La questione / le questioni dell’AI del resto, “accadono con noi”, sono a noi contemporanee e per questo difficili da “fissare” per cui, considerando gli interessi coinvolti e la comunicazione generalistica dominante e totalizzante, tale confusione oggi sa spesso più di circo mediatico che di pensiero

di Antonio Zimarino

Domenica 14 aprile nel Complesso della SS. Annunziata di Sulmona [i] si è svolta una conversazione pubblica sui temi dell’arte contemporanea e della tecnologia. Il discorso e le domande hanno toccato questioni irrisolte o ancora poco conosciute dello “statuto” epistemologico dell’Arte Contemporanea e il rapporto tra Arte/tecnologie e Intelligenza artificiale (AI). Michele Gerace  ha coinvolto il pubblico in un dialogo complesso e ricco di spunti ai quali hanno provato a rispondere Daniela Cotimbo, e il sottoscritto, in qualità di critico, curatore d’arte e studioso indipendente [ii].

La manifestazione prevedeva anche una rassegna video da me curata e allestita nello spazio della Cappella del Corpo di Cristo, nel complesso dell’Annunziata, dal titolo “Souls for tech. Anime per la tecnologia”, un videodrome di opere video di Glitch art [iii] di un gruppo di artisti iraniani formato da Niloufar Baniasadi, Reza Famori, Mohammad Alì Famori, Sadegh Majlesi, Elnaz Mohammadi, Arezou Ramezani.

La rassegna presentava un incontro tra arte e tecnologia non basato però sui temi dell’AI ma sull’”errore tecnico” e casuale dell’informatica: nei processi informatici può accadere una piccola disconnessione, una distorsione nei pixel, un bug casuale capace di generare piccole e impercettibili variabili nella riproduzione di immagini e la glitch art si domanda come poter sfruttare esteticamente la casuale imperfezione tecnica: gli artisti partono da questi piccoli “errori” non per snaturare la tecnologia ma per dare ad essa un senso possibile e diverso, suggestivo, immaginale, di tipo estetico.

A partire dalle possibilità interpretative intorno ad un errore (glitch) che erano alla base della rassegna, per altro profondamente coinvolgente e suggestiva da un punto di vista visivo, la questione ha suscitato in me molte considerazioni, per altro emerse anche come “domande” nello stesso dibattito. Ho ritenuto necessario andare a fondo e mettere in luce delle problematiche, dato che intorno all’AI si dicono cose davvero singolari piuttosto ambigue e contraddittorie spesso “interpretando” soggettivamente alcune questioni, come capita del resto con tutte le cose che non si conoscono a fondo. Forse è la stessa AI a subire in “partenza”, un errore interpretativo fondamentale ed è forse proprio la logica rigenerativa e interpretativa della glitch art a poter suggerire analisi e ipotesi o quanto meno, proporci un approccio costruttivo e meno inconsapevole.

L’AI si presenta / è presentata in genere rivestita di un aura risolutiva e fiduciosa, capace di aprire a sorti magnifiche progressive e inaudite; tuttavia poiché fondamentalmente sfuggente nella sua “struttura” operativa, viene spesso letta dai più  come qualcosa di onnipotente, pervasivo, incontrollabile e perché no, oscuro. In realtà, come vedremo, i suoi processi e l’algoritmo/gli algoritmi su cui si organizza sono stati “costruiti”, sviluppati in modo scientifico, prevedibile, strutturato poiché frutto di applicazioni logico-matematiche tecnicamente “neutrali”, se per noi le tecnologie lo sono. A dire il vero esistono anche “letture” in base alle quali la tecnologia, in quanto asettica rispetto ad una lettura “di senso” della realtà, porterebbe da sé un approccio funzionalista / utilitarista alle cose dell’esistenza, generando forme di pratico “materialismo” della convenienza. Effettivamente nella sua logica perfezione procedurale e funzionale l’AI sembrerebbe indurre ad un approccio tecnocratico nei confronti del reale; dunque, favorirebbe/favorisce una crisi dei principi “umanistici”, tale da cambiare i nostri fondamenti esistenziali?

La mia idea però, è che tali ipotesi nascano piuttosto che da questioni oggettive, da proiezioni ansiogene nei confronti di un “qualcosa” di cui non comprendiamo bene la natura (che spesso viene presentata con terminologie umanistiche imprecise ma suggestive) e da una sostanziale sfiducia nella capacità umana di una coscienza e conoscenza delle cose.

Tecnicamente l’IA è nata ed è stata strutturata per fornire informazioni sintetiche a questioni tecnico pratiche, attingendo in modo rapidissimo a banche dati amplissime, attraverso interfaccia imitative delle relazioni umane. La sua struttura operativa e progettuale lavora esclusivamente (ma in modo veloce ed estremamente “raffinato”) su richieste specifiche e in relazione a database estremamente ampi sia di tipo generale che specifico in costante aggiornamento o autoaggiornamento. Un termine associato all’AI, che genera molte suggestioni post-human  è quello di “autoapprendimento”: esso in realtà si riferisce non ad una forma di autocoscienza ma a procedure di autoaggiornamento statistico [iv]. Gli interfaccia imitativi di linguaggi, volti umani e quant’altro, così come i campionamenti o le simulazioni di dialoghi con il richiedente, sono solo degli interfaccia utente, una sorta di “umanizzazione imitativa” del prompt, della “riga di comando” necessaria ad attivare le operazioni. L’ “umanizzazione” visiva e formale dell’AI è sostanzialmente un’affascinante “finzione” dialettica/dialogica che non cambia la natura procedurale della macchina ma cambia la nostra idea e il nostro rapporto con essa: siamo sostanzialmente noi ad accettare e a proiettarci nella “finzione” attraverso una serie di ambiguità formali e ideologiche che generano però evidenti glitches, errori e variabili percettive nostre nei confronti della “macchina”.

La questione della confusione dei piani percettivi e l’illusione dell’umanizzazione della macchina diventa evidente proprio quando si vuol cercare di capire come davvero funzioni l’AI. La prima cosa che risulta chiara è … che non è affatto facile avere definizioni e chiarezza riguardo le sue funzioni e le sue problematiche tecniche. Le informazioni reperibili sui siti che la sviluppano appaiono spesso oscuramente tecniche e iniziatiche o anche orientate al “piazzamento” del prodotto, in modo da arricchirlo di suggestioni e ambiguità “vendibili” come soluzioni e speranze, ma non esattamente chiare riguardo il modo in cui verrebbero attuate. La decifrazione dei termini e della sostanza tecnica di funzioni e procedure quindi non è affatto semplice per chi non abbia conoscenze di tipo logico – matematico e richiede molti confronti, esplicazioni e rimandi. Ci vogliono tempo, motivazioni e competenze da acquisire per comprendere, ma per i più non sempre è possibile impegnarsi in un tale lavoro, considerata la specificità del campo di conoscenze richieste e la velocità della comunicazione che le riguarda.

La questione / le questioni dell’AI del resto, “accadono con noi”, sono a noi contemporanee e per questo difficili da “fissare” per cui, considerando gli interessi coinvolti e la comunicazione generalistica dominante e totalizzante, tale confusione oggi sa spesso più di circo mediatico che di pensiero. Tutti dicono di tutto sul sentito dire o sull’ipotesi di questo o di quel “guru” vero o supposto e interpretano secondo ciò che ritengono portando le questioni all’interno della propria “narrazione” interpretativa della questione e non sull’oggettività della funzione … ma la chiarezza o per lo meno, un tentativo di chiarezza sui termini oggettivi non è data. La quaestio dell’AI è diventata così una vera e propria nuvola indefinibile di ipotesi e possibilità dove la sua reale struttura si confonde con le proiezioni futuribili e immaginali, con millenarismi biblici, terrori tecnocratici, difese, esaltazioni e luddismi, riempiendoci e riempiendo le teste di una ridda di paure e/o favolistiche e immaginifiche ipotesi sia quando la utilizziamo, sia quando la “interpretiamo”.

Ci stiamo così abituando ad una “pratica” di pensiero piuttosto preoccupante nella quale intravedo un glitch di fondo: procediamo in ipotesi e suggestioni contraddittorie basandoci su δόξα (doxa) e non su una ἐπιστήμη (episteme), perché non c’è chiarezza e non c’è (non ci sarebbe) “tempo” per esercitarla. Del resto appare proprio questo uno degli effetti sociologici rilevanti dei modi della comunicazione culturale contemporanea [v].

Mi viene però da pensare che ciò accada soprattutto per la necessità di piazzare il prodotto in uno scenario emotivo dell’immaginario collettivo: ed è questo glitch che genera evidenti problemi di “Senso” che influiscono sulle ragioni della domande che facciamo e delle aspettative che trasferiamo sulla AI e su quello che da lei ci aspetta o si crede di doversi aspettare.

La questione ci permette di considerare che molti limiti della “macchina” non appartengono propriamente alla sua struttura “tecnica” ma soprattutto alle aspettative nei suoi confronti. Questo territorio di “errore” è quello della “domanda” ovvero del prompt che avvia la procedura di uso o di relazione con l’AI: che cosa intendiamo che faccia o riteniamo che faccia? Quale piano di questioni le poniamo? Quali sono le nostre  pretese, le nostre aspettative verso di essa? Come la “istruiamo” e perché?

Tali interrogativi rimandano al “pensiero”, alla scelta, all’ipotesi, alla decisione, all’intenzione, al senso e alla volontà: qualsiasi cosa sarà e farà l’AI, al di là della sua più o meno raffinata procedura, sarà sempre legato a chi l’ha pensata o ripensata, a chi la crea, al perché, a chi la interroga, al perché la interroga e a cosa vuole ottenere da essa: è la nostra l’immaginazione o la nostra volontà a darle un senso e direzione. L’AI allo stato attuale non ha (e a quanto pare costitutivamente non può avere) suoi sensi e sue intenzioni, non pone interrogativi a se stessa nel campo del “senso”, non può avere strutturalmente e tecnicamente una capacità auto – riflessiva. Semplicemente risponde a ciò che chiediamo: ma cosa chiediamo? Cosa pretendiamo da essa? E che cosa essa tecnicamente può restituirci?

Proprio la riflessione sulla questione del rapporto tra AI e arte, può in qualche modo aiutarci a capire limiti, campi e possibilità sia dell’una che dell’altra e in generale, del problema che in relazione ad essa, si pone tra questioni “culturali” e questioni tecnico pratiche.

Le notizie sensazionali che circolano riguardo l’arte e l’AI, generano grandi “stupori” per la facile semplicità con cui essa sarebbe in grado di generare dei prodotti quali immagini, video, musica o testi, tutti quei media che noi associamo alla creatività artistica. Per definire i termini della questione, almeno dal punto di vista di cosa l’AI conosce effettivamente a riguardo, mi sono divertito a chiederle di rispondere su se stessa e poi sull’Arte, ovvero sui termini fondanti la quaestio sulmonese.

Il risultato è stato davvero molto interessante: la risposta che ChatGpt (aggiornata ed in tre varianti) ci ha fornito riguardo l’AI appare esauriente: ci spiega bene come “funziona”, (esegue) come è costituita, (algoritmi, dati) quali sono i suoi scopi (simulare, replicare, generare possibilità).  Ma provando a chiedere di definire che cosa vada inteso per “arte” ovvero, a cosa essa sarebbe associata quando sviluppa i suoi prodotti creativi,  il risultato appare decisamente modesto, se non deludente.

«L’arte è una forma di espressione umana che coinvolge la creazione di opere che stimolano una risposta emotiva, intellettuale o estetica negli spettatori. Queste opere possono assumere molte forme, tra cui pittura, scultura, musica, danza, letteratura, teatro e altro ancora. L’arte può essere utilizzata per comunicare idee, emozioni, culture, storie o semplicemente per esplorare la creatività. La sua definizione è soggettiva e varia nel tempo e nelle culture, ma l’arte è spesso considerata un mezzo per esprimere la visione e la sensibilità dell’artista attraverso la sua opera».

Tale definizione (che può variare in diverse combinazioni) esprime le possibilità d’uso di diverse forme espressive, la capacità che ha l’ “arte” di interagire con pensiero o emozioni, ma non può dire cosa essa sia o possa essere dato che la sua definizione è soggettiva e varia nel tempo e nelle culture. Afferma cose che appartengono al generico sapere del “senso comune”: l’arte, le sue forme espressive (che sarebbero invece ulteriori campi di analisi e riflessione complessa) investe emozioni e creatività, e sarebbe solo ciò che intendiamo che sia secondo le nostre diverse formazioni “culturali”: dunque solo τέχνη (téchne). Una tale risposta dimostra che di fatto sulla questione dell’arte, a cui viene associata e che si pensa possa governare o dominare, l’AI non sa molto perché nessuno l’ha inserita nel database.

Ogni campo di questioni citato in questa definizione è invece di per sé stesso un campo di ulteriore profonda e indeterminabile complessità di condizioni e relazioni: solo il “semplice” termine Cultura rimanda ad un sistema di relazioni estremamente variabile e complesso con sue procedure, caratteristiche e interazioni di ulteriori “campi di senso”.

Sul tema arte e AI vi è dunque un evidentissimo glitch “culturale” di conoscenze di cui l’AI non è in se responsabile: non ha informazioni complesse sulla questione, ma solo quelle genericissime di chi l’ha “addestrata”: qual è invece la “questione dell’arte” su cui sono nate e si stanno sviluppando le ricerche estetico – filosofiche contemporanee? E come ci porterebbe a considerare il rapporto tra AI ed arte, evidentemente banalizzato al suo mero piano funzionalistico?

La “definizione dell’arte” è stata affrontata e sviscerata dagli studi dell’Estetica analitica che nel corso di un intenso dibattito iniziato tra gli anni ‘50 e ‘60, è arrivata ad un punto sostanziale: in quanto espressione di “cultura” Arte non ha alcuna possibile definizione univoca. Le definizioni che si possono usare sono storiche, convenzionali, incomplete, circostanziali, funzionali, parziali contraddittorie e sostanzialmente inutili, capaci comunque di creare ulteriori glitches e conseguenti narrazioni più o meno interessate o orientate [vi] . Su questo però l’AI ha ragione: su un piano logico-funzionale arte è ciò che decidiamo che sia; ma questa affermazione, estremamente utile alle ragioni di mercato,  è già stata fatta dalla provocatoria teoria istituzionale di G. Dickie cinquant’anni fa e oggi (pur incombente) risulta ampiamente superabile [vii]. Infatti, la lunga riflessione che ha i suoi punti sostanziali negli studi di N. Goodman e che arriva alle ultime considerazioni della Nuova Estetica tedesca di G. Bertram, ci porta a sintetizzare la questione dell’arte in ben altri termini decisamente problematici, densi, si potrebbe tentare una sintesi dicendo che Arte sia il risultato formale di una complessa interazione creativa (conscia e inconscia) tra componenti di tipo psicologico, relazionale, filosofico, formale, contestuale (economico – ambientale), storico ecc, che procedono e interagiscono tra loro in un determinato “spazio-tempo” e che tali interazioni avvengono nel contesto psicologico, relazionale, filosofico, formale, contestuale (economico – ambientale), storico, ecc., a cui le opere riferiscono attraverso ulteriori processi di mediazione, fruizione, percezione che avvengono nel tempo stesso.

Una definizione strutturalmente così piena di variabili evidentemente non è una definizione, ma l’indicazione di “procedure” complesse da “attraversare” per ipotizzare proposte.

I processi attraverso i quali una cosa può essere detta “arte” possono essere studiati ma non sono certo né lineari, né semplificabili, né “circoscrivibili” se non per convenzione e / o utilità: se arte è prodotto di cultura, in essa agiranno costantemente tutti quegli elementi che permettono di identificare e sviluppare una cultura: economia, clima, sistemi religiosi, valori e relazioni sociali, tempo, distanze, sistemi politici, intenzioni, circostanza, affetti, desideri, scelte etc. etc. in costante interazione reciproca in una dimensione sia soggettiva che collettiva.

Arte è dunque un “sistema di relazioni” complesso e adattivo (ovvero imprecisabile se non in alcuni “momenti” convenzionalmente scelti) e come tale va considerato e affrontato, attraverso “modelli” di studio sviluppati negli studi sulla Complessità [viii]; essi permettono di analizzare e valutare 1) i processi “generativi” colti sia nei risultati visibili (nelle opere) sia nelle interazioni tra esse e 2) i processi di fruizione e contestualizzazione più ampi di tipo storico e socio – culturale.

Riconoscendolo come fenomeno di cultura, il discorso su Arte prende tutt’altra strada rispetto alla banalizzazione provocatoria di Dickie e a quella identica ma affermativa di ChatGpt. Invece, dal momento che storicamente e anche geograficamente, le caratteristiche, le definizioni e le funzioni dell’arte sono costantemente cambiate, mostrando caratteristiche, accezioni, funzioni differenti per ciascuna “cultura” o tradizione che la esprime,  appare estremamente utile e importante cercare di studiare e comprendere “come” qualcosa finisca per essere riconosciuta come Arte, piuttosto che pretendere di riferirsi ad una inutile definizione. L’ “Arte” come prodotto di cultura è quindi una proposta di interpretazione aperta, precisabile, ampliabile, che emerge da un lavoro di riflessione sui “campi di senso” che essa suggerisce nella sua “forma”, nel contesto umano e relazionale in cui si é definita e nel contesto storico e culturale che l’ha accolta e riflettuta. Nulla di riducibile a definizione, nulla di corrispondente ad un’unica semplice “funzione” [ix].

Tali questioni complesse e la capacità di ordinare e dirimere questioni culturali aperte non sono dunque nel database a cui l’AI attinge: gli apparterranno mai? Se dovesse accadere l’AI si troverebbe comunque in totale condizione di indecidibilità e a cercare di gestire ipotesi interpretative pressoché illimitate nelle variabili. Non potrebbe decidere ma solo proporre ipotesi nell’area del metodo, senza mai poterlo fare però nell’area del “senso” che invece sarebbe uno dei “campi” propri dell’Arte.

Ed è questo il limite reale o meglio la specificità dell’AI come oggi è concepita: si occupa del “dato”, lo gestisce e lo ricombina sviluppando ipotesi in base a ciò che noi abbiamo chiesto di sviluppare, secondo le finalità che sono state da noi decise, secondo informazioni che le forniamo ma sul piano di indagine “culturale” non può scegliere o proporre, al massimo fornire possibilità di scelta.

L’AI seleziona informazioni da un input, con un processo di  data-mining nel campo di questioni per cui è stata addestrata e (nella sua variante “generativa”) dispone delle scelte, dei “modelli” riguardo il senso e l’uso dell’ipotesi espresse dalla richiesta. E non sa nulla di più di quello che è nel data base, di cui può solo ricombinare velocemente le informazioni: tutto quello che può fare di più è nella “specializzazione” della domanda che le viene fatta e nella disponibilità di un database adatto.

Che cosa hanno a che fare i processi funzionali dell’AI con l’Arte, se arte è da intendersi come prodotto di cultura? Può sviluppare qualcosa oltre la pura idea di techné produttiva, tecnicamente sorprendente nel proporre senza sforzo tecnico particolare un prodotto come assemblaggio specifico di dati precostituiti ? Il problema resta concretamente nell’idea di Arte di chi usa o legge oggi i suoi prodotti e dunque nella banalizzazione culturale dell’idea stessa di arte da parte della comunicazione orientata. A causa dell’approccio impreciso, si tende a confondere il prodotto di un algoritmo con un discorso più complesso, culturalmente cosciente riguardo l’arte, la sua indeterminabile complessità e il “senso” che la dispone e la identifica come scelta creativa. Ma questo dipende da noi, non dall’AI.

Possiamo certamente essere ingannati se, non conoscendo la “fonte”, valutiamo la proposta dell’AI “come se” fosse creativa invece che combinatoria … ma ormai ci aiuta il fatto che esistono già delle AI che decifrano il prodotto creativo delle altre AI (per ragioni di copyright, non certo culturali !).

Slides (a cura di Antonio Zimarino)

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E allora sarà il caso di cominciare a porre dei “paletti” non “contro” l’AI che trovo comunque uno strumento potenzialmente eccezionale in ciò a cui la destiniamo. Proviamo “adesso” a vedere l’AI nel suo campo di senso così come, sarebbe il caso che ci decidessimo a rimettere la “questione dell’arte” in quello che le è proprio, ma non perché questi campi debbano restare distanti ma solo per capire meglio di che parliamo quando ne parliamo [x].

Intelligenza artificiale e AI di tipo generativo

Si tratta di un settore specifico della ricerca informatica che studia e sviluppa programmi [xi] in grado di svolgere predizioni a partire da un insieme di dati non impiegato durante la fase di allenamento di questi ultimi [xii]. Si definisce AI la capacità (o il tentativo) di un sistema informatico di simulare l’intelligenza pratica umana attraverso l’ottimizzazione di funzioni matematiche [xiii].

La realizzazione di una AI inizia con la raccolta di dati, alla quale segue una fase di progettazione e programmazione di un modello (tipicamente costituito da blocchi, composti da funzioni matematiche aventi parametri apprendibili) basato su una architettura compatibile ai tipi predizione che si intende ottenere (ad es. riconoscimenti facciali, generazioni di testi, individuazioni e costruzioni di immagini, rilevamenti di oggetti ecc.).

L’AI Generativa in particolare, è in grado di generare testi, immagini, video, musica o altri media in risposta a delle richieste dell’utente  (dette prompt) che oggi possono essere anche di tipo semplicemente vocale (chatbot). I suoi risultati sono disposti da modelli statistici (chiamati modelli generativi) basati sul confronto tra una variabile osservabile (detta anche nella teoria della probabilità, variabile aleatoria)  e una variabile dipendente (ovvero, definibile, detta anche variabile target),

In statistica la scelta delle variabili dipende però da motivi non strettamente matematici ma basati sul contesto dell’esperimento e sulla più estesa realtà del fenomeno oggetto di studio. Si scelgono così di volta in volta secondo criteri logico causali, quale sia la variabile dipendente o quella indipendente (ovvero i cosiddetti regeressori o predittori ). Lo scopo di questi sistemi è quello di reperire e organizzare rapidamente dati all’interno di vastissime banche dati (operazione definita come data-mining). Attualmente tali sistemi operano con interfaccia vocali (chatbot) su banche dati (dataset [xiv]) a dimensione del web.

Tecnicamente l’AI si configura come un sistema estremamente raffinato e friendly di estrazione e ricombinazione di dati ospitati all’interno di una “biblioteca” di riferimento vasta e/o specializzata, con finalità tecnico pratiche, (gestionali o creative).  I punti “sensibili” del “funzionamento delle AI (si usa il plurale perché in realtà possono essere diverse e realizzate da diversissimi sviluppatori a secondo le funzioni per cui tendono ad essere utilizzate o “dedicate”) sono i seguenti:

  1. a) Il prompt – per poter essere “utile” l’AI deve ricevere un tipo di richiesta progressivamente specializzata. A domande generiche fornisce risultati generali con poche variabili. Ciò che sviluppa e restituisce è esattamente nel senso e nello scopo della domanda e nella sua qualità / complessità. L’AI per sua costituzione tecnica non ha capacità riflessiva e speculativa cioè, non ha “intenzioni” può porsi delle risposte esclusivamente legate a ciò per cui è stata addestrata e al prompt.
  2. b) L’addestramento/apprendimento – l’AI ordina le sue ricerche in base a dei parametri di riconoscimento che le vengono forniti dagli sviluppatori che la indirizzano ad una determinata qualità e ”abitudine” ad avviare la ricerca secondo un criterio piuttosto che un altro. L’AI continua ad essere “addestrata” o ad addestrarsi nei suoi parametri di ricerca anche in modo indipendente, sempre secondo i parametri che è abituata a riconoscere e secondo le funzioni o gli interessi a cui è stata “dedicata”[xv].
  3. c) Il data base – Quanto più raffinato e ampio il data base, tanto più possono essere credibili o efficaci le risposte nei diversi settori, sempre a condizione della qualità della domanda. Considerando l’addestramento al tipo di ricerca per cui le singole AI vengono impostate, il data base di riferimento può essere anche diverso e “specializzato” in vari settori del sapere o delle “funzionalità, anche ad es. per riconoscere eventuali immagini o documenti “fake” prodotti da altre AI.

A queste condizioni credo si possa parlare in modo più coerente della questione. Per ciò che riguarda il discorso “arte” c’è ancora tanto da imparare da parte nostra, figuriamoci che cosa ci potrà mai dire adesso l’AI se non le sappiamo porre né la domanda giusta o possibile e se essa ha nel suo data base solo la modesta definizione di arte come téchne.

La questione della “percezione” dell’AI e del nostro modo di usarla e considerarla è poi un problema legato alla sociologia della comunicazione e al suo potere di impatto sul nostro immaginario.

 

[i] La manifestazione è stata organizzata dallo Spazio MAW per il decennale della sua apertura: MAW è uno spazio indipendente creato nel 2014 da un gruppo di artisti e di operatori culturali con l’obiettivo di promuovere e divulgare i linguaggi dell’arte contemporanea e di sostenere la produzione creativa. Il nome rende omaggio al duplice obiettivo della galleria che vuole esplorare gli aspetti sia teorici che pratici legati alle espressioni artistiche della contemporaneità. MAW esercita un’attività espositiva con mostre, rassegne, concorsi, miranti anche a promuovere i talenti del territorio in cui opera. Dal 2018 lo spazio è inserito nella rete “Luoghi del contemporaneo” creata dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

[ii]  Michele Gerace, avvocato e ideatore della Scuola della Complessità (https://www.dialetticamente.com/ ) Daniela Cotimbo, storica dell’arte e curatrice indipendente, fondatrice di “Re:Humanism” (https://danielacotimbo.com/rehumanism/,un programma culturale e un premio dedicati al rapporto tra arte contemporanea e intelligenza artificiale)

[iii]  Glitch art – È una pratica artistica che utilizza errori digitali o analogici a fini estetici. Può far riferimento a un’immagine fissa oppure a un video in cui sussistono vari difetti visivi.  L’immagine errata / distorta viene catturata durante la riproduzione di un filmato e poi si può manipolare la figura, il file digitale, il software o l’hardware.  Inserisce all’interno dei processi tecnologici uno sviluppo possibile generato da un errore casuale.

[iv]  Cfr. ad es. https://www.snaplogic.com/it/glossary/machine-learning-algorithm

[v]  Cfr. in generale, L. Sciolla, P.M. Torrioni, Sociologia dei processi culturali, Il Mulino, Manuali, Bologna, 2020; o anche M. Livolsi, Manuale di sociologia della comunicazione, Laterza Roma-Bari, 2009; pp.211-236

[vi]  Cfr ad es.. Che cosa è arte. La filosofia analitica e l’estetica, a cura di S. Chiodo, Utet Universitaria, Torino, 2007; Introduzione all’estetica analitica, a cura di P. D’Angelo, Laterza, Roma-Bari, 2008.

[vii]  Ibidem. pp.12-17.

[viii]  Cfr. ad es. M.C. Taylor, Il momento della complessità, Codice ed. Torino, 2005; La sfida della complessità, a cura di G.Bocchi, M. Ceruti, Bruno Mondadori, Milano 2007; A. Gandolfi, Formicai, imperi, cervelli, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.

[ix] Cfr. ad es. L’avventura estetica. Prospettive sull’arte, a cura di S. Resnik, Franco Angeli, Milano, 2002; G. Di Liberti, Il sistema delle arti. Storia e ipotesi, Mimesis, Milano – Udine, 2009; G. Bertram, L’arte come prassi umana. Un’estetica, Raffaello Cortina, Milano 2017.

[x]  M. Binda, Cara intelligenza artificiale, 20 febbraio 2023

(https://futuranetwork.eu/interviste-al-futuro/749-3716/cara-intelligenza-artificiale-rivoluzionerai-o-distruggerai-il-mondo-dellarte) ;

  1. Lughi, L’AI può produrre arte? Non banalizziamo un concetto complesso: poniamoci le giuste domande, 20 marzo, 2023.

https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/lai-puo-produrre-arte-non-banalizziamo-un-concetto-complesso-poniamoci-le-giuste-domande/;

  1. Cortellazzo, L’intelligenza artificiale nel mondo dell’arte: siamo in una fase interlocutoria, 30 agosto 2023; https://ilbolive.unipd.it/it/news/lintelligenza-artificiale-mondo-dellarte-siamo

N.d.a. – Le definizioni che proponiamo scaturiscono dalla comparazione di fonti e dizionari online, confrontate poi con quanto dicono di essa alcune società che la sviluppano, in particolare Google AI e RedHat.

[xi]  Sono sequenze di istruzioni in codici (sistemi di segnali, segni o simboli convenzionalmente designati per rappresentare un’informazione) in un linguaggio interpretabile da un elaboratore attraverso un algoritmo  cfr. Computer program, TheFreeDictionary.com. URL consultato il 21-04-2024.

[xii]  Il cosiddetto “allenamento supervisionato” avviene calcolando una funzione di costo tra predizioni e annotazioni. Il suo valore viene utilizzato per aggiornare i parametri del modello.

[xiii]  La capacità di un agente di affrontare e risolvere con successo situazioni e problemi nuovi o sconosciuti cfr. Glossario, in La mente e il cervello, La Scienza, volume 10, La Repubblica,  2005, p. 789.

[xiv]   Il data set è  un insieme di dati strutturati in forma relazionale, ovvero i dati sono disposti in modelli matematici fondati sulla teoria degli insiemi e del calcolo relazionale. Ad es. nel 2023 è stato rilasciato OpenChat AI LLM, (Language Large Model – modelli linguistici a grandi dimensioni) addestrato con 7 miliardi di parametri su fonti offline associate ad un ranking e ad un feedback positivo / negativo dei risultati da parte degli utenti.

[xv]  Molto utile quanto indicato a questo link https://fundspeople.com/it/glossario/intelligenza-artificiale-una-guida-imprescindibile-per-capire-i-concetti-fondamentali/