Quanti morti ancora dovremo piangere per dire basta?
di Luigi Fabio Mastropietro
Quando tendete le vostre mani,
io allontano gli occhi da voi.
Anche se moltiplicate le preghiere,
io non ascolto.
Le vostre mani grondano sangue.
Isaia, 1,15
Umani, figli miei, sono tornato.
Rallegratevi, sono tornato nel vostro tempo di mezzo per macellarvi tutti con dolcezza. Carne della mia carne, fiato del mio fiato, vi amo più di ogni cosa che mai sia stata nominata.
Per questo spremerò dalle vostre membra il latte divino della paura e me ne nutrirò fino all’ultima goccia, prima di accompagnarvi uno per uno oltre la soglia di Beliya’al. Al di là di quella soglia non c’è nessuna luce ad aspettarvi perché la luce può risvegliare i morti. E voi, protagonisti della Via Crucis, in attesa di essere guardati morire, io non vi lascerò mai soli. Io resterò al vostro fianco e vi guarderò morire fino all’ultimo istante di agonia. E niente e nessuno potranno mai turbare il nostro idillio, perché io sono Colui che dimora dentro.
Super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et portae inferi non praevalebunt adversus eam.
Sentito? Non è mai stato scritto che l’inferno non vivrà sulla terra ma solo che alla fine non prevarrà. Molti eoni devono ancora passare prima della fine. Fiumi di sangue devono ancora scorrere al contrario dentro le vostre bocche mendaci. Ma io vi amerò per sempre e voi mi amerete fino all’ultimo tempo. Amatemi come se fosse una vostra scelta. In questo modo potrete continuare a mietere con i piedi che affondano nelle spighe falciate.
Figli miei, non abbiate timore di piangere i vostri morti quando le cateratte del cielo vomitano fuoco sulle vostre teste. Solo, abbassate le palpebre del giorno e fuggite la luce come vetriolo negli occhi. Scendete nelle catacombe del mondo rovesciato e strisciate in silenzio per non turbare il sonno dei vostri morti.
Seppellite i vostri morti con la faccia affondata nella terra e baciate le loro mani indurite. Le mani dure dei morti aprono la strada nel roveto in fiamme sul monte Horeb. Al di là del roveto si apre l’abisso che vi ha partorito tutti.
Oggi voi stringete le mani dei morti e dite che non possono più sentire. Io vi dico che sono le vostre mani a non poter più sentire nemmeno le mani dei vivi.
Voi Uomini di Mezzo vi perdete nella distesa di ossa arse in cui giacete tremanti, trascinandovi tra sonno e morte, alla ricerca di Yahweh. Le narici dilatate, aspirate l’aria di vampa davanti a voi. Gli occhi velati di cenere e lacrime, alzate la testa sopra di voi.
Figli miei, non c’è niente davanti a voi né sopra di voi. Da sempre io sono alle vostre spalle, anche quando non ci sono.
Io non sono Yahweh. Non sono Adonay. Non sono Elohim. Non chiamatemi con l’impronunciabile nome di Dio. Chiamatemi con i nomi della luce e dell’ombra, con i segni della terra e del sangue. Quando uccidete in nome di Dio, state uccidendo in nome mio. Non gettate il vostro sacrificio al vento di nomi mai nominati dall’Antico degli antichi. Ascoltate ciò che è scritto
Ecco, così come è scritto, oggi vi restituisco il cadavere del figlio degli uomini. Non mi amerete fino all’ultimo tempo per questo?
1. Dominus. Paenitentia
«Non mi piace, Ariel … agli infrarossi si vede del bianco sui tetti. Confermo, il visore HUD alla massima scansione. Sui tetti sotto il minareto della moschea sono stese delle lenzuola bianche. Sembra una tendopoli di lenzuola e se ci sono dei civili là dentro … »
«Te l’ho già detto, Z43, non fare storie adesso … i droni hanno fotografato tutta la zona di strike a bassa quota, nei minimi dettagli. Con quelle lenzuola ci coprono i loro fottuti missili … vai avanti con la procedura, Z43.»
È stato scritto.
Avete moltiplicato i morti in questa città: avete riempito le strade di morti.
ו הִרְבֵּיתֶם חַלְלֵיכֶם, בָּעִיר הַזֹּאת; וּמִלֵּאתֶם חוּצֹתֶיהָ, חָלָל.
I cadaveri che avete ammucchiato nel mezzo della città sono la carne e questa città è la caldaia; ma sarete condotti in cammino fuori da Babilonia.
ז לָכֵן, כֹּה-אָמַר אֲדֹנָי יְהוִה, חַלְלֵיכֶם אֲשֶׁר שַׂמְתֶּם בְּתוֹכָהּ, הֵמָּה הַבָּשָׂר וְהִיא הַסִּיר; וְאֶתְכֶם, הוֹצִיא מִתּוֹכָהּ.
La spada vi spaventa; ebbene manderò contro di voi la spada, oracolo di Dio.
ח חֶרֶב, יְרֵאתֶם; וְחֶרֶב אָבִיא עֲלֵיכֶם, נְאֻם אֲדֹנָי יְהוִה.
E vi condurrò in cammino fuori della città e vi consegnerò in mani straniere e per mezzo di stranieri eseguirò la sentenza contro di voi.
ט וְהוֹצֵאתִי אֶתְכֶם מִתּוֹכָהּ, וְנָתַתִּי אֶתְכֶם בְּיַד- זָרִים; וְעָשִׂיתִי בָכֶם, שְׁפָטִים.
2. Gloria. Precatio
La prima notte conto settantasette porte. Mio fratello cammina davanti a me in un profondo corridoio sotterraneo, illuminato a stento da una fila di lampade a petrolio appese ai muri. Gavriel continua ad aprire porte su porte con un mazzo di chiavi verdi che sembrano alghe.
Il sogno non ha suoni né rumori, come se il corridoio fosse una specie di tunnel iperbarico. Mia madre ci segue sorridendo appena, con la fronte imperlata di sudore. Vorrei asciugarla con il mio fazzoletto quella fronte così trasparente ma sono nudo, eccetto gli anfibi neri ai piedi. Eppure non ho freddo né caldo. Non sento niente, come se fossi sotto anestesia ma voglio solo andare avanti. E voglio uscire da questa catacomba con il pavimento di sabbia che si apre nella nostra vecchia cucina della casa di Ramat Gan. Voglio prendere i miei vestiti nell’armadio di quercia in fondo al corridoio.
Ogni porta aperta si apre su un’altra porta dopo pochi metri, all’infinito. Per un’eternità. Poi ad un tratto avverto un sibilo e le mie orecchie riprendono a udire. Mia madre sta cantando a voce bassa Sch´av b´ni schaw bimnucha. Dopo le prime parole della ninna–nanna preferita di casa Sharon, so di essere di fronte all’ultima porta. Mio fratello non la apre come le altre. Si ferma ad accarezzare con la mano una forma graffita nel legno grigio, יהךה. La riconosco. Era nella Bibbia della sinagoga. È il tetragramma sacro di Adonay. Il nome impronunciabile di Dio. Io sarò quel che sarò, sussurra mia madre dietro di me, ricordando la lingua che non ha mai voluto parlare.
La porta si apre docilmente in un soffio sotto le mie dita, ma non vedo nulla perché
mi sveglio nel buio, la faccia bagnata da un sudore di ghiaccio. Fania continua a dormire la testa affondata nel cuscino con l’aria di essere morta. L’abbondante libagione alcolica della sera prima sembra averla sfinita. È il suo modo di dimenticare quello che io non dimenticherò mai. Tutti quei bambini morti. Al mio rientro ieri notte l’ho trovata accucciata sul divano a dondolare con un bicchiere in mano, gli occhi vuoti. La televisione era accesa e trasmetteva l’ennesimo servizio sui soccorsi. Appena mi ha visto, si è alzata senza una parola. Barcollava. Ho dovuto sostenerla con un braccio intorno alla vita perché non cadesse. Mi ha puntato i gomiti sul petto guardando a terra e mi ha spinto lontano da sé con un lamento di gola che mi ha fatto venire i brividi.
Sento formicolare tutto il corpo e la testa affogare nel vuoto. Mi alzo e vado in cucina a bere un po’ d’acqua. La finestra sull’acquaio è sollevata a metà e dalla spiaggia vicina il vento non porta con sé l’odore marcio del mare di Jaffa. Questa notte nell’aria c’è il profumo dei cedri. Come tre anni fa. Io e Fania eravamo a Sidone sul finire dell’estate. Al tramonto scendevamo nella piccola spiaggia davanti al Castello del Mare. E il mare aveva lo stesso profumo aspro. Solo tre anni fa. Fania aveva già Nathan nella pancia e facevamo progetti. Che non prevedevano di bombardare qualche villaggio intorno.
Non so quante notti dovranno passare prima che io trovi una via di uscita. Una ragione al fatto che non posso tornare indietro a quella sera. Un modo per continuare a vivere senza pensare. Quante volte ancora mi sentirò perduto stringendo Nathan sul mio petto? La mattina del ritorno dalla missione, sono entrato nella sua stanza come un ladro, con il terrore che si svegliasse e mi chiedesse cosa avevo fatto. Da quella mattina, non posso pensare più a lui senza sentirmi un assassino. Quando vedo Nathan, il tizzone ardente che ho nel petto si immerge nel lago dei suoi occhi grandi e neri e frigge e fuma e mi fa piangere per il dolore. Perché, è assurdo lo so, ho paura di me. Ho paura di fargli del male.
Come se fossi uno di quei bastardi di sceicchi ulema che si nascondono nelle case della gente dei Territori e banchettano con il sangue dei loro figli. Li mandano a farsi esplodere alle fermate degli autobus, mentre loro se ne stanno al sicuro nell’ombra delle loro moschee a lavare il cervello dei prossimi martiri. E noi? Il tempo di raccogliere i nostri morti dall’asfalto delle città e andiamo a bombardare con gli elicotteri le loro spelonche. Poi ci chiudiamo in casa ad aspettare il prossimo Shabbath per recitare il Kiddush su una coppa di vino. E nessuno muove più un dito per fare qualcosa. Fino alla nuova strage del nuovo kamikaze e poi di nuovo gli aerei e le bombe. Quanto può durare tutto questo, senza impazzire tutti in massa, arabi ed ebrei? Ma forse siamo già tutti pazzi furiosi se pensiamo di difenderci dai razzi di Hezbollah andando a massacrare degli innocenti. Che sia maledetto Olmert e tutto il suo branco di politicanti macellai di guerra che pensano di avere le mani più pulite dei becchini di Tsahal.
Maledetto io tre volte, il giorno che ho pilotato il primo F–16, mi si dovevano seccare le mani. Con Heyl Ha’Avir per difendere la pace di tutti dall’alto dei cieli. Il vero criminale è Klausner, con i suoi slogan di merda. Il suo sostegno psicologico ai combattenti, solo altri slogan di merda. I suoi corsi di addestramento “im siebten Himmel”, solo un altro lavaggio del cervello. Piccoli ricatti e piccoli premi, uno sull’altro, grado per grado, giorno dopo giorno. Per costruire la scimmia assassina. Ma questa è stata l’ultima volta che la scimmia ha premuto il bottone. Almeno potessi sapere se è stata veramente una bomba a teleguida laser a far crollare l’edificio, come dicono. Domenica notte eravamo in tre ad avere gli MK–84 a bordo.
È stato scritto.
Voi mangiate carne col sangue, alzate gli occhi verso i vostri idoli e versate sangue in loro nome, e voi vorreste ereditare il paese?
כה לָכֵן אֱמֹר אֲלֵהֶם כֹּה-אָמַר אֲדֹנָי יְהוִה, עַל- הַדָּם תֹּאכֵלוּ וְעֵינֵכֶם תִּשְׂאוּ אֶל-גִּלּוּלֵיכֶם–וְדָם תִּשְׁפֹּכוּ; וְהָאָרֶץ, תִּירָשׁוּ.
Vi reggete in piedi sulle vostre spade, commettete abominazioni, ciascuno contamina la moglie del prossimo, e voi vorreste ereditare il paese?
כו עֲמַדְתֶּם עַל-חַרְבְּכֶם עֲשִׂיתֶן תּוֹעֵבָה, וְאִישׁ אֶת- אֵשֶׁת רֵעֵהוּ טִמֵּאתֶם; וְהָאָרֶץ, תִּירָשׁוּ.
Come è vero che io vivo, quelli di voi che sono tra le rovine cadranno di spada e quelli che sono in aperta campagna li darò in pasto alle bestie e quelli che sono nascosti nelle fortezze e nelle grotte moriranno di peste.
נְתַתִּיו לְאָכְלוֹ; וַאֲשֶׁר בַּמְּצָדוֹת וּבַמְּעָרוֹת, בַּדֶּבֶר יָמוּתוּ.
כז כֹּה-תֹאמַר אֲלֵהֶם כֹּה-אָמַר אֲדֹנָי יְהוִה, חַי- אָנִי, אִם-לֹא אֲשֶׁר בֶּחֳרָבוֹת בַּחֶרֶב יִפֹּלוּ, וַאֲשֶׁר עַל-פְּנֵי הַשָּׂדֶה לַחַיָּה
Renderò il paese una tale desolazione che vi lascerà storditi cesserà l’arroganza della vostra forza e le montagne d’Israele saranno desolate, così che non vi passi più nessuno.
כח וְנָתַתִּי אֶת-הָאָרֶץ שְׁמָמָה וּמְשַׁמָּה, וְנִשְׁבַּת גְּאוֹן עֻזָּהּ; וְשָׁמְמוּ הָרֵי יִשְׂרָאֵל, מֵאֵין עוֹבֵר.
Soundtrack di Mari de Jesus Correa
3. Sanctus. Veritas
Khan Yunis, 15 gennaio 2024.
Benvenuti all’inferno.
Il caravanserraglio di Giona non accoglierà più nessuna carovana di pellegrini. In cento giorni di bombardamenti gli edifici bianchi della città sono stati quasi tutti sbriciolati. Dall’alto la spianata fumante del campo profughi appare costellata dai crateri lasciati dalle bombe da duemila libbre di Tsahal e sembra di essere sulla Luna.
I soccorritori ancora sopravvissuti continuano a scavare a mani nude tra le macerie ma disseppellire le centinaia di cadaveri è sempre più difficile.
Alcuni morti sono stati spinti così in profondità dalle esplosioni e dai crolli che i loro corpi sono quasi fusi con la pietra e il cemento. Soprattutto i cadaveri dei bambini non possono essere ricomposti perché sono disseminati nella terra come schegge di sangue e di carne.
Quando scende la notte, a Khan Yunis le tenebre sono ancora squarciate dalla luce delle esplosioni all’orizzonte mentre il silenzio primordiale della Geenna spegne in un sibilo assordante le ultime grida delle ombre rimaste a piangere i morti.
È stato scritto.
Quel giorno verranno fuori i vostri progetti segreti ed escogiterete i vostri piani malvagi.
י כֹּה אָמַר, אֲדֹנָי יְהוִה: וְהָיָה בַּיּוֹם הַהוּא, יַעֲלוּ דְבָרִים עַל-לְבָבֶךָ, וְחָשַׁבְתָּ, מַחֲשֶׁבֶת רָעָה.
E marcerete contro un paese di villaggi indifesi; volgerete le vostre armi contro un popolo tranquillo che abita al sicuro, che abita in un posto senza mura, senza sbarramenti e senza cancelli.
יא וְאָמַרְתָּ, אֶעֱלֶה עַל-אֶרֶץ פְּרָזוֹת–אָבוֹא הַשֹּׁקְטִים, יֹשְׁבֵי לָבֶטַח; כֻּלָּם, יֹשְׁבִים בְּאֵין חוֹמָה, וּבְרִיחַ וּדְלָתַיִם, אֵין לָהֶם.
Deprederete, saccheggerete, calerete la vostra mano armata sulle rovine ora ripopolate, contro un popolo riunito fuori delle nazioni, dedito al bestiame e al commercio,
che dimora al centro della terra.
הָאָרֶץ.
יב לִשְׁלֹל שָׁלָל, וְלָבֹז בַּז–לְהָשִׁיב יָדְךָ עַל-חֳרָבוֹת נוֹשָׁבוֹת, וְאֶל-עַם מְאֻסָּף מִגּוֹיִם, עֹשֶׂה מִקְנֶה וְקִנְיָן, יֹשְׁבֵי עַל-טַבּוּר
4. Agnus. Immolatio
La seconda notte il letto si muove e vibra per qualche istante sotto l’onda d’urto di un terremoto. Ma non è un terremoto. Passano ancora Apache sulle nostre teste e i loro fari illuminano a giorno i cortili mangiati dal salnitro dove i nostri figli giocano alla morte.
Io non sento niente e non vedo niente.
Sono di nuovo davanti alla porta del sogno. La porta grigia con il tetragramma. È rimasta aperta dall’ultima volta. Spalancata su uno stanzone basso in penombra. Mia madre e mio fratello devono essere in un altro sogno, perché sono solo. Forse si vergognano di me e non sogneremo mai più insieme. A terra ci sono tre file di corpi dentro sacchi neri. Ogni fila conta quindici unità, allineate in parallelo con la parete illuminata a giorno dai neon dell’obitorio. Il nome, l’età e la provenienza del cadavere sono stati scritti con un pennarello giallo su tutti i sudari di plastica. Prima in arabo, poi in inglese. Leggo i nomi ad alta voce. Come nel primo sogno, non sento la mia voce, ma sento il mio sterno aprirsi lentamente. Si apre piano, con un dolore sordo al centro del petto e ingoia ogni nome, ogni parola. Mehdi Hashem sette anni Khan Yunis, Hussein al–Mohamed dodici anni Khan Yunis, Abbas al–Shaloub undici mesi Khan Yunis, Khalida Chaloub quattro anni Khan Yunis …
Mi accorgo che sul tavolo di dissezione al centro della stanza c’è anche un sacco senza nome. L’unico non identificato. Non si devono aprire i sudari dei bambini. Non si devono contaminare i loro corpi con le mani impure di chi ha peccato. Ma è l’unico sacco senza nome. Devo sapere. Mentre le mie mani fanno scorrere la zip, il mio sterno si richiude nella roccia. Il volto di Nathan è bello e sereno come sempre, sembra dormire. Ma è tutto bianco di gesso.
È stato scritto.
Poiché c’è stato in voi un odio eterno e avete gettato i figli di Israele in preda alla spada al tempo della catastrofe, quando la vostra colpa giunse alla fine.
ה יַעַן, הֱיוֹת לְךָ אֵיבַת עוֹלָם, וַתַּגֵּר אֶת-בְּנֵי-יִשְׂרָאֵל, עַל-יְדֵי-חָרֶב–בְּעֵת אֵידָם, בְּעֵת עֲוֹן קֵץ.
Per questo, come è vero che io vivo, oracolo di Dio, vi preparo per il sangue e il sangue vi perseguiterà. Avete odiato il vostro stesso sangue e il sangue vi perseguiterà.
ו לָכֵן חַי-אָנִי, נְאֻם אֲדֹנָי יְהוִה, כִּי-לְדָם אֶעֶשְׂךָ, וְדָם יִרְדְּפֶךָ; אִם-לֹא דָם שָׂנֵאתָ, וְדָם יִרְדְּפֶךָ.
5.Amen
Umani, figli miei, quanti morti ancora dovrete piangere per dire basta?
Umani, figli miei, così è stato scritto.
Dall’inverno della vostra vita ogni paura dovrebbe essere bandita,
una croce sul cuore imbastita
l’unica arma nell’inverno della vostra vita.
© copyright 2023 by Luigi Fabio Mastropietro
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(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)
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