Ronca a me sembra che non neghi il grande lavoro concettuale di Pistoletto, ma lo aggiorna e lo adegua nell’arte alle nuove teorie; proprio come ha fatto nel suo libro Deleuze con la filosofia di von Leibnitz

di Giuseppe Siano

Lello Ronca utilizza una materia che è costituita da plastiche assemblate a alluminio riflettente per comporre le sue opere concettuali.

Con questo materiale specchiante egli ha superato “aggiornando” alcune questioni estetiche poste dalla ricezione fisica e dalla elaborazione psichica che erano state affrontate con la tematica del doppio in filosofia, in psicoanalisi e in letteratura, e che nell’arte figurativa concettuale d’avanguardia furono indagate in Italia da Michelangelo Pistoletto a partire dagli anni ’60 del secolo scorso.

L’opera del giovane Pistoletto ha manifestato un gioco concettuale che è determinato dall’azione di tre elementi: l’artista, l’opera e l’inclusione in essa dello spettatore con il suo attraversamento/rispecchiamento.

Tutti e tre gli elementi costituiscono un complesso sistema di relazioni percettive e visive che permettono una serie di citazioni estetico-filosofiche e linguistiche riguardanti la vita e il suo significato.

La riflessione dello spettatore nell’acciaio inox tirato a lucido come uno “specchio” ha come testimone spesso una sagoma dipinta da Pistoletto che successivamente diventò proiezione ricostruita da una fotografia pitturata a grandezza naturale. All’inizio la sagoma era non identificabile in quanto l’artista ne cancellava la fisiognomica. Vi era però una distanza tra la fissità e l’anonimato delle sagome dipinte e gli osservatori-fruitori che venivano riflessi dall’opera, come se fosse una estensione visiva o proiezione dell’opera stessa.

Ricordo qui che lo specchio produce anche il fenomeno dell’enantiomorfismo (“uguaglianza inversa di due enti, che possono essere forme geometriche, strutture cristallografiche, ecc., e che si concreta nella simmetria”).

Nello specchio, pertanto, si constata che la riflessione dell’immagine sia rovesciata anche se fedele.

Pistoletto attribuì una comune funzione allo “specchio” e al quadro. Egli stabilì che c’era una equivalenza tra la riflessione della realtà nello specchio e l’interpretazione prodotta dall’osservatore-fruitore di un quadro. Secondo l’artista i due elementi formavano un unicum; credo sicuramente risalente all’azione di riconoscimento che si produce nella mente quando la percezione è collegata a un modello o a un processo di cognizione.

Il riconoscimento appartiene all’arte specie quando un teorico riconosce elementi nuovi nella formazione di un’opera; mentre in generale si può considerarlo come un’attività della mente utile a collegare le differenti funzioni di percezione fisica, di organizzazione logica, di struttura psicologica, di formazione psichica o elementi della memoria che sono come evocati in un ambiente relazionale.

Non assume rilevanza, quindi, se la riflessione sia una immagine rovesciata nello specchio (a meno che non diventi funzione significante o cifra linguistica nuova), perché l’azione di connessione logica prodotta dalla mente razionale e l’interpretazione percettiva dell’opera hanno la stessa origine nel riconoscimento.

L’operazione concettuale di Pistoletto, infatti, si può considerare una riflessione sulla funzione del riconoscimento[i] nell’arte.

Lo specchio e il quadro del resto sono oggetti che sono appesi alle pareti delle abitazioni e palesano anche le due posizioni estetiche e filosofiche principali: l’interrogarsi sulla realtà, o sulla cosa in sé che è collegata spesso nell’arte al bello, al bene e al vero; o l’inseguire il divenire delle rappresentazioni,  ̶  qui (il divenire) inteso specie come un’evoluzione incessante e dinamica che ha per alcuni un’interrotta (e per altri un’irriducibile) relazione dialettica coi fatti e con le loro interpretazioni nella Storia.

Inevitabilmente, in questo secondo caso, per mezzo della influenza dinamica (o dialettica) degli eventi, si è indotti a riflettere sul trascorrere del tempo che continuamente porta a considerare il mutevole stato delle cose e del sentire e, contestualmente, attiva un riconoscimento che si palesa con le “contraddizioni” delle forme nel loro divenire storico e sociale.

I differenti modelli cognitivi del percepire, dell’osservare e del raccontare gli accidenti ci inducono ancora oggi a considerare sia lo stato come verità del soggetto o dell’oggetto rappresentato e sia la continua trasformazione a cui è sottoposto un segno semiotico (o un significante e significato linguistico).

Le differenti disposizioni dell’ordine di questi modelli segnano il passaggio tra le varie organizzazioni della vita e della sua interpretazione. Da qui un moltiplicarsi di modelli interpretativi nel racconto storico delle opere d’arte e del mito[ii] degli artisti occidentali.

La visione duale di un mondo dell’alternanza interconnesso fu fatta risalire dal filologo e filosofo Friedrich Nietzsche ne La nascita della tragedia all’apollineo (divinità della forma, o delle arti visive) e al dionisiaco (divinità della perdita della forma attraverso l’ebbrezza o la musica delle origini, quando non ancora era fondata da intervalli ritmici come nei “martelli” di Pitagora). Egli descrive che queste condizioni dell’uomo appartengono al mistero antico di una divinità bifronte: Apollo-Dioniso. Proprio nell’alternanza di questo processo del sentire, a volte con l’apollineo e a volte col dionisiaco, è sorta nell’uomo quella visione tragica ereditata dalla Grecia.

Il tema del doppio[iii] è comunque sempre presente nelle opere di Pistoletto. Anche se, a dire il vero, nelle opere dell’artista la corrispondenza e la riflessione oscillano ancora tra il riconoscimento di una materia statica (che è diventata massa percepibile e che afferisce alla sfera della realtà e) che è dipinta come “quadro”, e di un’energia sempre dinamica che in questo caso è costituita dagli osservatori-fruitori che si avvicendano nel mentre si riflettono nella parte specchiante (rientrando nella rappresentazione mutevole dell’opera e della propria vita, in quanto suscita in quelli un sentire e un partecipare fugace alla storia, per essere stato per un attimo parte integrante dell’opera).

L’azione concettuale anche in questa occasione è ancora sottoposta alla riflessione del pensiero secondo una visione dualistica dello spazio e del tempo separati, pur confluendo nell’attimo, in un riconoscimento dovuto ad un’azione e a una visione di compartecipazione di sé nell’opera provocata proprio dalla materia specchiante.

In effetti questi elementi erano sempre stati fino ad allora indice di una riflessione filosofica afferente ai due differenti principali racconti teorici, con cui si analizzavano i modi di percepire e raccontare la vita: il razionale logico e il sensoriale dinamico.

Da una parte si cercava anche nell’arte la visione di un’immagine che indicasse la verità ultima della vita attraverso il bello, il vero e il buono, e dall’altra una funzione che evidenziasse le contraddizioni che hanno mosso in avanti la storia dell’umanità in un determinato periodo, a cui si aggiunse il racconto emerso nel 1934 con l’introduzione anche dell’esperienza vissuta dall’artista connessa a quella dell’osservatore-fruitore in un ambiente relazionale in evoluzione[iv] o con le relazioni divulgate a inizio del secolo scorso attraverso i segni[v] o i significanti/significati[vi] attribuiti agli oggetti o ai soggetti rappresentati.

L’opera di Pistoletto di quegli anni a me è sembrata essere una puntuale riflessione sull’arte, sul sentire e sulla realtà che inevitabilmente includono anche le considerazioni sullo scorrere della vita con le sue rappresentazioni.

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Questo insieme di materia e di forma nell’opera (concettuale) mediato dal riconoscimento di un pensiero che si forma come una immagine riflessa è diventato emblema del nuovo specchio della realtà.

L’opera nel suo insieme si aggiusta o si aggiorna continuamente, e con essa si modifica anche il significato strutturale nel tempo, che potrebbe mutare ad esempio per mezzo di nuove esperienze narrate dagli osservatori-fruitori o da dove viene collocata l’opera dalla natura specchiante.

Il tempo si palesa così come un intervento con cui si aggiornano le relazioni attraverso i segni e i codici, o quando un osservatore-fruitore attribuisce per mezzo della propria esperienza a un significante un altro significato linguistico; specie se si ha come riferimento un’insolita esperienza o degli altri contenuti latenti presenti nel proprio vissuto psichico.

Del resto qualsiasi racconto sugli specchi da quella operazione concettuale di Pistoletto ha dovuto incontrare almeno le radici psicoanalitiche, o psicologiche, o filosofiche, o linguistiche o semiotiche insieme a quell’esperienza della natura fisica che con le altre concorre a definire la ricezione estetica; in aggiunta, c’è anche un probabile riferimento all’analisi dei modelli relazionali e delle tipologie cognitive che possono emergere oggi nella mente quando si mettono in relazione un io e un tu che contestualmente osservavano e sono osservati durante una misurazione consonante e relativa nel mentre, a un tratto, occupano la nostra riflessione nel mentre si colgono delle verità contestuali durante lo scorrere della vita attraverso un’opera d’arte.

L’opera di Pistoletto, perciò, trova le sue ragioni teoriche fondamentali nei riferimenti sia ai modelli di percezione, sia all’attività psichica e sia alla riflessione logica che emergono da un osservatore-fruitore e a ciò che definiremmo il significato dello specchio che assurge a struttura (o organizzazione) cognitiva.

Dato certo è che qualsiasi struttura cognitiva nelle opere di Pistoletto si manifesta attraverso il coinvolgimento dell’osservatore-spettatore[vii].

Del resto durante l’emergere di un sentire nel ‘900 colui che produce il racconto di un riconoscimento segue già dei nessi quali elementi fondanti il proprio racconto di rispecchiamento.

Secondo Roland Barthes, del resto, il discorso[viii] ha come struttura sia una tipologia di realtà logico-razionale, sia nuove alcune dinamiche psichiche, o altre concettuali, o rappresentative con riferimenti anche al momentaneo affiorare nella mente di proprie esperienze con il déjà vu.

Il riconoscimento artistico è un procedimento che permette di seguire non solo l’azione tecnica, che nel modellare la materia ha prodotto il manufatto artistico, ma consente anche di risalire alle relazioni logiche che ha considerato l’artista nella sua costruzione dell’opera (teoria della formatività[ix] dell’opera d’arte).

Uno studioso di teorie, poi, cerca anche il riscontro oltre che nella ricostruita conoscenza emersa dalle relazioni “fisiche”, “naturali”, psichiche concettuali ed esperienziali che dall’artista si trasferisce e si confronta con un’epoca, anche nei residui di emozioni o sentimenti o descrizioni che giungono e coinvolgono un lettore o un fruitore-osservatore di un periodo o un’epoca successiva.

La visione scientifica ha indotto dal Seicento a indagare in modo duale il mondo fisico: da una parte la materia solida, dall’altra l’energia che la muove.

Per l’osservazione scientifica fino a poco fa c’erano due modelli con cui osservare i fenomeni che implicavano lo studio di due metodi di analisi: uno afferente al calcolo dell’oggetto nello spazio, disgiunto dall’altro che segue il movimento energetico dello stesso oggetto che si sposta (e modifica il suo stato) nel tempo.

Questa duplice visione nell’analisi dei fenomeni porta spesso a considerare la percezione della materia e del movimento secondo modelli di “realtà” diversi.

Il procedimento, però, fu messo in discussione già nell’Ottocento dal matematico Lewis Carroll. Esso è presente anche nel suo famoso libro per ragazzi Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò (1871).

Egli costruì il mondo degli specchi con una logica tutta fondata sui paradossi dell’analisi scientifica. (Una stessa anticipazione logico-cognitiva la si ebbe grazie a un altro pastore britannico appassionato anch’egli di matematica Edwin Abbott Abbott, che pubblicò nel 1884 un altro libro fantastico che solo dopo la pubblicazione della teoria della relatività di Albert Einstein ebbe successo, Flatlandia – Racconto fantastico a più dimensioni).

Pistoletto mise in evidenza nella riflessione artistica dei suoi specchi come la logica razionale e quella sensoriale del divenire avessero dei limiti concettuali di convivenza, ma stava all’osservatore-fruitore dell’opera scegliere il proprio percorso interpretativo.

Egli trovò inadeguata anche la mediazione di molti critici d’arte fossilizzati su una visione poco aggiornata di ciò che era diventata la riflessione artistica connessa a quella logica.

Eppure su quei modelli del passato si era costruita la civiltà occidentale, Pistoletto avvertì che qualcosa stava cambiando.

Non importa che non si avvalse di rappresentare le nuove corrispondenze vicine alle più recenti logiche che stavano introducendo quei grandi cambiamenti anche in filosofia e nel modo di “rappresentare” e d’ “interpretare” la realtà in modo dinamico.

Il suo intento di allora fu quello di evidenziare come le due posizioni (del razionale logico e del sensoriale dinamico) non si potevano separare nel racconto di un’esperienza artistica.

Uno dei testi che permise una riflessione su quanto stava accadendo fu pubblicato più di due decenni dopo l’inizio della produzione delle opere di Pistoletto.

Gilles Deleuze, uno dei più grandi studiosi di estetica filosofica del ‘900, nel suo libro La piega. Leibnitz e il Barocco (1988) lasciò presagire con maggior forza quanto la scienza coeva stava modificando la percezione, la ricezione e la cognizione estetica e con esso il linguaggio e il riconoscimento delle opere d’arte.

In questo libro sul Barocco è narrato come una nuova visione del cosmo si sia formata seguendo la costruzione di pieghe che si flettono e si ri-flettono in un continuum.

Deleuze lasciò intendere che nel Barocco la figura come idea riflessa di un pensiero non si trovò più ad occupare il centro dell’opera pur avendo una corte di elementi.

Neanche l’essere universale, e ancor meno l’individuale, poteva essere collocato al centro di un processo di verità; questo, però, poteva essere riconosciuto da tutti gli umani seguendo i movimenti presenti in una scena di vita rappresentata.

Nel Barocco la riflessione (che dà il riconoscimento) fu coinvolta in questa visione duale del mondo e i cui limiti linguistici percettivi logici e concettuali in arte sono stati magistralmente raccontati nel ‘900 dalle opere di Pistoletto; e di cui noi possiamo ancora oggi fare esperienza.

Senz’altro per questo poi Pistoletto tentò di uscire, da una dinamica che induceva a osservare le sue opere come in un continuo “ossessivo” reset-start [chiusura- partenza], col rompere lo specchio.

Deleuze analizza come la messa in scena permette di percepire la perdita inessenziale della centralità del soggetto-artista perché nel contempo è evidenziato anche l’importanza della “sua” filosofia e delle relazioni presenti nelle ricerche scientifiche di Gottfried Wilhelm von Leibnitz.

Sono queste teorie che, pur provenendo da un ordine matematico, trovavano corrispondenze e realizzazione specie nell’architettura e nella scultura precaria proposta dalle forme barocche.

Un giudizio sul mondo decentrato costruito col Barocco era stato percepito già come innovazione da Heinrich Wölfflin, il quale è stato unanimemente considerato lo “scopritore” del Barocco come categoria storiografica; oltre ad aver egli cercato di lasciarci una classificazione dei principî pittorici che influenzarono lo sviluppo dell’analisi formale nella storia dell’arte del XX secolo.

Come il Barocco porta con sé l’esperienza di una scienza nuova, e una rinnovata visione del rapporto uomo-mondo, così le scoperte scientifiche del XX secolo introducono un nuovo modo di organizzare le relazioni tra le cose e permettono di risalire al significato della vita non solo attraverso una nuova forma di riconoscimento linguistico e logico ma anche percettivo, soprattutto seguendo l’analisi di modelli che procedono per mezzo di nuove relazioni dinamiche.

Le posizioni concettuali di Pistoletto nonostante chiariscano perfettamente il gioco di rimandi che si manifestarono con l’attraversamento del rispecchiamento nell’arte non si poterono applicare a una nuova percezione e cognizione del tempo che stava affermandosi con la evoluzione della fisica del XX secolo.

Ciò è accaduto fino a quando il materiale specchiante non è stato di recente utilizzato come “struttura irregolare” rifrangente da un altro artista, Lello Ronca.

Pistoletto aveva sollevato delle questioni estetiche rilevanti a partire dal 1962, e che poi sono proseguite con la ricerca artistica di trovare dei chiasmi tra la realtà, l’immagine artistica e l’immagine riflessa, specie nei punti dove queste visioni apparentemente distanti si integrano, s’incrociano e passano da uno stato all’altro. (Mi riferisco qui anche alla ricerca successiva di Pistoletto del Terzo Paradiso, il cui simbolo se ben ricordo già era presente nei mosaici italici a calpestio di alcune cattedrali dell’Alto Medioevo con un cerchio grande centrale connesso a due laterali più piccoli).

https://zralt.angelus-novus.it/zralt-n5-estate-2014/lanticatastrofico-terzo-paradiso-di-michelangelo-pistoletto/

Lello Ronca interviene nel dibattito visivo e percettivo tra realtà e immaginazione utilizzando nelle sue opere alcuni apparenti temi barocchi quali sono le pieghe, che assumono un altro significato nella ricerca scientifica contemporanea.

Deleuze, infatti, ricorre alle pieghe per collegare le innovazioni presenti nell’arte del Barocco alle teorie che sono confluite nella sua visione estetica contemporanea.

Ronca sembra che giudichi come inessenziale la relazione tra immagine e realtà anche se, come von Leibnitz in filosofia, costruisce il senso dell’opera “percettivo-concettuale” attraverso l’assunzione di monadi (unità indivisibili dello spazio e dell’energia psichica, che hanno radice nella fisica e che si pongono in modo equidistante tra creazione e intuizione dell’io); però, a differenza del filosofo tedesco, queste organizzazioni monadiche si piegano e si modificano continuamente durante lo scorrere della vita, proprio come ha descritto il filosofo francese Deleuze.

Queste entità autonome impercettibili, in verità, possiamo dire che sono chiamate oggi in vario modo (mattoni biologici, stringhe, bit, etc.), e costituiscono l’universo mobile della nuova scienza contemporanea. Esse (entità autonome) fanno parte di un nuovo universo che è emerso dalla cosiddetta “materia informe” e che era stato ereditato dalla filosofia platonica, la quale considerava la materia prima come una sorta di energetica oscura, per poi assumere massa; e solo allora diventava forma percettibile dai sensi umani.

Sembra che questa duplicità della materia sia a fondamento proprio di quel mondo illusorio creato da ombre e da noi credute nella caverna dei sensi come “vere”[x].

Ogni individuo organizza perciò una propria relazione in questo nuovo universo dalle considerazioni e dai fondamenti che dal moderno abbiamo appellato “monadici”; e che nel contemporaneo per Deleuze il termine va interpretato come un universo fatto di pieghe, con flessioni e riflessioni.

Da questa predisposizione alle pieghe nasce un nuovo modello con cui analizzare le opere, e che genera anche quel coevo riconoscimento utile a interpretare l’arte contemporanea.

Qualsiasi pensiero, sia esso logico-razionale o dialettico-sensoriale, trova sempre dei propri limiti logici nei paradossi e nelle illusioni, oltre che nella presenza sempre viva di quel fluire inafferrabile delle rappresentazioni dinamiche.

Non a caso le rappresentazioni nel corso del tempo inducono a sintesi successive, e spesso propongono una continua revisione della Storia dei fatti, delle percezioni e in generale del pensare e ri-pensare l’arte[xi].

Deleuze apre le monadi al nuovo cosmo che si è palesato a noi con la scienza contemporanea.

Per mezzo delle pieghe egli è andato oltre quella chiusura delle monadi che si era affermata anche con l’illusione Barocca, e che con lui viene riproposta l’altra interpretazione più consona al XX secolo della filosofia di von Leibnitz.

Vi è qualcosa oggi che induce ad andare oltre l’immaginazione e la fantasia barocca. Già con Deleuze veniva descritta come un’esperienza altra; come se un’illusione fosse diventata una realtà emozionale percepita come reale attraverso la simulazione.

Ronca a me sembra che non neghi il grande lavoro concettuale di Pistoletto, ma lo aggiorna e lo adegua nell’arte alle nuove teorie; proprio come ha fatto nel suo libro Deleuze con la filosofia di von Leibnitz.

Tra l’altro oggi appaiono più stemperati quei confini tra corpo fisico di un soggetto qui presente che produce un’opera, e l’analisi che determina un critico quando quell’azione viene osservata come un insieme di un oggetto di studio.

I metodi di riconoscimento di un soggetto e di un oggetto di studio potevano emergere e oscillare oltre cinquant’anni fa tra realtà e rappresentazione, e dove l’illusione e la fantasia già inducevano a produrre nel campo dell’estetica e dell’arte nuovi nessi relazionali e nuove esperienze.

È più semplice oggi dire che tutto il nostro universo coevo è considerato costituito da misurazioni spazio-temporali interconnesse.

O affermare che vi è un continuum inscindibile in un evento scientifico.

Quando decidiamo di osservare e analizzare il continuum però oggi lo percepiamo e ne facciamo esperienza e calcolo solo per un tratto; per questo motivo parliamo di fisica dell’emergenza, (senza dimenticare che vi è oggi anche una “politica dell’emergenza).

La relatività dell’analisi è fondata sia sul tipo di attenzione prestata, e sia sui modelli scelti per l’analisi in un determinato momento di relazione spazio-temporale.

L’osservatore è coinvolto non solo dagli strumenti adottati per la sua osservazione ma anche dai modelli che in quel momento emergono e segnano la sua analisi.

Nell’osservare un segmento dello spazio-tempo, poi, ognuno può scegliere come fare affiorare la soglia emergente dagli eventi se attraverso lo spazio o il tempo.

Comunque ogni interpretazione della visione o dell’evento oggi non può prescindere dal luogo (fisico-sensoriale-logico-cognitivo) da cui si percepisce un fatto o un’azione, e che fa muovere la narrazione del proprio osservare.

Il racconto rimane sempre legato a una interconnessione formatasi in uno spazio-tempo relativo, che coinvolge un ambiente organizzato secondo delle strutture, e questo grazie anche alle teorie di Albert Einstein riproposte nelle varie altre discipline, tra cui la nuova ricezione artistica attraverso il sentire estetico.

In questo modello, con cui si organizza un rilevamento scientifico o “concettuale”, è  ̶  ricordiamo sempre  ̶  coinvolto non solo l’artista ma anche l’osservatore-fruitore di un’opera d’arte.

Questa scelta innovativa nell’arte era stata evidenziata già nei manifesti dei tre movimenti delle Avanguardie storiche del primo Novecento che ruppero con i modelli interpretativi e organizzativi delle opere d’arte del passato.

Non importa neanche se l’organismo oggi appare e viene descritto più come un sistema complesso[xii] che aggrega o collaziona in modelli biologici le cognizioni, le esperienze, le azioni e i modelli interpretativi disparati e arbitrari; in quanto sono relativi a uno sviluppo in un contesto ambientale e relazionale che ha origine da microrganismi fino ai macrofenomeni antropologici degli insediamenti umani.

A partire dai microrganismi è lasciata ad ogni individuo la scelta dell’organizzazione estemporanea delle relazioni tra sé e l’ambiente in cui esso vive. Le decisioni delle relazioni prima o poi si palesano come un probabile sistema di analisi adatto a sopravvivere in un ambiente di viventi.

Credo che questo sia un motivo, a mio giudizio, per cui la piega quale simbolo del Barocco per Deleuze supera l’attività chiusa della monade di von Leibnitz e possa trovare una specifica apertura e “giustificazione” nelle connessioni di quegli anni, specie attraverso il principio di falsificabilità[xiii].

Ci ritroviamo a sperimentare dei nuovi calcoli matematici, geometrici, astronomici, della fisica e delle scienze contemporanee in genere, compreso ovviamente il linguaggio, con riferimento sia ai segni, sia al simbolico, e sai nessi antropologici antichi che sono mediati dalla lingua adottata.

Ciò che emerge non è più un riferimento alla logica ma alle logiche, come molteplici strutture dell’organizzare il pensiero attraverso modelli di pensare e “del sentire”. Questi modelli logico-matematici si trovano poi a interagire con le dinamiche percettive in una continuità senza precedenti e sono applicati in ambienti relazionali più diversi con risultati che inducono a calcolare indirizzi probabili nelle scienze come nelle arti.

Le cognizioni si ritiene che si manifestino come emergenze nel cervello e producono riconoscimento attraverso le probabili analisi afferenti sia alla sfera percettiva, sia a quella affettiva-psichica, sia a quella logico-razionale e sia a quella semiotico-linguistica.

Da questo insieme di elementi nasce anche nell’artistico il racconto delle esperienze umane mediate dagli ambienti relazionali in cui l’uomo del nostro tempo è coinvolto.

La convinzione che il pensiero logico razionale e il percepire logico sensoriale insieme producono una nuova visione della realtà delle cose e della vita, era già noto nella storia.

Questi collegamenti avevano influenzato nel passato le strutture artistiche, e si erano affermati con la meraviglia nel Barocco; dove le forme plastiche e le linee curve si sostituirono alla centrale monumentalità creativa e prospettica del Quattrocento che con alcune sostanziali varianti prospettiche laterali erano passate poi nel Cinquecento.

La scienza che si stava affermando nel periodo Barocco diede il suo contributo permettendo di associare a questo movimento una nuova immagine dell’universo con le ellissi e le spirali e la costruzione policentrica dei fuochi. Temi che furono inclusi nelle nuove architetture barocche.

Queste idee si affermarono anche con una nuova divisione dello spazio curvando le fabbriche e costruendo una nuova scenografia più adatta all’appariscente teatralità della vita.

La vita pubblica allontanò l’uomo barocco dalla ricerca di un senso profondo dell’esistenza.

Tutte le costruzioni architettoniche, fisiche e mentali, dovevano essere percepite come una continua scoperta di meraviglie insolite.

Le fabbriche assunsero un aspetto imponente e maestoso dove il movimento, che si manifestava come appariscente variazione, era ottenuto dai giochi di luce per mezzo della scultura, della pittura e dello stucco. L’ellisse e la spirale permisero a scale di ascendere verso la sommità del cielo o del palazzo.

Meraviglia e teatralità furono i cardini di queste composizioni e rappresentazioni dello spazio dove partecipava anche un gioco suggestivo di luci ed ombre.

Con la visione della teatralità si assistette a quella sparizione del reale attraverso i volumi e le curve che s’intersecavano. Sebbene le fabbriche fossero edificate con una evanescente e formale contrapposizione duale di materia e di fantasia ebbero la funzione di destare (o provocare) sempre meraviglia nello spettatore.

La mente da allora iniziò a cercare di alienare quella visione razionale che vedeva la vita come un passaggio.

Le illusioni presto dominarono sulle fantasie e sulla logica razionale degli uomini, lasciando a piccoli cenacoli il culto della morte e della fine della vita.

La vita del resto si attraversa come in un sogno[xiv], per rientrare poi nella vanità dei fatti e delle cose che solo la morte avrebbe improvvisamente spento.

Non si propose più una visione centrale e unitaria, ma due fuochi, determinati anche dall’allegoria di un io e di un tu che nel movimento di uno dei due verso l’altro, gli eventi e il coinvolgimento emotivo  si avvicinavano o si allontanava per attrazione o per repulsione.

La nuova percezione della meraviglia fu costruita con le tangenti e le ellissi, o con nuove immagini astronomiche mediate dal nuovo strumento, il cannocchiale.

La distanza dal sole permetterà di costruire una nuova immagine dei movimenti dei pianeti celesti. La Terra troverà finalmente il suo afelio e perielio, cioè momento di vicinanza o lontananza dal sole; e di cui si fa ancora esperienza nella stanza ovale di Gian Lorenzo Bernini a Palazzo Barberini a Roma, Si potrà anche ascendere attraverso la meravigliosa scala dell’ala ovest elicoidale presente nello stesso palazzo costruita da Francesco Borromini che fa da contraltare all’altra scala dell’ala est costruita da Bernini a base quadrata[xv]. I racconti e i romanzi prendono un significato aggiuntivo da queste teorie.

Anche i piani specchianti di Lello Ronca rompono con qualsiasi architettura lineare. Essi sono costruiti utilizzando come unico attrezzo il fuoco con cui egli manipola le superfici rendendole irregolari.

L’artista ottiene così delle strutture concave e convesse anomale, non convenzionali, con cui egli stravolge la percezione dell’immagine di sé quando l’osservatore-fruitore tenta di specchiarsi in quelle strutture.

I suoi piani irregolari anche nei confini mi sembrano che assomiglino più a dei piani energetico-gravitazionali, che al posto di essere adagiati a terra puntano l’osservatore dalle pareti come delle concettuali “opere d’arte specchianti”.

Queste produzioni non permettono più agli osservatori-fruitori di rispecchiarsi nell’attraversamento, proprio a causa del piano irregolare; l’immagine di sé stesso ormai lascia solo disseminazioni e tracce di colore dell’esteriorità tra gli avvallamenti e le protuberanze.

Seppure vi siano tracce d’identità riconoscibili sul materiale manipolato da Lello Ronca le immagini speculari non sono ricostruibili, anche perché ciò che attrae di più sono le proiezioni delle disseminazioni e dei riflessi delle modificazioni che rimanda di noi l’opera.

L’oggetto e la figura si piegano e appaiono come rispecchiamento di folate tra luce e colore che si distribuiscono nell’irregolarità del piano fino a un riconoscimento di una improbabile immagine o diffusa o disseminata o distorta di sé.

Qualsiasi soggetto che attraversa gli specchi di Lello può fare esperienza di un proprio improbabile rispecchiamento reale.

Anzi come in Alice attraverso lo specchio, in questo mondo speculare domina un rigoroso e logico nonsense. Esso emerge con l’assunzione di una delle logiche razionali (o meglio “irrazionali”) che acquisisce un senso individuale ed esclusivo nel racconto dell’esperienza.

Tra logiche, paradossi, percezioni distorte e interpretazioni relative sono stati enunciati i principi della nuova scienza contemporanea; come se appartenesse essa stessa alle filastrocche raccontate dai personaggi che incontra Alice in “Attraverso lo specchio”.

Consisterebbe in questo il “riconoscimento” artistico attuale? Tutto è simulazione?

In barba ai grandi teorici di fine secolo e delle grandi mostre e fiere d’arte contemporanee dobbiamo ricercare gli artisti della simulazione quale espressione autentica e significativa degli ultimi cinquant’anni d’arte?

Il confine e la connessione tra mondo logico, mondo fantastico mondo illusorio e mondo sensoriale si è stemperato al punto che ora ci si specchia in modo indeterminato e attraverso una propria logica formale nella nuova realtà coeva che fa emergere il concettuale nell’arte come un’esperienza comunicativa autoreferente.

Eppure qualsiasi esperienza o qualsiasi linguaggio ha sempre delle relazioni con l’ambiente storico sociale e intellettuale con la scelta di modelli da parte di un artista.

L’osservatore-fruitore nelle opere di Ronca non deve più cercare la sua immagine riflessa.

Egli deve aspettare che si manifesti un proprio modo per attraversare questo volatile e relativo spazio-tempo coevo; nel quale è contestuale il luogo e il momento percettivo e cognitivo di una “propria” emergenza logica che si può avvalere di modelli sensoriali, psichici, come di quelli matematici, fisici, geometrici relativi a una misurazione qui ed ora di un evento spazio-temporale.

La percezione emerge, richiamata in modo estemporaneo, come se la sua funzione fosse di legare, o trovare collegamenti, “dando forma” ad alcuni frammenti che emergono dalla realtà, dalla fantasia e dall’illusione col sentire del momento, o meglio di quel momento. Tutto diviene calcolabile tra un déjà vu e un nuovo modello di misurazione dello spazio-tempo interconnesso.

Le opere di Ronca hanno una forte somiglianza con quelle organizzate coi materiali in acciaio e alluminio di Helidon Xhixha (entrambi gli artisti hanno iniziato a produrre questo tipo di opere d’arte specchianti quasi nello stesso periodo); ma le produzioni di quest’ultimo hanno radice nella scultura “imponente” perché hanno ancora “solidità” dell’acciaio o dell’alluminio lavorati.

Xhixha  utilizza elementi che hanno una struttura rigida che va “battuta”; preferisce una “materia” del passato che poco ha a che vedere con la leggerezza del “messaggio” concettuale dei movimenti artistici del ’900.

I suoi sono materiali non ancora del tutto duttili e facilmente plasmabili dalla levità del pensiero, come auspicato da Umberto Boccioni nella scultura.

Non c’è la citazione della materia informe che non è ancora diventata una massa illusoria riconoscibile dai sensi (Platone), ma che avrebbe permesso con la leggerezza di attraversare un luogo dal rispecchiamento informale.

Con i materiali di Xhixha non si possono raccontare i sogni impalpabili e fugaci che permangono in un osservatore-fruitore durante l’attraversamento di uno spazio-tempo nel mentre si produce un effimero coinvolgimento in un evento di ri-flessione di sé, vissuto tra il logico, il fantastico, l’illusorio o il simulato.

La materia è ancora solida, alquante pesante e poco duttile. In effetti non ha ancora assunto quella “leggerezza” delle sculture in movimento delle Avanguardie storiche del primo Novecento.

Ciò che si chiede oggi anche all’arte è di inserirsi con l’opera in un riconoscibile collegamento tra materia manipolata e pensiero collegato a un modello di “sentire”; o almeno favorisca con un cenno a un probabile calcolo logico tra il fantastico, il reale e il sensoriale dialettico, che induca all’emersione in un ambiente tra conoscenze metafisiche, matematiche, o meglio “fisiche”, insieme con le geometrie delle architetture momentanee di alcune esperienze relazionali relative a un osservatore-fruitore coevo.

Questa condivisione permette di collegare l’osservatore-fruitore di fenomeni all’artista di oggi.

Entrambi si avvalgono “del sentire” che produce lo studio e la cognizione.

Solo col “sentire” si può far emergere il riconoscimento da un luogo “attuale” dello spazio-tempo, le cui relazioni sono sempre in continua espansione-evoluzione.

Qualsiasi calcolo e confronto di modelli è come se avvenisse in un sogno indecifrato che è passato o si è specchiato per un momento durante la riflessione sulla vita.

Del resto il nostro cosmo è in continua espansione-evoluzione; infatti, il rapporto di una misurazione dura gli istanti di una osservazione, poi tutti i rapporti relazionali continuano a modificarsi (o meglio a espandersi) incessantemente.

Ricordo che Lello Ronca si avvale per la composizione delle sue opere di un tipo di materiale specchiante leggero, quali sono le plastiche su cui è sovrapposto uno strato sottile di alluminio riflettente.

La sua è un’operazione tutta concettuale come lo era quella di Pistoletto.

Essa appartiene a una precedente riflessione sull’artistico che ha per oggetto i più intimi segni pre-convenzionali, riguardante una materia non ancora organizzata in elemento solido, dalla cui massa poi si formeranno sia le distinzioni con le espressioni significanti linguistiche e sia quel riconoscimento delle relazioni.

Con le opere di Ronca un osservatore-fruitore si ritrova a fare esperienza e a immaginare non ombre da prendere come reali, ma in che modo si organizzeranno e saranno riconosciuti i segni che si distribuiranno sul piano irregolare dell’opera.

Il sentire l’opera emerge dai colori ri-flessi di sé che sono disseminati sul nuovo piano irregolare della vita; ogni accidente avviene durante l’attraversamento instabile dell’osservatore-fruitore nel materiale specchiante manipolato dall’artista.

Le opere di Ronca rimandano non solo informali ma anche deformate (o dissipate) immagini di un soggetto.

Esse si propongono all’attenzione come esperienza di un sé che si flette e si riflette, rifrangendo distorcendo e a volte disseminando l’immagine dell’osservatore-fruitore sul piano irregolare dello specchio.

Sebbene non si riconosce alcuna immagine di una rappresentazione o di una forma reale, qualsiasi falsificazione scientifico-estetica o giustificazione[xvi] è percepibile e raccontabile secondo arbitrari ma “scientifici” nessi logici, fantastici e illusori.

Scienza e fantasia sono oggi unite nel racconto dell’esperienza sensoriale di un’osservazione “artistica”.

Ecco il nuovo raccontarsi dell’arte d’avanguardia contemporanea.

Tutto appare come traccia su cui la fantasia o l’illusione trovano il loro possibile (o probabile) attimo di “verità” logica; mentre la razionalità cerca nuovi modelli per l’interpretazione sensoriale che, sebbene potrebbe apparire umorale come un residuo di tempo, trova fondamento nelle nuove scienze.

L’esperienza prodotta è linguisticamente informale perché la materia prima di diventare illusione, sogno percettivo, è informe, senza massa.

Nonostante ciò le opere di Ronca permettono dei collegamenti con un tipo di percezione che può essere evocata con quei principi scientifici che si sono manifestati con la fisica dell’indeterminazione; una fisica quantistica quindi.

Le sue opere non cercano l’“eternità” attraverso dei materiali della NASA per sopravvivere per un tempo più lungo, come qualche maldestro pseudo-artista coevo pensa.

L’artista concettuale di ieri come quello di oggi è intento a riprodurre delle esperienze (o dei modelli di “sentire”) secondo le attuali articolazioni riflesse di un pensiero, quale rispecchiamento di teorie e di percezioni sensibili del proprio tempo.

Queste opere laterali o oggi lontane dal mercato dell’arte fanno parte di quel nuovo riconoscimento artistico che, ai teorici, permette di intuire o di individuare un modello percettivo e cognitivo utile a raccontare e a riconoscere gli eventi secondo le esperienze narrate o emerse nella storia della cultura e dell’arte di un periodo.

Il marchio di “valore storico” lo si lascia sempre ai futuri teorici che analizzeranno questo tempo secondo gli sviluppi futuri delle conoscenze, dei modelli di narrazione e “del sentire” umano collegati alle forme artistiche del nostro periodo storico.

Quando si entra in contatto con le opere di Ronca, ripeto, ci troviamo a percepire innanzitutto i piani irregolari non euclidei che per me annunciano anche la percezione dell’esistenza di nuove connessioni logiche mediate dalle scienze contemporanee.

Su questi piani non ci sono oggetti o soggetti da individuare, ma possiamo percepire nell’opera solo attraversamenti dromici (veloci) di soggetti-oggetti senza la precisa definizione o consistenza della loro forma “reale”. Come se l’immagine degli oggetti e delle persone si stemperasse, divenisse liquida, e fosse di passaggio su quella specie di piano elastico riflettente.

Le immagini sembrano fluttuare nell’asincrono del piano elastico che alcuni raccontano come liquido; ad altri poi appare simile a quello creato dalle increspature delle onde del mare che sono mosse dall’influenza della luna con le maree.

Le immagini possono perdersi nelle onde del piano elastico, mentre la materia lascia traccia negli avvallamenti e negli anfratti.

I riflessi si distribuiscono lungo la superficie irregolare; come sei i diversi pesi dei corpi “celesti” in movimento nell’attraversare il piano dello spazio ne abbiano mosso la superficie. Eppure l’osservatore-fruitore cerca di ricostruire attraverso di sé una propria immagine facendo intervenire l’esperienza o i ricordi[xvii].

Per questo motivo, credo, che le immagini delle persone che attraversano il materiale specchiante dell’opera di Ronca possono riconoscersi solo nel movimento della propria illusione o nel ricordo di un’esperienza (per tracciare qui un nesso tra le teorie sull’arte di Bergson e di John Dewey[xviii]).

Bisogna continuamente muoversi per trovare un proprio momentaneo equilibrio relazionale nei riflessi dell’opera, fosse anche accettando una “evoluzione creatrice”, parafrasando il testo di Jacques Maritain.

Ecco ciò che attrae la mia mente nel trovare i collegamenti nelle immagini, negli anfratti, nei sollevamenti e nelle flessioni o pieghe dello spazio-tempo relativo a un attraversamento percettivo e cognitivo della “materia artistica”.

E poi mi chiedo l’immagine riflessa di cui voglio fare esperienza proviene dal piano del cosmo o da quello delle maree? Tutto avviene comunque sotto il segno dell’attrazione.

L’osservatore-fruitore nel continuo tentativo di raggiungere una sua riflessione nascosta o deformata dalle pieghe dell’opera quello che può riconoscere meglio sono sempre i movimenti e i giochi di rifrangenze o di luci che si mescolano ai colori; ma al contempo deve anche rincorrere la scelta della propria mente e selezionare un modello da seguire durante l’interazione tra la percezione, la cognizione fisica e l’analisi dei modelli che permettono le connessioni logiche e determinano il racconto di un’esperienza.

Ci si può anche abbandonare al lavoro degli automatismi psico-fisici, attraverso cui si è liberi di fantasticare con le probabilità, o avvertire le variazioni della momentanea traccia di sé che si specchia e si sposta sul piano irregolare dell’opera.

Questo modello con cui osservare, percepire e interpretare gli eventi fenomenici fa riemergere quel «punto di vista» tanto caro all’estetica di Deleuze.

Sembra che degli stimoli nuovi inducono la mente a meravigliarsi, a stupirsi e ad essere sedotta dalle combinazioni (penso qui alla teoria matematica dei giochi, alla teoria dei sistemi, alla teoria della decisione, all’econometria, etc.,) e dalle connessioni di improbabili o probabili riconoscimenti illusori, fantastici o reali.

Un’esperienza sempre volatile e forse non fissabile coscientemente come un ricordo profondo nella memoria.

Queste opere costituite da un materiale plastico con foglio di alluminio riflettente sono quelle più prossime a quanto fu stabilito nel “manifesto boccioniano” del 1913 sulla scultura futurista.

Comunque l’opera di Ronca ci permette di percepire in modo indistinto le combinazioni riverberate da una materia flessibile e da un’energia strutturata come proiezione di tensioni presentate come interconnesse in un singolare e insolito rispecchiamento.

Interpretazioni e stimoli si muovono veloci con lo spostarsi dell’osservatore-fruitore e con esso della percezione dei riflessi.

Ci troviamo con queste opere già nel mondo fisico e razionale dell’emergenza: tra il fantastico relativo e le nuove forme logiche e razionali dello spazio-tempo.

Probabilmente è attraverso queste connessioni che si producono anche le percezioni illusorie (e per alcuni anche allucinatorie) che simulano un’esperienza ancora non distinguibile, costruita su una sensazione.

L’interpretazione e il riconoscimento possono essere organizzati solo avendo chiaro ora come si manifestano le nuove conoscenze contemporanee; specie quando si utilizzano i nessi scientifico-filosofici coevi, come ad esempio i principî della falsificabilità o quello della giustificazione.

Le equivalenze che prima si verificavano nello specchio attraverso il fenomeno dell’enantiomorfismo sono diventate oggi esperienze che sono percepibili coi sensi per mezzo della simulazione.

Con Ronca come con Pistoletto possiamo solo “concettualmente” immaginare il nuovo universo che è emerso e si sta diffondendo con la simulazione.

La luce e l’elettricità sono onde luminose e oggi trasportano e trasmettono informazioni alla velocità della prima. I loro messaggi possono essere tradotti attraverso dei dispositivi posti al di fuori dell’organismo umano; solo così si possono rinvenire in modo chiaro le corrispondenze con questi “giochi”della cognizione ottenuti con i cosiddetti piani non euclidei.

La superficie di questi piani, ricordiamo di nuovo, è piena di avvallamenti perché lasciati dalle tracce di oggetti che ne hanno modificato la struttura; una struttura piana che da senza curve è diventata una superficie elastica irregolare pronta ad accogliere le tracce di qualsiasi corpo in movimento.

Ecco perché a molti sembra che la superficie specchiante sia diventata liquida.

L’elemento liquido comunque rimanda impressioni e sensazioni, anche se indefinite nella instabilità di un riconoscimento preciso della mente; in quanto si riferisce sempre a un’esperienza che si stempera continuamente in una mescolanza e in una contaminazione[xix].

In questo modo si può percepire quella confluenza nel nuovo modello dello specchiarsi che ho ritrovato nell’opera contemporanea di Lello Ronca.

Questo suo modello di produzione dell’opera a me sembra abbia origine dalle nuove teorie e dai nuovi riferimenti di riconoscimento delle percezioni e delle cognizioni.

Sembra che egli dia maggior valore alla trasmissione della nuova organizzazione linguistica che si costruisce e viene codificato attraverso i messaggi trasmessi con la luce; e che era in embrione anche nella ricerca di Pistoletto e delle sue opere specchianti.

Il mondo subatomico o quello del nuovo cosmo delle galassie è costellato però da un’infinità di queste informazioni organizzate nel nuovo sistema di trasmissioni delle informazioni, col linguaggio della luce.

Attraverso telescopi elettronici o microscopi elettronici o acceleratori di particelle abbiamo creato dispositivi con cui oggi osserviamo e descriviamo fenomeni con un linguaggio cha altrimenti i nostri sensi non percepirebbero istantaneamente.

Le energie-informazioni, in effetti, attraverso calcoli ed elaborazione dei dati sono raccolte dai nuovi dispositivi di riconoscimento dei messaggi.

Sono i dispositivi, estensione “organica” esterna dei nostri sensi, che possono tradurre velocemente quei criptici messaggi del nuovo linguaggio e collegarli alla nostra esperienza per mezzo del linguaggio dei fenomeni provenienti da percezioni di immagini, suoni e colori.

È così che noi ci stiamo abituando al nuovo sentire di oggi; specie quando percepiamo come determinante la scoperta di un linguaggio costruito sulla misurazioni di verità relative, le quali utilizzano calcoli e passaggi di onde calore e luce con cui vengono tracciate delle relazioni e attraversamenti d’informazioni nello spazio-tempo, sia per mezzo di più grossolane combinazioni chimiche che con l’elettricità e la luce.

I dispositivi sono diventati gli strumenti di rilevamento e di calcolo che simulano non solo un modo di tradurre nella percezione e nella visione umana le informazioni che provengono dalle onde-corpuscoli luminosi, o dalla materia-energia, ma permettono di costruire nuove forme di conoscenze e di organizzazione delle relazioni umane. Sono considerati dispositivi anche i robot che mimano l’azione umana.

Qualsiasi dispositivo dotato di un sistema di calcolo, infatti, ha la funzione di ricevere elaborare e tradurre le informazioni in immagini o suoni percepibili anche dai sensi degli umani.

I robot, inoltre, traducono anche in azioni nell’ambiente umano l’apprendimento dei calcoli delle macchine.

La costruzione delle opere di Ronca è lontana da qualsiasi barocchismo, in più può avere connessioni coi fondamenti della ricerca scientifica attuale e trova nelle pieghe la propria estetica e filosofia artistica.

Sarebbe assurdo affermare che ci troviamo in un’arte tecnologica, o robotica.

Del resto le pieghe di Deleuze permettono ancora l’azione di riconoscimento umano. Con queste pieghe si attraversa il nuovo piano spazio-temporale interconnesso attuale, che permette di gettare anche una luce sulla filosofia e sulla scienza visiva e percettiva del Barocco, come poi afferma Deleuze ancora filosofo ed estetologo del XX secolo nel suo libro.

Sebbene la materia e l’energia, come entità divise e appartenenti a due modi diversi di osservare lo spazio e il tempo, sono ora con Ronca come in entanglement (aggrovigliamento).

Di quella visione separata del passato che attraversava e rifletteva l’opera concettuale nello specchio, ne restano solo delle funzioni distorte di immagini, tracce relative e interconnesse percepite e mantenute in vita per attimi.

Ciò che si manifesta è un’esperienza percettiva che suscita un insieme interrelato di sensazioni, di idee e di concetti che concorrono a formare delle impressioni provenienti da un sistema che modifica i corpi in movimento su un piano flessibile.

Le relazioni si modificano durante la percezione di traiettorie fisico-psichico nel “gioco”[xx] dei riflessi e delle rifrangenze di luce. Si trasmettono informazioni, che si aggiungono a quelle scelte interpretative decise dall’osservatore-fruitore.

Tra simulazione, realtà e rappresentazione scorre il nuovo pensiero e la nuova esperienza della vita e dell’artistico con le loro rispettive e molteplici origini; o anche la più profonda genesi teorica può riscontrarsi solo nelle filosofie estetiche delle scienze che studiano il movimento e l’azione dei sistemi semplici e complessi contemporanei.

La materia e l’energia sembrano inseparabilmente interconnesse oggi, proprio per le descrizioni scientifiche attuali; e l’idea di ciò sembra trovare corrispondenza nei variabili riflessi percettivi che rimanda come gioco l’opera di Ronca.

Il pensiero che attraversa un piano irregolare con la stessa velocità della luce non può più costruire alcun oggetto immaginifico o di realtà se non ri-flettendo su un momentaneo e velocissimo transito di una percezione, o di una impressione o di una sensazione o di una notizia non ancora identificata (in quanto non si conoscono i motivi per i quali la mente è stata attratta), ma da cui si potrebbe risalire alla fonte per riconoscere la sua origine vera, fantastica o illusoria. L’analisi però deve essere ancora legata a una struttura logico-sensoriale umana.

Sarà forse ancora l’idea che muove questo flusso?

L’esperienza che rimane è indecifrabile, ma al contempo l’uomo contemporaneo nelle decisioni si affida a teorie matematiche come quelle citate e studiate nel XX secolo come la teoria matematica dei giochi, la teoria dei sistemi, la teoria della decisione, l’econometria, etc.; tutte combinazioni logiche che permettono la scelta anche nel mondo percettivo e cognitivo delle misurazioni emergenti nello spazio-tempo da nuovi modelli logici.

Si traccia così un nesso tra la percezione e l’esperienza cognitiva della fluttuazione.

(L’esperimento di Luria-Delbrück, denominato anche test di fluttuazione, è un esperimento ideato da Salvador Luria e condotto insieme a Max Delbrück nel 1943, che dimostra come nei batteri le mutazioni genetiche si verificano spontaneamente in assenza di selezione, piuttosto che essere una risposta alla selezione. Da questo test credo che Artur Danto intuisca che ci sono le condizioni contemporanee per affermare che si possa paventare un’estetica della fluttuazione e che riguarda la post-storia e la post-estetica dell’animale umano[xxi]. L’azzardo estetico del filosofo americano è dovuto anche all’avere come riferimento una non aggiornata teoria sulla funzione del percepire e dell’organizzazione le informazioni nell’organismo. Esse non sono solo di natura biologica provenienti dai tessuti e dall’apparato visivo o uditivo, in quanto nella mediazione col cervello si avvalgono di neurotrasmettitori che producono sinapsi chimiche ed elettriche. Sono questi passaggi d’informazioni che permettono l’emergenza delle sue ”rappresentazioni”? La percezione è molto più complessa della semplificazione che ne fa Danto. I neuro recettori e trasmettitori sinaptici hanno bisogno di generare un potenziale d’azione tale da fare da amplificatore a un messaggio. Un messaggio viene percepito solo se la somma algebrica degli elettrotoni generati dalle sinapsi arriva al monticolo assonico con una intensità sufficiente a far raggiungere il valore soglia. Superata la soglia, che alcuni studiosi chiamano anche soglia di attenzione o soglia di percezione, solo allora l’informazione è presa in considerazione dal cervello e vengono prodotti dei sistemi di relazioni collegati al riconoscimento della rappresentazione o di azioni o di segni che producono poi le espressioni linguistiche. L’artistico fino ad oggi è sempre stato percepito come una manifestazione e una organizzazione “originale”che spesso anticipa i modelli di riconoscimento poi adottati dagli altri uomini. In esso si possono rinvenire, attraverso le continue scoperte di connessioni, quanto viene formulato e percepito con le logiche, con le matematiche,con le geometrie, con  le fantasie, le illusioni, le simulazioni, insieme alle relazioni tracciate con gli altri modelli cognitivi del sapere e non ultima la filosofia dell’arte. Dall’interazione dell’uomo con la cultura del proprio tempo ancora oggi ci si può meravigliare e percepire alcune indicazioni di quei “nuovi mondi estetici” dell’uomo del XXI secolo).

Se ascoltassimo una superficiale lettura di Danto allora dovremmo fermare la storia alla sottocultura Pop e chiudere con “la storia” evolutiva della nostra specie in quanto si sta affermando l’omologazione del sentire senza alcun riferimento alle idee, ma con la presenza di solo etichette proposte dalla cosiddetta cultura di massa.

Si potrebbe arrivare a questa omologazione umana proprio attraverso l’uso delle macchine di calcolo collegate a sensori; o meglio, per mezzo di quei dispositivi di calcolo che applicano gli stessi modelli di organizzazione in qualsiasi ambiente relazionale.

Un tipo di società come questa non sarebbe auspicabile, in quanto si annullerebbero le differenze.

È facile supporre che in una pandemia virale se non si trovasse in tempo il rimedio, il genere umano essendo del tutto indifeso in quanto uniformato, potrebbe estinguersi per davvero. Inoltre il pericolo di estinzione oggi non solo può venire dai virus ma anche da una tempesta elettromagnetica, dall’inquinamento, dal clima, etc..

Le opere di Lello Ronca non appartengono a questo modello di organizzazione dell’arte “commerciale” descritto da Danto, (carente a mio giudizio solo di uno studio su una aggiornata teoria della percezione), né alla sua filosofia estetica (che pur avendo lontane origini anch’essa in Leibnitz, e di riflesso idealmente collegabile alla nascita dell’estetica moderna grazie ad un autore che fu allievo di Christian Wollf, ma che fu anch’egli fortemente influenzato dalle monadi di Leibnitz, Alexander Gottlieb Baumgarten, Aesthetica, [1750-55]) e non trovano corrispondenza neanche nella estetica del Barocco.

Nonostante la vicinanza scientifica, lontano è l’emergere in questo artista coevo di una visione barocca.

L’estetica di Lello Ronca è vicina, coscientemente o inconsciamente (consapevolmente o in modo inconsapevole), alla ri-flessione o alle percezioni sensoriali di un nuovo modo di utilizzare la logica binaria senza contraddizioni, e può sembrare prossima alle geometrie contemporanee che non hanno più come riferimento i piani euclidei, nonché al sentirsi come in un A/traverso[xxii].

Ecco perché specie in queste pieghe dei materiali specchianti di grandi dimensioni (2x3m, 2x5m,) si può meglio percepire il dissolversi sia dell’identità degli oggetti che delle persone, costruendo dei dromici (veloci) attraversamenti percettivi.

L’attraversamento o il transito sono elementi costitutivi dell’esperienza nell’arte contemporanea.

Essi in Ronca non evocano o rivendicano né un’identità delle persone e né degli oggetti dalla solidità fisica, materiale.

Non ci sono più oggetti o soggetti da valorizzare, da criticare o da esaltare nella società degli “oggetti” di consumo, o società delle illusioni.

Sembra che su queste superfici irregolari tutto scorra velocemente; anche il non-riconoscimento della consunzione veloce del proprio sé.

Ognuno sceglie e calcola coi propri modelli o sistemi, o secondo i giochi di probabilità il suo attraversamento nei piani irregolari.

L’oggetto, l’identità e il pensiero sembrano che siano considerati da Ronca ancora organizzazioni di energia (messaggi d’informazioni criptate, ma decodificabili ancora secondo l’esperienza personale), perciò li definisco come un a/traverso, quale evocazione dei contenuti della “vecchia” rivista.

Altrimenti dovremmo affidarci alle macchine computerizzate come AARON nel 1968  ̶  allora programmata dall’artista Harold Cohen  ̶, che producono “arte”.

Le informazioni raccolte da dispositivi di calcolo che elaborano dati per le cognizioni, ormai, possono escludere la percezione e la elaborazione fisica attraverso modelli cognitivi da parte di un organismo umano.

Qualsiasi programma può tradurre in immagini tridimensionali, o in suoni altamente definiti le informazioni.

Sono questi programmi che iniziano a provocare e spesso a controllare l’illusione, l’immaginazione o la fantasia “di massa” con le simulazioni create in laboratorio.

E come originati, anche se forse ancora per poco, da monadi leibnitziane emergiamo di nuovo nel mondo delle pieghe; in esso (mondo) ogni nostro sistema complesso segue le proprie connessioni e i propri costrutti fantastici o di sogno o di illusione.

I nostri sogni di umani, e non so per quanto tempo ancora, scorrono insieme alle indefinite variabili delle interpretazioni della vita senza le vistose interferenze delle macchine.

L’informale specchiante può essere considerato da Lello ancora come un piano di libertà; dove è permesso solo un veloce e momentaneo attraversamento di oggetti e di noi stessi che non sono più percepibili dai nostri sensi come solide realtà, ma al contempo le loro tracce sono messaggi decodificabili dalla nostra mente.

Le informazioni emergono in un qui ed ora, attraverso fugaci percezioni e sono collegabili alla soglia d’attenzione e al tipo di osservazione suscitata in quel momento.

Il senso dell’opera è un’emergenza di relazioni, come del resto lo è una misurazione nello spazio-tempo.

Si può solo partecipare alle composizioni specchianti di Ronca, che nella loro flessione non possono più ri-flettere soggetti o oggetti senza deformarli o renderli informali pur appartenendo a un corpo e a un’organizzazione vivente.

Questa è una citazione, di riflesso, o un preciso riferimento all’uomo consumatore?

Ripeto, ancora ognuno guarda da un proprio “punto di vista”, ci ricorderà Deleuze, aggiungendo le sue teorie nel testo con cui studia il fenomeno Barocco delle flessioni e riflessioni attraverso le pieghe.

Sebbene le superfici oggi non sono più calcolabili solo dalla logica matematica dei piani lineari, perché quando si presentano come pieghe irregolari sono calcolabili con altre forme di misurazioni, che afferiscono a differenti logiche geometriche e matematiche  ̶  (penso ad esempio alla teoria geometrica dei frattali di Benoît Mandelbrot che ha permesso di osservare la natura sotto un aspetto tutto contemporaneo),  ̶  c’è un nuovo modello di decodifica delle informazioni che non passa da un organismo umano.

Possiamo pensare a una omologazione dell’esperienza e dell’attività cognitiva?

Eppure le pieghe sono diventate piani e specchi irregolari che riverberano anche rifrangenze di luce che con i continui rimbalzi di “flessioni e ri-flessioni” ci permette una singolare esperienza rispetto ai dispositivi di rilevamento e di analisi che applicano dei calcoli logici e che sono posti al di fuori del nostro corpo fisico trasmettendo a tutti gli altri dispositivi lo stesso messaggio.

Ma a che pro riproporre oggi nell’artistico una interpretazione con questa esperienza logico-informale di messaggi?

Forse per mostrare visivamente dei nodi concettuali della percezione e della cognizione dell’uomo del nostro tempo storico.

Nelle “banali” e “approssimate” opere di Lello Ronca veramente riconosciamo i movimenti di un piano celeste che forse oggi solo attraverso i calcoli e le fotografie spettrometriche di massa possiamo mostrare ai nostri sensi?

Nel frattempo si rimane abbacinati dai riflessi che rimbalzano senza immagini nella mente.

Alla fine dell’esposizione rimangono solo attraversamenti specchianti.

Nonostante che Lello Ronca, restauratore, costruisca la sua opera utilizzando il fuoco con cui produce gli avvallamenti e i sollevamenti del piano e lo faccia per non lasciare che l’immagine degli umani o degli oggetti si riproduca a dimensione reale,  ̶  o anche in opposizione all’immagine riflessa come nello specchio dalla superficie piana,  ̶  ciò che appare evidente è che lo specchio e l’opera d’arte adagiata alla parete provoca nell’osservatore oggi una sorta di distonia mentale per il piano irregolare, entro cui si appalesa quel nuovo riconoscimento dell’arte tra falsificabilità e giustificazione concettuale, o tra déjà vu (o distonia mentale) e memoria.

Il fine di Ronca è che ogni osservatore-fruitore che viene flesso e ri-flesso dai suoi materiali ponga più attenzione agli attraversamenti e non si soffermi a guardare l’artistico come soggetto (o oggetto) realmente illusorio.

Il suo fine non è dare l’illusione o trasmettere meraviglia, o segnalare la vanità dello scorrere del tempo, ma una sorta di détournement percettivo e artistico, che non permette di attribuire all’immagine o alla forma un’illusione di verità o che sia di riferimento per un racconto dialogico, in modo che la sua opera diventi segno di un feticcio o di un oggetto-merce.

Gli oggetti per Ronca sembra che lascino impressioni di tracce mobili; come rimangono quei movimenti attraverso “la flessione e la ri-flessione” con cui si cercano di comprendere e riconoscere gli eventi col creare connessioni tra arte scienza ambiente storia costume e relazioni umane.

In questo Ronca è prossimo alle teorie della nuova scienza che, come per il Barocco, la realtà è illusione.

Percepire le illusioni come giochi cromatici? O egli si riferisce all’illusione che emerge quasi sicuramente nella relazione che si forma nella mente dell’osservatore-fruitore dopo la meraviglia? Dobbiamo pensare quindi a una mera illusione?

Penso anche che una nuova teoria sull’arte (o sull’artistico) non può prescindere dal riconoscimento logico della falsificabilità o della giustificazione concettuale.

Qualsiasi azione, sia in Pistoletto che in Ronca come nel Barocco, rientra in atti momentanei e ha come cardine l’illusione; la quale appare oggi come il segno di un riconoscimento che induce a diventare consapevoli della natura crudele e barbara dell’uomo.

Da questa ottica qualsiasi atto di ri-flessione o gesto artistico, va considerato come frutto consapevole della vanità mondana, riscattabile solo con un’altra azione coraggiosa di volontà o di fede che restituisca dignità e onore all’esistenza prima della morte.

I nessi logici contemporanei ci ricorda invece Ludwig Wittgenstein si trovano presenti nella organizzazione di ognuno di noi. I valori li attribuiamo attraverso una nostra propria e unica limitata organizzazione del mondo, o “punto di vista[xxiii]. (E col punto di vista ritorniamo di nuovo alle riflessioni estetiche di Deleuze).

Lello ricostruisce questo ambiente cognitivo e percettivo utilizzando gli specchi e negando loro la funzione di “rispecchiare” la verità della condizione umana.

L’unica e incondizionata “verità” è il transito di un’illusione reale tra falsificabilità e giustificazione concettuale spesso regolata dalla distonia del déjà vu. Sembra che sia questa illusione reale che scandisce il tempo della vita degli uomini.

L’illusione percepita come reale è diventata un attraversamento che risponde a delle esigenze senza una approfondita riflessione; utile per dare una risposta istantanea all’emergenza nella mente secondo dei dispositivi automatici del déjà vu.

L’illusione reale va considerata solo un attraversamento di un’interpretazione momentanea, che decide in un qui ed ora una probabile organizzazione cognitiva dell’opera Lello.

Essa permane per degli istanti e dura quanto il tempo di un’attenzione; poi la mente è attratta da un’altra fugace illusione.

Per questo motivo forse l’illusione percepita come reale appare nella sua formazione prima come una struttura informale, “senza oggetto”, per la probabilità che possano sovrapporsi continue altre emozioni e nessi logici.

Non a caso qualsiasi assunzione di realtà è oggi paragonata a una emergenza d’informazione [teoria dell’informazione, 1948].

Per comprendere il messaggio dell’informe che viaggia alla velocità della luce, va selezionato e applicato un modello; è l’organizzazione del riconoscimento logico della struttura e del linguaggio attraverso sistemiche automatiche. (Del resto anche per Platone c’era una materia informe prima che non fosse percepibile come massa).

Non appena ipotizziamo una relazione spazio-temporale tra cose, umani, oggetti fissi o mobili ecco che emergono le relazioni costituite in un probabile riconoscimento dell’informazione in un ambiente relatico. Queste relazioni vivono fino a quando attraggono la nostra attenzione, e sono presenti alla nostra percezione-osservazione.

Insisto nell’affermare che alla “tradizionale” elaborazione della percezione sensoriale si sia aggiunto un nuovo modello logico attraverso cui si può interpretare il reale, la rappresentazione dinamica e l’illusorio. Questo oggi oscilla tra la teoria della falsificabilità e la teoria della giustificazione concettuale; e pertanto l’artistico apprende e traduce nel suo linguaggio questa nuova forma d’influenza cognitiva e ne produce un’esperienza.

La realtà, alias la “cosalità” [o mondo delle cose in sé], si muove attualmente così velocemente che la sua organizzazione non è più possibile percepire subito coi nostri sensi connessi istintivamente alla ri-flessione della mente.

Forse per questo ricorriamo con maggiore frequenza ai dispositivi esterni all’organismo, muniti di sensori, per ricevere le informazioni, e per meglio decodificare i messaggi e risalire alle fonti da cui è partita una notizia, con la misurazione d’influenza sul nostro ambiente organizzato.

Il nostro mondo sta diventando tecnologico, a cui le nuove generazioni spesso demandano il conservare nella memoria dei computer le esperienze e la conoscenza delle informazioni, intese queste come organizzate in atti di modelli cognitivi e relazionali.

L’unica cosa che possiamo dire che per ora i nuovi dispositivi che traducono le informazioni luminose  non fanno parte del nostro apparato sensoriale; per cui la scienza nuova si distanzia di poco da un sistema percettivo e cognitivo elaborato da un solo uomo.

Le informazioni, infatti, di solito si considerano sistemiche che possono essere decodificate attraverso vari modelli, semplici e complessi, e appartengono solo a dei dispositivi di calcolo e misurazioni elaborati dagli umani. (Il problema potrebbe sorgere quando le macchine autonomamente interverranno in un futuro non lontano nelle scelte umane)

Tra la cognizione e la percezione con maggiore frequenza fa da mediatore ora un elaboratore e traduttore di messaggi con cui s’interpretano gli eventi fisici, logici, fantastici, illusori e psichici degli uomini.

Forse la nuova sistemica dell’arte, o dell’artistico, si muove già o si muoverà presto oltre le flessioni e ri-flessioni di Michelangelo Pistoletto e di Lello Ronca; quali ultimi testimoni di un poiêin [fare] creativo o manuale, e che aggiungeva Luigi Pareyson nel suo testo di Estetica riguardante la formatività dell’arte, “che mentre fa produce un modo di fare”.

Comunque le opere di questi due artisti ci permettono oggi di fare esperienza nell’arte di quello che è stato definito “l’emergere di una nuova scienza” dalla radice Barocca; anche se qualcuno ci indica oggi artisti altri i cui messaggi sono decodificati solo dai dispositivi di traduzione criptata….

Questi altri artisti non appartengono più alla percezione sensibile dell’uomo delle forme visibili anche se l’uomo nel prossimo futuro avrà a che fare con un’esperienza di meraviglia in cui l’illusione è percepita coi sensi come se fosse una esperienza reale e produce una forte emozione. (Mi riferisco alla realtà simulata o all’esperienza “immersiva” del  virtuale a 3d).

Possiamo chiudere affermando che Lello Ronca è un artista che ha deciso di “rappresentare” utilizzando la funzione “non riflettente la realtà” del materiale specchiante.

Egli lascia che ognuno trovi nella memoria o nella propria esperienza quei nessi concettuali che si ri-specchiano in quell’impossibilità di accedere a una condivisa realtà.

La sua poetica trova riferimenti nelle psicologie recenti, come ad esempio quella descritta da Marvin Minsky, che ci dimostra come in una sola struttura psico-fisica non è presente un solo io ma ci sono una molteplicità di io.

Nel corso di una giornata ogni tanto uno di questi io predomina e ad un tratto indica come verità una momentanea percezione e cognizione, o costruzione, tra le tante altre possibili o probabili verità (La società della mente).

Mi sembra giusto richiamare a questo punto di nuovo la tecnica del détournement estetico che negli anni ’50 era stato posto al centro della nuova strategia dell’arte. Mi riferisco a quello straniamento e contestualmente allo stornamento, ̶  come a Mario Perniola piaceva che fosse tradotto il termine in italiano, ̶  perché aveva radice anche nell’affettività.

Questa distrazione-estraneazione non aveva alcuna pretesa di aiutare a realizzare desideri o a trasformare in cose reali le passioni, né di sublimare le frustrazioni…

Era mera illusione momentanea, seduzione.

Secoli prima un sofista, Gorgia di Leontini, aveva utilizzato la sua eloquenza nel difendere Elena di Troia (Encomio di Elena), e quando il popolo radunato in assemblea gli diede ragione egli affermò che aveva esercitato la seduzione del linguaggio “per passatempo”.

La funzione dell’opera d’arte sembra che oggi abbia assunto la funzione di rendere percepibili con la visione o l’ascolto della musica queste illusioni percepite come realtà, con la simulazione.

Forse anch’essa va per ora considerata un puro passatempo; anche se i teorici dell’arte cercano i segni di passaggio a una nuova forma di esperienza o all’assunzione di una nuova estetica per poter raccontare delle esperienze cognitive percettive del pensiero mediate dalle idee del nuovo millennio.

Non importa se da oltre un secolo e mezzo l’arte rincorre quasi sempre un’origine non più teologica o necessariamente legata a un mito.

Si sono percorse altre strade parallele che hanno fatto emergere le distonie fisiche o psichiche o linguistiche o le organizzazioni antropologiche di varie altre tipologie aggregative umane. Ci si avvale oggi, frequentemente, nella presentazione dell’artistico di una storia comparativa che ha radice nel fenomeno psichico del déjà vu (alterazione dei ricordi), e che mette in collegamento (Ludwig Wittgenstein), o coniughi, principalmente le forme del tempo (George Kubler) con l’esperienza (John Dewey), con il ricordo (Henri Bergson) alla visione delle forme (Rudolf Arnheim) per evidenziare l’analisi delle differenze (Jacques Derrida,) che fossero queste ultime di natura linguistica (Ferdinand de Saussure) o semiotica (Charles Sanders Peirce) negli artisti. (Escludo qui l’esperienza innovativa del nuovo linguaggio digitale perché non rientra in questo contesto). Ciò che un teorico dell’arte riconosce (Cesare Brandi), è sempre quel racconto che è narrazione di un’azione (Aristotele) e che rende unico il processo formativo (Luigi Pareyson) attraverso un metodo (Luciano Anceschi e poi Edgar Morin) dell’opera artistica, e che diventa fondamentale per narrare in che modo possa far sceglere in un periodo una determinata ricezione estetica del pubblico (Hans Robert Jauss).

In aggiunta ricordo qui il messaggio o l’auspicio di Guy Debord[xxiv] (La società dello Spettacolo) che fu quello di attribuire alla funzione dell’arte di focalizzare le contraddizioni del sentire nella società coeva.

A tal proposito non va dimenticato però un suo altro insegnamento: sebbene qualsiasi produzione artistica umana prima o poi può rientrare nella logica del mercato, meglio che l’opera artistica sia sempre presentata all’inizio con una fluidità irriducibile e accogliente qualsiasi interpretazione e cognizione; in quanto sarà poi il tempo a ricomporre il mosaico senza escludere a priori l’analisi di una fenomenologia o di una ontologia esistenziale.

Il racconto dell’opera innanzitutto va evidenziato nelle connessioni. Ci troviamo ancora nell’arte visiva o visuale contemporanea e a fare i conti sempre con la retorica, che è arte della bella presentazione, o narrazione.

Questa non cerca la verità ma solo di sedurre, spesso con le connessioni (Ludwig Wittgenstein) di messaggi tra parola e immagini lo spettatore.

Senza evocare in questo caso neanche più la tecnica del détournement estetico che negli anni ’50 era stato posto al centro della nuova strategia dell’arte.

Questa distrazione-estraneazione non aveva alcuna pretesa di aiutare a realizzare desideri o a trasformare in cose reali le passioni, né di sublimare le frustrazioni…, era mera illusione momentanea, seduzione[xxv] .

La seduzione va considerata innanzitutto stimolo che si manifesta attraverso parole e atteggiamenti. Secoli prima l’aveva utilizzata, per mezzo dell’eloquenza Gorgia di Leontini nel difendere Elena[xxvi] di Troia; e quando il popolo radunato in assemblea gli diede ragione nel difendere Elena, egli affermò alla fine che aveva esercitato la seduzione del linguaggio “per passatempo”.,, in perfetto stile sofista.

Il messaggio o l’auspicio di Guy Debord era quello che la funzione dell’arte permettesse di focalizzare le contraddizioni del sentire.

Non va dimenticato però quello che anche Debord scrisse a proposito, che sebbene qualsiasi produzione artistica umana prima o poi può rientrare nella logica del mercato, meglio perciò che l’opera artistica aggiungo diventi di una fluidità irriducibile, non spiegabile in modo esaustivo, e afferrabile sempre parzialmente e momentaneamente.

Proprio come a me appaiono, in piena consonanza con quegli ultimi movimenti d’avanguardia, le opere di Lello Ronca.

Forse per questo, oggi, le opere di Lello Ronca mi sembrano connesse agli sviluppi percettivi e cognitivi di quegli ultimi movimenti d’avanguardia degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso.

Bisogna dare merito a Pistoletto che ha riproposto in chiave visuale-artistica una poetica e un’estetica concettuale attraverso le sue opere con un sentire e fare esperienza non solo per mezzo dello (o, meglio, attraverso lo) specchio, ma anche su tutto ciò oggi riteniamo che sia lo speculare, e a Lello Ronca per aver dato un’aggiornata interpretazione a quel sentire con l’utilizzo di nuovi materiali che dissolvono l’identità nello specchio e che mi hanno indotto a tracciare nessi con le nuove teorie scientifiche.

[i] Tema caro in quel periodo a Cesare Brandi, che trova il suo fondamento teorico nella pubblicazione della Teoria del restauro.
[ii] Da Giorgio Vasari con Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, (1551), fino a Ernst Kris e Otto Kurz, La leggenda dell’artista, (1998).
[iii]  Che in psicoanalisi procedette da Il perturbante (1910) di Sigmund Freud sta in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio.,(1991), a Otto Rank, Il doppio. Uno studio psicoanalitico (1979).
[iv]  John Dewey, Arte come esperienza, (1951).
[v] Charles Sanders Peirce, Semiotica, (1980), anche in particolare La logica delle relazioni, sta in Scritti di logica, (1981).
[vi] Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, (1967).
[vii] Alvin Goldman, La teoria causale della conoscenza, (1967).
[viii]  Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso (1992) anticipato da Il grado zero della scrittura (1960) e da Elementi di semiologia (1966).
[ix]  Luigi Pareyson, Estetica. Teoria della formatività (1988).
[x]  Mito della caverna, Platone, La Repubblica, libro VII.
[xi]  Paul Oskar Kristeller, Il Sistema Moderno delle Arti, (1977).
[xii] Herberto Maturana & Francisco Varela, Autopoiesi e cognizione (1985).
[xiii] Sir Karl Raimund Popper, già nella sua prima opera La logica della scoperta scientifica (1935) tratta della falsificabilità.  Secondo questa concezione un’ipotesi o una teoria ha carattere scientifico soltanto quando è suscettibile di essere smentita dai fatti dell’esperienza. Popper ricorda che logicamente «una teoria per poter essere vera deve poter essere anche falsa»); questo apparente “paradosso” scientifico sembra non essere stato indagato approfonditamente dalla maggior parte dei critici più che degli artisti “concettuali” nell’arte contemporanea degli ultimi cinquant’anni.
[xiv] Pedro Calderon De La Barca, La vida es sueño, (1635).
[xv] Voglio ricordare un curioso paradosso della storia della Chiesa. Mentre Galieo Galilei nel 1632 veniva condannato per eresia dal Tribunale dell’Inquisizione, membro del quale era anche il cardinale Barberini, nel 1633 a questi gli veniva consegnato il palazzo nel quale vi è la celebre stanza ovale al cui centro sarà collocato “idealmente” il sole in movimento con i due centri. Solo nel 1822, a 180 anni dalla morte di Galileo la Chiesa accettò la veridicità della teoria copernicana e riabilitò lo scienziato pisano; nel 1846. Da quegli anni, tutte le opere sul sistema copernicano furono tolte dall’Indice dei libri proibiti. Il cardinale Barberini invece aveva fin dal 1633 apprezzato nel suo palazzo la magnificenza del movimento copernicano del sole, pur non riconoscendolo e condannandolo.
[xvi] Alvin Goldman, La teoria causale della conoscenza, (1967).
[xvii]  Henri Bergson, Materia e memoria, (2014).
[xviii]  John Dewey, Arte come esperienza (2020).
[xix]  Zygmunt Bauman, Modernità liquida, (2000).
[xx] John Forbes Nash, Non-cooperative games, (1951) e Lloyd Shapley, Stochastic games (1953), La teoria dei giochi ha applicazioni in vari campi delle scienze sociali, così come nella logica, nella teoria dei sistemi e nell’informatica ed è applicabile anche all’arte oltre che all’economia. Uno dei divulgatori è stato Martin Gardner specie coni due testi tradotti in italiano, L’incredibile dottor Matrix,(1982) e L’universo ambidestro. Nel mondo degli specchi, delle asimmetrie, delle inversioni temporali, (1984).
[xxi] In “A User’s Guide to Détournement” (1956), Guy Debord, teorico situazionista dialogando e scrivendo il testo con Gil Wolman, sostennero che il détournement ha un duplice scopo: da un lato, deve negare le condizioni ideologiche della produzione artistica, perché è palese che tutte le opere d’arte sono in definitiva merci; però, d’altra parte, bisogna anche utilizzare ogni volta questa negazione per produrre qualcosa di politicamente educativo. Il détournement non è una tecnica per produrre un’opera d’arte ma attraverso le arti il situazionista introduce un elemento di “disturbo”. Questo elemento dovrebbe far perdere d’importanza un metodo di propaganda per affermarne un altro differente. Sarebbe una sorta di dirottamento di significato. Il termine fu inventato dal movimento Lettrista negli anni ’50 e poi confluì e continuò ad essere importante nella Internazionale dei Situazionisti che si costituì in movimento il 28 luglio del 1957.
[xxii] Per comprendere il pensiero di Danto sull’arte bisognerebbe partire da alcuni assunti teorici che egli media dall’ontologia filosofica e dalla biologia. Tra l’altro egli attribuisce agli animali umani la qualità di ente. Tutti gli enti hanno contatti col mondo attraverso le rappresentazioni di cose che esistono o che non esistono: Anch’egli come Deleuze rimette al centro del discorso contemporaneo Leibnitz con la visione monadica del mondo specie per quel che riguarda la unicità di ogni singolarità; in quanto è impossibile condividere tutte le proprie proprietà con un altro ente. Non ci sono due oggetti che condividono le stesse proprietà e da qui Danto pone una distinzione nell’analisi delle cosiddette opere d’arte in particolare della Pop Art. Il suo è uno strumento teorico molto semplificato e per l’approssimazione filosofica reso poco accettabile teoricamente, neanche se in esso si facesse l’espresso riferimento al principio degli indiscernibili di Leibintz. Ma è da questo strumento interpretativo esemplificato, che in Danto, nascono le analisi e le riflessioni sull’arte. Egli ci dà le sue riflessioni sul Brillo Box di Andy Warhol, la quale per lui è un’opera che è percettivamente indistinguibile dalla sua controparte reale. (A parte che oggi dovremmo stabilire ancora se la Pop art teoricamente sia una un’innovazione artistica rispetto al passato e attraverso quali parametri sia riconoscibile). Egli però riscontra che rispetto al Brillo Box che giunge nei negozi egli non rileva nessuna proprietà percettibile che permette di distinguere la prima dalla seconda che è opera di Warhol: Egli poi suppone che la loro differenza ontologica sia dovuta a proprietà relazionali, non rilevabili dai sensi. Con questa affermazione l’”estetica” di Danto applicata alla Pop art si pone al di fuori di qualsiasi forma di riconoscimento sia estetico che filosofico ma anche artistico. (Nonostante la decontestualizzazione dell’opera sia stata utilizzata dalla corrente dadaista). Egli tenta di dare un definizione di arte in termini di omologazioni adottando per le differenze dei principî dalle condizioni necessarie e sufficienti. (La differenza da Danto indicata non è la decostruzione adottata da Jaques Derrida La scrittura e la differenza. In questo testo Derrida scrive che con scrittura si afferma anche un concetto di decostruzione linguistica. Questo evidenzia uno stretto legame tra la nozione di differenza, come differenza tra essere e enti, e la scrittura. La scrittura allora diventa trasmissione di orizzonti storico‐filosofici, ma al tempo stesso si presta a infinite interpretazioni non riconducibili a un senso unitario. Lo scritto va considerato come una rappresentazione dell’oblio dell’essere che è il fondamento costitutivo della metafisica. Attraverso la scrittura va escluso che si possa ricostruire un senso pieno dell’essere. Attraverso Derrida e la sua nozione di scrittura si può evidenziare come si giunge all’affermazione del progetto di una decostruzione della metafisica. La voce, che secondo Derrida quando la si articola è espressione diretta di un’interiorità e dell’identità del significato in quanto manifesta un contenuto di coscienza, si contrappone alla scrittura. La cultura logocentrica occidentale ha sempre considerato la scrittura come una forma derivata di una presunta verità originaria, considerando che il darsi della verità nell’espressione grafica indica un’origine inattingibile se pensata come univocità e come identità. Allora dovremmo intendere che per Danto la differenza sia la negazione del pensiero metafisico nell’arte Pop. L’arte Pop è ciò che si vede e a limite qualche volta “allude”. Nel saggio di Jacques Derrida Firma Evento Contesto, che negli USA ha alimentato uno dei dibattiti più animati e seguiti degli ultimi decenni, lo scrittore francese mette in risalto tale posizione partendo dalla considerazione della pluralità di senso del termine comunicazione. Infatti, afferma: “Secondo una strana figura del discorso, ci si deve dunque chiedere anzitutto se la parola o il significante “comunicazione” comunichi un contenuto determinato, un senso identificabile, un valore descrivibile”. Il termine  in esame apre un campo semantico che non si limita solo alla  semantica, alla semiotica e al linguaggio. Si può comunicare un movimento,  trasmettere una scossa, uno choc, un dislocamento di forza. Ma in questi casi  non si tratta di senso o di significazione, in quanto viene meno sia il contenuto concettuale, che uno scambio linguistico [anche con un’operazione semiotica].  Il campo di equivocità creata del termine “comunicazione”, quindi, pare si lasci fortemente ridurre ai limiti di quello che si chiama contesto. Ma «un contesto  non è mai assolutamente determinabile» e la sua determinazione non è mai sicura o satura, afferma l’ autore. Ed è per questo che da quasi trent’anni ho sempre sostenuto che il termine comunicazione dopo l’avvento della Teoria dell’informazione [1948]  vada disgiunto dall’altro termine che è quello di informazione e che è riconosciuto per aver introdotto nel “sentire estetico” le scienze attuali costruite sui sensori e sui sistemi di calcolo). Mentre Danto si avvale ancora dell’interpretazione ontologica heideggeriana, e giunge a delle conclusioni che possono essere sintetizzati nei seguenti sei punti per il riconoscimento artistico:. “1) un’opera d’arte è una struttura intenzionale. Possiede la proprietà di essere-a-proposito-di, che le cose invece non hanno; 2) è dunque una rappresentazione e deve essere causata intenzionalmente; 3) richiede un’interpretazione che ne colga i significati. Senza un’interpretazione potremmo individuare l’oggetto, non l’opera: l’interpretazione è costitutiva dell’identità di un’opera; 4) un’opera può essere a proposito di qualcosa solo in un certo contesto storico-culturale; 5) l’opera deve avere una struttura metaforica e richiede il contributo del fruitore per essere attivata; 6) nelle opere d’arte è decisivo il modo in cui la rappresentazione è a proposito di qualcosa: è ciò che Danto chiama stile. In seguito Danto si è limitato a proporre solo due condizioni necessarie per la definizione di un’opera: che abbia un significato e che questo sia indisgiungibile dal medium in cui prende corpo (embodied meaning). Avendo identificato ogni proprietà estetica con le proprietà percettive, Danto ha sostenuto anche che l’estetica non ha alcun ruolo nella definizione dell’arte. Compresa la propria essenza, l’arte è giunta così alla fine della propria storia. Dopo gli anni Sessanta, fiorisce solo come arte ‘poststorica’, aperta a tutte le possibilità, ma privata di ogni telos. L’unica novità aggiunta successivamente da Danto a questo quadro teorico è la ripresa della proprietà estetica tradizionale della bellezza (The abuse of beauty. Aesthetics andthe concept of art, 2003; trad. it. 2008), intesa però come «bellezza interna al significato» di un’opera già definita come opera d’arte grazie a proprietà non estetiche.” Su queste discutibili teorie c’è stato poi anche il fraintendimento da parte di molti allestitori sull’arte contemporanea dove il riconoscimento e la mediazione tra sentire e dato cognitivo è stato alienato creando addirittura dei paradossi nel riconoscimento artistico, a mio giudizio di infimo ordine, che invece permettevano ai grandi circuiti commerciali di lucrare su qualsiasi manifestazione artistica, in quanto costruita come evento per “consumatori d’arte” o per artisti che a contratto e a percentuale espongono in gallerie importanti, musei, fondazioni, fiere. rassegne internazionali, aste di solito tutte promosse da istituti bancari. Questo modello ha imposto un circuito di accrescimento di valore per alcune opere che a mio giudizio sono fondate su banali teorie dell’arte che non corrispondono ad alcun pensiero “storicamente” innovativo, che possa rappresentare questo nostro periodo foriero di tante scoperte nella scienza e nella filosofia dell’arte. Si è generato in alcuni forse la confusione o la illusione che nel lucro e nella pubblicità si conservano i nuovi “valori estetici” dell’arte.
[xxiii] Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, (1989).
[xxiv] Guy Debord,  La società dello spettacolo, (2001).
[xxv] La seduzione è considerata da Freud causa delle principali cause di una pulsione sessuale. La sessualità è stata utilizzata come rivoluzionaria specie dal Marchese De Sade e nel suo maggiore interprete del ‘900 con il libro filosofico e teorico L’Erotismo (1962) da Georges Bataille. Senza dimenticarci che Bataille è stato uno dei maggiori ispiratori del Surrealismo. Egli firmò molte sue opere, soprattutto i romanzi, con gli pseudonimi di Pierre Angélique, Lord Auch e Louis Trente. I temi trattati spesso avevano come oggetto una sfrenata pratica della sessualità e di un libertinaggio senza regole sociali, per cui preferì i romanzi spesso con gli pseudonimi, nel timore di probabili conseguenze verso la sua persona. Ebbe rapporti di collaborazione con Pierre Klossowski e le sue idee saranno importanti non solo per comprendere i movimenti del surrealismo e dell’esistenzialismo, ma anche per capire meglio il post-strutturalismo come quello di Gilles Deleuze e Michel Foucault.
[xxvi] Gorgia di Leontini, Encomio di Elena.