Nel ‘52, alla vigilia della sua partenza per la guerra d’Indocina, aveva preso un sacco, vi aveva ficcato dentro le poesie scritte fino ad allora, lo aveva portato ai bordi della Senna e gli aveva dato fuoco. Considerava questo gesto il suo primo vero atto poetico
di Giovanni Fontana
Nota redazionale
Si è ritenuto opportuno, per incorniciare al meglio la straordinaria figura neo-avanguardista di Henri Chopin, premettere – al testo di Giovanni Fontana – il recente Omaggio dedicato all’artista francese nella Casa Morra a Napoli.
HENRI CHOPIN. VISIVA UTOPIA
A cura di Giovanni Fontana, Giuseppe Morra e Patrizio Peterlini
Napoli. Casa Morra. Archivi d’Arte Contemporanea
In occasione di Millenanni, la manifestazione napoletana, giunta alla terza edizione, che di volta in volta dedica un’esposizione negli spazi di Casa Morra (Archivi d’Arte Contemporanea, Salita San Raffaele 20/c) a un artista di rilievo internazionale appartenente all’area della ricerca poetica verbo-visiva, sonora e performativa,la Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, in collaborazione con la Fondazione Morra, ha inaugurato Henri Chopin. Visiva Utopia. La mostra, realizzatanell’ambito del Progetto XXI, resterà aperta fino al 31 luglio 2024. Come d’uso, il percorso espositivo è stato arricchito dalle opere dei compagni di strada dell’artista o di coloro che hanno teorizzato poetiche analoghe o praticato tecniche non distanti da quelle dell’autore di riferimento. La mostra, pertanto, si organizza come un simposio tra figure convergenti, ma non omologate. Paul de Vree e Bernard Heidsieck, vicini a Chopin e associati all’esperienza della poésie sonore, sono presenti accanto ai nomi più rappresentativi della stagione della poesia visiva in Italia, da Eugenio Miccini a Lamberto Pignotti, da Arrigo Lora Totino a Ugo Carrega, da Luciano Caruso a Stelio Maria Martini, fino a Nanni Balestrini, Luigi Tola, Rodolfo Vitone, Michele Perfetti, Giovanni Fontana ed altri. Inserita in un reticolo di interscambio sinestetico fra artisti, la dimensione di Chopin conserva il suo senso distintivo. La sua ricerca, improntata alla scomposizione fonetica della lingua, emerge e si pone in un dialogo di confronto poietico con le opere degli altri artisti.
Nel corso delle giornate inaugurali (9, 10 ed 11 aprile) l’esposizione è stata animata da interventi critici, performance e concerti. Tra gli intervenuti, introdotti dalle comunicazioni dei curatori Giovanni Fontana, Giuseppe Morra e Patrizio Peterlini: Angela Tecce, Presidente Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, Eva Elisa Fabbris, direttrice del Museo Madre, Cecilia Bello Minciacchi, docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Barbara Meazzi, docente di Letteratura e Civilità italiane del XX secolo presso l’Università di Nizza, Barbara Anceschi, grecista e direttrice editoriale delle edizioni il verri, Giancarlo Alfano, Stefania Zuliani, Domenico Mennillo, curatore scientifico degli Archivi Fondazione Morra, Mario Franco, critico cinematografico e creatore dell’Archivio omonimo all’interno della Fondazione.Si sono tenuti i concerti di Girolamo De Simone e dell’artista sonoro Domenico Napolitano, l’azione del duo Acchiappashpirt (JonidaPrifti e Stefano Di Trapani) e una doppia performance di Fontana, accompagnato dal compositore e pianista jazzUmberto Petrin.
A corollario della mostra,una sezione di documenti, curata da Domenico Mennillo, ha presentato alcuni materiali dell’Archivio Henri Chopin ospitato presso gli spazi di Casa Morra: inviti, affiche, fotografie, lettere e scritti preparatori per testi e performance, nastri magnetici, dischi e audio cassette.
La collaborazione tra Fondazione Morra ed Henri Chopin è consolidata fin dagli anni Ottanta e trova una sua manifestazione in produzioni di diverso tipo; tra le più importanti, la pubblicazione di un LP nella collana Radiotaxi (in collaborazione con la rivista Lotta poetica di Sarenco) e delle sue opere in traduzione italiana, tra cui L’ultimo romanzo del mondo ([1961], Edizioni Morra, Napoli, 1984), La Conferenza di Yalta ([1984] Edizioni Morra, Napoli, 1987),l gambero cosmografico e Il granchiolino innamorato ([1965 e 1967], Edizioni Morra, Napoli, 1994).
Progetto XXI è la piattaforma attraverso la quale la Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee si propone, sin dal 2012, di esplorare da un lato la produzione artistica emergente, nella sua realizzazione teorico-pratica, e dall’altro le pratiche artistiche più seminali degli ultimi decenni, nella loro esemplare proposta metodologica. Il progetto contribuisce così alla produzione e alla diffusione di narrazioni e storiografie alternative del contemporaneo e alla definizione di un sistema regionale delle arti contemporanee basato sulla collaborazione e l’interscambio fra istituzioni pubbliche e private operanti nella Regione Campania.
La mostra è finanziata nell’ambito del progetto “Rilancio e sostegno della Fondazione Donnaregina- Sez. Progetto XXI” – POR FERS Campania 2014/2020.
VIDEO –DAILYMOTION
https://www.dailymotion.com/video/xabjwz
Henri CHOPIN — Portrait d’un pionnier de la Sonore (France Culture, 2005)
https://www.youtube.com/watch?v=rmzJjzM4K30
RADIOFRANCE – FRANCE CULTURE
https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/atelier-litteraire/du-dadaisme-a-la-poesie-sonore-raoul-hausmann-henri-chopin-7875954
RADIOFRANCE – FRANCE CULTURE
Atelier du son (prima parte)
https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/l-atelier-du-son/bande-retrouvee-d-henri-chopin-golden-record-hommage-aux-reveurs-3231983
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HENRI CHOPIN: ALCHIMISTA DI VOCE E SEGNO
di Giovanni Fontana
Quando se n’è andato, Henri Chopin [1922-2008] stava lavorando ad una monumentale autobiografia multimediale per le edizioni di Francesco Conz, dove affiancava registrazioni audio-visuali a testi, fotografie, partiture, nella quale intendeva coinvolgere direttamente quelli che amava chiamare i suoi “complici” nell’opera poetica. Prevedeva addirittura la stampa di circa 4000 pagine. In una lettera del settembre 2008 mi annunciava due o tre DVD in allegato. Con la solita ironia, scriveva che per non impegnare troppo l’editore si poteva cominciare con una tiratura di 1500 copie in «trois langues principales: le français, l’anglais et l’italien» per passare poi a tradurre «en arabe, en pakistanais, en japonais et par Garnier en sino-chinois … et quelques passages en tchèque, etc.». Voilà: questi i lavori in corso, queste le aspirazioni internazionali del grande maestro, che continuava a manipolare il suo Revox a bobine nella sua casa di Dereham, nel Norfolk, senza mai smettere di tessere pagine “concrete”, fitte di intrecci alfabetici.
«L’alfabeto costituisce il naturale intimo scheletro della parola. […] Pieno di ammirazione per la creatività umana, osservo le stupefacenti immagini di tutte le forme calligrafiche, in cui la mano, pronta a seguire o a cristallizzare “volumi” di oggetti e di pensieri, ha tracciato quei segni alfabetici che hanno costruito l’incontenibile soddisfazione dello scheletro della parola. Mai la parola e le sue anatomie arrestarono la propria evoluzione: è la vita in continuo movimento, è la vita che esige i suoi continui sviluppi: la parola è assetata delle sue ricchezze, senza sosta rimesse sul cantiere della creazione umana. […] Questa curiosità per tale scheletro attivo mi ha, da una parte, condotto verso ricerche di poesia sonora, poiché la “decomposizione della parola in unità elementari” mi ha obbligato a studiare l’elemento verbale in tutte le sue componenti, lì comprese sotto le grandi strutture alfabetiche, anche se talvolta ho dovuto prendermene gioco, per l’intimo piacere di danzare sui linguaggi; per altro verso, mi ha spinto a riconoscere che è più elaborato l’alfabeto latino, nelle sue forme sinteticamente costruite (“costruttiviste”), che non i disegni e le forme pittografiche e ideografiche. Amo il gioco di costruzione con il nostro alfabeto…fuori delle volute correnti del gesto quotidiano»[1].
Questa dichiarazione di Chopin mette immediatamente a fuoco il taglio della sua ricerca poetica. Egli è affascinato dall’«evoluzione delle dinamiche interne della parola», un’evoluzione che deve coinvolgere il mondo poetico al di là «delle banalità descrittive». «Osservavo le ricerche spesso geometriche della poesia concreta che, abbandonando situazioni poetiche descrittive, si sforzava generalmente di mettere in evidenza l’anatomia della parola. Parallelamente alla poesia sonora, a partire dagli anni Cinquanta, cominciava a svilupparsi la poesia per immagini, che materializzava visioni per il diletto degli occhi»[2].
Gli anni tra il 1948 e il 1953 «rappresentano per i linguaggi la chiave di volta della nostra civiltà audiovisuale»[3]. Chopin non si sottrae all’elogio delle rivoluzioni tecnologiche. Esse lo «spingono a diventare, sul piano del visuale, un architetto della parola latina (scelta perché a partire da essa è possibile costruire edifici mai visti)»[4].
Nello stesso tempo Chopin è un funambolo del magnetofono pluripista, un moltiplicatore di voci, un proliferatore esponenziale di suoni corporei, un mago dell’amplificazione, un jongleur del ritmo. Partendo dalle “particulae” sonore pressoché inavvertibili che pervadono i sentieri dell’organismo, talora microfonando direttamente organi fonatori e non, riesce a congegnare aggressivi concerti di poesia dove il suono assume consistenza materica; sa ingigantire magistralmente l’universo microacustico, rendendolo palpabile e trasferendogli addirittura valori cromatici, come se il tutto fosse filtrato attraverso un enorme caleidoscopio delle sonorità. «Con le ricerche elettroniche – scrive – la voce è diventata finalmente concreta»[5]. D’altra parte, ben al di là delle emissioni semplicemente parlate, essa è «portatrice di un corpo che non cessa mai di essere attivo, quel corpo che è la sua macchina specifica»[6].
Chopin afferma che senza l’elettricità la poesia sonora non sarebbe mai potuta esistere. Ma contemporaneamente, ricollegandosi alla tradizione performativa e/o parateatrale, appartenuta anche alla poesia fonetica, il campo d’azione privilegiato della poesia sonora non resta circoscritto al nastro magnetico, finché la voce, anche in ragione della sua stessa valenza corporea, non si confronti con altri codici espressivi. Ecco, allora, che Chopin si propone in concerto e nervosamente articola il suo corpo minuto per dirigere i tecnici che operano al mixer, arricchendo, così, la scena sonora di ulteriori valenze spettacolari.
La voce si fa segnale del gesto interiore, dove gli impasti sonori si pongono come significative presenze al di là di ogni convenzione linguistica. Chopin è polemicamente contro la parola e pone il suo lavoro ben al di là della lingua. Egli fa parlare la voce.
Il suo interesse per la poesia aveva subito una svolta decisiva nel 1955, quando una venditrice ambulante gli aveva offerto un piccolo magnetofono portatile. È una grande scoperta: l’apparecchio apre nuove prospettive. Già nelle prime registrazioni Chopin trova la sua voce interessante, ma non i suoi testi. Opta, pertanto, per la pura vocalità. Del resto ha già fatto precise scelte in campo letterario. Nel ‘52, infatti, alla vigilia della sua partenza per la guerra d’Indocina, aveva preso un sacco, vi aveva ficcato dentro le poesie scritte fino ad allora, lo aveva portato ai bordi della Senna e gli aveva dato fuoco. Considerava questo gesto il suo primo vero atto poetico. D’altra parte i segni dell’estrema radicalizzazione, alimentata anche dal rapporto con la tecnologia, sono contenuti sia nella poetica, sia nella sua stessa biografia.
Egli racconta che a 14 anni, quando viveva nella periferia di Parigi, era affascinato dai clamori delle feste contadine e proletarie. I suoni d’ambiente, alla base della sua formazione sonora, sostengono eventi sereni e drammatici e innervano tutta la sua poesia Cooptato per il lavoro obbligatorio nel 1942, nel 1943 è deportato dai tedeschi a Olomuk in Cecoslovacchia; poi inviato nella Prussia Orientale e sul Baltico, si ritrova, dall’ottobre del ’44 all’agosto del ’45, nella “marcia della morte” verso la Russia: una marcia di sangue, di fame e di ghiaccio. Al suo ritorno a casa apprende che i suoi fratelli Francis e Pierre sono scomparsi, che il suo fratellastro Jean è in prigione e trova sua madre scioccata dagli eventi, ammutolita e in preda a un tremore incessante.
Nei ricordi di guerra, che Chopin richiama spesso anche nelle sue lettere, si susseguono spettacoli orribili. Tuttavia, in una conferenza tenuta all’École de Beaux-Arts di Besançon nel 1995, voluta da Michel Giroud,[7] ricorda come nei momenti di tregua si riuscisse a trovare la forza di cantare. Del resto, dice Chopin, il canto e un passo di danza era tutto ciò che si poteva avere. E, ripercorrendo i giorni dell’entusiasmo per le nuove tecnologie, racconta come «al di là delle più tristi rovine politiche, fu allora che disciplinammo questa materia concreta e sonora e che facemmo dei nostri organi le basi per le dismisure sonore misurate, ma non codificabili, volendo evitare la notazione»[8]. E così continua: «Quando ero ragazzo ho rifiutato di fare il Conservatorio perché pensavo che sarebbe stato ridicolo essere in un Conservatorio con il mio nome». Nonostante ciò, pur non sapendo leggere una sola nota musicale, intraprende una sua personalissima strada che lo introduce, unico tra i poeti sonori della prima generazione, nel mondo della musica.
Nel 1952 attraverso la visione del film “Traité de bave et d’éternité”[9] scopre Isidore Isou e nel ‘53 incontra Altagor, nemico giurato di Isou. Nel 1957 intrattiene rapporti con i lettristi, ma è con François Dufrêne, voce del “traité” di Isou che si trova in sintonia.
Del lettrismo pensa che «i suoi propositi ipergrafici sono decorativi, la sua rivendicazione culturale è inutile alle evoluzioni della parola»[10]. Verso la fine degli anni Cinquanta si affaccia alla ribalta degli ultralettristi, gruppo formato da una costola del movimento di Isou, ispirato alla poetica del grido di Artaud e animato da Dufrêne. Per gli ultralettristi la voce rappresenta l’energia interna necessaria ad alimentare la rete delle relazioni con il mondo. L’energia vocale rappresenta la vita stessa. Tra gioco ed ironia, rito e psicodramma, beffa e impegno civile, la voce segna passo per passo la loro esistenza e il loro ruolo di artisti. Il gruppo si concentra sulla materia fonica prelinguistica; impastando la vasta gamma di suoni-rumori degli apparati fonatori, rinuncia alla scrittura, optando per la composizione diretta al magnetofono, come nei Crirythmes di Dufrêne, nei Megapneumes di Wolman, nelle opere di Brau, e dello stesso Chopin, spirito indipendente che acquisisce immediatamente una specifica coscienza tecnologica, producendo “audio-poemi” per i quali la manipolazione del nastro si pone come fattore primario. Utilizza echi, riverberi e variatori di velocità per il trattamento della materia fonica. La stagione della poesia sonora è avviata. Gli strumenti di registrazione, che furono episodicamente utilizzati da Marinetti, segnano profondamente gli sviluppi della nuova sperimentazione poetica. Quella «letteratura del disco fonografico» preconizzata da Moholy-Nagy è finalmente diventata realtà.[11] Assimilata l’esperienza delle avanguardie storiche, vengono lanciate le basi per la ricerca della nuova era dell’elettronica.
Nel 1959 Chopin fonda la rivista “Cinquième Saison”, che nel ‘64 diventa “OU”, pubblicazione che contiene testi, immagini e materiali sonori in vinile. La rivista accoglie i più significativi autori in quel settore, da Dufrêne a Bernard Heidsieck, da Brion Gysin a William Burroughs, da Sten Hanson al nostro Mimmo Rotella.
Ma Chopin, intrepido e raffinato precursore dei tempi, non si limita a coltivare la sfera creativa della poesia sonora. Figura chiave dell’avanguardia francese, e in seguito apprezzato a livello internazionale, è anche artista visivo, performer, regista, editore e promotore artistico indipendente. Molte sono state le sue apparizioni anche in Italia. Come performer aveva preso parte a numerosi festival e come poeta concreto aveva partecipato a diverse esposizioni. Aveva anche fatto parte della redazione internazionale della “Taverna di Auerbach”.
Chopin resta oggi un importante punto di riferimento per più generazioni di artisti sia sul fronte della poesia del suono, sia su quello della poesia dell’immagine. Sono da ricordare le sue “sculture magnetiche” e i suoi “dattilopoemi”, tessiture “concrete” di lettere battute a macchina dove spesso il dato visivo sollecita letture ai limiti dell’impossibilità, ponendosi come una sorta di partitura-visiva che offre all’occhio tessiture fonetico-bruitiste: il visivo si perde nel sonoro, perché sia l’uno che l’altro vengono organizzati sulla base della loro fisicità.
A proposito di un libro-disco[12] pubblicato a Parigi nell’87, Paul Zumthor scrive che
«la voce emana dall’intero corpo, ne oltrepassa i limiti, lo tramuta in spazio acustico, ne rende significanti gli echi. Il dattilopoema sottomette la lettera ad un’alchimia simile. Audiopoema e dattilopoema lanciano un interrogativo di cui essi non fanno che proiettare ancora più avanti la possibile, improbabile risposta. Ciò: perché non vogliono dire nulla, e proprio per questo sono portatori di senso»[13].
Proprio con Zumthor, Chopin realizza “Les Riches Heures de l’Alphabet”: un magnifico libro sull’alfabeto, con cinquanta dattilopoemi di Chopin, testi per ciascuna lettera dell’alfabeto di Zumthor e un percorso storico-poetico dei segni. «La scrittura è simultaneamente strategia formale e alchimia – cioè trasmutazione; ma una trasmutazione mai compiuta…»[14].
A tanti anni dalla sua scomparsa, la voce di Henri Chopin continua a risuonare nel grande Archivio di Casa Morra e a correre per il mondo.
[1] H. Chopin, Un alfabeto inesauribile, in “La Taverna di Auerbach” n° 1, 1987, pp. 57-58.
[2] H. Chopin, ivi, p. 58.
[3] H. Chopin, ivi, p. 60.
[4] H. Chopin, ibid.
[5] H. Chopin, La voce, in “La Taverna di Auerbach” n° 9/10, 1990, p. 17.
[6] H. Chopin, ibid.
[7] Conferenza del 02/02/95, proposta e presentata da «Erratum Musical» (Giroud, Montessuis, Etienne, Handa), ora in www. erratum.org
[8] H. Chopin, La voce, cit., p. 18.
[9] Presentato a Bruxelles il 06 dicembre 2007 in Isotopeisou, “Mille-feuilles”, serata per Isidore Isou, Halles de Schaerbeek, con interventi di Jean-Philippe Convert, Giovanni Fontana, Emmanuel Rabu.
[10] H. Chopin, Un alfabeto…, cit. p. 61, nota finale.
[11] L. Moholy-Nagy, Vision in Motion, New York 1947. Cit. in N. Zurbrugg, Arte sonora, arte radiofonica e performance post-radio in Australia, “La Taverna di Auerbach”, n° 9-10, 1990.
[12] H. Chopin, Petit livre des riches heures et sonores, Galerie J&J Donguy, Paris, 1897.
[13] P. Zumthor, I grafemi e i vocemi di Henri Chopin, in “La Taverna di Auerbach”, n° 1, 1987, p. 160.
[14] H. Chopin e P. Zumthor, Les Riches Heures de l’Alphabet, Ed. Traversière, Paris, 1993.
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