“Seminiamo Arte III” non ha trascurato di far dialogare la laicizzante lingua formale della contemporaneità estetica, con la spiritualità tuttora aleggiante in alcune delle sedi espositive prescelte, quali i Monasteri di Clausura di S. Amico e di S. Basilio, oltre al Convento di S. Angelo d’Ocre
di Antonio Gasbarrini
con
Paola Babini, Paolo Dell’Elce, Giulia Del Papa, Barbara Pavan, Valeria Tassinari
In netta continuità con le prime due edizioni della rassegna interdisciplinare “Seminiamo Arte” (2021e 2022) svoltesi nel pieno della pandemia Covid-19 tenute nel Borgo di S. Lorenzo del Comune terremotato di Fossa – ove tuttora vive la diasporizzata comunità a circa 15 anni dal terribile sisma delle 3.32 –, “Seminiamo Arte III” ha centrato la scorsa estate la decina di obiettivi programmati. Tutti all’insegna della duplice parola d’ordine “Seminiamo Arte Contemporanea diffusa nel centro storico medievale della ‘Magnifica citade” (così come definitiva Aquila nel Trecento il cantore Buccio di Ranallo nella sua Cronica) e “Arte Contemporanea collante della rigenerazione civica”.
Promossa e organizzata dal Museo dei Bambini L’Aquila (MuBAq) che ha la sua sede espositiva nel Borgo, forte di una nutrita serie di opere di artisti italiani e stranieri, nonché di sculture e installazioni site-specific nel Parco delle acque, l’iniziativa culturale dalla forte connotazione interdisciplinare (oltre alle mostre, performance, reading e concerti hanno interloquito con le stesse), ha anche fatto scoprire o riscoprire ai numerosi fruitori alcune delle bellezze architettoniche e naturalistiche rimesse a nuovo dopo la terribile devastazione sismica.
Curata nelle sue linee generali e in alcune delle sezioni in cui è stata articolata la Rassegna, dalla direttrice del Mubaq – l’artista Lea Contestabile – e dal critico d’arte Antonio Gasbarrini (estensore di questa nota), con il coinvolgimento curatoriale di Paola Babini, Paolo Dell’Elce, Giulia Del Papa, Barbara Pavan e Valeria Tassinari, la collaborazione dell’Accademia d’Arte di Ravenna e l’apporto dell’Associazione romana “TRAleVOLTE”, “Seminiamo Arte III” non ha trascurato di far dialogare la laicizzante lingua formale della contemporaneità estetica, con la spiritualità tuttora aleggiante in alcune delle sedi espositive prescelte, quali i Monasteri di Clausura di S. Amico e di S. Basilio, oltre al Convento di S. Angelo d’Ocre. Le mostre allestite nei tre spazi espositivi carichi di storia, hanno inteso di valorizzare e promuovere l’identità civica, culturale e spirituale della città dell’Aquila, attraverso il confronto dialettico tra l’architettura e l’arte del passato con la cultura visiva contemporanea. Legate a doppio filo non solo al concetto di Bellezza, ma anche quali spunti di riflessione, nonché portatori di valori umani di armonia e solidarietà. Attrattivi anche per la crescita di un turismo culturale consapevole, in grado di instaurare un nuovo rapporto con l’ambiente. A seguire i testi critici dei curatori delle varie sezioni e le recensioni di alcune di esse effettuate da Antonio Gasbarrini sulle pagine del quotidiano “Il Messaggero d’Abruzzo”.
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A DUE PASSI DAL CIELO º
di Valeria Tassinari
(Artist*: Lea Contestabile / Paolo Dell’Elce / Giulia Napoleone / Marco Pellizzola)
La prima volta che ho sentito nominare la forza di attrazione celeste stavo ascoltando Erri De Luca, poche parole appassionate, in quel suo modo preciso, profondo ed essenziale di dire le cose della vita. Era una sera in cui lo scrittore era stato invitato a tenere una conversazione pubblica, nel parco di una casa rurale, un centro sociale in una località piuttosto periferica della pianura emiliana, senza luci della ribalta: solo un piccolo faro, un microfono sotto la luna, e lì si stava, insieme, seduti in ordine sparso, avvolti da quella strana intimità che si crea tra tante persone che non si conoscono ma che si riconoscono. Appena l’ha evocata, davanti a quella platea silenziosa di lettori arrivati per ascoltarlo, le sue parole sono diventate una corda tesa verso l’alto, l’invito a un esercizio di funambolismo verticale. Quella sera, ormai notte, aveva già parlato di politica, di natura, di cammini, di montagna, di mare, di ferite, di paternità mancata e di altre assenze. A un certo punto, quasi scivolandoci dentro, ha nominato un verso della sua “poeta (sic.) russa preferita Marina Cvetaeva: «Oltre all’attrazione terrestre esiste l’attrazione celeste». Per lui non era certo la prima volta, in seguito ho scoperto che il riferimento è comparso e continua a comparire spesso nei suoi discorsi e nei suoi scritti. È una citazione che viene a galla e prende il volo.
Della forza di attrazione celeste Erri De Luca afferma: «Esiste. È la bellezza, una spinta dal basso verso l’alto che sovverte la legge di gravità, la sua schiacciante necessità. La bellezza, grazia e gratis all’opera, ne annulla il peso».
A differenza dell’altra forza – quella terrestre, che si rivela a noi nella caduta delle cose – di questa forza dell’ascesa nessuno ha mai pensato di doverci insegnare la formula. L’attrazione celeste è una forza mutevole e senza legge, scopri dall’evidenza delle prove che è ovunque, stupisce non averci pensato prima, perché la vedi e la senti dappertutto. La vedi negli alberi e negli steli che crescono, nelle catene delle montagne, nelle maree, nel fuoco, la senti nell’aria respirata che diventa più calda, nelle voci, nelle note e nelle preghiere. Esiste negli occhi che si alzano a guardare tutte le declinazioni del blu. Esiste dall’inizio, e forse per questo ci si è dimenticati di nominarla.
Come nella Natura anche nell’Arte la potenza di questa forza si vede bene, ed è strano che a volte le loro manifestazioni siano così diverse, mentre in questo elevarsi da terra si somigliano profondamente. C’è l’azzurro, che non mente; poi ci sono la leggerezza, l’ascesa, la materia che si imbeve di luce. C’è lo spazio che si allenta, si dilata, invita, è sollievo e apertura, affaccio e soglia. La prova delle immagini è potenzialmente senza fine, a pensarle si inseguono rapide: la notte stellata di Galla Placidia, le cupole d’oro dei monaci bizantini, l’incastro perfetto del corpo di Leonardo nel cerchio e nel quadrato, i fuggitivi cieli barocchi, le mani dei santi protese al sole e quelle che giocano con la luna. Le dita di foglia della Dafne di Bernini. Rothko, Klein e Kiefer. Il Roden Crater di Turrel. L’Ascensione di fumo messa in scena da Kapoor nella penombra di San Giorgio Maggiore a Venezia. Le prime gemme della cattedrale vegetale di Giuliano Mauri ad Arte Sella. Il volo dei poveri sulle ramazze in Miracolo a Milano. Gli angeli, tutti i cieli, i dormienti, i sognatori. Ognuno di noi, se ci pensa un attimo, trova il suo immaginario sul quale poter salire, piolo dopo piolo, come sulla scala d’oro di Giacobbe.
Anche in questa mostra,che accosta il lavoro di artiste e artisti indipendenti, suggerendo traiettorie ascensionali, sulle quali registrare affinità non programmate, ma certamente riconoscibili, ci troviamo di fronte a delle prove. Manifestazioni inconfondibili dell’incessante esercizio di attrazione dal trascendente, ci invitano a metterci alla prova in quella dimensione dell’esistenza che, nella fisica tanto quanto nel pensiero, sta ben al di sopra della linea di orizzonte.
Prove di volo, fiabesche e narrative, nelle figurine che Lea Contestabile ritaglia da un album dei ricordi intimo e ritesse in giochi di equilibrio, danzanti e musicali quanto fragili, purezza d’infanzia sulle punte, tra gatti lune e fiori, tenerezza sempre minacciata dalla precarietà del sognare come antidoto alla vita.
Prove di blu, nell’intensità cromatica della pittura di Giulia Napoleone, in quei «paesaggi di puntini» che l’artista riconosce come specchio interiore, in una pratica di rigoroso controllo della materia e di lirica trasposizione della presenza dell’essere in entità figurali minime, che si aggregano e dispongono sulla superficie tracciando sempre nuove ipotesi di esistenza.
Prove di luce, nell’Attimo d’azzurro di Paolo Dell’Elce, la fotografia usata come rivelatore dell’essere, un’apertura al bene che si rivela in ciò che lo sguardo sa vedere, oltre gli steli, oltre i rami, seguendo la via indicata dai nostri ancestrali maestri nascosti nelle fibre vegetali, fibre sapienti, che puntano in alto, sempre, fino a quando la linfa scorre.
Prove di rispecchiamento tra cielo e terra, infine, che si declinano poeticamente nell’installazione pittorica e oggettuale di Marco Pellizzola, artista che da tempo ha individuato la dimensione del “celeste” come territorio della sua ricerca espressiva sia dal punto di vista cromatico – per la particolare tonalità di colore che domina gran parte dei suoi lavori – sia come tema iconografico, identificabile nell’intreccio di traiettorie che ci consentono di intuire il mistero del nostro essere semplicemente ombre in un controluce di stelle.
º Sezione a cura di Valeria Tassinari, F’ART – Spazio Arti Visive, L’Aquila (6/28 luglio 2023).
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La COLLEZIONE INTERNAZIONALE del MuBAQ A PALAZZO CAMPONESCHIº
di Antonio Gasbarrini
(Artist*: Sadik Adinok / Irmak Akcadogan / Çimen Bayburtlu / Angiola Bonanni / Pesent Dogan / Yvonne Ekman / Nilufer Ergin / Nazan Erkmen / El Fenni / Lawrence Ferlinghetti / Oan Kiu / Atalay Mansuroglu / Ana Maria Negara / Ayse Nuriye / Rezakhan / Raul Rodriguez / Virginia Ryan / Susanna Talajero / Naoya Takarahara / Shahroo Khradmand / Mohamed Raiss / Carlos Rivera Lauria / Cristian Ungureanu / Sehnaz Yalcin / Yongxu Wang / Gisela Weimann)
In quella che può esser considerata la culla storica della vita universitaria cittadina qual è Palazzo Camponeschi – già sede del Collegio dei Gesuiti e poi delle Facoltà di “Magistero” e “Lettere e Filosofia”, adibita attualmente a Sede centrale del Rettorato dell’Univaq ed altri uffici –, la mostra della Collezione internazionale d’arte contemporanea del “Museo dei Bambini” allestita nei suoi spazi barocchi nell’ambito della Rassegne interdisciplinare “Seminiamo Arte III. Arte diffusa a L’Aquila”, fa un po’ da ponte tra il suo passato neo-umanistico e la ricerca in atto nel mondo nel settore delle arti visive. Le installazioni, i dipinti, le sculture e le grafiche di circa 25 artiste ed artisti operanti in una quindicina di Paesi africani, orientali, europei ed americani, interagiscono all’unisono nell’unificante segno d’una ricerca estetica erede sì delle varie culture nazionali, ma ben aggiornata in fatto del modernizzante e modernizzato lessico sintonizzato con la sensibilità fruitiva dei nostri giorni. L’apertura delle nostre note sul Taccuino l’affidiamo alle due installazioni donate al MuBAq dalle artiste Gisela Weimann e Virginia Ryan, ove le due scarpine bronzee dei tanti bambini affogati nel Mediterraneo della prima ed i cocci sismici fossolani di servizi ceramici da tavola dialoganti con porose pietre inglobate, dell’altra, visualizzano con un flash le tante tragedie di cui siamo testimoni.
Stranieri per nascita e vissuto nella prima giovinezza, ma cittadini a tutti gli effetti per aver qui studiato ed esercitato la professione, l’argentino Raul Rodriguez (scomparso prematuramente due anni fa) con il volo poverista del suo aquilone trainante sagome cartacee di una scala e l’iraniano Rezakhan con l’intreccio di frammenti calligrafici, fanno danzare nell’aria i segni della loro poetica meticciata.
I due binari principali della figurazione “tout-court” e dell’aniconismo a tratti concettuale, possono ravvisarsi subito nell’ossuta grafica della coppia proposta in piedi su una barchetta dallo smaliziato Lawrence Ferlinghetti.
Costretti a tener conto del limitato spazio tipografico disponibile, si cercherà ora di dare una sintesi delle varie poetiche in campo. Sempre in ambito neo-figurativo, emergono subito corpi e volti (soprattutto femminili) in cui è la dimensione onirica dell’incubo a prevalere, segno di un disagio esistenziale vissuto in Paesi (quali Turchia e Cina) in cui le libertà democratiche garantite in ambito occidentale, sono ridotte al lumicino se non del tutto negate. Gli stessi spunti paesaggistici, poi, non hanno nulla da condividere con i gioiosi “plein air” degli impressionisti, attratti come da un fraseggio compositivo in cui sono più le ombre che le luci a prevalere in una tavolozza enigmatica quanto mai. Varie eco neo-avanguardiste e graffitiste si riscontrano in altre installazioni e grafiche, quasi a sottolineare l’inesistenza di confini creativi per un’arte moderna e contemporanea travalicante nazionalismi identitari di ogni sorta, arte da sempre protesa ad instaurare rapporti relazionali tra musei, artisti e fruitori, così come hanno ben dimostrato i bei nomi della Collezione internazionale del MuBAq sino a qui recensita.
° Sezione a cura di Lea Contestabile e Antonio Gasbarrini – L’Aquila, Palazzo Camponeschi (13 luglio /30 agosto). La recensione di Antonio Gasbarrini è stata pubblicata sul quotidiano Il Messaggero Abruzzo del 28 luglio 2023.
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LA MOSTRA FOTOGRAFICA DELL’ARTISTA ARMENO ARAN KIAKOSYAN º
di Paolo Dell’Elce
La ricerca formale e la sperimentazione linguistica hanno un peso rilevante nella fotografia di Aram Kirakosyan, i suoi lavori hanno sempre una solida struttura visiva e il suo segno fotografico è deciso e impattante. Questo formalismo, tuttavia, non irrigidisce e non riduce la forza della sua fotografia che balza agli occhi in tutta la sua pienezza semantica ed estetica.
Il poeta Osip Mandel’śtam scrive: «gli uomini dalle grandi bocche e dagli occhi trapanati direttamente nel cranio: gli armeni». Mi ha colpito molto quest’immagine cruda, da parte mia ho sempre colto un velo di tristezza negli occhi degli armeni che ho incontrato e questo me li ha fatto amare subito.
Guardando il lavoro di Aram mi si palesa un possibile senso per queste parole. Vedere non è una scelta, ma è forse un destino, un destino doloroso “trapanato direttamente” nella struttura ossea del vivente, dell’uomo o almeno dei veggenti.
Fotografare è trapanarsi il cranio con una macchina fotografica. È come puntarsi una pistola alla roulette russa. Aram Kirakosyan come ogni fotografo ha lungamente praticato questo gioco su di sé. Ogni presa di coscienza passa attraverso l’autovisione: la “fase dello specchio” ritorna a più riprese nella vita di un uomo. “Chi è quel signore che avanza l’inammissibile pretesa di essere me?” si chiedeva Paul Valéry. Ecco riaffacciarsi l’enigma dell’identità, l’Altro da sé e l’Altrove dimensioni speculari dell’esistente. “Lì si incominciano a vedere le cose” scrive Pessoa. L’Altrove è dove l’occhio si apre all’invisibile.
° Sezione a cura di Paolo Dell’Elce – L’Aquila, One Gallery (15 / 31 luglio). Testo tratto da “Qui è come altrove” catalogo Stills of Peace IX Italia e Armenia, 2022, Delloiacono Edizioni.
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LA COLLEZIONE DEL MuBAQ NEL PALAZZO STORICO TRE MARIE º
di Antonio Gasbarrini
(Artisti*: Emilio Alberti / Paola Babini / Angiola Bonanni / Lorenzo Bruno / Silvano Bussotti / Paolo Canevari / Tommaso Cascella / Lucilla Catania / Susanna Cati / Primarosa Cesarini Sforza / Frode / Donatella Giagnacovo / Maria Lai / Gino Marotta / Fabio Mauri / Carola Masini / Felice Nittolo / Luigi Ontani / Antonıo Quaranta / Giancarlo Sciannella / Silvano Servillo / Cesare Tacchi / Susana Talayero / Alberto Timossi / Stefano Trappolini / Francesco Vitali Pietro Zucca / Gisela Weimann)
Il cortocircuito immaginifico che s’instaura tra opere d’arte moderna e contemporanea ed ambienti storicamente e architettonicamente caratterizzati com’è il caso del Palazzo Tre Marie situato in pienissimo Centro storico, è ben visibile nella densa mostra della Collezione del Museo dei Bambini (Mubaq) proposta all’interno della rassegna in progress “Seminiamo Arte III a L’Aquila per un Museo diffuso”. Dire Palazzo Tre Marie significa evocare l’ultracentenario Ristorante Tre Marie, epicentro della vita – nei primi decenni della seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso – non solo enogastronomica, quanto e sopratutto artistica, letteraria, teatrale, cinematografica e musicale. Qui sono approdati i più bei nomi dei creativi “par excellence” quali Silone, Ungaretti, De Sica, Stockausen, Fellini, Proietti, Rubinstein e tantissimi altri, dando spesso luogo a Cenacoli di particolare pregnanza. L’eredità culturale di un così aulico passato rimbalza da una stanza all’altra, nei soffitti decorati, nell’arredo ligneo di sedie e madie e persino nel sotterraneo cantinone ove una megalitica colonna in pietra datata con un’ incisione a metà del Settecento sembra sorreggere tutto il peso del sovrastante costruito. Sono un po’ i libri d’artista, “squadernati” sui tavoli o liberamente appesi con le loro inesauribili possibilità di combinazioni materiche e cromatiche, nonché con le parole, i collages, i dipinti e disegni variamente inseriti tra copertina e pagine interne e retrocopertina, a fare da prologo anche d’ordine tattile (sono infatti sfogliabili dopo aver indossato un guanto che non ha nulla da spartire con quelli anti-covid).
Facenti parte anch’essi della “Collezione Mubaq”, insieme ai “duettanti” piatti in ceramica allestiti nella stessa stanza e firmati da vari artefici. Lezioni esemplari date da alcuni dei protagonisti in fatto di “lingua viva” dell’arte italiana, possono ben incontrarsi nelle opere di Tommaso Cascella, Fabio Mauri, Tullio Catalano, Gino Marotta, Luigi Ontani, Cesare Tacchi, ben affiancati da altre generazioni di artiste ed artisti anche abruzzesi, tra i quali ci limitiamo a citare quelli scomparsi: Massimina Pesce, Gianfranco Sciannella e Silvano Servillo.
È poi l’Omaggio dedicato ad una delle massime artiste italiane, Maria Lai (che ci ha lasciato dieci anni fa), a costituire un po’ il baricentro dell’intera mostra. La possibilità di poter avere un incontro ravvicinato con la sua poetica poverista rinvenibile nella materia tessile variamente assemblata ed in cui ago e filo sono la cifra memoriale, il collante del suo e nostro trasfigurato vissuto, non è da poco conto. Ad altre tre installazioni site-specific è affidato il messaggio subliminale dei cambiamenti espressivi intervenuti tra le tradizionali “opere uniche” – anche qui appese o poste su un piedistallo come le sculture – e la loro teatralizzante declinazione, mediante il dialogo instaurato tra le stesse e il contesto naturalistico o architettonico in cui sono inserite. Ciò è toccato all’artista sarda Mabi Sanna con “Donne senza volto”, Fabio Maria Alecci e Gianluca Esposito con “Arte come gioco e riciclo” (appositamente invitati anche per interloquire esteticamente con tutte le altre opere della “Collezione Mubaq”).
Avvicinandosi con il dovuto rispetto a quelle cinque sedie disposte in circolo e variamente intrecciate con fettucce di velluto del tradizionale abito sardo, sembra di sentire il sussurro di donne sedute raccontanti storie su storie, mentre nel suggestivo ambiente del cantinone la componente ludica del plasmare con materiale da riciclo rincorre alternativi canoni di un’arte al servizio della ecologistica sensibilizzazione.
* Sezione a cura di Lea Contestabile e Antonio Gasbarrini. Sub-sezioni: A) Libri d’artista: Paola Babini, Nedda Bonini, Primarosa Cesarini Sforza, Lea Contestabile, Giancarla Frare. B) Ceramiche: Marco Brandizzi, Franco Cheng, Lea Contestabile, Sergio Nannicola, Franco Fiorillo, Marco Pellizzola. C) Mabi Sanna: Donne senza volto, a cura di Carla Sanjust e Lea Contestabıle. D) Fabio Alecci e Gianluca Esposito: Arte con gioco e riciclo. E) Omaggio a Maria Lai – L’Aquila, Palazzo Storico Tre Marie (6-31 agosto 2023). La recensione di Antonio Gasbarrini è stata pubblicata sul quotidiano Il Messaggero Abruzzo del 11 agosto 2023.
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ARTE – NATURA. PROPOSTA DI UN PARCO ARTISTICO º
di Giulia Del Papa
(Artist*: Enrico Accatino / Carlo Birotti / Lea Contestabile / Paolo Garau / Mauro Magni / Claudio Palmieri / Alberto Timossi)
Pensare l’arte nel suo ruolo sociale come connessione e attrazione tra tempi e luoghi, passati e presenti, congiunzione tra chi abita o attraversa spazi urbani, in alcuni casi carichi di storia in altri rinnovati e restituiti alla cittadinanza, è ciò che a volte sottende la creazione di un evento artistico. È da questa volontà che nasce Arte – Natura, proposta di un Parco Artistico prendendo forma dal proficuo dialogo tra due realtà culturali attive nella promozione e sviluppo dell’arte contemporanea: il MuBAq nel territorio aquilano e TRAleVOLTE in quello romano. In occasione, dunque, del più ampio progetto Seminiamo Arte messo in atto dal Museo dei Bambini dell’Aquila, si è voluto dar vita al felice connubio tra la storia del capoluogo abruzzese e le più recenti espressioni artistiche, favorendo l’incontro tra queste ultime e la comunità cittadina nella proposta di un possibile futuro spazio per l’arte contemporanea. Una mostra, dunque, che insieme alle altre iniziative, intende favorire attraverso l’arte la fruizione attiva degli spazi storici della città per creare un dialogo vivo e fruttuoso tra le persone, i luoghi e la natura.
La Fontana delle 99 Cannelle, detta anche della Rivera, è uno dei monumenti simbolo dell’Aquila, situata in una delle zone più antiche della città e direttamente collegata con la storia della sua fondazione: la Rivera, infatti, sorge sull’antico castello Acquili, da cui deriva il nome del capoluogo abruzzese. Nell’area verde prospiciente la monumentale Fontana delle 99 Cannelle hanno trovato spazio le opere di sette artisti appartenenti a diverse fasi della ricerca, per lo più astratta, italiana e alcuni dei quali già presenti nella collezione curata dall’Associazione TRAleVOLTE, all’interno del Giardino del Convento dei Padri Passionisti alla Scala Santa di Roma.
Forme anellari di Enrico Accatino (Genova 1920 – Roma 2007) è un’opera in acciaio corten del 1968, costituita da quelle forme circolari che rappresentano il modulo formale significativo della fase astratta della sua ricerca. L’artista, pittore, scultore e teorico, attivo a Roma a partire dal 1975, dopo un primo periodo figurativo si dedica senza soluzione di continuità all’astrazione ed individua proprio nel cerchio quell’elemento linguistico, perfetto e spirituale, che invera il profondo connubio tra l’universalità delle forme simboliche e la tipicità personale dello stile.
L’opera in terracotta di Carlo Birotti (Roma 1947-2002), Colonne del 1984, è rappresentativa dell’intensa ricerca plastica di questo scultore che, immune da qualsiasi tipo di improvvisazione, ha sempre operato nel solco della costruzione sapiente e faticosa del modellare. In questa come in altre sculture la solidità plastica delle forme richiama inequivocabilmente, già nel nome, l’elemento portante tipico dell’architettura classica, ma nella morbida modulazione delle superfici rende evidente il momento stesso del formarsi organico della materia.
Giocando con i ricordi #2 è l’opera del 2023 di Lea Contestabile (Ortucchio 1949), artista abruzzese potentemente legata alla propria terra e alla propria storia, che sviluppa una prolifica ricerca passando senza soluzione di continuità attraverso media diversi. In quest’opera affida ad una struttura composta da steli in ferro la narrazione di un ricordo o di un sogno, in una danza di piccole figurine sagomate che rappresentano l’alfabeto della propria espressione più intima. Abitanti e testimoni di un tempo e un luogo trascorsi, queste figure riaffiorano nel presente, come nella mente, e fluttuano nell’aria a creare intrecci di sempre nuove narrazioni.
Paolo Garau (Roma 1975) è presente con Anima del 2023. In linea con la propria ricerca che utilizza il calco come mezzo per sperimentare nuove composizioni, la scultura nasce da due grandi busti, più eterea composizione nel solco di un’ampia suggestione per il reperto archeologico e la storia delle civiltà passate. Le due parti di cui si compone rappresentano maschile e femminile e vogliono dare corpo alla persistenza dell’umanità oltre il succedersi dei cicli storici. L’artista individua in questa fase un momento di decadenza e ora, come nel passato, l’umanità che continua a vivere è segno di come la fine di un ciclo rappresenti una fase cambiamento.
Mauro Magni (Roma 1962) ha realizzato per L’Aquila Perdonanza, installazione scultorea del 2023 omaggio alle 309 vittime del terremoto del 2009. Il vuoto incolmabile per la perdita è rappresentato dalle cifre di questo tragico numero, forate sui tre pannelli che compongono l’opera. Come in un rituale catartico, lo zero centrale è attraversabile e vuol rappresentare una porta, un varco, che consente sia di entrare nel vuoto del ricordo sia di evocare i riti legati alla Bolla di Perdonanza di Papa Celestino V. “Absolvimus a culpa et pena” è la citazione dalla Bolla che unisce in una volontà di riappacificazione quest’atto storico e i tragici eventi del 2009.
Claudio Palmieri (Roma 1955) è presente con Nucleo, scultura polimaterica del 1990, nata dalla riflessione sul dolore e scelta dall’autore per la connessione con le profonde ferite inferte alla città. Come un colpo al cuore potenzialmente mortale, la struttura è attraversata da un vettore che trafigge un nucleo rosso, cuore ideale ferito e distrutto che rinasce e continua a pulsare. L’opera è rappresentativa della ricerca polimaterica e multidisciplinare dell’artista, in equilibrio tra soluzioni formali geometriche e organiche, che lasciano spazio alla suggestione per l’utilizzo dei materiali più innovativi e in cui la perizia tecnica mitiga la passionalità del gesto.
Contraccolpo verticale è l’opera del 2020 di Alberto Timossi (Napoli 1965), scultore romano che da anni lavora con materiali industriali per creare grandi installazioni ambientali. Il materiale fondante della propria ricerca è il tubo in PVC, plasmato dal calore della fiamma e dipinto con interventi in smalto rosso per creare forme, in alcuni casi modulari, che dialogano spesso con la natura. Questa scultura fa parte di una serie in cui l’artista ha iniziato a coniugare il materiale industriale con quello naturale. La struttura in PVC è come ancorata al terreno da un blocchetto di marmo che la piega, forzando idealmente verso la natura quello che di artificiale l’uomo ha creato.
º Sezione a cura di Giulia Del Papa con la collaborazione dell’Associazione TRAleVOLTE – L’Aquila, Parco delle Acque alle 99 Cannelle (12 agosto – fine settembre 2023).
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ORANTI: ARTE E SPIRITUALITÀ NELLE OPERE DI LEA CONTESTABILE E FLORENCIA MARTINEZ IN MOSTRA AL MONASTERO SANT’AMICO º
di Barbara Pavan
“Oranti” è una mostra d’arte ibrida: non una bi-personale ma piuttosto un’ampia riflessione sulle declinazioni e i significati della preghiera in relazione al lavoro di ago e filo e in dialogo con gli spazi del Monastero noto a L’Aquila nel corso dei secoli proprio per l’eccellenza dei ricami che qui le monache realizzavano. L’orante è una persona in atteggiamento di preghiera; l’artista è chi esercita una delle belle arti (cfr. vocabolario Treccani): dal confronto tra questi diversi elementi è nata questa mostra che prosegue un cammino in cui arte e spiritualità viaggiano, da millenni, fianco a fianco. In mostra, opere di grandi dimensioni come “Ricucire la vita”, installazione a parete di Lea Contestabile, che nella stratificazione di rete, lino, stoffe, fili, cartone, spille da balia, aghi, bottoni, tarlatana, si fa testimonianza di una preghiera laica in cui l’artista chiede perdono a se stessa attraverso quello che Louise Bourgeois chiamava il potere curativo dell’ago che nella ripetizione dei gesti echeggia una litania, un rito, ricuce ferite fisiche, emotive, spirituali.
E la grande scultura “Oranti” con cui Florencia Martinez approda alla sfera spirituale indagata nella dimensione del dolore e dell’abbandono fino ad arrivare a una profonda riflessione sul significato dell’affidarsi, l’opera è ispirata alla “Pietà Rondanini” di Michelangelo in cui l’artista rintraccia la forma assoluta e ideale dell’empatia e quel senso di incompiutezza, di apertura ad infinite possibilità e metamorfosi cui sente affine il suo lavoro.
Il percorso espositivo si articola poi in un corpus di lavori di Lea Contestabile in cui convergono sia i segni di credenze ancestrali e universali che simboli di tradizione cristiana, combinati e rielaborati in una sintesi delle diverse esperienze spirituali e religiose che trova nell’arte un’unica voce plurale, espressione della medesima solitudine, dello stesso smarrimento che tutti gli uomini di qualunque epoca ed a qualunque latitudine sperimentano di fronte all’abisso.
E, ancora, con le opere di Florencia Martinez dominate dall’oro, con la sua cifra di sacra immortalità, e dal blu – il colore che, come insegna Michel Pastoureau, a partire dal XII secolo i cristiani associano alla luce e dunque a Dio e che da allora tinge il manto della Vergine diventando simbolo stesso del sacro nell’arte dei secoli successivi. Sculture morbide composte a partire da un modulo base replicato in maniera quasi ossessiva che l’artista cuce ritmicamente con cura meticolosa e ostinata: una pratica che nella ritualità del gesto reiterato ancora e ancora si fa preghiera. Del resto, già Pacomio, padre del monachesimo cenobitico che ha profondamente influenzato la cultura occidentale, nonché la successiva tradizione benedettina, avevano inteso il lavoro manuale come una forma di preghiera. In questa serie di lavori le artiste esplorano la dimensione dell’impermanenza di qualsiasi forma nella sua continua mutevolezza, come lo è in realtà la vita stessa, esprimendo al contempo la speranza che, lungo il cammino dell’esistenza, non venga mai meno la nostra umanità.
º Sezione a cura di Barbara Pavan – Monastero S. Amico, L’Aquila (20 – 31 agosto 2023) – Intervento musicale: Mariko Masuda (violino).
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ARTE E SPIRITUALITÀ – LA CLAUSURA APRE ALL’ARTE CONTEMPORANEAº
di Giulia Del Papa
(Artist*: Tito Amodei / Lea Contestabile / Michele De Luca / Marco Fioramanti / Armando Gioia / Enrico Pulsoni / Giancarlo Sciannella / Anne Elisabeth Tronhjem / Pietro Zucca)
Arte e spiritualità religiosa è un binomio imprescindibile nella nostra cultura e storia dell’arte, che sin dalle origini ha permeato più o meno diffusamente una reciprocità di intenti, ispirazioni e modi di intendere l’espressione artistica nei linguaggi come nelle tematiche. Se per secoli il sacro è stato punto di riferimento per tutti gli artisti e ha consentito la realizzazione delle magnifiche opere che rappresentano il patrimonio culturale artistico del nostro Paese, nel corso dei secoli fino ai giorni nostri questo binomio si è andato allentando fino a scomparire e diventare una questione più intimista e personale, spesso occasionale, dell’artista.
ARTE E SPIRITUALITA’ – La clausura apre all’arte contemporanea si svolge all’interno del Monastero di San Basilio, in occasione del più ampio progetto Seminiamo Arte, giunto alla terza edizione, messo in atto dal MuBAq – Museo dei Bambini dell’Aquila e che prevede il coinvolgimento di altri due luoghi sacri, con mostre in contemporanea nel Monastero di Sant’Amico e nel Convento di Sant’Angelo d’Ocre. Il Monastero di San Basilio, di clausura, ha rappresentato nel corso dei secoli punto di riferimento culturale e religioso non solo per la città dell’Aquila e ospita oggi otto suore, testimoni di una lunga storia che ha origini antichissime: fu fondato nel 1320a partire da un primo insediamento religioso del 496, passando dalla fine del 1500 all’osservanza celestina.
Negli spazi interni del Monastero sono state, dunque,posizionate le opere di nove artisti contemporanei appartenenti a diverse fasi della ricerca plastica perlopiù astratta, alcuni dei quali già presenti nella collezione curata dall’Associazione TRAleVOLTE all’interno del Giardino del Convento dei Padri Passionisti alla Scala Santa di Roma. Questa mostra vuol dunque rappresentare un tentativo di riannodare il dialogo tra i luoghi dello spirito e le più recenti espressioni artistiche e nasce dalla sinergia di due realtà culturali attive nella promozione e sviluppo dell’arte contemporanea: il MuBAq nel territorio aquilano e TRAleVOLTE in quello romano. Una mostra che, per l’eccezionalità del luogo in cui si svolge e in linea con gli intenti del più grande progetto Seminiamo Arte, intende favorire attraverso l’arte un nuovo tipo di fruizione degli spazi storici della città, rendendoli in questo caso accessibili alle persone e ai visitatori. Un modo questo per ridefinire quella forma di interlocuzione tra l’espressione artistica e la sfera spirituale che apre alla comunità.
Tra gli artisti è presente con due opere, Deposizione del 1966 e Pesce con l’uovo del 1978, Tito Amodei (nato Ferdinando Amodei, Colli Volturno 1926 – Roma 2018), il religioso italiano, scultore, che nel corso della propria esperienza artistica ha cercato di reinterpretare l’arte sacra in chiave moderna. Attraverso una ricerca aperta alle più innovative forme espressive, già dagli anni Sessanta con le sue Deposizioni indaga quella semplificazione del segno, per il tramite dell’astrazione geometrica, che mira ad accentuare la tensione meditativa dell’opera sacra svincolandola da meri intenti devozionali. A fianco troviamo opere, come Pesce con l’uovo, che affrontano il tema del gioco fantastico attraverso composizioni in legno, in questo caso, di forme naturali dal profondo significato simbolico. Entrambe le opere esemplificano puntualmente il dichiarato impegno di Tito per una rigenerazione dell’arte sacra, che dialogasse da pari con la ricerca plastica contemporanea e la svincolasse da precostituite visioni canoniche.
Artista abruzzese che permea il suo lavoro del legame con la propria terra di origine, Ortucchio, Lea Contestabile (Ortucchio 1949) è presente con Giocando con i ricordi del 2020: una grande struttura in ferro, scenario dal sapore onirico abitato da personaggi quasi fiabeschi. Si tratta in realtà di silhouette ricavate dalle proprie foto d’infanzia scattate dal padre e assemblate per ricreare quel mondo di giochi in cui l’artista, bambina, creava una sorta di rappresentazione teatrale. Il ritorno alla propria infanzia e alla propria terra, a quel mondo rurale in cui è cresciuta, è punto fermo della sua ricerca, che le consente di riannodare i fili del presente con il passato per ricostruire il legame tra le proprie origini e ciò che è oggi. Queste forme divengono quindi elementi fondativi dell’alfabeto narrativo di questa artista dalla ricerca concreta, che con passione e perizia attraversa media e tecniche diversi, per raccontare ogni volta una storia intrisa di ricordi, in cui la nostalgia, come continuo movimento di “ritorno a casa”, trascende il personale per diventare memoria di una storia collettiva, radicata nelle tradizioni rurali della propria terra.
Città dalla forte tradizione ceramica, Castelli nella provincia di Teramo è il luogo di nascita di uno dei maggiori testimoni della scultura in terracotta contemporanea, Giancarlo Sciannella (Castelli 1943 – Roma 2016), presente in questa mostra con l’opera Stella spenta del 2009. Nel rispetto e concreto legame con il saper fare, quest’artista si colloca nella linea della ricerca d’avanguardia, innestando proprio su quella tradizione lo sviluppo del proprio linguaggio plastico, influenzato dall’Informale e dai suoi successivi esiti. Centrale nella sua ricerca è l’intimo e sincero dialogo con la materia, considerata come memoria del vissuto e che ha guidato nel corso dei decenni gli esiti formali e teorici della sua produzione. Questo rapporto con la materia si concretizza in una sobrietà espressiva lontana da virtuosismi, che parla attraverso quei segni lasciati dall’azione plastica sulla superficie.
Statica del 2001 è una scultura di Michele De Luca (Pitelli, La Spezia, 1954), esposta qui per la prima volta, in cui l’artista affronta in una prospettiva verticale e tridimensionale la sua ricerca sulla luce. Sperimentatore di diversi linguaggi espressivi che trascendono le arti visive verso la poesia, il teatro e il cinema, dopo una prima fase espressionista si rivolge ad una pittura polimaterica caratterizzata da composizioni geometriche in cui compaiono lamiere di metallo dipinte sui supporti, che contribuiscono a moltiplicare le percezioni pittoriche. La luce è la grande protagonista delle sue opere, intesa come fonte di energia in grado di creare spazi in cui i punti di profondità si ampliano e sprofondano per azione di quei tagli di abbacinante chiarore. Artista intensamente intellettuale, affronta oggi con una maggiore gestualità e su formati sempre più grandi quella costruzione di spazi mentali prima che fisici.
Sectio Aurea, l’opera del 2010 di Marco Fioramanti (Roma 1954), gioca con lo spazio che occupa attraverso quella forma circolare del lampadario che rimanda ad un’idea di perfezione del mondo e dei luoghi del sacro. Artista multidisciplinare, con alle spalle lunghi viaggi e soggiorni in Tibet, Cina, Marocco e Nepal, dove ha approfondito lo sciamanesimo, porta all’interno della sua ricerca i segni e le componenti di tutto il suo vissuto sperimentando materiali differenti. L’utilizzo di oggetti di recupero, come nel caso di Sectio Aurea, è la modalità centrale del suo operato, tentando così di farsi da ponte tra le cose e le persone, per individuare significati più profondi dell’inconscio collettivo.Centrale nella sua ricerca è il concetto di reliquia, come l’artista considera questi oggetti che riassembla nelle sue opere nella volontà di rendere evidente quell’alone magico, quel significato nascosto, che si cela dietro ciascun gesto quotidiano.
Senza titolo del 2021 è l’opera di Armando Gioia (L’Aquila 1960), artista che permea la propria ricerca di un profondo senso emotivo, in cui l’arte è l’unico modo per sublimare i mali della vita. Le figure umane che si intravedono nelle sue opere, appena accennate nella stilizzazione geometrica, rendono il senso del suo voler guardare al mondo ed essere lì ancorato. Ma per lui l’arte diviene cura, che consente all’uomo di superare i mali come il Santo supera le sofferenze e che rende evidente l’ispirazione verso poeti e letterati come Montale, Rebora e Pavese. Proprio come quest’ultimo che scrisse ne Il mestiere di vivere “La letteratura è una difesa contro le offese della vita” Gioia ricerca nell’arte una strada alternativa a quella fisica.
Le tre opere Senza titolo di Enrico Pulsoni (Avezzano 1956) appartengono a periodi diversi, 2000, 2008-2009 e 2020, anni distanti che rendono il senso di una costante ricerca, attraverso il disegno, sul senso dei passaggi e della trasformazione, come un percorso che nelle sue varie tappe ritorna a ragionare sui propri linguaggi. Quest’artista poliedrico e indagatore attraversa la pittura, la scenografia, la scultura, il disegno e l’insegnamento, nel tentativo di dar voce a quel bisogno materiale di raccontare una storia attraverso forme e immagini, figurative o aniconiche. A partire da una riflessione pittorica, le tre opere presenti in ottone fuso e industriale nascono da un passaggio, un mutamento di stati spirituali e materici che dal disegno va alla terracotta e infine alla fusione, a formare quei legamenti che costruiscono come nodi cromatici la struttura dell’intera opera.
Numen di Anne Elisabeth Tronhjem (Heldum, Danimarca 1956) è una scultura in ferro del 1986. L’artista, allieva prima di Emilio Vedova e poi di Fabio Mauri nel suo percorso di ricerca plastica ha attraversato materiali diversi, il legno, il ferro, il gesso e la pietra per comporre volumi possenti, in cui la costruzione geometrica degli incastri rivela la volontà di organizzare le forme in senso architettonico. Il corpo della scultura prende forma nelle intersezioni dei piani, che mostrano giunti di saldatura e creano ripartizioni geometriche e informali in cui si uniscono poetiche della figurazione e dell’astrazione.
Nuda e cruda del 2021 di Pietro Zucca (Desenzano del Garda 1982) è un’opera che nasce a patire dalla riflessione sul linguaggio stesso della scultura, su quell’azione del “levare” precipuo della scultura in marmo raggiunto, in questo caso, attraverso la costruzione plastica, o meglio decostruzione, in ferro. L’artista compie qui un ragionamento contrario rispetto alle precedenti opere, in cui il vuoto viene disegnato da strutture lineari in metallo, creando un corpo verticale pieno nella visione ma cavo all’interno, che richiama la forma della classica colonna tortile e gli consente di approfondire il valore percettivo del chiaroscuro.
° Sezione a cura di Giulia Del Papa con la collaborazione dell’Associazione TRAleVOLTE – L’Aquila, Monastero di clausura S. Basilio (20-31 agosto 2023)
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IL ROSONE DI COLLEMAGGIO: LA REINTERPRETAZIONE PITTORICA TRANSDISCIPLINARE DI CRISTIAN UNGUREANU º
di Antonio Gasbarrini
La donazione alla Municipalità aquilana del dipinto su tela “Il Rosone di S. Maria di Collemaggio” da parte dell’artista e teorico dell’arte romeno Cristian Ungureanu, avvenuta nella Chiesa di S. Basilio nell’ambito delle manifestazioni “Cordata per l’Africa” e “Seminiamo Arte III”, ha assunto un particolare valore simbolico. Sia per l’atto in sé concomitante con le celebrazioni della 729esima Perdonanza Celestiniana, che per la reinterpretazione transdisciplinare del più importante gioiello scultoreo ed architettonico presente in Abruzzo. Progettato da ignoti Maestri e realizzato con l’ausilio di valenti artigiani scalpellini non solo locali, ma di provenienza, si è supposto, prevalentemente francese e lombarda. Un Rosone questo, portatore di una fantasmagorica luce all’interno dell’ampia navata centrale, nel sei-settecento mortificata dalle superfetazioni barocche rimosse e azzerate negli anni Settanta del secolo scorso dall’architetto Soprintendente Mario Moretti. Il quale sottolineava tra l’altro, in un suo testo: “Il più grande, il più gotico rosone di tutta la Regione abruzzese, venne umiliato dalla funzione puramente decorativa della facciata, causa le trasformazioni sei-settecentesche in conseguenza delle quali era stato relegato, insieme a quelli minori, in soffitta”. Dando ora un nuovo slancio non solo immaginifico, ma anche scientifico con lo svelare la “geometria” sottesa a quei ricami trinati in punta di scalpello per recuperarne anche l’originaria musicalità sonora emersa tra un colpo e l’altro, nonché la sacralità di cui sono imbevuti quei pieni e vuoti generatori di invisibili “fiori della vita”. Riemersi dalla notte dei tempi, grazie al reticolo di intersecazioni circolari numericamente pari a 8 – 12 – 24 – 48 unità, tracciate con il compasso dall’artista sulla stessa superficie in cui ha preliminarmente raffigurato il Rosone con alcuni mini-brani della facciata sullo sfondo. La sua poetica, emblematicamente ancorata ad una ricerca ultraventennale racchiusa nell’eloquente enunciazione “La musica delle sfere” con cui ha reinterpretato – disegnandoli o dipingendoli prima – capolavori medievali, rinascimentali o moderni (com’è avvenuto per Dalì e Picasso), per poi intervenire con la sua indagine all’un tempo numerica e geometrica. Indagine tesa a far scaturire, dall’opera stessa, quella recondita armonia tuttora avvertibile nella sapiente distribuzione delle masse grazie al prevalente ricorso, da parte degli artisti (soprattutto in epoca rinascimentale con l’invenzione della prospettiva), della stranota “sezione aurea” ove il rapporto tra due grandezze disuguali genera il numero aureo irrazionale 1,61 seguito da un’infinità di altri decimali. Per captare al meglio la sottesa partitura pitagorica, Cristian Ungurenau, con l’apporto di ingegneri informatici e musicisti, ha anche animato digitalmente il suo Rosone. Talché andando su youtube si può vedere il breve filmato intitolato “L’oculos di S. Maria di Collemaggio” (all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=zDPtnV1mBhs), potendo così apprezzare al meglio il filo conduttore della sua ricerca transdisciplinare incorniciata da una sorta di motto-guida: “Le antiche tradizioni hanno sempre parlato di una musica delle sfere e non già di un’armonia delle linee o degli angoli”. Approdato ora nella sede provvisoria municipale a Palazzo Fibbioni, per poi essere trasferito a Palazzo Margherita, il petroso cerchio incastonato tra le euclidee basole bianche e “rossorosate” dagli indubbi effetti cromatici d’ascendenza pittorica, può ben essere uno dei biglietti da visita privilegiati per l’auspicato riconoscimento di “L’Aquila capitale del Perdono”.
º La recensione di Antonio Gasbarrini è stata pubblicata sul quotidiano Il Messaggero Abruzzo del 2 settembre 2023.
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ARTE MUSIVA AL CONVENTO DI S. ANGELO D’OCRE º
di Paola Babini
(Giovani artist* dell’Accademia d’Arte di Ravenna: Kitanoska Misho Stojanoski, Eva Petkovska, Elisaveta Sineva, Aleksandar Velichkovski, Daniela Guzzinat, Parisa Dehghani)
L’Accademia di Belle Arti di Ravenna è un’Accademia storica. Unica nel sistema dell’alta formazione artistica in Italia e nel mondo conferma la sua vocazione alla formazione di competenze specifiche e altamente qualificate nel segno di un rinnovato approccio al Mosaico come linguaggio contemporaneo, espressione di una sempre più dilatata dimensione artistica.
In accordo con gli obiettivi comuni è nata da anni tra il MuBAq e L’Accademia, una proficua collaborazione che, attraverso una convenzione, ha permesso alle due Istituzioni di portare avanti progetti di formazione attraverso l’arte rivolta in primis ai bambini, ma anche alla collettività tutta.
La mostra “Arte musiva al Convento di S. Angelo d’Ocre” si inserisce in un progetto simbolicamente ben più ampio: “Il mosaico per raccontare il Beato Berardino”.
Il progetto, proposto dal Comitato Beato Berardino di Fossa e organizzato con l’Istituto Comprensivo San Demetrio-Rocca di Mezzo e il Comune di Fossa, si propone di prolungare l’attività del MuBAq nel suo interagire con il territorio ed i suoi abitanti. Tuttora fortemente diasporizzati dopo il sisma del 2009, con l’obiettivo primario di contribuire alla riconquista dell’identità civica ferita, avvicinando i più giovani alla riscoperta del proprio patrimonio culturale e spirituale attraverso l’arte.
La mostra al Convento è uno dei momenti significativi del progetto preparato da incontri tenuti a scuola con i bambini, storici dell’arte, abitanti di Fossa, insegnanti e operatori del MuBAq, mostra che si concluderà con una residenza d’artista degli studenti dell’Accademia.
I giovani artisti riporteranno a Fossa i disegni dei bambini tradotti in formelle di mosaico che verranno istallate su una parete della scuola elementare. Bambini e adulti avranno l’opportunità di vedere i risultati di un’esperienza condivisa che, collegando laboratori di piccoli e grandi, documenterà attraverso il mosaico la storia e le tradizioni di Fossa: in particolare, l’agiografia del Beato Berardino molto amato dalla comunità e che è vissuto proprio nel convento di Sant’Angelo dove si possono ammirare gli affreschi che lo ricordano.
I giovani artisti dell’Accademia che esporranno al Giardino del Convento, magistralmente restaurato e gestito dalla sezione di Fossa Club Alpini che si ringrazia per l’ospitalità accordata, sono:
Kitanoska Misho Stojanoski, Eva Petkovska, Elisaveta Sineva, Aleksandar Velichkovski, Daniela Guzzinat, Parisa Dehghani.
* Sezione a cura di Paola Babini (direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna) – Convento di S. Angelo d’Ocre (24 agosto – 17 settembre 2023).
Slides
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GLI SCOLARI DI FOSSA ED I MOSAICI DELL’ACCADEMIA RAVENNATE º
di Antonio Gasbarrini
C’era una volta… Potrebbe cominciare con il rituale “incipit” di una fiaba a lieto fine, la straordinaria esperienza vissuta dagli scolari di Fossa e dagli studenti dell’Accademia d’arte di Ravenna sorretta, creativamente, dal nome del frate francescano Beato Bernardino (al secolo Giovanni Amici, nato a Fossa, appunto, nel 1421). Il tutto inquadrato nella cornice espositiva della rassegna d’arte interdisciplinare “Seminiamo Arte” promossa e organizzata dal “Museo dei bambini l’Aquila – Mubaq” che la scorsa estate ha proposto nel centro storico della città, mostre su mostre di artisti contemporanei italiani e stranieri. Allestite nella sede universitaria di Palazzo Camponeschi, nei Monasteri di clausura di S. Agostino e S. Basilio ed anche nel Convento di S. Angelo d’Ocre, nel Palazzo storico delle Tre Marie, nel Parco della acque alle 99 Cannelle e nelle Gallerie ‘FArt e One Groupe. Il lieto fine evocato nelle prime righe sta proprio nelle primaverili sei formelle in mosaico installate in modo permanente nei giorni scorsi su un muro esterno della scuola elementare di Fossa. La loro genesi, è tutta da raccontare. Cominciando dalla proficua collaborazione instaurata da anni tra il Mubaq e l’Accademia ravennate (guidate, rispettivamente, dalle artiste Lea Contestabile e Paola Babini), finalizzata a far conoscere la tassellata arte mosaicistica soprattutto alle giovani e giovanissime generazioni nate dopo il sisma sia nel Villaggio di S. Lorenzo dove tuttora vivono i diasporizzati cittadini fossolani, che nei centri circostanti. Ed ecco la dinamica dell’evento. Gli scolari, al fine di far conoscere agli studenti dell’Accademia la storia del borgo medievale, inviano alcuni loro disegni incentrati sulla figura del Beato, sul Monastero di S. Angelo d’Ocre e, non conosciamo il perché, su una serie di versioni del melograno. Nell’Accademia ravennate ne vengono plasmati alcuni secondo le tecniche ed i materiali più aggiornati. Una loro successiva mostra è allestita nell’ambito della Rassegna – a cura della Babini – nel Giardino del Convento di S. Angelo d’Ocre rimesso a nuovo dalla Sezione Fossa Club Alpini, mentre il Convento dove sono stati dipinti alcuni affreschi dedicati al Beato è tuttora inagibile. Con la consolidata prassi della residenza d’artista, poi, studenti dell’Accademia ed una loro insegnante vengono ospitati per alcuni giorni in un paio di MAP del Villaggio messi a disposizione dal Comune. Durante la loro permanenza gli stessi attivano una serie di laboratori per ognuna delle classi. I lavori realizzati dai bambini sono stati poi messi in bell’evidenza sui banchi di un’aula e resi godibili ai festosi, numerosi intervenuti nel giorno dell’inaugurazione. Sono questi apparentemente marginali, ma significativi eventi (secondo il parere dell’estensore di questa paginetta del Taccuino), ad “illuminare d’immenso” il variegato, a tratti “ostico linguaggio” di molta arte moderna e contemporanea. Si osservino con la dovuta attenzione le singole formelle riprodotte nella foto. Senza conoscere la rammemorante cronaca riportata più sopra, difficilmente quelle danzanti fioriture e quei melograni accostati al roccioso paesaggio su cui s’erge il Convento, nonché al modernizzato ritratto sagomato del Beato ed alla cui sinistra (per chi guarda) il monogramma IHS continua ad irraggiare la sua salvifica energia religiosa, saranno ricondotti alla freschissima inventiva creativa di bambini ed adolescenti. Ci si chiederà infine: perché la scritta del nome sormontante l’effigie è “Berardino” (così com’è anche indicato in un altro suo ritratto d’epoca), e, non già il più storicizzato “Bernardino”? L’interrogativo lo lasciamo in sospeso.
º La recensione di Antonio Gasbarrini è stata pubblicata sul quotidiano Il Messaggero Abruzzo del 9 novembre 2023.
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