Non deve esser stato facile, per gli artisti coinvolti, misurarsi con una problematica così delicata, senza cadere nella trappola celebrativa impregnata di retorica, com’è possibile constatare a L’Aquila in varie pseudo-opere, collegabili in un modo o nell’altro al tragico evento
di Antonio Gasbarrini
Si deve alla penna aguzza di uno dei più prestigiosi pensatori-intellettuali italiani – il filosofo Rosario Assunto scomparso agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso – la scrittura delle più belle pagine sui Giardini, dai netti connotati etico-estetici, confluiti nel libro cult Ontologia e teleologia del giardino.
Tra i tanti passi illuminanti del suo cammino dentro il recinto di una Bellezza ora lussureggiante (come avviene nei Giardini di Versaille), ora più rastremata nei piccoli appezzamenti verdi domestici, ci limitiamo a citarne un paio, che in un certo qual modo faranno da esergo alla nostra nota critica: «Propria del giardino è l’essenza contemplativa che porta l’individuo a riflettere sulla vita e su di sé; nulla di più lontano da questa natura del giardino quella propria di “quegli spazi aperti” destinati a “qualche periodica kermesse populistico-collettivistica”, di quelle che con il loro rumoreggiare, con il loro vocio e con il gracidare di comizievoli altoparlanti offendono la silenziosa maestà di certe nostre ville secolari»;
«Privati o pubblici che siano i giardini debbono dunque far sì che tutto il popolo si comporti in essi, da principe: nel senso che il giardino sia luogo di educazione estetica, nel quale ognuno degli individui che compongono il popolo sia dalla bellezza del luogo educato a comportarsi da principe. Che è poi il senso di una democrazia non rozzamente egualitaria: cioè non livellatrice in basso come la democrazia di massa. Promotrice, anzi, in ciascun uomo qualunque sia la sua condizione e il suo grado di istruzione, di quella volontà di salire, coltivandosi ed affinandosi nel sentire, nel pensare, nel contegno, al cui punto d’arrivo siamo autorizzati a pensare, come ideale, diciamo regolativo (nel senso kantiano della parola) una eguaglianza non alla base ma al vertice…».
Ma il giardino, in Borges, può diventare anche un inestricabile labirinto (narrativo), come avviene nelle magistrali pagine del racconto Il giardino dei sentieri che si biforcano: «Ts’ui Pen credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che s’accostano, si biforcano, si tagliano o s’ignorano per secoli, comprende tutte le possibilità».
Quelle stesse possibilità che per i non credenti sembrano essere precluse dopo che Sua Maestà la morte ti ghermisce una volta, una sola volta per tutte, mentre rassicuranti “Paradisi non-artificiali” (alla Baudelaire, tanto per intenderci), sono alla portata di molte fedi religiose.
Le catastrofi naturali, siano esse dovute alla distruzione in progress dell’intero pianeta-terra a causa dell’insensato sviluppo produttivo incentrato sull’utilizzo delle risorse energetiche inquinanti (prevalentemente i combustibili fossili, ma non solo) e del conseguente surriscaldamento dell’atmosfera, che quelle imprevedibili e indomabili – com’è stato il caso del terremoto delle 3.32 del 6 aprile del 2009 che ha distrutto l’intera città dell’Aquila, le sue frazioni e molti altri comuni vicini – sanno seminare solo morte, dolore e disperazione per i sopravvissuti. Delle vittime, una cosa è subire l’accorciamento della vita per chi è in età avanzata, altra cosa aver reciso, lo stesso filo, ai bambini ed agli adolescenti “in fiore” come sa ben fare l’imperturbabile Lachesi generata dall’unione tra Mnemosine e Zeus.
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E, sarà proprio Mnemosine, la dea per antonomasia della Memoria, ad essersi presa la rivincita nel giardino ad essa dedicato: “Il giardino della memoria. L’angolo delle piccole stelle. 2009-2019”, che ha preso corpo e anima lo scorso mese di agosto, con le installazioni site-specific realizzate da 12 artiste ed artisti nel Museo dei Bambini – L’Aquila (MuBAQ).
Museo fondato e diretto dall’artista Lea Contestabile, la quale, con una campagna di sensibilizzazione effettuata a vasto raggio, ha raccolto, dopo il sisma, i fondi necessari alla costruzione ex novo, nel Comune di Fossa – antico borgo medioevale distante una decina di chilometri dalla città capoluogo – , di un Museo d’arte contemporanea. Situato sì nelle immediate vicinanze del Borgo di S. Lorenzo dove tuttora continuano a dimorare, quasi interamente, tutti gli abitanti del Comune brutalmente sfrattati dalle loro case, oltre dieci anni fa, da Mr. T (il terribile Signor Terremoto), ma costituente, di fatto, uno dei tre vertici di un magico “triangolo estetico”, abbracciante nel suo seno anche la Necropoli ed il ciclo degli stupendi affreschi duecenteschi della chiesa benedettina di S. Maria ad Cryptas, appena restaurata.
Museo che attualmente vanta al suo interno una collezione internazionale di circa 150 opere di medie e piccole dimensioni, mentre nei suoi vasti spazi all’aperto è il “Parco di sculture” di grandi dimensioni (con l’incorporato “Giardino della memoria”) a dare un tonificante respiro creativo d’assieme.
Esaltato ora, proprio dall’apporto visuale di queste opere “concepite” (è proprio il caso di dirlo) per ricordare tutte le giovani vittime derubate precocemente, sempre da Mr. T, dei loro sogni oscurati per sempre.
Non deve esser stato facile, per gli artisti coinvolti, misurarsi con una problematica così delicata, senza cadere nella trappola celebrativa impregnata di retorica, come purtroppo è stato, ed è ancora possibile constatare a L’Aquila in varie pseudo-opere, collegabili in un modo o nell’altro al tragico evento. Eppure, ci sono riusciti. Avendo forse a mente il segreto calviniano connesso ad ogni atto creativo, quello della leggerezza, anche se il materiale con cui è stata realizzata di fatto più di un’opera, può pesare in modo consistente.
In proposito, si confrontino sincronicamente tutte, ripeto tutte, le “poeticizzate” opere del “Giardino della memoria”, con la gigantesca scultura di Jeff Koons (alta 12 metri, peso 3 tonnellate, costo della realizzazione finanziata da privati circa 3 milioni di euro) recentemente posizionata a Parigi per ricordare le vittime del Bataclan massacrate, nel 2015, dalla furia jihadista. Quel braccio teso con una mano che impugna un mazzo di tulipani post-post-pop, secondo i collaudati canoni “kitscheggianti” dell’arista americano – dichiarata metafora della newyorchese Statua della Libertà, opera dei francesi Bartholdi e Eiffel, inaugurata nel 1886 – è stato bollato dalla più sensibile e avvertita’intellighenzia parigina (critici e storici dell’arte, scrittori, registi…), con una serie di epiteti che qui non è il caso di rammentare.
Ed ecco i nomi degli artefici e gli emblematici titoli dati al loro arcobalenico Omaggio alle giovani vittime:
Paola Babini (Colonna del vento) – Sivia Causin (Fiore) – Lea Contestabile (Come stella lucente salirò a casa) – Licia Galizia (Proteggimi ancora) – Donatella Giagnacovo (Never bloomed – Mai sbocciati) – Sergio Nannicola (Casa della memoria) – Felice Nittolo (Memorie, albero della vita) – Marco Pellizzola (Conversazione celeste) – Virginia Ryan (Ghost) – Alberto Timossi (Colonne) – Enzo Tinarelli (Figli) – Stefano Trappolini (Attraverso le stelle). Da aggiungere Luigi Calvisi con la sua “contestuale” mostra-installazione personale allestita all’interno del Museo.
In questa nota critica ci muoveremo, insieme al lettore, tra un’installazione e l’altra seguendo un percorso topologico che all’atto della reale visita, può essere ovviamente cambiato a piacere, in quanto le opere sono coeve e per di più, è consigliabile abbracciarle subito con un unico sguardo, prima d’ “indugiare” (Gadamer) al cospetto di ognuna di esse.
Iniziamo il nostro “rammemorante” incontro con la Casa della memoria eretta da Sergio Nannicola – mattone su mattone ed a mo’ di una piccola, protettiva capanna – su una base cilindrica in cemento alta circa un metro. Grazie ad un idoneo rialzo, anche il bambino in età scolare potrà così leggere “vis-à-vis” i nomi italiani e stranieri, nonché le date di nascita degli sfortunati terremotati incise sulla superficie dei vari rettangoli.
Anche lo stilizzato Fiore di Silvia Causin, sbocciato come per incanto, con i suoi profumati petali, tra una tessera musiva e l’altra, è a portata, non solo di sguardo, dei bambini. I quali mentre si aggirano tra le sedute, anch’esse in mosaico realizzate ad hoc dai giovani allievi dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna, possono fantasticare tra quei segni astrali di stelle dorate o di strane lune circolari che accolgono ora le voci, le corse ed i mancati incontri con i loro potenziali compagni di giochi.
Una musicale nenia s’irradia poi dalla Collana del vento di Paola Babini, costituita da caleidoscopici anelli in plexiglass sospesi a mezz’aria, preziosi più che mai nel loro cangiante cromatismo generato dai vari umori della luce diurna.
Nelle sue vicinanze è la biancastra, totemica scultura Ghost dell’australiana Virginia Ryan, assemblata con il materiale povero di pettini, scarpe, giocattoli ed altri anonimi relitti recuperati amorevolmente uno ad uno in una riva della costa africana, ad evocare gli ostinati silenzi di fantasmatiche presenze che continueranno ad interrogarti con i loro chiusi occhi per sempre.
Non si può, non sostare poi, come si deve, nel meditativo spazio della Conversazione Celeste, ritagliato da Marco Pellizzola (già presente con altre sue opere dislocate nel Parco delle sculture), a mo’ di un minuscolo Giardino nel Giardino. Delimitato da un perimetro punteggiato da piccole pietre con una sorta d’accogliente ingresso praticabile dopo aver varcato le due azzurrate colonne mozzate punteggiate da alcune stele-frecce puntate dritto dritto nell’immensità dell’altrove.
Qui si potrà respirare profondamente, con gli occhi rivolti prima in basso, poi nell’alto dei cieli, quindi vaganti liberamente tra le altre installazioni e sculture, attorniate da quei silenti, maestosi scorci paesaggistici montani, capaci di riconciliare l’ineludibile morte con l’effimera vita.
Tocca quindi all’amaro titolo Never blooomed (Mai sbocciati) di Donatella Giagnacovo, sottolineare tutta la brutalità di quelle creature strappate così precocemente alla vita e al naturale raggiungimento dell’età adulta, mediante l’evocazione di trasparenti maschere-viso quasi trafitte da esili asticelle, che, alla stregua degli anelli della Babini, commentati più sopra, sfideranno la prevedibile inclemenza del tempo atmosferico.
Nelle sue vicinanze si erge la svettante ed agile monumentalità della scultura in ferro Memorie, albero della vita di Felice Nittolo. Sono le sue trasparenti, quasi gioiose foglie multicolore spuntate come gemme tra un ramo e l’altro, ad annunciare, con una policroma tavolozza, l’incipiente apparizione di beneaguranti arcobaleni.
Un vero e proprio contrappunto visivo, può considerarsi la contigua installazione Proteggimi ancora di Licia Galizia, sacralmente srotolata sul terreno con le frattaliche volumetrie delle sue metalliche fasce avvolgenti rami d’albero che essiccheranno sì, senza per questo rinunciare al loro diritto di prolungare gli ultimi scampoli di vita.
Proseguendo nella nostra ricognizione, ci dirigiamo adesso sulla sommità della piccola collina dove Enzo Tinarelli ha allestito la sua partitura visiva Figli con minicubi in marmo grigio bardiglio che, successivante carotati, hanno generato dei cilindri. Su ogni blocco è stata tratteggiata una linea con tessere di smalti, mentre la parte svuotata, riempita di terra, ospita una piantina “destinata a crescere”. Opportunamente disposti, compongono l’evocativa parola “Figli”, scritta plastica ben visibile ad una condizione: che si stia in alto, così come possono ben fare uccelli e droni, ma non gli umani. Alcune sedute circolari con la superficie in mosaico disposte nei suoi pressi, realizzate dagli studenti dell’Accademia di Carrara, consentono al fruitore il raccoglimento necessario per ri/vivere ri/conciliarsi con il tremendo accaduto.
È adesso l’ostinata determinazione di quella svettante scala in ferro protesa verso il cielo-grembo sempre disponibile ad accogliere ciò che rimarrà dopo l’ultimo respiro, a garantire la realistica fattibilità del “sogno nel sogno” di Come stella lucente salirò a casa di Lea Contestabile. “C’erano una volta”: una grande scala nera in ferro, sui cui gradini la silhouette di una bambina si propone con tutta la sua innocenza ludica, mentre sta dialogando con una lumaca; è accovacciata; accenna ad alcuni passi di danza; osserva il gioioso movimeto dei palloncini, avvicinandosi sempre di più alla casetta rossa posta alla sommità.
Stiamo adesso per concludere il rigenerante, familiare, amicale e meditativo percorso, imbattendoci nelle due metalliche Colonne di Alberto Timossi. Forma “menhirizzata” e colore rosso sangue, nella loro pura ed astraente, irregolare volumetria, iniziano la loro epifanica, ma silente immanenza, con un’esile, appuntita base, per svilupparsi poi cilindricamente, sino ad accartocciarsi nella parte terminale. È come asserire, plasticamente, che le potenzialità di una regolare crescita, per le giovani vittime, c’erano tutte, sino a che la bruta forza della Natura non ha de/formato la loro armonica fisicità.
L’euclidea, bidimensionalizzata scultura-installazione Attraverso le stelle di Stefano Trappolini, è dinamizzata da una sagoma antropomorfica ritratta su fondo rosso, che sembra quasi ritagliata, per poi incamminarsi dirigendosi chissà dove. Alcune stelle traforate dialogano con il vuoto del suo profilo, consentendo così al fruitore di far vagare anche il suo sguardo in un cangiante paesaggio scorgibile tra la fisicità dell’opera e la romaticizzata finestra aperta sulle meraviglie d’un mondo eclissatosi di botto e negato, senza alcun riguardo, a quei bambini.
Bambini-fitmorfi emblematizzati, uno ad uno, con la mostra personale di Luigi Calvisi allestita all’interno del MuBAQ. Qui, sedici mini-tele raffiguranti altrettanti fiori, adagiate come sono una accanto all’altra, sorpassano poeticamente la tragedia con il profumo immaginifico di quei petali irraggianti una vitalità espressiva in grado di sublimare, l’inerrarabile accaduto, in addolcita, accarezzabile memoria.
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