Occorre che la memoria sociale (non solo) della fotografia induca alla liberazione e non all’asservimento degli uomini. Il solo dovere che noi abbiamo verso la storia della fotografia è quello di riscriverla
di Pino Bertelli
“…uno non ha un’anima per se solo, ma un pezzetto di una grande anima, che è la grande anima di tutta l’umanità… io non potrò mai morire,
io sarò dovunque, dovunque sia un uomo, dovunque ci sia un uomo che soffre e combatte per la vita, io sarò là, dovunque ci sia un uomo che lavora per i suoi figli, io sarò là, dovunque il genere umano si sforzi di elevarsi, con i ricchi e con i poveri,
io ho questa continua aspirazione di continuo miglioramento, e dove una famiglia mangerà le frutta di un nuovo frutteto, o andrà ad occupare la casa nuova, là mi troverai… “.
Dal film Furore (1940), di John Ford
Album Auschwitz
La “soluzione finale della questione ebraica”, ordinata da Hitler e applicata con dovizia di esecuzioni sommarie dai suoi carnefici blasonati… e nella complicità con la grande maggioranza delle famiglie tedesche… è un crimine (non solo) di guerra, è la volontà di un intero popolo che chiedeva di eliminare altri popoli perché ritenuti “inferiori”! Hitler e la gerarchia nazista decisero l’annientazione degli ebrei attraverso un sistema industriale, finalizzato a non lasciare in vita una sola persona giudea.
L’organizzazione nazista fu davvero laboriosa, burocrati, funzionari e carnefici fecero un “buon lavoro” di squadra… il saccheggio degli ebrei fu sistematico… gerarchi, imprenditori, affaristi, aguzzini… confiscarono i beni degli ebrei deportati o uccisi sul posto… però lasciarono agli ebrei i soldi del biglietto del treno di solo andata che li portava alla morte nei campi… nei vagoni venivano ammassate fino a mille persone… il coordinamento dei treni era di pertinenza della polizia e delle SS… e arrivavano sempre in orario.
Il firmamento antisemita nazista era variopinto… scienziati, industriali, economisti, giudici, avvocati, psicologi, intellettuali, artisti, proletari… promettevano un brillante avvenire alla gioventù hitleriana… la devozione ideologica che prostravano al Führer li assolveva da tutte le coercizioni commesse a danno degli ebrei, dei diversi, dei deboli… proprio come ai nostri tempi… con un po’ meno sangue sparso, ma i ghetti dei migranti lo dicono… nascere nella terra o nel “popolo sbagliato”, per il “popolo giusto” vuol dire che passerai per i camini o sarai destinato a recinzioni e sopraffazioni inumane… niente male… c’è sempre un Ministero che tratta di espiazione e migrazione forzata. A nessuno importa niente della sorte dei migranti, nemmeno a molti che li salvano dall’affogare nel Mediterraneo… è solo una questione di soldi e anche per una certa dose di lavanderia dei sentimenti truccati.
I nazisti però un certo stile ce l’avevano nel praticare la decimazione degli ebrei… quando li bruciavano nei forni, le SS ordinavano ai residenti delle fattorie e città vicine a campi, di aprire/ chiudere le finestre per attenuare l’odore emanato dagli ebrei in fumo. L’arianizzazione dell’ottimismo è l’anello ideologico che assicurava la redenzione della gente comune all’antisemitismo… le azioni di “pulizia ebraica”, l’offerta al signore Dio/Hitler! Da sempre, il fiorente mercato delle armi passa dalle imprese multinazionali e dalle banche delle chiese, dove tutti vanno a ingozzare l’ostia del profitto… e in qualunque nazione, non solo in tempo di guerra, il patriottismo arma il braccio degli ingenui ed esalta l’identificazione tra il popolo e il regime.
Basta consultare l’Album Auschwitz, ritrovato da una sopravvissuta dei campi, Lili Jacob (1), per comprendere il “rigore scientifico” con il quale i nazisti decidevano chi inviare alle camere a gas e chi ai campi di lavoro… le donne anziane, i bambini, i più deboli non avevano scampo!… è impressionante vedere le SS e i Sonderkommandos (deportati ebrei “obbligati” a collaborare con le SS nel processo di sterminio di altri ebrei all’interno dei campi), smistare, anche a frustate, le persone scaricate dai carri merci… nessuna mancanza di scrupoli, l’assassinio era elevato al rango di arte da macello! Le facce atterrite delle vittime lo dicono, e quelle dei carnefici lo confermano! Nessuna ascesi criminale è concepibile senza la fede in qualcosa che seduce o alimenta la propria bestialità!
Non sappiamo se quelle immagini sacrificali sono state fatte dalla SS-Oberscharführer, Bernhard Walter e dal suo assistente, SS-Unterscharführer, Ernst Hoffmann… in quanto responsabili di prendere le impronte digitali e fotografare i prigionieri al momento dell’immatricolazione (il procedimento non avveniva per quanti erano stati avviati alle camere a gas)… non è certo nemmeno se l’Album di Lili sia appartenuto a Richard Baer, il famigerato comandante del campo di Auschwitz, un ex-pasticcere… sappiamo però che questo criminale delle SS-Totenkopfverbände (Unità testa di morto), tessera n. 44225… ha espletato i suoi “onorevoli servizi” al Führer, a Dachau, Colombia-Haus, Sachsenhausen, Buchenwald, Auschwitz… raggiungendo eccellenti traguardi sull’assassinio sistematico degli ebrei… con l’avanzata delle truppe sovietiche si rese latitante… assunse l’identità di Karl Egon Neumann e andò a fare il tagliaboschi nelle foreste della Bassa Sassonia (a Sachsenwald)… nel 1960 fu scoperto e imprigionato… peccato! Muore d’infarto in galera il 17 giugno 1963, invece di essere impiccato a un albero con la cinghia delle SS e il berretto con la testa di morto in testa! Vogliamo serbare la nostra rabbia per cause migliori!
L’immagine del dolore. In principio è stata la luce, poi la fotografia… disse il folle al poeta, senza neppure parlarsi… eppure il loro viatico li portò a fare della vita un’opera degna d’attenzione, diceva quello che lo impiccarono per lesa maestà all’ordine istituito… détournement insolente di Pascal, l’abate Meslier e d’un ubriaco di taverna di porto toscana: tutta l’infelicità dei fotografi viene dal fatto che essi non sanno restare seduti, soli, in una stanza, senza pensare d’essere un artista… la fotografia non serve a niente, come la musica di Mozart! Con le budella dell’ultimo prete, impiccheremo l’ultimo padrone! e i fotografi subito dopo! La libertà, come la bellezza e l’amore non si concede, ci si prende! La memoria della fotografia, alla quale attinge la storia, che a sua volta la alimenta, mira a conservare il passato soltanto per magnificare il presente e il futuro della società omologata… occorre che la memoria sociale (non solo) della fotografia induca alla liberazione e non all’asservimento degli uomini. Il solo dovere che noi abbiamo verso la storia della fotografia è quello di riscriverla.
In una notarella sul pensiero figurativo-visionario di Gioacchino da Fiore, che ha investito i Movimenti del libero spirito del millenarismo e sollecitato la memoria e la storia di tutti i dispregiatori della libertà… ha attraversato il Medio Evo, il rinascimento, il secolo dei lumi ed è giunto fino alla pedagogia libertaria della nostra epoca… abbiamo scritto: «A margine del pensiero libertario gioachimita, che poggia le sue visioni comunitarie nella luce di cuori puri e fedi che non siano finte, e nelle ombre gerarchiche che impediscono la grazia angelica di manifestare la libertà assimilata all’amore di sé e del prossimo… occorre ricordare che nessuna storia della fotografia al mondo menziona (seriamente) che le prime immagini negative-positive non sono state scoperte con la fotografia di Joseph Nicéphore Niépce, vista dalla finestra a Les Gras, 1826, circa… e nemmeno la filosofia del Mito della caverna di Platone (La Repubblica) ha annunciato le ombre e le luci che i filosofi più avvertiti hanno interpretato essere alla base della fotografia e del cinema e di tutte le arti figurative. La raffigurazione dell’immagine negativa-positiva nasce nell’Arte rupestre preistorica (Neolitico), come si può vedere nella grotta con tracce di mani, Santa Cruz,(Argentina). Lì gli uomini del tempo hanno ottenuto la tipologia negativa appoggiando la mano asciutta sulla pietra, soffiandoci sopra la polvere rossa che poi toglievano… per l’immagine positiva il palmo della mano veniva spalmato di polvere che premevano sul muro in modo da lasciare la sagoma della mano. Rappresentare un pensiero, un’immagine, un suono o un segno nella sua essenza… significa mostrare che il bello, il buono e il giusto fioriscono nella presentificazione del senso. Il resto è solo forma. Amen e così è».
La desertificazione della coscienza e l’autunno dell’intelligenza si poteva leggere sul cancello del campo di sterminio di Auschwitz: “Il lavoro rende liberi”. Il capo dei carnefici gridava al suo popolo: «La brutalità incute rispetto. Le masse hanno bisogno di qualcuno che ispiri loro paura e le renda tremanti e sottomesse. Non voglio che i campi di concentramento si trasformino in pensioni di famiglia. Il terrore è il più efficace fra tutti gli strumenti politici…» (Adolf Hitler).
Correva l’anno 1933, dicono gli storici col vezzo della citazione colta… senza mai prendere parte al deploro che le parole di Hitler esprimono… e quando lo fanno s’accostano in bella uniformità ai qualificativi o alla supremazia degli aggettivi della storia.
Un’intera nazione credette a questo pazzo asceso al potere e oltre sei milioni di ebrei (omosessuali, zingari, comunisti, anarchici, folli, handicappati…) furono sterminati nelle camere a gas dei nazisti. I governi delle nazioni più civilizzate e l’impero della chiesa di Roma (per mezzo di papa Pio XII) osservarono un ossequioso silenzio fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Dopo la sconfitta del nazismo e la liberazione dell’Europa, cominciarono a girare (anche in Italia) le immagini della Shoah… la conoscenza del dolore si trasforma in coscienza attraverso il dolore e anche l’impudore degli scettici muore nell’autenticità dell’innocenza violata e violentata. I mucchi di cadaveri esposti ai fotografi (d’ogni esercito) non nascondono le verità che si celano nelle “sacre scritture” e a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha! Amen e così sia.
In questo senso, se sfogliamo con grazia e commozione le immagini dell’Album Auschwitz (2), si coglie l’immagine-simbolo del genocidio subito dagli ebrei nei campi e nella storia dell’umanità… se poi gli ortodossi di Israele — nei confronti del popolo palestinese — si sono comportati allo stesso modo dei nazisti, vanno egualmente denunciati di fronte al tribunale dei diritti umani, derisi e calpestati, e impedire loro di continuare la macellazione della popolazione palestinese… ma non è qui che possiamo riflettere su questa ingiustizia che insanguina la possibilità dei palestinesi e israeliani di vivere in pace come due popoli in due nazioni… non ci sono né guerre giuste, né guerre sante… le guerre “brut turano” l’uomo e impediscono di vedere la fame di bellezza che c’è ai quattro venti della terra.
L’Album Auschwitz o dell’orrore pianificato. Le immagini dell’Album Auschwitz rappresentano il protocollo visuale dell’intransigenza nazista… il dilettantismo funereo del fotografo riflette la decimazione degli ebrei in maniera spontanea… l’arrivo dei treni, lo smistamento degli ammazzati, dei temporaneamente salvati e quelli che vanno a finire nei campi di lavoro per l’industria bellica nazista… famiglie che si stringono accanto ai treni svuotati… mucchi di valigie e beni degli ebrei accatastati sulla strada… vecchi, donne, bambini persi nello smarrimento, nell’incredulità, nella disapprovazione anche… tutti marchiati con le stelle gialle sui vestiti stracciati… si notano alcune signore borghesi ancora ben vestite e ragazzi avvolti in cappotti di pregevole fattura… molti guardano in macchina… i Sonderkommandos trafficano con la roba degli ebrei, le SS usano la frusta e il fucile e indirizzano i più deboli alle camere a gas e gli altri alle baracche… in queste fotografie si respira un’atmosfera da proscrizione, cancellazione, devitalizzazione dei giudicati all’ultimo viaggio verso un universo di morte.
Gli sguardi delle donne sono fiammeggianti, spesso… quelli dei vecchi, arresi o carichi di sdegno… quelli dei bambini restano sospesi tra l’incredulità e l’intimorimento… un ragazzo disabile è incastrato in una sedia di vimini sdrucita… messo in posa per la fotografia in uno spiazzo di terra… dietro i deportati e SS sono fuori fuoco… lo prendiamo ad icona della scempiaggine disumana che l’intero album esprime. Il ragazzo (fotografato per dimostrare la “bruttezza e l’anormalità della razza ebraica”) si è tolto il cappello che ha appoggiato sulle gambe… forse non può camminare… i piedi gonfi sono stretti in scarpe di stracci… tiene una mano aggrappata al bordo della poltrona… l’altra è quasi nascosta sotto gli abiti o forse una coperta… sul gilet ha appuntata la stella di David… una sciarpa sembra sorreggere la testa piuttosto grossa rispetto al corpo… il suo sguardo però non è arreso… anzi, guarda l’operato del fotografo e l’indignazione si porge a una regalità che non lascia scampo a intermezzi di sottomissione… c’è tutta l’antica nobiltà ebraica in quell’atteggiamento di sfida, tutta la sapienza di chi subisce un sopruso, tutta la dignità di quanti sanno d’essere sconfitti ma vinti mai. Il ragazzo non è vittima dell’ingiustizia ma il denunciatore del male che subisce e il suo volto altero rifiuta il silenzio e ogni spiegazione è resa vana… sarà destinato alla camera a gas, perché le “persone speciali” sono specchio della saggezza o della folgore dell’uomo… i veri accusatori dei tormenti inflitti all’innocenza… gli assassini del popolo ebraico figurano la vastità del male, ma non saranno mai tanto forti d’annullare la parola sussurrata e umana che li condanna nell’idiozia per l’eternità.
Si deve all’intelligenza belligerante del mio amico e maestro d’indicibili scorribande libertarie sulla critica radicale della fotografia, Ando Gilardi, e del suo saggio trasversale sulla fotografia spontanea della Shoah, Lo specchio della memoria (3), il richiamo alla documentazione, anche clandestina, militare o amatoriale dello sterminio e della verità fotografica di diari e archivi sulla disumanità nazista dei perseguitati, complici e salvati… qui riporta in luce una pagina indicativa degli Judenrät (“Consiglio ebraico degli anziani”), un corpo amministrativo imposto dai nazisti agli ebrei dei ghetti, per la sorveglianza e “servizi di sicurezza”.
Il lavoro di controllo o di delazione o di compromissione dei Judenrät con l’operato dei nazisti contro gli ebrei, suscita ancora posizioni controverse tra gli storici… corruzioni, crudeltà, connivenze con gli assassini ci sono state e la “polizia ebraica” non è stata estranea nemmeno al mercato nero, tradimenti e esecuzioni degli stessi fratelli… come del resto la verità fotografica ha lasciato in eredità a quanti si avvicinano a studiare la Shoah, senza timore di dire chi sono stati i carnefici, le vittime e chi ha cercato di salvare in qualche modo la pelle sulla morte dell’altro! Poiché ciascuno è protagonista della propria sopravvivenza, esistenza o resistenza, non serve quindi scaricare colpe o riconoscenze delle sofferenze umane in leggerezza… esistono uomini buoni e uomini cattivi, il male è tutto umano, come il bene… quindi ciò che conta è il grado ultimo della coscienza, al quale nessuno può scappare… non possiamo cercare l’assoluzione del male in Dio, se non nella ribellione o nel crollo dell’uomo di fronte alle proprie responsabilità.
Tra i più solerti fotografi nazisti (anche se fotografi lo erano non solo per lavoro, ma piuttosto per una inclinazione innata al sadismo, questo almeno dicono le loro elegiache immagini del dolore)… si annoverano Bernhard Walter, Ernst Hofmann, Friedrich Franz Bauer, Ludwig Knobloch, Albert Cusian, Walter Genewein, Willy Georg, Ernst Herrmann, Heinrich Jöst, Foto Zermin, Foto Amthor, Foto Theil… ci bastano… non sono le schedografie che ci interessano, nemmeno gli elencari della cattività… non vogliamo entrare nemmeno in questa o quella fotografia scattata da questi bravacci dell’inettitudine… hanno tutte il timbro dell’assassinio protetto e valgono solo per l’autobiografia che le hanno dettate… una sorta di corrispondenza visiva che aspira al regno della sfigurazione… alle bassezze germinali dell’inchino all’autoritarismo che li assolve! Un funzione performativa dell’inconscio popolare che impone l’assertorio dell’obbedienza come unica maniera d’esprimersi… l’uccisione che trova nella fotografia la suggestione della propria morte!
Questi ridicoli borseggiatori della fotografia in divisa delle SS, piuttosto abili nella messa in scena, ricercatori dell’inquadratura giusta… specializzati in immagini della fricassea ebraica, senza avere un sussulto d’intelligenza… erano elementari, grezzi, primitivi, sapevano però somministrare la burocrazia del dolore come gli psicoanalisti ne decretano l’origine su un divano… cioè con l’arroganza velata di un padre autoritario o di una madre indifferente… ipocriti, puritani, incolti del loro stesso mestiere di elitismo e aristocrazia che autorizzano il sopruso… e siccome l’inconscio è una sorta d’affastellamento tra linguaggio e immagini… la spirale degli atteggiamenti compulsivi e dell’alienazione che ne consegue, emerge nei meccanismi di repressione, regressione, perversione e sublimazione del martirologio… tutte cose sulle quali le religioni monoteiste e i regimi autoritari hanno eretto le loro fortune e le loro galere.
L’immaginario funesto dei fotografi nazisti non conteneva solo perversioni di morte… ma anche un ingorgo di pulsioni omicide che travasavano nella fotografia dei prigionieri, dei deportati, degli ammazzati… e lasciavano traccia non tanto dell’ingiustizia subita dei morituri, quanto della rappresentazione cannibalesca della costrizione morale, sociale, etica… associata alle forze demoniache del nazionalsocialismo… erano testimoni non della gloria infondata nazista, ma della subordinazione, anche sessuale, dell’isteria generalizzata comparata alle ossessioni delle repressioni mistiche… si fotografa come si uccide! O si vive come si ama il diverso da sé! Fotografi-interpreti di un psicopatologia della vita ordinaria che li proietta nell’omicidio premeditato, la messa a morte di una popolazione che li interrogava nel momento stesso che veniva fotografata, distrutta!
Il carattere plastico, dinamico, creativo, vivente della fotografia, tuttavia non è facile a sottomettere… poiché quando la fotocamera capita nelle mani sapienti di certi poeti inadempienti, rimette in discussione la fotografia nella sua interezza e il cattivo uso che molti ne hanno fatto e ne fanno ancora… in questo senso la fotografia rivoluziona prima la propria vita, poi la società! Non è cosa nuova… la fotografia, nella sua versione creativa, richiede un’analisi critica della società in cui vive… e ne denuncia le nevrosi, le imposizioni, le improprietà… quando la fotografia è solo una parte consumistica o adottiva del tutto… succede ciò che diceva Freud della sua psicoanalisi: «I pazienti sono gentaglia. Buoni solo a faci vivere, materiale per imparare. E comunque non possiamo aiutarli» (4), solo sopprimerli, forse? Le dittature, le tirannidi, i totalitarismi… hanno trasfigurato la gentaglia di Freud in assassini o vittime, e glorificato le belle idee che uccidono – diceva un fascista futurista (preso troppo sul serio), Filippo Tommaso Marinetti, che ha scritto Odi per la X Mas e cantato eroi e macchine della guerra mussoliniana, quello che voleva uccidere anche il chiaro di luna –, insieme ai principi più elementari dei diritti dell’uomo. La sfogliatura delle immagini fatte dai nazisti (prese senza uno specifico ordine di orribilità), ci permette di osservare l’eguale dimensione oscena che il fotografo prende come evento purificale… incredibile… se vediamo i bambini morti di fame nel ghetto, il nazista che spara alla testa dell’ebreo sull’orlo di una fossa comune, il soldato che alza il fucile e fredda alle spalle la donna con il bambino in braccio o i corpi bruciati, fotografati clandestinamente da membri del Sonderkommando… ci si accorge che c’è una certa spavalderia nello sguardo del fotografo… sovente le inquadrature sono pensate, se non ricercate… fanno da contraltare alla seduzione dell’odio come cerimoniale di una distruttività umana inaccettabile… le vittime sono già uccise… la fotografia le uccide di nuovo! La normalizzazione della perversione nazista riduce le persone a oggetti da rompere, spaccare, dissolvere in un determinismo delinquenziale che al momento che provoca morte, prova anche piacere! La denegazione del reale impedisce ai nazisti di riconoscere il delitto nel mentre l’affermano… ma non è una rimozione… è la costituzione corporea di una stirpe di assassini che rivelano l’enfasi dell’infantilismo attraverso la persecuzione… la fotografia è la confessione autobiografica dell’autore… e dietro un carattere autoritario e fanatico non ci può che essere un criminale! Chi snocciola parole di sangue convertite in acqua benedetta e parla in nome degli altri è sempre un impostore o un carnefice… obbedisce a un ordine superiore… mai a quello della propria coscienza… soltanto l’uomo libero si assume la responsabilità dell’“io”, parla a nome di se stesso e si prende il diritto di farlo. Chi parla a nome dell’altro o del popolo, sa già d’essere a fianco della falsità e del crimine costituito. Shakespeare sapeva che «siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita». Più ancora che è un’epoca terribile quella in cui degli idioti governano dei ciechi! E il nazionalsocialismo (come tutti i regimi totalitari) ne è l’esempio più fulgido.
***
“Donne vecchie e giovani sono lì, in piedi sulla rampa, con i neonati in braccio e i bambini più grandi per mano, o aggrappati ai vestiti, spaventati.
Accanto ci sono gli uomini, vecchi e giovani. Di lì a poco, saranno sottoposti a un processo di selezione che ne manderà a morire la maggior parte in modo orribile, nel giro di qualche ora. Questo è uno dei tanto gruppi di ebrei ungheresi che furono deportati dalla Rutenia carpatica ad Auschwitz-Birkenau nel giugno del 1944.
La stella gialla cucita sui loro abiti sembra sproporzionata, tanto è grande: ci fissano con occhi stanchi, spaventati, indagatori, intimoriti, dolci, ma anche coraggiosi,
occhi che ci pregano di dare una risposta…”
Avner Shalev
La fotografia della persecuzione ad Auschwitz-Birkenau supera la megalomania dei governi, dei conventi e delle caserme… e soltanto fotografi di una certa ambizione estetica, convertiti al delirio d’onnipotenza di un tiranno o di un mercato, un museo o una galleria di lignaggio borghese, e Bernhard Walter (il fotografo più accreditato dell’Album Auschwitz) esce da questo stampo non proprio creativo… quantomeno dalla medesima fiera della falsità… è il risultato di epoche corrotte che proprio come quelle moderne, hanno operato e operano sulla dissoluzione delle morali, delle razze, delle culture. La stupidità, si vede, caratterizza i momenti culminanti della storia e l’equivalenza politica ne rivendica l’asprezza quanto le fosse comuni… occorre la prostrazione di un idiota o di un credente per sostenere la distruzione di universi sociali che non vogliono integrarsi nella realtà, senza arrossire di vergogna.
Walter è stato un SS-Hauptscharführer e capo del servizio di identificazione del dipartimento politico nel campo di sterminio di Auschwitz. Insieme al suo assistente, Ernst Hofmann, il vero fotografo, è considerato uno degli autori dell’Album Auschwitz (circa 200 fotografie). Un ex prigioniero ricorda lo scoramento di quei giorni: «Le camere a gas lavoravano a ciclo continuo, giorno e notte. Una colonna di fuoco saliva dai camini di Auschwitz e restava sospesa in area insieme a una densa nuvola di fumo. I crematori, riempiti fino all’inverosimile, esplodevano e uno dei camini venne demolito. Ma l’officina della morte non si fermava mai e fu riattivata persino la camera gas della casa colonica presso il bunker 2, chiusa nel 1942. Furono scavate enormi fosse dentro le quali venivano bruciati i cadaveri. Molti testimoni riferiscono di bambini arsi vivi nelle fosse di Birkenau» (5). I cittadini delle campagne intorno ad Auschwitz tuttavia non avvertono né cattivi odori, né vedono quel fumo nero né la cenere che il vento porta sulle loro case… almeno così dicono ai soldati che liberano il campo e nei documentari del dopoguerra… pensavano forse che in quel campo di sterminio si coltivassero patate o crauti per il pranzo domenicale dopo la messa?
Nella gerarchia della menzogna i tedeschi non sono secondi a nessuno in fatto di efferatezze… gli uomini d’ogni Paese sentono l’onore per la Patria come un carnefice quello della vittima… e basta uno sgozzatore qualunque che sale al potere che ne rivendicano le aberrazioni. Il destino dei popoli è quello di seguire un profeta o un bastone… e chiunque non accetti la soggezione a un capo, un “creatore” o un assassino diagnosticato già nell’infanzia, rende legittima la sua soppressione. Per mettere in onore la politica, si devono come prima cosa impiccare i moralisti che la detengono, Nietzsche, diceva… il gregge che li sostiene affoga nella propria insignificanza o nel trasformismo ideologico nel quale resta gregge.
Le immagini dell’Album Auschwitz si riferiscono al “reinsediamento degli ebrei ungheresi” (come dicevano i nazisti), e documentano lo sterminio di quasi mezzo milione di ebrei ungheresi. La professionalità dei fotografi nazisti è innegabile… la qualità tecnica delle immagini lo dicono… uso sapiente degli obiettivi, controllo della luce, inquadrature di forte presa del reale… specie in certi ritratti ravvicinati, i deportati sono fotografati con il giusto dispregio… una catalogazione da bestiario allo scannatoio.
In alcuni casi l’intenzionalità dei fotografi è davvero rivoltante… come i ritratti di Rabbi Leib Weiss, Rabbi Naftali Weiss o quello del giovane disabile deposto su una spagliata poltrona di vimini, prima d’essere gassato (come abbiamo già descritto sopra)… e gli inabili al lavoro, i bambini impauriti, indifesi, violati nella loro innocenza e avviati alle camere a gas… qui i fotografi sono stati davvero all’altezza dei loro crimini… le loro fotografie pietrificano sorrisi e speranze di gente indifesa e umiliata… che è la prerogativa degli imbecilli senza rimpianti.
I persecutori, anche i meno raffinati, quelli che prendono gli ordini sul serio, si fortificano nell’abominio e l’idiozia che accompagna la loro servitù si lascia dietro, e a futura memoria, una cartografia fotografica disseminata di salme. Siamo dispiaciuti che dopo la fine della guerra, Walter abbia scontato solo pochi anni di carcere in Inghilterra e in Polonia, e che qualcuno dei sopravvissuti di Auschwitz non l’avesse appeso per il collo al cancello del campo, per non dimenticare.
Walter prima della guerra faceva lo stuccatore. Nel 1933 aderisce al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP), tessera 3.178.708, all’Allgemeine SS… un’organizzazione che si occuperà di amministrare e pianificare le esecuzioni degli ebrei nei campi di sterminio.
Nel 1934 è nel campo di Dachau e, viste le notevoli doti di sorveglianza e classificazione, lo passano a quello di Sachsenhausen, poi lo promuovono responsabile dell’ufficio identificazioni di Auschwitz. I bravi fotografi si vedono subito… hanno quell’aria d’assassini gentili che piacciano a tutti i poteri… sono degli esteti del sangue… prosperano nella vaghezza del consenso come rane bollite e si trovano a loro agio tanto in un salotto borghese che in un campo di sterminio… i fotografi nazisti, proprio come quelli occidentali, vivono d’insignificanze glorificate da guerre sanguinarie o premi internazionali (che ancora ai nostri giorni mietono allori sul sangue dei vinti)… sono l’eccellenza della volgarità estetizzata nella fatalismo dell’ecatombe.
Ricordiamolo. Walter viveva con la sua famiglia nel campo di Auschwitz. Non era solo un bravo classificatore di ebrei e identificatore di spie, era anche abile a sparare sugli ebrei inermi e per questo nel 1942 gli viene conferita la Croce al merito di guerra di seconda classe con spade. Dopo la fine della guerra sconta la prigionia in Inghilterra e poi trasferito in Polonia, condannato a tre anni di reclusione e privato dei diritti civili. Fu scarcerato nel 1950… e nel 1964/1965 chiamato al primo processo su Auschwitz a Francoforte. Sul banco degli imputati nega di essere co-autore dell’Album Auschwitz… il fotografo polacco Wilhelm Brasse, che lavorò agli ordini di Walter, sopravvissuto ad Auschwitz, fotografo del campo, poi tra i testimoni ai processi dei crimini nazisti, parlò a favore di Walter, dicendo che aveva tenuto un comportamento corretto nei confronti dei detenuti (?!). A Brasse, ricordiamolo, si deve una notevole documentazione della persecuzioni degli ebrei di Auschwitz. E proprio non ci è facile raccordare la sua bonomia nei confronti dell’acredine visuale persecutoria di Walter verso gli ebrei.
Slides (a cura di Pino Bertelli)
Nelle fotografie sugli ebrei del campo di Auschwitz, attribuite a Walter o Hofmann… poco importa chi le ha scattate… la spietatezza delle SS sulla gracilità di vecchi, donne e bambini ebrei (ungheresi, in massima parte), non lascia scampo sulla criminalità organizzata… come abbiamo già annotato… gli ebrei scendono dai carri merci e vengono smistati verso le camere a gas (i più deboli) o inviati ai lavori forzati (i meno fragili). Il bastone, la frusta e il mitra erano il linguaggio delle SS e la sentenza anche della “distruzione della volontà di procreazione” del popolo ebraico. In molte delle fotografie di Auschwitz, stupisce la forza identitaria degli ebrei che la paura non scalfisce… come quella in cui si vede un gruppo di donne e i loro bambini… sono ancora vestiti in maniera decente, al centro un ragazzino con la stella gialla sul petto, al collo appeso un barattolo e appoggiato a un bastone, guarda in faccia al fotografo e lo fulmina nella bellezza della sua riprovazione.
Non sono poche le fotografie di ebrei che rovesciano l’indicizzazione criminale nazista… specie donne e bambini che incrociano lo sguardo del fotografo tra la curiosità e lo sdegno… alcune donne ben vestite si defilano dall’impietosità dell’immagine, altre straziate dal viaggio e dalla vecchiaia abbassano gli occhi e si stringono ai bambini che guardano in macchina… in alcuni ritratti si vedono ebrei in abiti ancora decorosi che sembrano sfidare l’intrusione del fotografo… in una fotografia, peraltro mossa, una donna con i capelli corti e cappotto chiaro con la stella cucita sopra… passa davanti alla fotocamera… guarda in faccia il fotografo, più indignata che sorpresa… dietro si vede un soldato che detta ordini a un gruppo di uomini e li seleziona per il lavoro forzato o per la morte. Qui la donna (si chiamava Geza Lejtbs, di Budapest) non mostra nessuna supplicanza… semmai il carattere dell’ineluttabile ma senza consenso.
C’è l’immagine di Babo, la “scema del villaggio” di Tacovo… la donna è appoggiata al carro merci… la faccia è incorniciata dalla pezzola nera legata sotto il mento… tiene nelle mani un filo… lo sguardo è puntato dritto contro il fotografo… sembra percepire la selezione dei condannati a morte nei forni crematori. A volte basta la sbirciata di una persona fragile a interrogare l’abiezione del potere e inchiodarlo per sempre alla storia del male. Un ordine supremo o ameno è un pretesto senza diritto di pietà.
La nazificazione della società tedesca passa da Auschwitz… Heinrich Himmler era molto soddisfatto dell’efficienza vandalica del comandante del campo Rudolf Höß (Höss)1941-1943…
fervente cattolico, volontario della croce rossa, più volte decorato con la Croce di Ferro nella prima guerra mondiale… si scrive al partito nazionalsocialista nel 1922 (tessera n. 3240), e nel 1933 è membro effettivo delle SS (tessera n. 193.616). Con le SS-Totenkopfverbände (Unità testa di morto) si distinse per l’odio viscerale contro gli ebrei a Dachau, Sachsenhausen, ma dette il meglio di sé ad Auschwitz… qui si appropriò anche di una certa quantità di beni dei deportati da riempire due carri ferroviari… Himmler e Adolf Eichmann spesero ammirazione e lodi per il lavoro fatto con l’acido cianidrico nella camere a gas… Höß si riteneva un fedele esecutore degli ordini di Himmler e le operazioni di sterminio ad Auschwitz non erano che una prassi manageriale volta a cancellare la pericolosità degli ebrei che volevano impadronirsi della Germania (dirà Höß nei vari interrogatori dopo la sua cattura).
Nella sua autobiografia (scritta nel corso della sua prigionia) Höß afferma: «Fin dalla costituzione dei campi di concentramento, questi avevano contenuto prigionieri ebrei. Ormai li conoscevo abbastanza, fin dai tempi di Dachau. […] Non era facile a Dachau la vita per gli ebrei. Erano addetti al lavoro nelle cave di pietra, assai gravoso per loro; la sorveglianza esercitata nei loro confronti era particolarmente rigorosa, per influenza di Himmler e dello Stürmer, che veniva diffuso dappertutto, nelle caserme e nelle osterie. […] Ma le persecuzioni più gravi erano dovute ai loro stessi compagni di razza, sia che fossero loro superiori nel lavoro, sia che fossero gli anziani di baracca (…) In quel periodo, parecchi ebrei mossi dalla disperazione per questo stato di cose, per trovar pace ai tormenti, si gettarono contro i fili elettrici del recinto, intrapresero tentativi di fuga per farsi sparare addosso, si impiccarono» (6).
La prosa da lupanare di Höß implica la sua debolezza mentale, il dispregio per gli ebrei alimenta la trivialità dell’uomo e conferma che la stupidità costituisce la trama di tutto ciò che ha respirato.
Il memoriale di Höß ci porta all’interno della mentalità e della psicologia dei nazisti… non c’è ombra di rimpianto né di redenzione, anzi c’è la conferma dell’assassinio industriale esercitato nella fabbrica di morte di Auschwitz. Höß parla con la freddezza del burocrate di produttività, trasporti, contabilità, aspetti urbanistici, processi sommari… la grossolanità di Höß suscita ribrezzo, riprovazione, disgusto… poiché le sue parole esprimono l’esatta dimensione della propria imperitura malvagità. Nella prefazione al libro di Höß, Primo Levi scrive: «Questa autobiografia descrive con precisione un itinerario umano. Rudolf Höß sarebbe diventato un grigio funzionario qualunque, ligio alla disciplina ed amante dell’ordine, invece si è trasformato in uno dei maggiori criminali della storia umana». Dietro il senso del dovere si profila sempre un assassino o un idiota reclutati dal fanatismo ideologico o religioso che s’adoperano per configurare l’idea di una nazione, di una classe o di razza nell’entusiasmo della mattazione. L’11 marzo 1946 la polizia inglese arresta Höß in una fattoria agricola di Flensburg, si nascondeva sotto il falso nome di Rudolf Lang… viene interrogato a Norimberga e poi trasferito in Polonia… e non ci dispiace affatto che il 16 aprile 1947, la Corte Suprema di Varsavia l’abbia condannato all’impiccagione davanti all’ingresso del crematorio di Auschwitz. Un bastardo di meno.
L’Album Auschwitz è una testimonianza importante per comprendere i flagelli di distruzione dell’immoralità nazista… i fotografi raffiguravano i “tratti somatici giudaici” nei deportati a significare che il cammino verso i forni crematori è una via crucis necessaria per salvaguardare la razza pura germanica (?!)… di fronte a queste immagini si ha la sensazione d’essere davanti a un popolo, quello germanico, appunto, che cerca di dare un nome alla propria inclemenza. Milioni di persone che non hanno avuto orrore del proprio lerciume e si sono fatti impavidi sostenitori ed estimatori dell’infermo nazista. Essere fedeli all’eccidio è un modo di cominciare tutti gli insegnamenti appresi nei formulari dell’abiezione.
Le fotografie che riguardano gli ultimi momenti delle persone prima delle camere a gas… sono struggenti quanto codarde… le sequenze sulla confisca dei beni degli ebrei (la zona era chiamata dai detenuti Kanada, perché simboleggiava il Canada come “paese della ricchezza”), figurano una quantità incalcolabile di vestiti, scarpe, oggetti personali… sparsi a ridosso dei forni crematori… una sorta di discarica da saccheggiare che segna anche la portata di scempio della malvagità nazista. Donne, uomini, militari tedeschi… s’aggirano tra ciò che è restato delle vittime e ne raccattano o sottraggono anche le più intime memorie… in queste immagini sopravvive la volizione dei dominatori di cancellare l’agonia ebraica… ma nel contempo fuoriescono anche le mostruosità che gli araldi del nazismo hanno commesso e che nessun uomo o tribunale non può assolvere né mitigare il giudizio, se non sputare sulle loro tombe fino alla fine dei tempi.
Siccome gli spogliatoi dei crematori IV e V erano insufficienti per le frotte di ebrei che arrivavano al campo, i deportati dovevano aspettare il loro turno nella tranquillità dei boschi… la serie fotografica di famiglie, bambini, vecchi, disabili, racconta l’attesa, la tranquillità, l’apprensione di migliaia di persone che saranno avviate alle camere a gas ignare della loro sorte… «qualcuno ha detto che non ci sarà mai più nessuno tanto innocente quanto le vittime sulla soglia delle camere a gas» (7). C’è una fotografia che ha un eccezionale valore storico e umano. Un’anziana donna si rifiuta di entrare nel crematorio, tre uomini la sorreggono, forse per compassione o per paura che le SS (si vedono sullo sfondo) possano ucciderla all’istante… la stanza dei forni comunque è il loro destino di vittime incredule di tanta dissolutezza… il bosco-purgatorio racconta lacerti di vite dispregiate nel vestibolo dello spavento e poi gassate dall’impersonalità nazista… l’ossario dei sogni però non dimentica né assolve la lugubre ferocia che un popolo ha commesso contro un altro popolo.
In una fotografia rubata, fatta dall’interno di una baracca, si vede i prigionieri del Sonderkommando bruciare i corpi nudi degli ebrei uccisi in una delle fosse di cremazione a cielo aperto, ubicate a fianco del crematorio V… l’immagine è riquadrata di traverso dal nero della porta… fuori si alzano fumi bianchi in un cielo bianco con dietro il bosco nero… mucchi di cadaveri sono in attesa d’essere cremati… gli uomini del Sonderkommando sono in mezzo a loro… svolgono lavori di pulizia etnica quotidiana… sembra di assistere a una macabra parata dove il crimine assume il vestiario di un tempo che non scorre più… altro che «l’inespressivo olocausto della storia», come asseriva malamente Cioran… ogni finalità di compassione è annullata tramite la sparizione dei corpi e ciò che resta dell’immagine è il pericolo che niente può coprire quell’assassinio e che la quantità insopportabile di dolore che rappresenta si rovescerà in eterno sulle biografie dei persecutori.
Va detto. Nell’estate del 1944 la Germania stava capitolando sotto le bombe degli Alleati… le SS della Sezione politica del campo di Auschwitz, cercarono di bruciare documenti, registri, incartamenti che testimoniavano lo sterminio… il 7 ottobre i prigionieri del Sonderkommando accesero una rivolta disperata, quanto eroica, e misero fuori uso il crematorio IV… dopo due giorni la maggior parte degli insorti venne trucidata dai nazisti… le SS allestirono una squadra di lavoro (Abbruchkommando) composta in grande maggioranza da donne e smantellarono i crematori II e III… il 27 gennaio 1945 l’esercito russo raggiunse il campo… vi trovarono 840000 capi di abbigliamento femminile, 43525 paia di scarpe, migliaia di occhiali, giocattoli, oltre a 400 protesi e 7 tonnellate di capelli rasati alle donne dopo la loro uccisione, dicono le carte processuali. Per la storia ebraica l’Album Auschwitz costituisce un atto d’accusa e la prova inconfutabile dello sterminio di quasi mezzo milione di ebrei ungheresi (8). Secondo gli storici, nei cinque anni di funzionamento del campo di Auschwitz, furono inoltre uccisi oltre 70.000 polacchi, 20.000 zingari, 15.000 prigionieri di guerra sovietici e oltre 10.000 internati di altre nazionalità (bielorussi, cechi, iugoslavi, francesi, tedeschi, austriaci) (9). Per molta parte dell’umanità, Auschwitz rappresenta lo specchio-simbolo del genocidio perpetrato dal Terzo Reich, e in particolare della Shoah.
In nome del Bene e del Male, in nome del Paradiso e dell’Inferno, in nome dell’Ordine e del Disordine… la eco di secoli dispotici non è riuscita a soffocare la voce del popolo ebraico umiliato… né a seppellire i figli di David nella dimenticanza, nell’oppressione, nella tortura… la sventura ebraica ci salva e ci stronca, perché è la chiave di cui siamo gli eredi, diceva… la via della controversia è lastricata di dignità, di giustizia, di verità… e il sangue che copre i corpi della loro innocenza non ammaina la parola vilipesa, l’esorta nella risalita alle fonti come conoscenza e coscienza di antichi legami che riportano alla fierezza di un popolo: “Ama il tuo legame fino al suo ultimo bagliore e sarai libero”, Reb Elat, diceva… l’audacia è nell’amore degli occhi che vedono e non uccidono ciò che toccano ma lo rimandano alla voluttà di tutte le infanzie intramontabili.
Il pozzo dell’infanzia è un cammino a ritroso… riconduce ciascuno alla propria terra e ai medesimi domani… e non ci sono insensatezze di simulacri da adorare, né capi da incensare come misura di tutto l’ignoto di dolore o di spietatezza che esprimono… la colpa non è delle stelle, né giurare alla luna di non sapere o avere obbedito alle vigliaccate fatte sugli indifesi… sapere è porre domande, è interrogazione sulle rovine di anime marcite, è denunciare le scelleratezze d’ogni sopruso, poiché la vera conoscenza è il rovescio del Tutto nell’Eutopia (il “Posto Buono”). La verità, la giustizia, la bellezza sono al fondo dello sguardo incorruttibile: lo sguardo innocente del fanciullo come passaggio in amore nella vita che porta all’aurora della libertà.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 12 volte gennaio 2023
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(1) Album di Auschwitz, a cura di Israel Gutman, Bella Gutterman e Marcello Pezzetti (per l’edizione italiana), Einaudi 2008 o https://www.yadvashem.org/yv/en/exhibitions/album_auschwitz/index.asp
(2) Ibidem
(3) Ando Gilardi, Lo specchio della memoria. Fotografia spontanea dalla Shoah a YouTube, Bruno Mondadori, 2008
(4) Michel Onfray, I freudiani eretici. Controstoria della filosofia VIII, Ponte alle grazie, 2020
(5) Album Auschwitz, Op. cit.
(6) Rudolf Höss, Comandante ad Auschwitz, prefazione di Primo Levi, con un articolo di Alberto Moravia, Einaudi, 1985
(7) Album Auschwitz, Op. cit.
(8) Ibidem
(9) Nel 1947 vennero trovati 24 (o 32) fogli di disegni clandestini nascosti in una bottiglia sotto il pavimento di una baracca di Auschwitz Birkenau (opera di un prigioniero che si firma M.M.), schizzano l’arrivo dei deportati nel campo, la separazione delle le famiglie, i comignoli dei forni crematori, i cadaveri, le violenze delle SS ai detenuti… pubblicati in The Sketchbook from Auschwitz, 2011, a cura di Agnieszka Sieradzka, per Auschwitz-Birkenau State Museum (https://www.auschwitz.org)
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