L’arte è finzione, non ha nulla a che vedere con la dimensione della realtà, partecipa alla creazione di un mondo fittizio, alternativo, concorrente: e solo in questo senso può trovare collegamenti con il reale, come “concorrenza”, come utopia, come non luogo del reale, perfino come critica del mondo vero

di Massimo Pamio

Negli ultimi decenni, mi sono dedicato allo studio della filosofia dell’arte e delle scienze, dell’archeologia neuro cognitiva e della fisica quantistica, ricerche che mi hanno ispirato numerose intuizioni riversate in alcuni testi, Sensibili alle forme. Che cos’è l’arte (Mimesis, 2019), Sentirsi sentire. Che cos’è il pensare (Mondo Nuovo, 2020) Arte, l’impossibile natura (Mondo Nuovo, 2025) e in monografie su pittori, Padovani/Pamio (2020), Cetera/Pamio (2021), Bisandola/Pamio(2022),  Arrivabene/Pamio (2023).

Il percorso che si è delineato in questi studi, alquanto complesso, si colloca tra scienza e filosofia dell’arte, concernendo la struttura dell’uomo e lo sviluppo delle sue qualità e competenze nei secoli.

Un viaggio in mondi e luoghi che ha contribuito a generare, dentro un libero ricercare, la rivelazione, misteriosa e salvifica, della Grazia.

Dalla grazia dell’arte alla Grazia in cui ogni vicenda si compie per sempre, e solleva l’individuo da ogni domanda, perché l’interiore e l’esteriore si fondono nell’annullamento del tempo e dello spazio.

In Sensibili alle forme ho intuito come la particolare attitudine degli animali alla meraviglia, e poi all’ordine, e infine alla manualità presso gli umani abbiano reso possibile una propensione all’attenzione per le forme che poi, per esadattamento, è divenuta puro gusto estetico.

La qualità dell’uomo di collegare la mente alle mani è la scintilla che ha dato fuoco alla pittura, alla capacità di riflettere sulla propria maschera e su quelle altrui. L’arte è rappresentazione della rappresentazione, è un cercare l’invisibile nella propria interiorità, per continuare la creazione in fieri del mondo, contribuendo alla metamorfosi in atto che è in ogni elemento o vicenda e in se stesso.

L’uomo è un animale che cerca il proprio posto nel mondo senza sapere chi sia, contribuendo a celebrare il rito liturgico della Creazione. Egli non sa di occupare un posto marginale ma sacro, in cui affianca il Divino.

L’abisso in cui il pittore affonda è il luogo che Jung avrebbe definito “inconscio collettivo” – in verità è l’Arché, il luogo dell’Origine, in cui ogni possibilità attinge al gesto Assoluto della Creazione. Ogni volta che il pittore immagina e dipinge un volto, un paesaggio, un oggetto, lo ruba all’Origine che poggia sul fondo del Divino Amore.

La pittura come la letteratura è finzione. Non ha nulla da spartire con le convenzioni della realtà, bensì con le regole di un mondo che palpita solo nella visione dell’artista e in quella della storia della tradizione artistica o letteraria. Ecco perché la pittura astratta o concettuale è basata su un’idea errata, perché l’arte è in origine astrazione, ovvero visionarietà, rappresentazione della rappresentazione. L’arte concettuale e tutti i generi successivi (installazioni, performance, arte povera, transavanguardia, ecc.) sono dunque basati su un errore di principio che ha comportato anche la genesi di una definizione quantomai ipocrita: l’arte “contemporanea”; come se l’arte del Duecento o l’arte del Trecento o di qualsiasi altro secolo non fossero contemporanee… L’arte è finzione e gioco, verte sul “come se”, ha la stessa valenza del gioco per un bambino, che nel gioco si comporta “come se” quello fosse reale, sapendo benissimo in partenza che non lo è.

Slides (a cura della redazione)

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L’arte è finzione, non ha nulla a che vedere con la dimensione della realtà, partecipa alla creazione di un mondo fittizio, alternativo, concorrente: e solo in questo senso può trovare collegamenti con il reale, come “concorrenza”, come utopia, come non luogo del reale, perfino come critica del mondo vero. I critici che parlano di un’arte realistica non hanno compreso che cosa sia l’arte, diffidate dei loro giudizi. L’arte è gioco, è derealizzazione di ogni contratto sociale, di ogni collegamento che l’uomo stabilisce nella società abitualmente, è liberazione dalla pelle sociale; strettamente connessa alla sua logica, essa fa sì che l’artista sia generato non dal mondo sociale bensì da quello dei pittori che l’hanno preceduto, in un colloquio altro con il passato, per essere poi compreso e rivelato non dal presente ma dal futuro.

Un’arte che vuole svincolarsi dal passato – l’avanguardia – non fa altro che collaborare con il passato, mentre invece il vero artista è sempre all’avanguardia, pur non essendo uno pseudorivoluzionario: il vero pittore ogni volta reinventa, attraverso la tradizione, l’arte da capo, ogni sua opera è un ricominciare da capo, un rinascere dalle braci della tradizione. L’artista è apocalittico: ogni sua opera inaugura un nuovo mondo e decreta la fine dell’arte. Se non fosse così, l’artista non sarebbe tale. Dunque, sventolare ai quattro venti la propria rivoluzione artistica, la propria convinzione di essere all’avanguardia, è scontato, non va detto, va fatto: e se viene detto, è per puro esibizionismo e non per amore della verità.

La pittura crea un “altro mondo”, con tutti i suoi personaggi: santi, madonne, cristi in croce, papi, e poi potenti, ricchi commercianti, un mondo che vive per suo conto e che riferisce di un’alterità inquietante, perché in essa si possono trovare oggetti, paesaggi, e anche vite proprio come quelle che abbiamo vissuto. Quale sarà il sogno vero? Quello dell’arte o il nostro? L’arte ci riconduce alla somma illusione che ciascuno vive inconsapevolmente.

Il mondo della finzione non è altro che un mondo parallelo in cui tutto è congelato, e nulla avviene, perché la visione si è cristallizzata in un sogno permanente e senza suoni, senza movimento, senza tempo. L’arte è un reale svuotato e consegnato alla finzione assoluta, alla verità che non appartiene al reale, al mondo vivente, ma al vero della finzione che ha messo in gioco un’altra dimensione in cui nulla accade, non il dolore, non la gioia, non l’amore, non l’orrore, non la noia, non l’indifferenza.

Nulla, il mondo della finzione è il nulla che ci circonda e ci accompagna invisibile, intoccabile: l’inaudito. Ciò che non è stato mai udito e che però si è reso visibile dall’invisibile, visione dalla visionarietà e non dalla creazione naturale; l’arte è un mostro della possibilità umana di creare, di andare al di là di se stesso, di provare a sondare il proprio abisso facendo appello ad una dimensione altra, a un volo nel vuoto interiore che può inviare segnali e volti, e paesaggi, e perfino suoni, parole, intuizioni matematiche.

Insomma esiste per chi frequenta la finzione un’alterità, contribuisce a materializzarla: ma guai a dire che è il vero, che ha a che fare con il reale, e che ha a che fare forse con ciò che resta del divino nell’umano, serve ad aprire una relazione con l’impossibile, l’imprevedibile, l’insorgente, l’extracosmologico.

L’arte è come lo spasmo del dolore, insondabile, ineffabile, senza nome, senza ragione.

Altra cosa è quella dell’artista di dover vendere i propri quadri, di dipendere da una serie di norme che regolano attualmente il mercato. L’arte viene prima di queste considerazioni. L’artista non appartiene al mondo del mercato, o del committente, del mecenate, alla benevolenza del Papa, come in passato, l’artista appartiene al mondo della finzione, è generato da quello, della stessa sostanza della luce, dei colori, dell’illusione oculare. L’arte è un mondo fittizio che genera i suoi attori e li rende per sempre liberi dalla dimensione del reale. Procurarsi il pane per un pittore è secondario, non appartiene al mondo fittizio dell’arte, ma a quello della quotidianità e della sopravvivenza nel mondo naturale che il pittore non ha mai abbandonato.

Il pittore vive per la luce, per il colore, per rendere vera la finzione, per rendere pronunciabile la smorfia, l’ombra, lo sberleffo, per dare un nome allo spasmo del dolore

Ecco perché i grandi artisti oggi sono i pittori, post-figurativi o artisti “visuali”, come si dice attualmente mutuando il termine dalla bruttissima lingua inglese che invece molti vocaboli li riprende dal latino e poi li ritrasmette a noi…