Ritrovare di nuovo un rapporto che sempre si rinnova e riposiziona tra etica e cultura, etica e dimensione tecnica, etica ed estetica, cultura e natura ora appare quasi ineludibile nel nostro rapporto con la dimensione tecnologica e la stessa prassi digitale del contemporaneo
di Francesco Correggia
Come aveva intuito Georg Simmel, l’uomo deve abbandonare quella separazione tra etica e cultura che ancora domina il soggetto. La questione non sta solo nei termini di una responsabilità comune che è anche istanza di libertà e dovere, ma di una riconversione dei valori che investe tutti e tutto. La corrispondenza fra etica e cultura ora tocca direttamente il tema del rapporto dell’uomo con la natura. L’avvento delle nuove tecnologie, la crisi del pianeta, e una guerra alle porte dell’Europa ripropongono il tema della riflessione etica intorno alla responsabilità comune e alla rottura del rapporto fra l’uomo e la natura.
Tali concetti appaiono non solo rovesciati ma quasi determinanti rispetto alle attuali pratiche sociali come il web e le piattaforme digitali. Il mondo standardizzato e in rete sembra aver messo in dubbio ancora di più anche l’unità fra etica e natura, il che è anche rapporto dell’uomo con le altre specie del pianeta. I media non fanno altro che ampliare questa distanza alimentando la totale assenza di virtù etica e di responsabilità che rende impossibile una nuova ottica geopolitica.
Occorrerebbe aprire una seria discussione sulla validità dei sistemi economici, finanziari e giuridici che dominano il soggetto, soggiogandolo asservendolo o almeno concepire una riflessione sui modi del vivere quotidiano, sullo stesso visibile e sullo sguardo che non percepisce più le cose, il mondo, la realtà. Invece non accade assolutamente nulla.
Sembra che al margine di tale situazione ci sia solo l’abisso che non è il vuoto da cui poi si rinasce e si ritorna ma la totalità nullificante dell’inerzia, l’annullamento di quello spirito che aveva fatto credere che potesse esistere una possibilità etica, discorsiva e soprattutto, un’arte capace di rinsaldare, l’essere con il tutto, restituire la trama tra visibile e invisibile.[i]
Non, dunque, quell’inerzia angosciosa dell’attesa di colui che ci salva ma quella che apre ad una dimensione letteraria e poetica salvifica e rigenerante di quella coscienza che appartiene all’essere umano, al suo vivere con la natura, con la sua essenza. e non solo col suo apparire. Una conoscenza/coscienza altra, una renovatio del corpo e dello spirito verso l’altro da sé, una cultura immersa nella natura e con essa solidale. Una creazione verso un’instaurazione del legame tra Dio e mondo, creatore e creatura, riorientamento del mondo e rottura con le logiche del capitalismo finanziario. Dobbiamo ora cominciare a pensare ad una creazione continuamente rinnovata, una epifania dello sguardo che palpeggia il mondo non solo guardandolo ma assumendolo in una dimensione interiore, spirituale.
Il rapporto tra natura e cultura, estetica e politica sembra ridiventato il tema dominante di molta arte contemporanea così come appare preminente il farsi avanti di un altro tema fondamentale: il rapporto fra arte e democrazia. Abbiamo a che fare con una discesa nel simbolico che presuppone una caduta e una risalita ciclica. Si tratta di un processo di sostituzione, dall’archetipo e dalla cifra trascendentale all’incarnazione della mente, ad una simbolica delle sensazioni e le emozioni, ad un canale cinestetico (embodiment) caratterizzato dai nuovi media.
Slides (a cura di Francesco Correggia)
L’universo in cui siamo immersi con le sue logiche comunicative, mediali, biotecnologiche sembra aver bisogno di una soggettività tutta nuova in direzione di un riconoscimento, di un’autorità. Il ritorno dei nazionalismi all’interno della comunità europea ne è una prova evidente.
E l’arte come prolungamento di un mercato globale sembrerebbe promuovere tale logica con un ethos che viene dalle merci, le quali costituiscono il grande ornamento della realtà. Nell’arte contemporanea, nelle installazioni, nelle performance, nella video arte, riconoscimento, identità, immagine e corpo si sovrappongono. Così accade che la differenza fra simbolico e realtà non ci sia più come non è più percepibile quella fra immagine e corpo. Tutto è visibile ed esposto.
Il trascendente si piega alla terra, al nomos. La simbolizzazione e il capitalismo estetico si sostituiscono al Katéchon, al potere che frena.[ii] Il katéchon (in greco “colui o ciò che trattiene”) è una misteriosa figura introdotta dall’apostolo Paolo nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Paolo rimprovera agli abitanti di Salonicco di comportarsi come se la fine dei tempi sia davvero imminente, con la conseguenza di trascurare i loro doveri mondani. L’apostolo ricorda quindi che, come già anticipato da lui in altre occasioni, devono verificarsi alcune condizioni prima del ritorno di Cristo. Intanto deve realizzarsi il trionfo del falso Messia, l’Anticristo (destinato ovviamente a essere sconfitto da quello vero nella battaglia finale), ma prima ancora deve essere spazzato via, appunto, ciò che “trattiene” l’Anticristo dal manifestarsi, il katéchon. Esso svolgerebbe una funzione di freno nei confronti dell’auspicato ritorno di Cristo e della sua vittoria finale. Se così fosse l’Anticristo non verrebbe mai svelato e così l’avvento di Cristo sarebbe rimandato all’infinito.
Al di là della polemica fra Blondet e Cacciari su chi fa il tifo per l’avversario, cioè per Satana, si viene a delineare la fine della simbolica trinitaria padre figlio e spirito santo che aveva caratterizzato la teologia politica e l’estetica della modernità con una lunga agonia del senso della storia.
La dissoluzione nostalgica del katéchon che allungava i tempi della fine in attesa del Messia porta ad una specie di desiderio di reincantamento, di riallineamento dei sensi.[iii]
Il problema è che, anche se tale riallineamento del desiderio sia quasi salvifico, esso sembra negare la natura e guidarci verso un regime mediale estetico dilatandosi a dismisura. C’è voglia di imperi nella vecchia Europa e le nuove guerre ne sono una conseguenza. La separazione fra occidente ed oriente si fa sempre più netta.
E d è da questo contesto di crisi e di rischio di una guerra nucleare che la nostalgia del Katéchon appare dal fondo del nostro mondo ma anche nelle pieghe dell’arte contemporanea. Arte che sembra diventare sempre più pubblica, partecipativa ed abbracciare i problemi del pianeta mentre in definitiva essa appare sempre più resistente, legata ad un’economia che la vincola alle forze produttive ed economiche del sistema finanziario e speculativo. Quelle stesse forze che schiacciano il pianeta e si contrappongono alla natura.
Anche se le dichiarazioni della politica sono per un cambiamento, per una prospettiva ecologica e umana, per una riconversione industriale, tale soluzione è negata dai fatti, poiché il capitalismo si è trasformato in estetica che ormai scivola dappertutto senza limiti abbagliando i sensi, così che anche quel potere che frena (katechon) non sia più possibile se non con una ritrovata mistica che sappia di nuovo ricomprendere, riascoltare, raccogliere.
Ci stiamo avviando verso lo svelamento dell’Anticristo, avvento che precede l’arrivo del Messia oppure siamo immersi nella logica del potere che frena?
La rivelazione, sostengono i mistici, rinnova la creazione primigenia nel presente che viene sempre nuovamente creato, poiché già quella creazione primigenia altro non è che la profezia suggellata che Dio giorno dopo giorno rinnova: l’opera dell’inizio.[iv]
Questo inizio si rinnova poiché l’uomo prima ancora di essere soggetto, è preso in una relazione con altri uomini, relazione che è etica prima che sociale o politica.
Per E. Lévinas, ciò che caratterizza l’uomo è la sua “inevitabile possibilità” di rapportarsi all’Altro, il che non può essere ricondotto all’io, perché resta sempre esteriore alla coscienza, situato al di là di essa.[v] L’epifania, e dunque la manifestazione dell’Altro, avviene nel dialogo, nel faccia a faccia. L’Altro è quindi una rivelazione concessa in particolare dal volto, che è il mezzo di comunicazione primo e lo strumento attraverso il quale l’umanità di ciascuno si palesa.
A quanto pare è proprio il faccia a faccia ad essere inghiottito dal mondo digitale. Il colloquio fra uomo e natura si è interrotto, il margine si è rotto. Ora dilagano i torrenti. I fiumi si sono gonfiati, i ghiacci si sciolgono, il mare conquista pezzi di spiagge, le inondazioni sommergeranno interi quartieri e pezzi di paesaggio, mentre imperterriti ci avviamo ad un riarmo massiccio, alimentando guerre, dispute e odio. Ciò che l’uomo aveva sapientemente costruito ora viene distrutto. Il neoliberismo mostra il suo vero volto: la negazione dello spirito, la supremazia sulla natura e perfino la negazione dell’uomo.
Siamo lontani non solo da ogni epica ma anche da ogni attribuzione di valore. Esserne lontani significa non avere più valori fondanti e neppur valori nuovi da condividere, quelli formali, linguistici, etici, discorsivi. Lontani da ogni senso e da un’etica dei valori, tutto si riduce ad una celebrazione narcisistica, al rito della menzogna dichiarata, di una narrazione superata, desueta, priva di spiragli di luce, di parole vere, di tristizia lieta e feconda. Siamo nella melma. Il valore etico deve sussistere come valore particolare nella funzione dell’agire stesso. Deve trovarsi cioè nel motivo, nel principio vitale del volere. Il volere stesso, scrive Simmel, è etico. Esso non consiste nel contenuto distaccato dal valore. Non è che venga realizzato un contenuto il cui valore viene accettato da qualche altra parte, ma è l’eticamente fondato di valore, a permettere che il contenuto venga realizzato.[vi]
Ci sono, dunque, contenuti che possono venir realizzati soltanto attraverso la negazione della volontà e divenire così specificamente etici ed estetici. L’etica non è solo una questione di rapporto tra cultura e natura ma il fondamento stesso dell’agire che fa, diviene contenuto. Il punto non è più la necessità di essere narrati, riconoscersi in un passato in una dimensione antropologica: tutti noi esprimiamo questo desiderio.
La stessa dimensione linguistica di questo agire non è più sufficiente a liberare l’arte dalle mille storie e narrazioni che si sovrappongono l’una all’altra nell’universo mediatico poiché essa deve essere intesa all’interno del contenuto stesso, all’interno cioè di quell’etica della rappresentazione del volere che è la vera essenza del vivere sociale e dell’Estetica in generale.
Ritrovare di nuovo un rapporto che sempre si rinnova e riposiziona tra etica e cultura, etica e dimensione tecnica, etica ed estetica, cultura e natura ora appare quasi ineludibile nel nostro rapporto con la dimensione tecnologica e la stessa prassi digitale del contemporaneo. È qui che si misura la capacità dell’essere umano, di potere invertire la rotta del disastro. È ancora, la stessa parola dell’uomo e l’arte come interiorità ad aprirci ad una nuova stagione estetica. Siamo noi, la nostra specie ad essere chiamata a questa nuova responsabilità fatta di contenuti ed eticamente discorsiva.
È attraverso una nuova riscoperta dei sensi e non solo del senso d’essere che si deve avviare una conversazione, un colloquio con l’altro da noi, con quell’assolutamente altro che neghiamo costantemente. In una vera democrazia l’arte deve tornare ad essere rivelazione anche illegittima del senso d’essere rispetto al dominio delle classi dirigenti e al regime estetico politico e finanziario; deve infine ritornare ad essere trasversale, obliqua opponendosi al Katéchon, di nuovo al potere che frena. La strada che apre al ritorno del vero messia è aperta, l’anticristo è qui con noi e nessun potere lo frena.
[i] MerlauPonty Visibile e invisibile, Bompiani, Milano, 1973
[ii] Si legga a tale proposito il libro di Massimo Cacciari, Il potere che frena, Adelphi, Milano, 20
[iii] Federico Vercellone, L’età illegittima, Estetica e politica, Cortina editore, Milano, 2022
[iv] La stella della redenzione, trad. it. di G. Bonola, Casale Monferrato 1985, pp. 118-119. Rosenzweig fa sua l’idea che la creazione si rinnova «in ogni minimo istante particolare», anche se – sulla scia di Maimonide – si tratta per lui di una provvidenza «universale», che riguarda le cose particolari solo indirettamente: cfr. pp. 129-130.
[v] E. Levinas: Totalità e infinito, Jaca book, Milano, 1977
[vi] G. Simmel, L’etica e problemi della cultura moderna, Guida Napoli, 1968
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