Il fatto stesso che la memoria storica di 10 artisti su tela – 180 minuti di pittura collettiva stimolata sia relegata ad un piccolo gruppo di persone e che tutta la documentazione sia rimasta inedita ed è stata resa fruibile solo a distanza di quarant’anni mostra quanto quell’intervento sia stato rappresentativo di un territorio e del suo particolare momento storico

di Ivan D’Alberto

Il ticchettio di un orologio scandisce il trascorrere del tempo, una tela bianca, posta al centro del bastione del Forte spagnolo, diventa il centro di gravità per dieci allievi dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, mentre un grande cavalletto fotografico documenta quanto sta accadendo. Le molte interferenze, determinate da un suono di sottofondo e dal vociare del pubblico, non alimentano alcuna distrazione: come in un sogno surrealista i dieci giovani artisti, attraverso le loro azioni, testimoniano inconsapevolmente un importante passaggio epocale, l’aumento esponenziale della distanza tra i grandi centri e le periferie.

Nel corso degli anni ’80 tale distanza è sempre più evidente e gli artisti impossibilitati o poco motivati a spostarsi nei grandi nuclei attrattori dell’arte tentano di “alzare la propria voce”, ma con difficoltà riescono a farsi “ascoltare” e in molte occasioni simili atteggiamenti sono considerati espressione di un triste provincialismo.

A testimoniare tale quadro culturale l’incontro denominato Il SEGUITO tenutosi lo scorso 4 marzo, presso il MuSpAC di L’Aquila, volto ad introdurre l’appuntamento espositivo-documentativo 10 artisti su tela – 180 minuti di pittura collettiva stimolata: un’azione performativa realizzata il 4 maggio del 1983 presso la Fortezza Spagnola del capoluogo abruzzese.

L’happening, arricchito dalle musiche di Antonello Neri, ha visto il coinvolgimento degli artisti Franco Fiorillo, Fiona Liberatore, Patrizia Urbani, Carmine Tornincasa, Vincenzo Masciovecchio, Attilio Leonardis, Valerio Taddei, Giusi Dell’Elice, Pino Falcone e Fabrizio Cappelluti.

Tutta l’azione è stata documentata dal giornalista Vincenzo Battista, ma gran parte del materiale fotografico prodotto in quella occasione è rimasto inedito; per tale motivo l’appuntamento al  MuSpAC non solo si mostra utile a ripercorrere, in termini storico-artistici, la performance, ma diventa valevole per poter apprezzare un’operazione che si rivela totalmente aderente al periodo storico in cui si compie.

La conferenza è stata caratterizzata dagli interventi di Enrico Sconci, presidente dell’associazione culturale “Quarto di Santa Giusta”, di Antonio Gasbarrini, critico d’arte, di Vincenzo Battista, giornalista e di Franco Fiorillo, artista nonché curatore di tutta l’iniziativa.

Ma perché l’azione 10 artisti su tela – 180 minuti di pittura collettiva stimolata testimonia un passaggio epocale che vive proprio in quegli anni la città di L’Aquila e in più generale la regione Abruzzo?

Il 1979 rappresenta, con la pubblicazione su «Flash Art»del “manifesto” della Transavanguardia, a firma di Achille Bonito Oliva, il ritorno della “pittura da cavalletto” e l’inizio del “declino” di quelle sperimentazioni artistiche condotte dai protagonisti dell’Arte Povera e dagli autori che avevano animato i movimenti della Performing Art e dell’arte comportamentale.

Le gallerie, che avevano sofferto di quel rallentamento produttivo del sistema economico determinato dalla smaterializzazione dell’opera, portata avanti dagli artisti “poveristi” e dalla dimensione “effimera” del fare artistico derivante proprio dalle esperienze performative, con il recupero della pittura tornano a vivere una nuova proficua stagione economica.

Il ritorno del quadro nelle gallerie ha rappresentato una “boccata d’ossigeno” importante e un’iniezione di fiducia economica soprattutto per coloro che operavano in un “sistema”, quello dell’arte, che nel corso degli anni ’70 si era trovato a vivere una forte crisi, soprattutto in termini di mercato.

Slides

Questo slideshow richiede JavaScript.

Un passaggio epocale di questo tipo, quello veicolato dalla Transavanguardia, aveva determinato lo spostamento del baricentro dalle “periferie” ai “grandi centri culturali” riportando alla ribalta città come Roma, Milano e Bologna.

Come è ben noto i movimenti economici esigono bacini di utenza ampi, densità demografiche importanti in modo da poter riattivare mercati sopiti.

Le grandi sperimentazioni che avevano animato gli anni ’70, avevano trovato nelle “periferie” un “terreno funzionale”: un pubblico più “disponibile” o “inconsapevole” ad accogliere  forme di ricerca artistica e una dimensione economica che permetteva un abbattimento dei costi, sia in termini organizzativi che in termini di produzione artistica. Nel momento in cui l’arte torna ad esprimersi con la pittura, i galleristi, i critici e gli artisti sentono la necessità di abbandonare le aree più marginali del Paese per tonare a vivere nei grandi centri. In una situazione socio-culturale di questo genere si colloca la storia aquilana e soprattutto la storia dell’Accademia di Belle Arti del capoluogo abruzzese.

E’ proprio sul finire degli anni ’70 – primi anni ’80 che si sceglie di chiamare ad insegnare Estetica uno dei protagonisti più importanti che opera sul territorio nazionale, ovvero Fabio Mauri. Le fonti non nascondo il motivo per cui Mauri entra nell’organico del corpo docente dell’Accademia: il maestro fu chiamato a risollevare una scuola in piena decadenza.

La presenza di Mauri, combinata a quella di Tito Spini, è stata la chiave di volta per ridare linfa vitale all’Istituto di alta formazione artistica. Saranno gli anni della Gran Serata Futurista organizzata da Mauri con tutti gli studenti e i docenti dell’Accademia e gli anni di azioni importanti come Che cosa è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo.

In un clima positivo come questo si colloca l’azione 10 artisti su tela – 180 minuti di pittura collettiva stimolata che mette insieme l’eredità delle performance, che avevano caratterizzato il decennio precedente, il ritorno della pittura, voluto dalla Transavanguardia, e le dinamiche storico-culturali che vivevano, in quegli anni, aree periferiche come quella abruzzese e aquilana.

L’azione 10 artisti su tela ha un taglio corale (molto probabilmente stimolata dalle lezioni di Mauri e dall’esperienza collettiva della Gran Serata Futurista), tant’è che in questo progetto manca la dimensione del one man show tipica delle performance anni ’70, dove protagonista assoluto è un solo artista.

I dieci giovani studenti dell’Accademia contaminano con il colore e il gesto pittorico una tela di cotone bianco di 4 m x 3 acquistata al mercato rionale della città. Il grande formato e l’azione dettata da una pittura gestaltica recuperano esperienze artistiche del passato secondo la lezione indicata dalla Transavanguardia. L’intervento è durato 180 minuti scanditi dal ticchettio di un orologio da tavola, il tutto seguito da pochi astanti. Alla fine delle tre ore, al suono della sveglia, i 10 artisti come atto di protesta hanno distrutto la tela riducendola a brandelli, quasi a cancellare simbolicamente il tempo dedicato alla realizzazione dell’happening. L’azione finale non solo sottolinea il malessere di una nuova generazione di artisti che soffre della propria collocazione geografica fuori dai grandi circuiti dell’arte, ma evidenzia la necessità di creare scalpore attraverso un gesto violento ed estremo. Tale gesto è sintomo di quella ricerca di visibilità, di quel desiderio di notorietà che, ahimè non arriverà perché nel frattempo il sistema dell’arte si è concentrato altrove.

Il fatto stesso che la memoria storica di 10 artisti su tela – 180 minuti di pittura collettiva stimolata sia relegata ad un piccolo gruppo di persone e che tutta la documentazione sia rimasta inedita ed è stata resa fruibile solo a distanza di quarant’anni mostra quanto quell’intervento sia stato rappresentativo di un territorio e del suo particolare momento storico.

L’incontro organizzato al MuSpAC è servito a riattivare un interesse nei confronti di un periodo, quello relativo agli anni ’80, che in molti considerano poco interessante per quanto riguarda la ricerca artistica. Indipendentemente dal valore o dal contributo culturale che ci ha lasciato in eredità tale decade, alcune operazioni concepite in questo particolare momento servono, in termini sociologici, a fornire indicazioni chiare rispetto alla condizione e al “malessere” che vive una generazione di artisti totalmente schiacciata dai fenomeni dell’arte che hanno animato il periodo precedente (nello specifico quello del ventennio 1955-1975).

Non è un caso che è servita una distanza storica di quasi quarant’anni per riportare in luce tale fatto storico e, nonostante la dimensione estemporanea, e se vogliamo anche ingenua dell’azione, la vicenda si rivela un importante cartina tornasole che documenta la situazione di un preciso territorio.