Le anime bianche filiformi sono spennellate qua e là con il blu di Prussia, primo colore sintetico da cui fu estratto il cianuro di idrogeno utilizzato nei forni crematori. La pittura sanificava i luoghi dopo le pestilenze
di Roberta Semeraro
Marco Agostinelli che aveva mosso i suoi primi passi nell’arte negli anni Ottanta, nel 2003 si presentò al pubblico alla Rocca Paolina di Perugia, con la mostra monografica Il Fantasma del digitale che gli valse il riconoscimento di antesignano dei linguaggi tecnologici dell’arte.
Dopo esattamente venti anni, la rassegna Paradise, ospitata dalla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, diventa un momento di riflessione per comprendere dov’è arrivata la sua arte e dove siamo arrivati noi uomini del nuovo millennio.
Partendo dal fiore nero che L’ultimo uomo porge ai visitatori, Agostinelli dissemina la sala di possibili indizi del disastro ecologico e antropologico che vuole rappresentare. L’allestimento mette in scena la storia di quell’eroico fantasma che si era preannunciato come un novello Zarathustra del terzo millennio, mentre invece sembra sempre più assomigliare ad un Joker dei nostri tempi, vittima della follia che lo induce a distruggere il mondo. L’ultimo uomo è circondato da oggetti enigmatici che si presentano sotto forme e colori mai visti. Sono quasi tutti composti da materiali di riciclo, come se fossero reperti archeologici dell’éra che stiamo vivendo.
Così appare il vecchio computer cyberpunk Televisioncross, prigioniero di quella stessa rete che aveva creduto essere l’esternazione dell’ideale democratico della tecnologia e che invece ora lo stringe nella morsa della globalizzazione. L’atmosfera risente di quel clima di inquietudine che ci fa riscoprire una romantica bellezza nei luoghi bui e abbandonati.
Nei Notturni Lagunari, l’acqua stagnante dalle tonalità scure, ravvivata dai riflessi dei colori della città, si solidifica in superfici rugose lambite dalla bava schiumosa delle onde.
La scultura mimetizzandosi con la pittura, perde peso e volume nel gioco dei vuoti e dei pieni di ingegnosi assemblage.
La comprensione profonda di questa tragedia è racchiusa nelle pagine di un libro, nel quale si racconta come le più importanti scoperte scientifiche siano diventate dei potenti dispositivi di distruzione. Agostinelli restituisce l’essenza del libro in due sole pagine: al centro campeggia una mostruosa figura policefala, con i profili taglienti dei personaggi che popolano i suoi disegni.
Slides (a cura di Roberta Semeraro)
E ancora una visione apocalittica ritorna nel Diario intimo, una sorta di giudizio universale, dove le anime bianche filiformi sono spennellate qua e là con il blu di Prussia, primo colore sintetico da cui fu estratto il cianuro di idrogeno utilizzato nei forni crematori. La pittura sanificava i luoghi dopo le pestilenze. Ed è questo l’effetto che si riceve entrando nella sala, dove l’artista ha coperto indistintamente tutte le opere con uno strato di pittura per purificarle dall’orrendo crimine commesso contro madre natura.
Joseph Beuys aveva affermato che ogni uomo è un artista se crea e non distrugge. Ed è a lui, padre putativo dell’ecosofia di Agostinelli che è dedicata l’opera video Difesa della Natura.
Nel 2015 Marco Agostinelli sente l’esigenza di lasciare il virtuale per ritornare a fare arte con gli strumenti dell’artigiano. Da quel momento in poi lavora con i legni di gondola, a contatto stretto con i maestri d’ascia dello Squero di San Trovaso. Nascono così Birdman and the New Generation, dove attraverso un processo di metapoiesis, Venezia e la laguna assurgono a simboli di resilienza in difesa di un pianeta che si è ammalato. L’ultimo uomo è figlio di questa nuova generazione arrivata ad un punto di non ritorno.
Nel Manifesto del terzo paesaggio, il giardiniere francese Gilles Clemens ammonisce l’uomo ad interrompere le peregrinazioni e a coltivare un piccolo orto, fino a farlo diventare un grande giardino il più vicino possibile al Paradiso.
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