Popolo e politica in internet: dalle estetiche al “sentire” con la Tc (Teoria delle Catastrofi”) – Prima parte

di Giuseppe Siano

I modelli, o i parametri, con cui percepiamo e misuriamo l’ambiente che ci circonda sono cambiati, e, con essi, anche il modo di comprendere logicamente o “sentire” una tragedia e un evento catastrofico.

Una trentina d’anni fa la catastrofe che colpiva un popolo, o l’ambiente della natura, sarebbe stata narrata, anche in televisione, mettendo ancora in scena un pensiero dell’evento con abilità drammaturgica, seguendo gli schemi preordinati del racconto tragico, e dando un alto valore all’espressione linguistica. Per organizzare un racconto con un intreccio tragico, infatti, c’è bisogno che il narratore-regista studi i tempi e gli schemi logici delle immagini e della parola, in modo da attrarre l’attenzione e generare nello spettatore il sommovimento dell’animo. Lo sviluppo della narrazione ha bisogno di rappresentare una serie di episodi che sono svolti secondo la necessità e le tipologie del racconto. Oggi questi tempi non sono più studiati neanche in televisione. La TV in diretta, e la TV “realtà” sono preferite; anche perché, nel frattempo è intervenuto un nuovo modello d’interazione che si è diffuso attraverso internet che aggiunge una inedita immediatezza al racconto tragico o catastrofico.

Procediamo con ordine. Vediamo subito quali siano stati, da sempre, i sei elementi costitutivi della tragedia (secondo Aristotele) in ordine d’importanza: favola, caratteri, pensiero, linguaggio, melopea e spettacolo. I primi tre sono gli obiettivi della mimesi, il quarto ed il quinto i mezzi e l’ultimo il modo. La favola, o mito, è la “composizione di una serie di atti o di fatti”; è l’elemento più importante, in quanto la tragedia non è “mimesi di uomini, bensì di azioni e di vita”. Senza la narrazione dei fatti della vita non ci può essere tragedia. Non a caso, Aristotele afferma che i mezzi più efficaci per avvincere l’animo degli spettatori (attraverso peripezie e riconoscimenti) sono parte della favola, o del mito. Il carattere è l’elemento che ci permette di comprendere le intenzioni morali di un personaggio, che lo inducono a prediligere o a rifiutare certe azioni. Il carattere, però, non è l’obiettivo primario della tragedia, bensì è sussidio per comprendere gli schemi che ne indirizzano l’azione. Aristotele, nel VI libro della Poetica, fa l’esempio di un quadro dipinto senza disegno ma pieno di colori; questi colori danno “carattere” e imprimono anche la scelta di una direzione all’azione di un uomo. È chiaro che comprendere il carattere diletta molto di più che una tela bianca con dipinto sopra i soli contorni di una figura (favola). Il pensiero, poi, è ciò che i personaggi mettono in mostra quando parlano o enunciano una massima generale: si manifesta col quarto elemento, il linguaggio. Da ultimo abbiamo la melopea e lo spettacolo; la prima abbellisce la scena, il secondo induce alla partecipazione gli spettatori che assistono alla narrazione. Lo spettacolo, però, non necessariamente è presente; perché il fine di un racconto tragico produce il suo effetto anche “senza rappresentazione scenica e senza attori”, con la sola scrittura degli eventi. Aristotele dirà, nel capitolo XV, come sia sufficiente ascoltare la narrazione dei fatti per essere presi da pietà e terrore. Lo spettacolo, per giunta, non aveva nulla a che fare con l’arte del poeta. A molti sembra che con l’avvento del cinema e della televisione si siano modificati alcuni parametri della rappresentazione di una tragedia o di un’azione comica.

Ricordo qui, inoltre, che la funzione di un racconto catastrofico si definisce nel momento culmine di una tragedia o di una poesia. Quando l’aedo “canta” di un evento rovinoso, lo fa per dare animo agli afflitti, in modo che possano andare con fiducia avanti, e avere la speranza nel risorgere. Questi afflitti, inoltre, non devono mai dimenticare che l’evento catastrofico è solo un accidente; fa parte della “fatalità” della vita ( elementi questi importanti, perché permettono lo scioglimento dell’intreccio tragico).

Se in un racconto dei fatti e delle azioni della vita utilizzassi l’impostazione metodologica aristotelica dovrei aspettarmi anche il plauso catartico di coloro che si trovano ad assistere alla rappresentazione della mia narrazione tragica; e, poi, se fossi stato bravo nel mettere in scena lo spettacolo dell’azione potrei anche ottenere la riconoscenza della memoria di un fatto legato al mio racconto esposto secondo i tempi del teatro o della Poetica aristotelica.

Da teorici, noi, ma anche da cultori di estetica o di critica, “mettiamo in scena la messa in scena”; ovvero riflettiamo su di essa. Riflettiamo, cioè, sui legami e le evoluzioni che emergono all’attenzione nel nostro attuale “orizzonte degli eventi”. Essi ci fanno percepire un modello particolare d’organizzazione e di “composizione di una serie di atti o di fatti”, che, per qualche studioso di letteratura, come Hans Robert Jauss, è divenuto “orizzonte estetico”.

Diversi sono i modelli con cui si attrae l’attenzione del “popolo di internet”. Le nuove generazioni si alimentano principalmente di spettacolo, con o senza la presenza di tutti e sei gli elementi costitutivi della tragedia. Spesso rimangono indifferenti alla “nostra” distinzione tra epopea e tragedia, dove occorre che il meraviglioso e la menzogna siano giustificati da paralogismi e commenti verosimili. Per loro vale lo spettacolo innanzitutto. L’evento tragico va “consumato” come la spettacolarizzazione di un caso eccezionale che produce una sua evoluzione della vita, attraverso il racconto di atti e fatti. Non importa distinguere tra atti veri o verosimili: l’essenziale è la organizzazione logica, il sommovimento e coinvolgimento emotivo (la catarsi sembrerebbe oggi diventata quasi una vaga eco di un ricordo letterario). “Mi sto facendo una storia con …,” — aggiungendo poi prontamente — “e non parlatemi di distanza, pero!”, ha annunciato qualche giorno fa il mio nipotino, per indicare che un’attrazione è diventata condivisione di vita con un’altra persona, anche se fisicamente sono separati da oltre 6000 km.

La distanza geografica non è più un limite insormontabile per la condivisione: due persone possono essere coinvolte in uno stesso ambiente, anche se vivono in località distanti; ovvero, si può condividere meglio la “composizione di una serie di atti o di fatti” con chi abita in un luogo remoto, piuttosto che con altre persone che assistono, ad esempio, ad eventi che capitano sotto casa. La condivisione implica l’applicazione di simili modelli d’azione. Nella rete di internet, infatti, si è costituito un nuovo “corpo sociale”, che si alimenta d’informazioni; e, ogni singolo membro, pur essendo fisicamente distante da un altro, “sente” e sceglie di seguire aderendo con un clic a una delle tante campagne sociali promosse e pubblicizzate sui net work. Ogni corpo sociale che si aggrega riconoscendosi in similari modelli d’azione ha un obiettivo: si viene così a costituire un ordine come succede, ad esempio in natura, dopo uno sciamare di api.

Per il popolo di internet non ci sono più principî o regole morali da violare; piuttosto, solo regole legali o illegali praticate da singoli o da vari gruppi di potere costituiti. L’azione umana è acquisita come informazione ed è custodita in banche dati. Chi ha accesso a queste “buliminiche memorie” ha più potere di coloro che oggi posseggono solo miliardi e miliardi in questa o quella moneta.

Maggiori informazioni si hanno a propria disposizione e migliore diventa la probabilità di raggiungere un proprio fine. L’uomo contemporaneo si muove nell’“orizzonte degli eventi” generati da informazioni, e emerge nella rete solo quando egli, navigatore di internet, ha ricevuto degli stimoli che lo inducono ad approdare in un ambiente relazionale. Da questo collegamento sensitivo e cognitivo, che si presenta come l’insorgere dell’“orizzonte degli eventi”, il navigatore trae conferme per le proprie azioni. Dagli stimoli-informazioni visivi e auditivi e, attraverso essi, “sente” e trae notizie sui modelli e sulla messa in scena della spettacolarizzazione della vita e della conoscenza. Solo quando l’“orizzonte degli eventi” emerge, e allorché la struttura sensibile e conoscitiva sia fusa dagli stimoli, nel navigatore digitale può dispiegarsi a pieno la scelta di una direzione privilegiata tra i tanti flussi. Le azioni, perciò, sono promosse secondo l’ordine delle strutture informative. L’ordine si percepisce, quindi, per mezzo della ricezione di stimoli sensoriali; quando fanno emergere l’“orizzonte degli eventi”, inducono il navigatore a in/seguire una immagine o un “colore” o un’idea che andranno a collegare le azioni a una “serie di atti o di fatti”, secondo i propri modelli d’informazione e di cognizione decisi. L’informazione, in estrema sintesi, è energia luminosa organizzata in un racconto che stimola fisicamente e attrae l’attenzione facendo contestualmente apparire in un osservatore l’“orizzonte degli eventi”.

L’opinione e il consenso, espresso con il mio clic di navigatore d’internet, provengono dalla sollecitazione di stimoli. Quando colpiscono il mio corpo e attraggono l’attenzione attraverso i processi sinaptici, ricevo informazioni. Mi soffermo, quindi, in un sito durante le mie escursioni tra le reti interoperative che collegano informazioni alla conoscenza di una “composizione di una serie di atti o di fatti” attraverso il computer, — il quale traduce l’energia-informazione in suoni immagini e film.

Reagire a stimoli sensoriali significa rispondere con azioni alla “composizione di una serie di atti o di fatti”. La psicologia valida in internet è quella dello stimolo-risposta. Bisogna avere una mente calcolatrice di probabili azioni e reazioni in un ambiente, piuttosto che avvalersi di concetti e termini appropriati. L’importante in internet è l’obiettivo, il fine da raggiungere. Il modello che emerge indica la direzione dell’agire di miliardi di favole umane.

Gli stimoli sono informazioni già organizzate che esprimono uno specifico punto di vista, per cui radicano opinioni. Spesso chi riceve, o meglio “sente”, una informazione è indotto a prendere una posizione per l’insorgere dell’“orizzonte degli eventi”; dagli stimoli-informazioni, anche se non sopraggiunge un palese ragionamento, si genera il consenso o il rifiuto di aderire o meno ad una iniziativa.

Gli psicologi della rete ci informano che, studiando i vari utenti collegati, si può tracciare per ognuno di essi non solo un profilo psicologico, ma anche comprendere quali siano i nodi e i dominî da cui questo “navigatore” trae le proprie informazioni. Si può tracciare e prevedere, volendo spingerci oltre nello studio del singolo internauta, anche una mappa specifica. E’ possibile inoltre valutare e “calcolare” i  limiti di sopportazione fisica di uno specifico ambiente relazionale, le strategie utilizzate abitudinariamente, le variabili, le modalità di frequenza di luoghi, ecc., e, contemporaneamente, monitorare una gran parte dei comportamenti degli utenti della rete, senza che questi mai, nella loro vita, si siano seduti su un lettino di uno psicanalista.

Le nostre scelte di connessione tendono ad illustrare, in generale, in che modo si esperiscano una serie di percorsi programmati per elaborare le notizie che si trovano sulla rete; o che tipo di linguaggio, diretto o disambiguo, si deve adoperare per attrarre noi “navigatori” a utilizzare una informazione invece che un’altra. Una direzione scelta al posto di un’altra, infatti, porta a stabilizzare delle forme organizzative legate agli stimoli, e a far emergere abitudinariamente lo stesso modello per l’“orizzonte degli eventi”. E questo non è poco, per chi vuole controllare le informazioni. Spesso l’informazione, pur essendo la stessa, è organizzata in un altro sito web in modo diverso. Diciamo, in generale, che ogni singolo terminale (o utente) si lega a diversi dominî, che fanno da nodi di amplificazione di fatti e di eventi per gli altri. Ne consegue che l’uomo contemporaneo vive la propria favola di “composizione di una serie di atti o di fatti” non più attraverso la rappresentazione di miti, ma con il calcolo e le scelte di modelli relazionali che lo portano in questa o quella zigzagante direzione. L’“orizzonte degli eventi” e l’azione, sono legate assieme nelle scelte delle direzioni. Le banche dati conservano oggi queste informazioni. Nei domini passano le informazioni organizzate che hanno specifiche caratteristiche; ognuna rientra in un modello di relazioni: è nata così una nuova filosofia interpretativa.

Il navigatore esperto sa che ogni informazione è di parte; nella rete non c’è democrazia, né “vera” informazione, ma solo “scelte”; adesioni che avvengono mediante un clic. Tutta la conoscenza emerge contestualmente all’essere stati colpiti da uno stimolo. Non si riesce a distinguere chi è più dominante: se lo stimolo o la struttura che genera l’“orizzonte degli eventi”. Sappiamo solo che l’energia-informazione induce il navigatore d’internet a rendersi partecipe di un evento, perché in quel momento quella organizzazione dell’“orizzonte degli eventi” si fa innanzi, e nel suo corpo “sente” di essere coinvolto nella “composizione di una serie di atti o di fatti” determinanti il suo “orizzonte estetico”. L’orizzonte estetico, così come lo ha prospettato anche Jauss, è stabilito dal pubblico.

Coloro che sono connessi e ricevono informazioni potenziano (o decrementano) col proprio clic una o più opinioni sugli eventi. Questo fa supporre a molti studiosi che nel giro di una ventina d’anni avremo bisogno di tracciare altre regole per stabilire come vengano fuori gli stimoli indotti; o cercare di scoprire come questi si organizzano e producono relazioni secondo modelli; o indagare da quali strutture fisico-mentali è calcolata l’analisi di frequenze e di algoritmi [procedure] logico-matematici, attraverso cui si compongono nella nostra mente, con uno stimolo, ciò che permette contestualmente non solo l’attrazione-l’azione-la decisione-il giudizio, ma anche l’emergenza degli eventi, con il comporsi della favola “di una serie di atti o di fatti”. Ancora una volta, pur non conoscendo come funziona la nuova interconnessione inscindibile tra corpo-mente-cervello già siamo pronti a filosofeggiare su quali strumenti vanno a confluire la percezione, la valutazione e l’interpretazione delle configurazioni relazionali o delle “atmosfere” aeree con cui si struttura la “nostra” attuale favola della “composizione di una serie di atti o di fatti” attraverso l’energia-informazione.

Da ogni organizzazione cognitivo-percettiva, interconnessa alle decisioni di un “orizzonte estetico” — che è simile alla composizione dell’“orizzonte degli eventi”, — già ora si può trarre una classificazione con cui probabilmente si può costruire una mappa delle nuove drammaturgie del racconto nel tragico e nel catastrofico. Immagini, filmati, commenti e testi scritti formano ormai un testo unico inscindibile. Basta un cambio di tono nella voce che commenta, o il soffermarsi del filmato su un elemento invece che un altro, o un gesto, o una smorfia del volto del commentatore, o che si cambi una sequenza, per inviare un messaggio che implica decisioni diverse da quello che l’emittente del messaggio desidera.

Qui voglio affermare che l’uso di un termine, non è più un elemento discriminante per determinare il fine di una interpretazione che non rientra nell’analisi della rappresentazione, ma di una tipologia di azione implicante la relazione e lo spostamento in un ambiente in evoluzione, che si usa definire “configurazione”.

Prendiamo ad esempio le immagini della guerra irachena trasmessa per prima in diretta TV negli anni ‘90, e poi quella della tragedia dell’11 settembre 2001. Analizzando le funzioni e i fini delle trasmissioni che si susseguivano incessantemente, abbiamo alla fine constatato come la registrazione delle tragedie collettive in diretta siano diventate narrazioni appassionanti, piene di pathos. Tanto che i giudizi, dopo la condanna iniziale di tutti, hanno diviso il pubblico-spettatore tra il voyeurismo patriottico e quello di denunzia. Il fine, come sempre, è ciò che divide e fa discutere il pubblico. La scelta dei modelli interpretativi porta sempre a decidere se stare in un campo o nell’altro. Ricordo che durante quella guerra assistevo alla partenza di razzi che avrebbero colpito “il nemico” con conseguenti danni in vite umane e materiali: ma noi, passivi spettatori, non li abbiamo mai visti, se non dopo anni. Molti ritengono che quelle immagini siano state estrapolate ad arte da un contesto per giustificare il finanziamento di un’impresa di distruzione, per cui affermano che si sia trattato di complotto montato da  alcuni imprenditori senza scrupoli per fare “business”. Altri invece pensano che “il tragico evento” sia avvenuto per sposare la nobile causa della democrazia, per cui era giusto impegnare le risorse pubbliche per la ricostruzione di un luogo, o per aiutare — o difendere — gli afflitti colpiti da una catastrofe (pietismo) provocata da tanti popoli alleati contro il popolo iracheno. Non voglio entrare qui nella logica dei particolari interpretativi, né voglio discernere tra ciò che è “vero” e ciò che è “falso”.

L’importante è comprendere che (1) le informazioni sono organizzate per suscitare il sommovimento dell’animo nel pubblico attraverso una struttura interconnessa d’immagini suoni, parole, commenti, gesti, toni, ecc.; che esse — informazioni — (2) rispettano la nuova grammatica e sintassi dei tempi tragici della TV e della contestuale spettacolarizzazione della vita; (3) che ora questo spettacolo è analizzato come una struttura di calcolo logico-matematico, attraverso la percezione di stimoli organizzati connessa all’emergenza dell’“orizzonte degli eventi”. Tutto ciò è iniziato da quando — nel 1948 — è stata formulata la Teoria dell’informazione.

Il cambiamento di analisi che si produce oggi con l’osservare i fatti e gli stati degli organismi in un ambiente relazionale produce una nuova forma di conoscenza diversa da quella consolidata, basata unicamente sull’intreccio delle parole. Questo è accaduto perché la stessa lingua “diplomatica”, cioè doppia — a volte anche tripla — , non è più utile a tanti per mediare e descrivere i vari modelli che si producono nel nuovo mondo relazionale. Anche perché l’elemento tragico della narrazione, che fa emergere la favola della “composizione di una serie di atti o di fatti”, non segue più i parametri linguistici di una storia orientata al trionfo di un’unica giustizia e di un’unica verità. Non si può più utilizzare la rappresentazione del vero e del giusto, quando pensiamo all’utile come fine da raggiungere. Nella microfisica, poi, con l’osservazione del mondo atomico e subatomico neanche la materia è divisa più dall’energia-spirito. In effetti, una serie importante di categorie filosofiche tradizionali è caduta. Il popolo di internet ha esperienza di ciò quotidianamente. In effetti, questa tribù di sperimentatori ha perso l’interesse per il solo raccontino tragico affidato alla comunicazione unidirezionale, che per essere equidistante dalle interpretazioni opposte, si trasmette anche con l’analisi di una scrittura disambigua [nel senso che utilizza nell’intreccio la negazione logica].

Sono cresciuti di numero coloro che, più sospettosi, non credono neanche all’autenticità del racconto, nonostante si pubblichino anche varie immagini fotografiche — o brevi filmati — commoventi, insieme a sottili commenti. È capitato più volte, avvalorando le tesi dei diffidenti, che si è scoperto solo dopo successivamente che le foto proposte (nel frattempo avevano fatto il giro del mondo) erano abili fotomontaggi. Questa modalità narrativa internettiana ha mandato all’aria il “vero” che chiedeva Aristotele nella favola, quale “composizione di una serie di atti o di fatti” sostituendolo col “probabile”.

Quello che voglio qui sottolineare è che l’importante non sia solo mettere in scena l’evento catastrofico, ma mostrare che, anche oggi, come per Aristotele, è prestare attenzione a come, quando, dove e chi scioglie l’intreccio tragico. La seduzione del pubblico avviene attraverso la spettacolarizzazione di parole, di gesti e immagini, che configurano un’azione e determinano la decisione a cliccare un’organizzazione invece che un’altra. Ogni informazione è diretta verso un fine, e decidere di andare da una parte o dall’altra porta alla scelta di attraversare un luogo invece di un altro, induce poi a percorrere una strada invece che un’altra. Non è importante più quel fine della verità o della giustizia uguale per tutti; al di sopra di tutto c’è  “l’interesse”. La nuova filosofia di internet è quella che collega direttamente l’utente-osservatore al mondo dei fini e a quello dell’azione. Un’organizzazione d’informazioni è già indice dell’“orizzonte degli eventi” e delle scelte di un osservatore che è stato raggiunto da stimoli che lo hanno indotto a una misurazione di “una serie di atti e di fatti”: ora deve solo decidere con chi stare e dove vuole approdare attraverso il racconto.

Quando credo all’emergere di una favola, che mi ha indotto alla “composizione di una serie di atti o di fatti”, so anche che essa mi spinge a utilizzare e a scegliere quel percorso per raggiungere il mio fine. Seguo il flusso pronto a fermarmi al mio obiettivo.

Nell’operare degli uomini si parte sempre dai narratori, che cercano le leve non solo per studiare il tempo e l’azione per sommuovere gli animi alla messa in scena dell’evento tragico, ma anche per giustificare l’azione dell’eroe, che decide i tempi e i modi per sciogliere oltre che l’intreccio anche per indicare i motivi della discriminazione e della “condanna” di coloro che lo hanno provocato. Vi è una consapevolezza, oggi, che ogni azione è un’azione relativa a un contesto ambientale preciso a cui si partecipa, direttamente o indirettamente. La distanza è determinata dalla misurazione del tipo di “orizzonte degli eventi” che un osservatore produce, e dal modello e dalla direzione che egli sceglie. Lo stesso vale per l’eroe quale centro della narrazione. Egli coinvolge e stimola il navigatore che ha rotto gli argini tra realtà e simulazione. In effetti, se io sono stimolato a seguire quell’eroe, che è emerso nella mia organizzazione, vuol dire che o vi è un legame di compartecipazione energetica o di resistenza-avversione.

L’eroe, positivo o negativo, è sempre colui che è diventato indice di una discriminazione, come ad esempio tra buoni e cattivi. L’evento stesso, con la sua presenza, fa da amplificatore all’azione eroica che è sempre un fatto esaltante.

L’eroe, però, val la pena ricordare, per Aristotele è una creazione dell’aedo (cantore) che, ispirato dalla divinità, indica e detta i tempi dei “topoi” (o luoghi narrativi).

Ogni gesto, parola o movimento che compie un eroe con pathos davanti al pubblico, o quando è ripreso e interagisce anche con un suo aedo televisivo, è un’azione che dà informazioni agli spettatori. Egli indica verso dove, e secondo quali principî si muove l’azione e la regia del fato. La funzione passiva dello spettatore è per coloro che credono ancora in una verità o in una giustizia umana o divina dall’alto; cioè, non sono ancora navigatori di internet.

Questo spettatore non è consapevole che, anche nella passività, egli sceglie un’informazione e decide di dare forza a una organizzazione dell’“orizzonte degli eventi”.

Con il racconto, o col commento, TV si tentava di magnificare un’impresa e invogliare, o meglio stimolare, un guardone televisivo a imitare e a prendere come modello quell’eroe televisivo. Questa tipologia di cantore non ha più tanta presa su un navigatore di internet. Esso è stimolato solo da un impulso — che produce in lui una sorta di auto-riferimento logico — che ha come reazione il proprio assenso con un clic, che si traduce in una scelta di direzione. Ogni osservatore di internet è coinvolto e partecipa, perciò, ad un’azione che è essa stessa favola della “composizione di una serie di atti o di fatti” tragici in entanglemet [in aggrovigliamento] . L’unione dei tanti punti di vista di misurazione dei fatti tragici fa emergere la natura di un evento in un determinato contesto. L’insieme di quei punti di vista, pur seguendo specifici modelli d’organizzazione delle informazioni, indirizza l’azione verso una direzione spazio-temporale. Questi sono i motivi per cui lo “spettatore” (noi lo chiamiamo, più precisamente, “osservatore” o “misuratore logico-matematico della luce”) di internet è coinvolto direttamente nell’azione, partecipa a un flusso relazionale che può connettere o interrompere anche una qualsiasi organizzazione di relazioni sociali.

(Fine I parte. La II parte sarà pubblicata nel n. 2 di ZRAlt!)