmente matematiche. Grazie ad una considerazione panteista di Spinoza, che spinge per identificare Dio con la Natura.

È, però, vero che le azioni concludono le intenzioni, principiate da volizioni e/o dimostrate da ambizioni. Talché i risultati pratici dell’attività manifestano espressioni e prospettano simboli capaci di tradursi in operazioni tra il naturale e l’empirico, tra il fine e la cosa. In quello si può rintracciare il sacro e in quest’ultima si pone il religioso, ritenendo il primo strutturazione del polimorfismo emotivo del secondo. Proseguendo, il fine – ovvero il sacro – si converte in aspirazione e la cosa può interpretarsi come testimonianza, devozione. D’altronde, c’è chi[xii] ha provato a svelare i modi per eradicare il divino dal mondo delle cose. Ne è derivata una sorta di prontuario, che prevede, in ordine: a) l’esclusione del razionale dal mondo sensibile, rinunciando, insomma  – battendo il nostro argomentare –  alla contaminazione artistica da parte dell’osservazione critica esterna; b) la negazione del valore delle opere, perciò, svilendo la creatività umano-artistica; c) immolando la divinità, per il tramite anche dello scontro nel dibattito culturale sulle forme dell’arte visiva[xiii].

Limitarsi ad una mera rappresentazione dell’oggetto vale a riproporre in pratica l’oggetto stesso quando la tecnica interviene soprattutto a livello di osservazione della realtà; della sua immaginazione come della sua riconfigurazione e della sua comunicazione. Con le moderne tecnologie si può dar vita, ad esempio, ad una forma coeva di iconolatria, nel senso di rappresentazione combinata tra la figurazione tradizionale e le sue nuove letture[xiv]: una sorta di negoziazione, orientata culturalmente; alimentata dai simboli; funzionalizzata dalla ricerca: riflessione e costruzione; prassi e mente; forma e ragionamento; calcolo e prodotto.

Nel pieno rispetto di quel principio geometrico, valorizzato da Spinoza. Il quale – si è anticipato –  riconosce che ad ogni idea corrisponde, adeguatamente (= necessariamente), una realtà esterna fisica, e viceversa; in modo che l’esito di questa pendolarità risulti «accessibile, per esempio, nell’intuizione applicativa di proprietà matematiche»[xv].

Perché anche la metafisica punta ad una mediazione tra finito ed assoluto, propiziando la perseguita contaminazione dell’idea nella tavolozza; nel progetto; nello spartito; in tutta la varia produzione della creatività artistica così riconosciutasi.

Allora“aprire una porta” è un rito di passaggio, se si vuole interpretare, ad esempio, la rappresentazione pittorica o architettonica, in spazio spirituale, di un uscio, pur solo socchiuso. Analogamente, “salire gradini” è metaforica ascensione al sublime; come “illuminare uno spazio” può essere introiettato come abbraccio di luce. Proseguendo nella rassegna delle traduzioni arte-realtà come poesia della geometria, fa considerare l’“affacciarsi su panorami” una trasfigurazione di sentimenti. Viceversa? Una “porta” esalta la coscienza di una reversibilità; squarci di “panorami” dispongono ad un transfert del mondo circostante, del contesto nell’io. E poi, lo spazio immerso nella “luce” può alludere alla delimitazione di una realtà esistenziale o figurata; salire “gradini” o discenderne è una trasparente dinamica della condizione di espansione o contrazione. Repertorio, insomma, di quel dialogo tra costruzione e fondazione, che Spinoza ci ha suggerito, modulando l’efficace qualità del suo terzo livello di conoscenza in relazionalità integrale ed analisi della realtà anche nella resa artistica. Rappresentazione del mondo fisico e rappresentazione del mondo mentale si dirigono l’una verso l’esterno e l’altra verso l’interno, ma in entrambe le direzioni, la destinazione è all’infinito se il sacro si pone tra il sentimento della finitezza umana e l’esperienza di elevazione trascendente.

Per concludere, con il biblista Gianfranco Ravasi, che: «il vento dello spirito di Dio deve correre tra l’aula sacra e la piazza ove si svolge l’attività umana»[xvi] a significare che la creazione artistica “more geometrico”è «parte costitutivamente imprescindibile della dottrina spinoziana (…) itinerario, lungo il quale si persegue la meta, ma non si tralascia il percorso, perché la cosa essenziale è quella di essere in cammino sulla strada buona (…) Poche cose, infatti, sono più estranee allo spirito dello spinozismo che il manifestare fanatismo»[xvii], «sebbene la forza per la quale ciascuno persiste nell’esistenza deriva dall’eterna necessità della natura di Dio»[xviii]: quel che permette di collegare l’Arte al potere produttivo della Sostanza, secondo il N.

D’altronde, il monito di Spinoza è perentorio nel Tractatus Theologico-Politicus: «Nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere» quando raccomanda la comprensione del fatto contro ogni ripiegamento emotivo. Conferma dell’asserita convergenza tra idea e suo esito, perfino creativo, artistico, grazie proprio ad una costruzione «more geometrico». Un esempio? «Con la cappella di Rochamp, Le Corbusier fa compiere all’arte un’esperienza non dissimile da precedenti interventi scultorei, proprio calibrando un’integrazione totale dello spazio alla plastica della forma. E questo nel segno di una drammatica densità espressiva, che si appiglia alla sua utopistica fiducia nella razionalità naturale della società»[xix].

Per ribadire che un tormento, non soltanto uno ed unico, si può infliggere alla materia, artisticamente trattandola, a meno che non ci si immedesimi con essa, saggiandone la versatilità ed orientandola ad un esito personale, tramite studiate tecniche e perseguite elaborazioni, nel solco di una costruzione geometricamente ancorata e razionalmente motivata, giusto il combinato disposto spinoziano.

Operazione, destinata, nella sua complessità, a far prendere all’artista piena coscienza «dell’assolutezza e dell’immunità dell’essere come dell’alienazione, perché a riscattarsi da quest’ultima provvede proprio la presa di coscienza di passività ed inerzia, entrambe estranee all’arte come combinazione semiotica di grafismi convenzionali eppure variati in un flusso costante di incroci tra mente e sentimento; tra osservazione e proposizione»[xx]. Perché, secondo Spinoza, è un’idea cosiddetta adeguata, che procede dall’essenzialità sostanziale divina (il numinoso della versione antropologica) alla radice fruttifera delle cose (il sublime strutturato).

[i] TuttoLibri, pag. XV, sta in: LA STAMPA, sabato 14 gennaio 2023.
[ii] Georges BATAILLE, Teoria della Religione tr. It., Milano, SE 1973, pag. 35.
[iii] Tullio DE MAURO, In principio c’era la parola?, Bologna, il Mulino 2009, pag. 57.
[iv] cfr.: Michelangelo PISTOLETTO, La porta dello specchio, Milano, ARS AEVI 2001.
[v] Come scritto dal compianto poeta Libero de LIBERO: «Penso ad un’arte sacra quando essa provoca sia nell’artista  che nello spettatore un attimo di felicità. Felicità libera e araldica, direbbe Goethe. Favilla perpetua d’un ricominciamento»,  chiosò l’intellettuale fondano nel 1975, recensendo un’importante rassegna di settore in Abruzzo.
[vi] cfr.: Rossana BOSSAGLIA, Arti figurative, sta in: La cultura italiana del Novecento (Corrado STAJANO, a cura di -), Roma-Bari, Laterza 1996, pag. 121: «Paradossalmente, più è messo in discussione l’avvenire dell’arte e la sua stessa legittimazione teorica più siamo disposti a riconoscere valori artistici nelle opere del passato, l’emozione artistica facendosi tutt’uno con l’emozione storica. Del resto, arte e storia non sono poi categorie così dissimili: si tratta sempre di dar forma all’informe esistenziale».
[vii] PLATONE, La Repubblica, VII, 527b.
[viii] Ibidem, 533c.
[ix] cit.da: Nicola ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, Torino, Utet 1971, pp. 429-431.
[x]  Baruch SPINOZA (Amsterdam 1632 – L’Aja 1677).
[xi] «L’idea d’immanenza (il rifiuto di un Dio trascendente creatore), l’idea di una natura autocreatrice, l’idea di porre la creatività nella natura, nel mondo vivente e, beninteso, nel mondo umano, ecco dove è la straordinaria modernità e fecondità di Spinoza» cit. da. Edgard MORIN, I miei filosofi, Firenze, Erickson 2011, pag. 65.
[xii] Georges BATAILLE, Teoria della Religione cit., pag. 83.
[xiii] «Nonostante l’interesse novecentesco per il sacro, esteso fino ai giorni nostri alle diverse avanguardie culturali, ciò avviene contro la corrente di una mentalità dominante improntata al razionalismo riduttivo, al pragmatismo superficiale e al legalismo, un’interiorità soffocata dal materialismo ideologico e di mercato. È in una modalità di resistenza che la creatività plasma la dimensione trascendente della vita» cit. da: Joāo Norton de MATOS, Il sacro nell’architettura e nella società secolare, Macerata, Quodlibet 2022, pag.23.
[xiv] «L’arte non si preoccupa più del ”ritorno al reale”, per lo meno non così direttamente come le attività della perfezione tecnica. Se ne preoccupa però fondamentalmente in quanto tenta di creare la gioia e la convinzione profonda di una realtà futuribile e che occorre costruire. È un “inizio in sé”», cit.: Claude CADOZ, Le Realtà Virtuali, Milano, il Saggiatore 1994, pag. 104.
[xv] Fulvio DE LUISE, Giuseppe FARINETTI, Lezioni storico-filosofiche, Bologna, Zanichelli 2010, pag. 111.
[xvi] cfr.: Maria ARGENTI, Sacro contemporaneo, Milano, F, Angeli 2022 [n° 166], pag. 87.
[xvii]Remo CANTONI, L’”Ethica” di Spinoza, Torino, UTET 1997, pag. 74.
[xviii] Baruch SPINOZA, Eth. cit., II Prop. 45 Sc.
[xix] Giulio Carlo ARGAN, il funzionalismo, Firenze, Sansoni 1980, pag. 490
[xx] Franck LLOYD WRIGHT, Io e l’Architettura, Verona, Stamperia 1979, pag. 37.