Anche con questo n. 38 del trimestrale multimediale “ZRAlt!” imperniato tematicamente sul binomio “Catastrofe & Creatività” ce l’abbiamo ancora una volta fatta. Guardando indietro nel tempo, a distanza di dieci anni dal varo del suo primo numero nell’estate del 2013, il concertante e qualificante apporto dei collaboratori attivi in diverse discipline, ha dato una tangibile dimostrazione di come si possa dare una mano, con il proprio contributo di natura esclusivamente culturale, nella “tessitura” della resistente/resiliente rete digitale di un antagonista “pensiero poetante” (George Steiner). Un approccio teoretico, il suo, che presuppone il difficile cortocircuito instaurabile tra pensiero (Heidegger) e parola (Celan), allorché dopo che i due si erano incontrati, nulla sappiamo delle rispettive reazioni.Ma ciò che resta: «è un’immagine, forse un insondabile mito, in senso platonico. Pensiero filosofico supremo e poesia suprema, fianco a fianco in un silenzio infinitamente significativo ma anche inesplicabile. Un silenzio che allo stesso tempo protegge e cerca di trascendere i limiti della parola che sono, come il nome di quella baita [si riferisce alla baita di Heidegger a Todmauberg, nda], anche quelli della morte».
Come non contrapporre a quel sincretico silenzio metafisico-poetico, l’assordante rumore dei quotidiani bombardamenti russi, circuitati pressoché in tempo reale dai vari media, sui centri abitati della sventrata Ucraina ridotti in frammisti cumuli di macerie e cenere? E le urla di quei poveri cittadini civili d’ogni età massacrati a caso da missili su missili, i fiumi di lacrime e sangue e tutte le altre indicibili violenze fisiche e psicologiche subite da un intero popolo martirizzato, come possono continuare coniugarsi con le urgenze terapeutiche della perseguibile parola Pace, mentre altre guerre in corso imperversano sull’intero pianeta, a tutto vantaggio delle aziende produttrici dei sempre più sofisticati strumenti di morte?
Forse sta proprio nella mediazione liberatoria di una creatività sprigionabile a 360 gradi, riuscire a contrapporre i catartici voli dell’immaginazione a questa aberrante catastrofe guerrafondaia generata da menti perverse e non già da una natura matrigna. Violentata a più non posso da un insulso pseudo progresso fine a sé stesso, finalizzato a rendere i ricchi sempre più ricchi ed intere comunità sterminate da fame e malattie. Natura che a modo suo si vendica a suon di terremoti, tsunami, dissesti idrogeologici, siccità, epidemie e via di questo nefasto passo, calamità tutte generatrici a loro volta degli inarrestabili e luttuosi – le decine e decine di migliaia di profughi ingoiati dal Mare Mediterraneo – flussi migratori.
Si devono al rimpianto Zygmunt Baumann, nel suo “Stranieri alle porte”, le riflessioni più pertinenti ed aggiornate su tutto ciò che ci sta capitando, con il rumore di fondo di una sempre più vicina Apocalisse, zittibile solo con un altruistico sentimento di solidarietà :«L’umanità è in crisi: e da questa crisi non c’è altra via d’uscita che la solidarietà tra gli uomini. Il primo ostacolo sulla strada per superare la reciproca estraniazione, è il rifiuto del dialogo, è il silenzio ch’è figlio dell’autoalienazione, delle distanze, della disattenzione, della noncuranza, insomma dell’indifferenza – e che al tempo stesso le alimenta».
È su questo deprimente scenario che i testi e gli apporti multimediali dei firmatari, in questo numero cercano d’innestare il loro “pizzico di visionarietà creativa”, anche con evocatrici parole-guida.
Come fa Pino Bertelli in Cecilia Mangini. Sulla fotografia della dignità. Ove quella parola “dignità” a lui tanto cara, emerge a tutto tondo sia nella filmografia d’una “scomoda regista” (scomparsa nel 2021): «… i suoi lavori figuravano il linguaggio spezzato del cinema mercantile e contenevano la ricerca della verità, dell’insofferenza, della giustizia dalla parte degli umili, degli sfruttati, degli offesi… Ignoti alla città (1958); Maria e i giorni (1959); La canta delle marane (1961); Essere donne (1965); Brindisi ’65 (1966); Domani vincerò (1969), La briglia sul collo (1972)…». E, saranno le ultime righe dedicate alla sua ricerca fotografica, a riassumere l’alto valore etico-estetico di questa straordinaria, ma misconosciuta protagonista della cultura visiva contemporanea: «La Mangini ha portato la realtà del dolore fuori dalla simulazione… ha attizzato le ferite sociali in tumulti dell’anima e ha fatto della mascherata generale, la trasfigurazione montante della civiltà dello spettacolo».
Per quanto concerne le arti visive, La società dello spettacolo e l’impero dello sgomento di Luigi Fabio Mastropietro, Cultura ed etica di Francesco Correggia, Arte Sacra More geometrico demonstrata? di Paolo Rico e Nino Gagliardi (“Il poeta del colore materico” nella retrospettiva a L’Aquila) di Antonio Gasbarrini, affrontano sotto varie angolazioni alcune vicende dell’arte contemporanea.
È la straordinaria, possente figura del situazionista Guy Debord, uno dei più autentici rivoluzionari pensatori della seconda metà del Novecento – profetico interprete de “La società dello spettacolo” (1967) che andava delineandosi nei Paesi capitalistici a tecnologia avanzata – ad esserci restituita a tutto tondo con la tagliente, chirurgica scrittura di Luigi Fabio Mastropietro, ritmata musicalmente dalla soundtrack originale di Mari de Jesús Correa e dall’apporto fotografico di Marcella Cicchino. Ripercorrendo nella prima parte (“il dio fucilato: racconto delle ceneri”) gli ultimi istanti della sua vita e motivando, nella seconda (“l’arte di morire d’arte: sette tesi sul suicidio di Guy Debord”) le ragioni dell’irreversibile scelta. Ma: «Lo spirito immortale di Guy Debord aleggia ancora inquieto su questo deserto di parole. L’uomo contemporaneo ha perduto da tempo il senso della realtà quotidiana, cancellata dallo spettacolo planetario integrato del mercato globale».
Da artista, performer e scrittore, Francesco Correggia si è posto ed ha posto anche in alcuni suoi testi già pubblicati su ZRAlt!, una serie di domande sul rapporto tra cultura ed etica. Approdando ad originali valutazioni sia d’ordine filosofico che estetico, mediante le quali suggerisce la necessità di un riposizionamento operativo tra le due sfere, a loro volta dialoganti con la natura e la tecnica (si pensi al rivoluzionamento digitale in corso). Pertanto:«Dobbiamo ora cominciare a pensare ad una creazione continuamente rinnovata, una epifania dello sguardo che palpeggia il mondo non solo guardandolo ma assumendolo in una dimensione interiore, spirituale».
Un suo dipinto, facente parte di un ciclo su vari filosofi, è stato dedicato, come si può ben vedere nell’articolo, a Spinoza. Il caso ha voluto che in questo stesso numero della rivista appaia lo scritto di Paolo Rico, il quale sotto un’angolazione ben mirata circa le interrelazioni da lui approfondite tra l’etica spinoziana, l’arte sacra (soprattutto di oggi, in un contesto sociale e storico radicalmente cambiato) ed il suo substrato geometrico, precisa tra i tanti altri spunti: «Il tema e le conclusioni spinoziane non entusiasmano sempre e comunque. All’«ordine geometrico» – per fondare una coerenza rigorosa, un’implementata integrazione tra realtà, potenza del divino con diretta traducibilità creativa in arte – sembra preferita la formula del «Deus sive Natura». Ma l’«ordine geometrico» consente – insisto – di preservare la razionalità del reale secondo categorie deduttive consapevolmente matematiche. Grazie ad una considerazione panteista di Spinoza, che spinge per identificare Dio con la Natura».
Più vicino alla storia recente dell’arte moderna e contemporanea, è il testo di Antonio Gasbarrini il quale, nella sua ampia trattazione su una retrospettiva dedicata al pittore e poeta Nino Gagliardi, ripercorre sia le fasi salienti della sua instancabile ricerca visibile in mostra (opere 1958-1994, data della scomparsa), che le vicende della sua contiguità espressiva con i vari movimenti della neo-avanguardia italiana nell’arco temporale degli anni ’60-’70, contiguità del tutto abbandonata allorché propone opere appartenenti al ciclo dei Fossili e degli Spaccati geologici : «Ed ecco allora che tutto il suo magistero inventivo è stato questa volta rinverdito da un sasso capitatogli casualmente tra le mani, con le impronte del fossile impresso. Nello sfiorare quelle cicatrici svuotate di vita e di movimento, è stato quasi subitaneo riandare, con la sua indomita quanto fertile immaginazione, alle origini di un segno vitale imbevuto di sangue, linfa, ossigeno, acqua e luce».
Sul versante letterario, due sono gli apporti: per la poesia possiamo incontrare Ogni luce (Cinque liriche con commento scritto e recital in video) di Marco Tabellione, mentre Brodaglia di polvere di Mario Serra, fonde il testo di un suo racconto con la relativa sceneggiatura teatrale.
Già il titolo, chiarisce la triplice veste indossata da Marco Tabellione per le sue cinque poesie qui proposte (La luce apice, Tornare, Mi vedrai, Riprendiamoci il sole, Ti porterò sulle ciglia), la delucidazione prosastica delle stesse ed una sorta di monologo, in cui l’autore, senza alcuna remora di sorta, ci mette anche il primo piano della sua faccia. In ultima analisi, una sorta di performance intratestuale, il cui incipit chiarisce molto bene il rapporto da lui instaurato tra forma e contenuto: «“Il passaggio alla luce” è la chiave di lettura di queste liriche. In esse vige una scelta di base, una predilezione per il lato spirituale dell’esistenza, o meglio la considerazione che ciò che di davvero esaltante c’è nell’esistenza sia spirituale, e lo spirituale è ciò che ci differenzia dal resto dell’universo. Certo materia e corpo esistono e ci condizionano, ma il loro condizionamento, appunto, si svolge nella sfera spirituale e sentimentale».
Per Mario Serra, i surrealisteggianti paradossi visivi e scritturali, sono la “brodaglia” con cui ci restituisce, attraverso l’insanabile scarto esistente tra realtà e finzione, tutta la dimensione grottesca da cui siamo spesso avvolti senza minimamente accorgercene. Il suo testo base, rielaborato da Massimo Finelli Balestra per la trasposizione teatrale abbinata anche alle proiezioni di alcune opere dell’artista molisano, è così ulteriormente vivificato dall’innesto di altri registri espressivi. Ecco un chiarificatore cucchiaino della sua brodaglia: «Annuso costantemente il pensiero… Cerco il punto di sintonia».
Spetta infine a La moda delle dive degli anni ’50 e ’60 in una mostra a L’Aquila di Alessandra Carducci, renderci conto più di un aspetto della componente creativa insita in un settore che ha ancora molto da dire in merito. Per di più se la stessa è abbinata alle «dive degli anni’50 e ’60», in questa sua pertinente recensione: «Sette abiti soltanto, presentati proprio come le dive li avevano avuti addosso nelle diverse occasioni, hanno comunque permesso di creare un immaginario, di percorrere un viaggio nella memoria e far affiorare frammenti di film, video televisivi, di vita che testimoniano un periodo storico e cinematografico».
Indice Binario
Fotografia
Pino Bertelli Cecilia Mangini. Sulla fotografia della dignità
Slides + video
Arte
Luigi Fabio Mastropietro La società dello spettacolo e l’impero dello sgomento
1 Portfolio + 1 Soundtrack +video
Francesco Correggia Cultura ed etica
Slides
Antonio Gasbarrini Nino Gagliardi (Il poeta del colore materico nella retrospettiva a L’Aquila)
1 Portfolio
Paolo Rico Arte Sacra More geometrico demonstrata?
Slides
Letteratura
Marco Tabellione Ogni luce (Cinque liriche con commento scritto e recital in video)
1 video
Mario Serra Brodaglia di polvere
Slides + video
Moda
Alessandra Carducci La moda delle dive degli anni ’50 e ’60 in una mostra a L’Aquila
Slides
ALCUNI TITOLI DEL PROSSIMO NUMERO 39 DI ZRAlt!
Pino Bertelli Album AUSCHWITZ – Sulla fotografia criminale nazista
Antonio Gasbarrini Dialogando con il filosofo Antonio Rainone sul suo ultimo libro “La sartoria di Lacan. Sulle geometrie del desiderio e l’etica del godimento”
Cam Lecce e Jörg Christoph Grünert “Revolutianary street puppets”. La creatività partecipata. Report dal 21esimo Janana Summer Encounter. Libano 2022
Ivan D’Alberto 180 minuti per segnare un passaggio epocale
Marco Palladini Intelligenza Artificiale vs. Poesia?
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