Con quel Manifesto il Trattismo si pone prima del significante e del significato; e, pertanto, con ciò decade la funzione di mediazione del critico, dello sciamano o sacerdote-interprete
di Giuseppe Siano
Caro Claudio Bianchi e p.c. Caro Marco Fioramanti
Vorrei chiarire a voi amici, Claudio e Marco, e all’articolista del giornale su cui ho letto la recensione di una imminente mostra di Claudio & C., alcune posizioni del movimento Trattista che a mio giudizio sono state interpretate in modo poco chiaro.
Dal momento che in quell’articolo di presentazione sono stato citato, con questo mio ulteriore intervento vorrei palesarvi in modo sintetico e con più precisione quanto ho scritto una decina di anni fa per una mostra che non è stata poi mai realizzata.
Mi sono soffermato in quel mio saggio sul Trattismo solo su quel primo manifesto; che ho giudicato singolare e profondamente nuovo come messaggio artistico pubblicato nel 1984, nonostante qualche intervento negli anni precedenti (a partire dal 1982) e i cui firmatari sono stati: Claudio Bianchi, Luciano Cialente, Marco Fioramanti, Adalberto Magrini, Ubaldo Marciani, Sergio Savatori (pittori) e Marco Luci (video maker).
Ho volutamente accennato agli sviluppi che poi ha preso il Movimento; in quanto quasi tutti gli artisti interpretarono il TRATTO, giustamente, secondo i propri elementi emergenti che in alcuni diventarono segni ricorrenti.
Ho riscontrato che solo per un attimo i cinque membri pittori fondatori del Movimento sono stati concordi sugli intenti del Movimento (almeno all’atto della firma del Manifesto).
Fondamentale è per me la dichiarazione etno-antropologica più che sociologica dei firmatari.
Con questo movimento, perciò, si stabilisce la nascita del TRATTO ̶ diverso dal segno ̶ nella percezione, osservazione e cognizione artistica.
Il TRATTO si genera prima che diventi un segno linguistico; e pertanto prima che emerga un codice comunicazionale condiviso.
Questo è ciò che distingue il tratto dal segno, dopo il Movimento Trattista.
Qualsiasi artista Trattista, insieme o dopo quelli fondatori del movimento, è stato libero di porre l’inizio in un “proprio tratto” che ha trovato poi corrispondenze in altri tratti prima che si manifestassero come segno comunicativo ed espressione di un linguaggio comune.
Il tratto ha una origine personale, psichica, oggi diremmo inconscia, o emergente da una forza pulsionale. Trascritto in un codice non ancora del tutto palese.
La sua esistenza dura poco, e si colloca in uno spazio-tempo relativo; prima che si confronti o unisca con gli altri tratti e diventi un segno individuabile ripetitivo o comune con un suo indice semiotico, o significante/significato linguistico.
Sono i segni ad esser riconosciuti e interpretati attraverso le serie e le frequenze degli atti comunicativi. In quanto, per gli intervalli ripetitivi, diventano possibili interpretazione quando si decide di seguire un ordine o codice o indice, o i significanti e i significati linguistici.
Sono, pertanto, i segni che sono assunti come una probabile condivisione di una origine linguistica o di un sistema, lasciando intravedere un codice personale o comune.
Portfolio (a cura di Giuseppe Siano)
Il TRATTO invece emerge da un magma informale, senza una precisa identità. L’ho paragonato all’idioletto estetico di Umberto Eco.
Fa parte di una emergenza di una forza vettoriale, o di un abbozzo di forma, che può essere solo per empatia riconosciuta da una comunità, ma che in qualsiasi momento può diventare segno ed essere utilizzato come un indicatore o un codice comunicazionale.
Ogni segno si manifesta come codice, e viene interpretato secondo le frequenze seriali e gli intervalli ripetitivi; o come ha poi fatto Fioramanti quando è andato alla ricerca di una origine antropologica o psicologica indagando le altre culture primitive e notando le diverse interpretazioni dei segni e dei simboli.
I TRATTI sono forze e possono anche apparire uguali, ma i segni convenzionali possono variare da tribù a tribù, e da cultura a cultura.
In modo differente dalla prima ricerca Trattista, anche Fioramanti in seguito si collocherà al di fuori della enunciazione originaria dell’arte del “TRATTO”, senza che il suo Tratto diventi identificabile in un unico segno comunicativo; come mi sembra di aver specificato anche nel saggio; e cioè egli è andato alla ricerca di una origine segnico-simbolica in altre culture, sovrapponendone i significati originari.
Il tratto delle origini di quel primo manifesto va invece trovato nell’emersione da quel “magma informale”. Esso è comunque una “presenza informale”, e si contraddistingue per la sua funzione di essere un TRATTO; e cioè non è ancora un segno significante a cui si associa un significato.
Il Trattismo è un movimento che riflette sul linguaggio dei segni, tanto caro alla critica d’arte degli inizi degli anni ‘80.
Il tratto, in effetti, è attribuibile a quella forza vitale, la quale dapprima si manifesta come energia che inizia a problematizzare l’osservatore che cerca di trovare negli intervalli e nelle ripetizioni i segni delle esperienze attraverso probabili significati/significanti.
Ripeto: sono la ripetizione e gli intervalli che determinano, in principio, le relazioni tra l’emergenza di TRATTI e il rapporto di trasformazioni in indici di sé stessi. Solo dopo che l’osservatore trova riscontri e relazioni con i tratti di altre “energie pulsionali” nello stesso ambiente, o in altri ambienti comunicazionali, quei tratti diventano, segni, poi simboli, poi linguaggio.
Solo attraverso gli intervalli un tratto diventa, per frequenza e relazione, segno individuale o comune, che si afferma come indice di un codice.
Quando ciò avviene i tratti diventano dei segni che sono analizzabili come codice di un linguaggio comune, attribuibile a una tribù; che poi si estendono quando si ritrovano quegli stessi segni comuni a un popolo negli usi e nei costumi.
Con quel Manifesto il Trattismo si pone prima del significante e del significato; e, pertanto, con ciò decade la funzione di mediazione del critico, dello sciamano o sacerdote-interprete.
L’arte dei segni e del linguaggio parlato raggiunge col Trattismo gli estremi limiti del suo dirsi e del suo manifestarsi.
Col Trattismo l’arte è un idioletto, un segno non ancora formato per comunicare qualcosa.
È energia informale che trasmette l’emergenza di un tratto; in quanto da essa si sviluppa come un “sentire” con cui si dà avvio alla formazione degli “idioletti” (Eco) che solo dopo diventeranno “segni” semiotici.
Gli sviluppi dei Tratti poi sono molteplici.
Al di là del linguaggio energetico magmatico e pre-linguistico dell’informale, che è la connotazione di un atto individuale che si manifesta attraverso le energie, ora vi è una nuova soglia di un pre-linguaggio-sociale che emerge col TRATTO.
Il TRATTO affiora dall’energia informale, e si colloca prima di diventare un segno, il quale ha subito la trasformazione in indice o in un linguaggio comunicativo.
Dopo questo movimento sono stati considerati nell’arte anche i nuovi messaggi che si decodificano attraverso l’organizzazione delle proteine negli organismi biologici ̶ semplici o complessi ̶ con i codici genetici.
Ma col Trattismo si può risalire ad altre origini, ancora prima di questi nuovi messaggi utilizzabili con il linguaggio genetico.
Ci sono oggi messaggi, ad esempio, trasmettibili con la luce o con il calore secondo le organizzazioni dei corpuscoli-onda che viaggiano alla velocità della luce.
Questi messaggi giungono direttamente al cervello prima di diventare “cognizioni” e manifestarsi come linguaggio attraverso dei dispostivi sensoriali messi a disposizione dalla tecnologia.
Le informazioni che emergono attraverso dispositivi tecnologici regoleranno ben presto il nuovo linguaggio e il nuovo “sentire” dell’arte. Penso qui al Movimento Cyber-dada che nasce dopo il Trattismo con Marco Fioramanti, Angelo Ermanno Senatore ed Eva Rachele Grassi.
Per questo il Manifesto del Movimento Trattista delle origini, nella sua sinteticità, rimane il punto nodale dove dalla “comunicazione umana” attraverso la parola e la scrittura si tenta di indicare una probabile nuova origine di un linguaggio tra il primordiale logico-matematico e il magmatico, e che è ancora in formazione. La trasmissione di questo linguaggio si pone tra l’individuale e il sociale. Oggi, possiamo affermare, si trasmetterà sempre più attraverso un sistema di onde e di dispositivi tecnologici che saranno utili a rilevare e a tradurre in percezioni, immagini visive e suoni le informazioni.
In quei 100 metri dell’opera-azione Trattista[i], smembrata ̶ spero solo che alcuni lacerti continuino ad adornare la parete di qualche abitazione ̶ , c’è l’annuncio che non si ha bisogno dei “critici d’arte che utilizzano ancora la parola” per spiegare quello che viene prima della formazione di un codice linguistico umano attraverso la scrittura o lettura.
Tutta l’azione del TRATTO già agli inizi del 1980 rientrava nella partecipazione psico-sociologica della formazione di un’arte sovrapponente vari modelli e linguaggi.
Si stava affermando la ricerca di un linguaggio globale, con quel nefasto neo capitalismo globale tanto criticato già allora da Pier Paolo Pasolini, che omogeneizzava le culture in nome del consumismo.
Il Trattismo ha avuto il merito di far diventare un’opera d’arte una convenzione pre-linguistica individuale che col segno diventa sociale, a cui tutti danno un proprio contributo nel momento performativo e comunicativo.
Il linguaggio nasce nel momento in cui il tratto entra in comunicazione con altri tratti, diventando significato e significante di un segno con cui si costruiscono dei messaggi in codice.
Il Trattismo originario come ebbi già a dire a Filiberto Menna e a Enrico Crispolti è stato il movimento che per primo ha fatto collassare il rapporto tra significante e significato.
La sua operazione è squisitamente linguistica e opera sul segno pre-linguistico: il TRATTO.
Ripeto: con questo movimento si afferma che quando l’emergenza individuale e sociale del TRATTO sarà mediato da un codice, diventerà SEGNO linguistico.
Il Movimento Trattista del primo Manifesto ha messo in discussione lo statuto linguistico di un’origine universale dell’arte.
Il TRATTO è una emergenza individuale e allo stesso tempo è mediazione e condivisione di un linguaggio sociale appartenente a delle “tribù”; proprio per il rifiuto dei critici d’arte di spiegare con la parola l’impossibile azione di formazione linguistica di un idioletto estetico.
Ho dei dubbi su Achille Bonito Oliva, attento critico d’arte coeva ̶ mio insegnante, conosciuto a Salerno durante un suo corso di lezioni universitarie, da me, tra l’altro, intervistato poi dopo trent’anni per la rivista “Juliet” nel 2007 ̶ , che egli abbia potuto “addomesticare” il Trattismo nel ritorno dell’“attraversamento delle avanguardie” con quell’insulso postmodernismo interpretato male, non da lui. Sarò lieto di leggere il suo testo di presentazione degli anni ’90.
Cordialmente, Giuseppe Siano
[i] «A ponte Sisto nel maggio del 1984, fu dipinta una tela di circa 100 metri dagli artisti Trattisti, e l’azione ebbe come sponsor la Galleria La Salita di Roma di Gian Tomaso Liverani. La seconda si tenne a ponte Sant’Angelo a dicembre dello stesso anno, promossa dal più giovane, ma già affermato intraprendente organizzatore di eventi, il gallerista Massimo Riposati (Galleria MR), con sculture e installazioni di dieci Trattisti. In queste manifestazioni di mostre e di happening nascevano nuove opere, e vi partecipavano anche molti altri artisti; alcuni dei quali già aderenti al gruppo, altri solo amici e simpatizzanti. Prendevano parte agli eventi non solo artisti che erano lì convenuti, ma anche passanti occasionali i quali potevano intervenire nella pittura della cosiddetta “grande tela trattista”. Bisogna dire anche che l’evoluzione artistica del movimento, introdotta da alcuni suoi membri successivi, ha modificato alcune posizioni tanto da stravolgere l’ambiente creativo entro cui era sorto». Dal mio saggio AVANGUARDIE STORICHE E TRATTISMO pubblicato sulla rivista Night Italia.
***
Il Manifesto Trattista
Roma, 4 gennaio 1982
Nel “Tratto” noi esprimiamo il gesto più semplice, alla portata di tutti, primitivo, perciò antintellettuale. La rozzezza e l’espressività esasperata indicano su quali punti si arrocca il nostro dialogo col mondo insonnolito dell’arte e con la società. Aborriamo qualsiasi forma di gerarchia ed è perciò difficile pensare a degli adepti seri e coscienziosi, ricercatori coerenti e raffinati. Tale è il nostro linguaggio: arcaico, così, in modo semplice, crediamo di esaltare i colori. Nelle opere non ha alcun significato la competizione, la loro struttura compositiva si rivela estremamente popolare ed esaltante. Il “Tratto” è il nostro rifiuto ad affiancarci al mondo della cultura ufficiale. E’ l’antidoto
alla ubriacatura del pubblico comune, che è vittima della sottocultura alimentata dalla mancanza di informazione e dall’ostruzionismo culturale perpetrato dai burocrati dell’arte per accumulare potere, o soprattutto per la loro incapacità di riallacciare le teorie dell’arte al mondo del lavoro e alla vita sociale, facendo degli artisti, che a loro si assoggettano, degli antisociali nella vita e del pubblico una massa di emarginati nell’arte. Questa è l’evoluzione dialettica che domina tutta la storiografia dell’arte, che ricorda lo sviluppo degli eventi umani, dove le nuove teorie vengono approvate e legalizzate solo quando, svuotate del loro contenuto innovativo, restano soltanto forma, o entrano nel costume non più come novità, messaggio, spinta, ma come bisogno elementare insopprimibile. Con il “Tratto” semplice, immediato, “privo di cultura”, vogliamo cancellare “l’arte colta e sofisticata, il professionista geniale, il Maestro”, e con lui cancellare quell’aura magica e irreale di cui è circondato. Vogliamo che il Trattismo divenga l’arte di chi non ha mai compreso l’arte, divenga l’arte degli emarginati, dei vagabondi, degli alienati, e di tutti quelli ai quali è stato insegnato che non potevano dipingere perché non sapevano disegnare, perché non erano abbastanza acculturati da poter fare quello che una élite scaltra professa ormai da un secolo. Divenga l’arte di tutti questi. Vogliamo che chi ha rapinato il gusto lo restituisca alla gente, e soprattutto a quella porzione d’umanità emarginata, più fantasiosa e feconda, che ha dato in passato uomini della mole di, che i critici loro contemporanei hanno ritenuto opportuno ignorare. Vogliamo che l’arte, lo spettacolo, la satira, la commedia, il costume, coincidano in un unico lacerante grido di rivolta, nel quale la miseria affondi le proprie radici e trovi la propria espressività in un rituale primitivo e inconscio, che sconfina nella magia. Nasce così l’amore per ciò che è primitivo, pagano, nomade. Nasce così la nostra solidarietà per i gruppi umani, per le società primitive, di cui la moderna tecnologia ha sancito la degradazione e l’estinzione. Prima di noi sono stati Trattisti: gli Indiani d’America, i popoli africani, gli aborigeni australiani, i popoli della protostoria andina.
Firmatari:
Claudio Bianchi, Luciano Cialente, Marco Fioramanti, Adalberto Magrini, Ubaldo Marciani, Sergio Salvatori (pittori); Marco Luci (videomaker)
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