L’utopia morettiana si dipana tra la finzione cinematografica e la realtà dell’invasione sovietica in Ungheria

di Pino Bertelli

«La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti.
La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro.
È perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi».
Simone Weil

La verità, vi prego, sul cinema italiano… poiché questo cinema è il più brutto del mondo ed è sostenuto dai velinari più servili mai visti all’epoca della civiltà dello spettacolo… si capisce come l’insieme dell’ignoranza estetica che predomina nella maggior parte dei film di cosa nostra (dell’etica ne parliamo dopo la prossima rivoluzione di bellezza) facciano addormentare anche le rane negli stagni.

Il vizio del commediare senza veramente mordere, è un leccare il culo alla rovescia… si ride su tutto purché tutto resti così come è! I padroni sempre più spietati, i servi sempre più serventi! Anche la critica graffiante alla borghesia del maestro Michelangelo Antonioni, se rivisitata con cura, contiene le crepe della fascinazione e l’aristocrazia sobria dell’incomunicabilità (come si dice nei corsi universitari) diventa il crogiolo di una classe al potere destinata a regnare sino a quando gli uomini non si decideranno a toglierli in consenso… la conoscenza altro non è che la demolizione di qualcosa che ne impedisce la creatività libertaria… ecco perché gli anarchici né archiviano né dimenticano!

Il cinema di Moretti non ci ha mai entusiasmato ma l’abbiamo sempre trovato intelligente… una sorta di Woody Allen della condizione sociale tra le più abbrutenti della storia della sinistra, specialmente (la destra nasce e muore abbruttente, forse il suo momento più alto è stato raggiunto da Mussolini impiccato per i piedi ai pali di un distributore di benzina a Milano nel 1945). La commedia italiana, ribadiamolo, è la continuazione del cinema dei telefoni bianchi e delle camicie nere — a parte le fratture di denuncia del costume che gente come Ettore Scola, Mario Monicelli, Luigi Magni, Dino Risi, Pietro Germi, Luigi Zampa, Antonio Pietrangeli, Marco Ferreri, Pier Paolo Pasolini — ha praticato con una certa leggerezza al vetriolo.

Nel vestibolo della commedia all’italiana tuttavia ci sono passati a frotte intellettuali di pregio, maestrine dell’autobiografia, cortigiani d’ogni ondata mercatale e l’educazione all’imbecillità ha avuto meriti al botteghino edificanti… quando la banalità s’impone, la stupidità si spiega da sé. Credere d’avere qualcosa da dire, anche quando non si è mai stati capaci di esprimere nulla, è la prerogativa della rappresentazione edulcorata, senza sapere mai, o tutto il contrario, che le redini d’ogni forma di comunicazione sono nelle mani dei padroni dell’immaginario… e questi progettano, producono, distribuiscono qualsiasi forma d’arte, al patto che gli artisti non facciano sul serio. E il popolo? Il popolo guarda sfigurato il proprio destino sui marciapiedi della storia.

Il sol dell’avvenire di Moretti non è un capolavoro… di capolavori si può anche morire, diceva il boia di Londra… tuttavia è un film che ha il coraggio dell’arguzia e si svincola da ogni piaggeria. Moretti ha ragione: « Il cinema non si fa solo per compiacersi di raccontare una brutta realtà. Il cinema si fa anche per sognare una bella e diversa realtà. Questi sono i sentimenti con cui nasce questo film ». È vero… Il sol dell’avvenire è uno spaccato tragico/comico sugli ardori struccati degli aderenti al Partito Comunista Italiano… oltre due milioni di persone che credevano in ciò che il comitato centrale diceva, imponeva, disponeva… mistificatori della più grande menzogna del XX secolo, il comunismo sovietico, e occultavano i milioni di morti ordinati da Stalin. Una sozzura diabolica che si è perpetrata con la repressione dei dissidenti a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968. Il Partito Comunista Italiano, va detto, è stato la macchina livellatrice delle masse popolari e al contempo un sistema di affari tra i più redditizi che si possa immaginare.

Dai marcitoi dei suoi intrighi, tradimenti e discrediti i pagliacci medagliati della bandiera rossa hanno preso il posto del re senza nemmeno tagliargli la testa. Le forche del comunismo al potere. Il sol dell’avvenire racconta la costruzione di un film sui militanti di una cellula-sezione del PCI del Quarticciolo, a Roma, quando i carri armati sovietici soffocarono l’insurrezione in armi di Budapest nel 1956. Ricordiamolo. La gloriosa Armata Rossa sparò sugli insorti senza pietà e in nome del bolscevismo annegò la rivolta nel sangue… il PCI tacque… mica troppo… il giovane deputato Giorgio Napolitano elogiò l’intervento dei carri armati… politici, filosofi, uomini di cultura firmarono il Manifesto dei 101… l’Unità si rifiutò di pubblicarlo… molti ritirarono l’adesione… alcuni uscirono dal partito… il segretario del PCI, Palmiro Togliatti, dettò la linea di condotta, così: «Si sta con la propria parte anche quando sbaglia». Togliatti, insieme ai maggiori leader comunisti del tempo, votò a Mosca per l’impiccagione del Presidente del Consiglio ungherese Imre Nagy (1958), considerato antibolscevico, e all’indomani dell’esecuzione, Pietro Ingrao (direttore de L’Unità) confidò a Togliatti di non aver dormito la notte… la risposta del padre putativo del comunismo nostrano fu questa: “Io invece ho bevuto un bicchiere di vino in più”. L’Unità definì i rivoluzionari ungheresi “teppisti”, “spregevoli provocatori” e “fascisti”… Umberto Terracini disse: “L’intervento sovietico non può che trovare unanime appoggio e solidarietà in tutti i veri democratici italiani”.

La CGIL e il segretario generale Giuseppe Di Vittorio si schierarono a fianco dei ribelli… L’Unità L’Avanti pubblicarono una nota del sindacato che diceva: “…la CGIL deplora che sia stato richiesto e si sia verificato in Ungheria l’intervento di truppe straniere”. Di Vittorio fu costretto all’abiura e aderì alla posizione autoritaria di Togliatti.

La storia della burocrazia comunista è una sequela di vessazioni, di soprusi, di crimini commessi in nome di una mistica dell’illusione che ha fatto dell’intolleranza il patibolo d’ogni dissenso… i comunisti durano sino a quando durano le loro finzioni… è difficile non intravvedere che dietro i formulari di un comunista non si celi uno stupido… vi è qualcosa d’indecente tra ciò che dicono e ciò che fanno… i comunisti sono dei religiosi isterici, senza nemmeno avere la grazia dei Vangeli… hanno il vizio del potere e il loro acido ottimismo è francamente impietoso… poiché è più vicino alle fantasticherie di un minorato mentale che a quelle di un pessimista che ne disvela le malevolenze… c’è qualcosa di marcio negli apparti del comunismo di Stato e come in tutte le religioni e i totalitarismi (anche quello del capitalismo parassitario), poggia sull’infatuazione, oppressione e sfruttamento dei popoli… tutti i regimi sono senza credibilità ed è per questo che vanno aboliti… perché l’essenza della storia sta nella liberazione dell’uomo dalle proprie catene. I mezzi sono tutti buoni e senza nessun rimorso.

Su Il sol dell’avvenire. L’utopia morettiana si dipana tra la finzione cinematografica e la realtà dell’invasione sovietica in Ungheria… Paola (Margherita Buy) è una produttrice, moglie di Giovanni (Nanni Moretti), regista di film non proprio commerciali… ha smesso di credere nelle opere del marito e organizza il film carico di violenza di un giovane vanesio… la loro figlia si fidanza con un anziano dell’ambasciata polacca (!?)… Ennio (Silvio Orlando) è redattore de L’Unità e responsabile della sezione del PCI del Quarticciolo, fedele al partito, che invita un circo ungherese a esibirsi nella borgata… Vera (Barbora Bobulova) è la compagna che appoggia la causa dei dissidenti ungheresi… Giovanni è costretto interrompere il film perché il produttore francese Pierre (Mathieu Amalric) è andato in bancarotta… Giovanni e Paola cercano il sostegno di Netflix ma il colloquio con i rappresentanti dell’azienda risulta indecoroso… la sceneggiatura viene però accettata da giovani produttori coreani ai quali piace molto che il film si chiuda con il segretario della sezione comunista che s’impicca. Paola dice al marito che vuole separarsi… Giovanni cade in uno stato di malinconia depressiva e decide di cambiare il finale del film… Ennio sposa Vera e insieme a una piccola folla vanno a protestare davanti alla sede del PCI in via delle Botteghe Oscure… Togliatti li scruta da dietro una finestra e accetta la “svolta comunista”… il giorno dopo L’Unità esce col titolo: Unione Sovietica addio!”. Il sol dell’avvenire si chiude con una sorta di marcia gioiosa sulla via dei Fori Imperiali… gli attori di alcuni dei film precedenti di Moretti (il rimando a Krzysztof Kieślowski è palese) sfilano tra una messe di bandiere rosse e la gigantografia di Lev Trockij… prima dei titoli di coda un cartello avverte che grazie all’abbandono della linea filosovietica da parte del PCI, in Italia è stata realizzata “l’utopia comunista tanto cara a Marx ed Engels che ci rende tanto felici”. L’ironia è di quelle salaci! Ne consegue che la ragione comunista, per la quale milioni di persone si sono battute e sono morte (non solo nei giorni della Resistenza), la nomenclatura del PCI l’ha considerata alla portata di un barboncino!

Moretti è un cinefilo di buona leva… il suo film è attraversato da notevoli citazioni… La dolce vita 8 e 1/2 di Federico Fellini, Lola di Jacques Demy, Un uomo a nudo di Frank Perry, San Michele aveva un gallo dei fratelli Taviani, Breve film sull’uccidere di Krzysztof Kieślowski e lacerti di altri suoi lavori (Sogni d’oroBiancaPalombella rossaIo sono un autarchicoEcce bomboCaro Diario). Ci sono anche richiami a Max Ophüls, John Landis, John Cassavetes, più di ogni cosa c’è Woody Allen in questo film… non solo per gli interventi di Renzo Piano, Chiara Valerio, Corrado Augias che interpretano se stessi e interloquiscono con lo spettatore (espediente narrativo caro ad Allen)… quanto per l’incredibile attorialità di Moretti che raggiunge livelli d’ironia davvero alti, fino a sfociare nello stupore della verità con la leggerezza libertaria del sorriso o del gioco. Un’interpretazione magistrale che rimanda alla comicità da commedia dell’arte del grande Vittorio De Sica attore… sia Moretti che De Sica hanno compreso che il drammatico della vita è anche comico, dipende tutto dal modo in cui si mette l’accento, il gesto, il corpo… sapevano che solo gli ubriaconi, come i buffoni di Shakespeare, sono totalmente sinceri.

Slides (a cura di Pino Bertelli)

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La sceneggiatura di Moretti, Francesca Marciano, Federica Pontremoli, Valia Santella è asciutta, dialoghi abrasivi, situazioni costruite con notevole forza visiva. La fotografia di Michele D’Attanasi, le musiche di Franco Piersanti e il montaggio di Clelio Benevento s’intrecciano in un ventaglio architetturale che trapassa sia la commedia, sia la terribilità degli accadimenti storici… Moretti inoltre non perde l’occasione di giocare con la montante insulsaggine di un certo cinema d’azione che di nuovo non ha nient’altro che la stupidità.

Il sol dell’avvenire è anche un falso musical… le canzoni disseminate nel film lavorano su differenti piani emotivi e scenografici… ciascuna rimanda a un senso d’incompiutezza che si riflette nel vissuto quotidiano che travalica lo schermo e si riversa nelle commozioni dello spettatore… Lontano, lontano di Luigi Tengo, 1966, Sono solo parole di Noemi, 2012, La canzone dell’amore perduto di Fabrizio De André, 1966, Voglio vederti danzare di Franco Battiato, 1982 o Think di Aretha Franklin (ripresa dal film The Blues Brothers (1980)… compongono una performance corale del profondo smarrito e ritrovato del regista, sono lo specchio-cuore dell’immaginale eversivo dell’uomo e di tutti gli interpreti del cinema-flauto dei suoi sogni. La bellezza e il peccato sono un’unica identica cosa. Buona visione.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 10 volte ottobre 2023