La catastrofe comporta un cambiamento più o meno repentino nell’ambiente o nell’orizzonte spaziotemporale entro cui si produce una trasformazione o una perestroika

di Antonio Rainone

1.1 La teoria delle catastrofi (da ora in poi la chiamerò TC) è un sofisticato utensile multiuso che il matematico francese René Thom sviluppò nel corso degli anni Sessanta dello scorso secolo e che, a partire dal 1972, gli dette fama internazionale. Nella primavera del 1972 risiedevo nella Cité Universitaire di Parigi e mi capitò di assistere ad un paio di incontri “del giovedì mattina” che René Thom teneva a casa sua. Thom abitava a due passi dalla Cité, nei pressi di Porte d’Orléans. A questi incontri partecipava, non casualmente, anche Jacques Lacan. In quel periodo seguivo i Seminari che Lacan teneva a martedì alterni, e quindi già sapevo quanto grande fosse il suo interesse per la topologia. Ora, in effetti, la TC è una applicazione della topologia differenziale, ossia di quella geometria che si occupa, in particolare a partire da Poincaré e da Hilbert, di studiare in che modo una superficie può essere deformata senza perdere le “sue” principali caratteristiche.

Questa definizione di “topologia” è restrittiva, ma serve a far comprendere l’essenziale, se in essa includiamo anche la possibilità di mettere a confronto superfici che, benché “formalmente” molto differenti l’una dall’altra, possiedono una stessa struttura spaziale e perciò sono omeomorfe tra loro e possono essere trasformate l’una nell’altra senza subire rotture traumatiche o “chirurgie”. Ad esempio, vi è omeomorfismo tra la forma torica di una ciambella con buco al centro e la classica tazza con manico che usiamo per bere un cappuccino. Un problema di corrispondenza proiettiva tra superfici era stato già studiato dal matematico americano Hassler Whitney (1955) che, partendo dall’analisi del modo in cui una superficie viene riportata sopra una mappa, notò come nella cartografia delle superfici si possono presentare delle “singolarità” (come pieghe o cuspidi) che presentano caratteristiche strutturali di instabilità. Thom sosterrà che ogni singolarità è equivalente a una “catastrofe elementare”. Il concetto di “struttura spaziale” resta per ora indefinito e lo userò solo per richiamare il fatto che, come compresi dopo quel primo approccio con le idee di René Thom, nella rappresentazione che si può avere delle strutture spaziali o “morfismi” gioca un ruolo fondamentale la simmetria o, per essere più precisi, quella teoria ben articolata che si denota in matematica col nome di “gruppi di simmetria” e che si deve alle intuizioni geniali di Évariste Galois.

In quello stesso periodo (1972), Lacan faceva dono del suo seminario più topologico “… ou pire” e intratteneva il suo numeroso uditorio occupandosi in particolare della topologia della parola e del fatto che il discorso verbale possiede non soltanto una logica grammaticale ma è anche dotato di una specifica grammatica dello spazio o “spazializzazione”. Da Lacan e da Thom imparai che si deve parlare di un ordine grammaticale che presiede alla formazione della rappresentazione dello spazio, con una forte analogia con quel che si trova nella grammatica letteraria che sembra governare il discorso fonologico, ossia “il discorso fatto di parole”. Si pensi alla funzione grammaticale e simbolica che la metafora assolve, come meccanismo di omotopia o similitudine, tanto all’interno delle strutture linguistiche, tanto nella figurazione degli “oggetti geometrici”.

Le posizioni teoriche di Lacan e di Thom potevano essere avvicinate, e tra loro confrontate, pur restando molto distanti, soprattutto per gli sviluppi divergenti che si trovano nelle estensioni della TC applicata alla linguistica e alla psicologia. Un disaccordo tra i due studiosi si manifestò chiaramente nel 1974, ma questa discordanza non sarà discussa qui in maniera diretta. Mi soffermerò invece nell’analizzare alcune implicazioni che la TC ha nella costituzione di un modello di spazio rappresentativo dei fenomeni che è di grande importanza, per l’uso che se ne può fare nell’approccio di tutti quei processi in cui si verifichino delle “rotture” o dei mutamenti strutturali che in qualche modo si possono definire creativi o “catastrofici”, in quanto avvengono “intorno” a un rivolgimento o “cambiamento di verso” (strophé) che perturba uno stato di equilibrio, mettendolo in crisi e quindi determinandone un mutamento. La catastrofe comporta un cambiamento più o meno repentino nell’ambiente o nell’orizzonte spaziotemporale entro cui si produce una trasformazione o una perestroika, per usare il termine adottato da Vladimir Arnol’d per designare questo genere di ristrutturazione. È essenziale, si badi bene, aggiungere che ogni perestroika rientra in una serie di configurazioni o tipologie che possono essere classificate come se fossero elementi grammaticali o “classi di insiemi”. Per questo motivo la TC spiega soprattutto attraverso quali passaggi si operi il recupero di uno stato di equilibrio dopo che è intervenuta una rottura. Lo stesso René Thom lo dice in maniera sintetica: “Chiameremo catastrofe nel senso della TC questo salto brusco che permette al sistema di sussistere quando, normalmente, dovrebbe cessare di esistere”. La «catastrofe» è dunque una «manovra di sopravvivenza» di un sistema sfrattato dalla sua caratteristica abituale” (Modelli matematici della morfogenesi, Einaudi 1985, 96-97).

Per chiarire cosa sia lo “sfratto” di cui parla Thom, è utile servirsi di un concetto che appartiene alla teoria combinatoria o probabilistica. Un sistema viene sfrattato quando tra gli elementi che lo compongono si verificano alcune “sostituzioni permutative”: ad alcuni elementi ne succedono altri (filiazione), al posto di un solo elemento ne subentrano due o più (biforcazione), una serie di elementi orientati in una certa direzione viene sostituita da una serie diversamente orientata (riconfigurazione). In realtà “i gruppi di sostituzione” hanno caratteristiche molto più complesse, ma qui basti averne dato un’idea elementare. In ogni caso, ad ogni sostituzione di uno o più elementi corrispondono sia una rimozione/negazione, ossia una cancellazione o “taglio” (coupure), sia una “operazione di sopravvivenza” o di adattamento evolutivo che consiste nel mettere “un sostituto al posto di ciò che s’è sostituito”. Insomma, se da una parte qualcosa si toglie, qualcos’altro si aggiunge da un’altra parte. Questa regola è piuttosto elementare, o alfabetica, e vale per la comprensione dei processi “viventi” o delle interazioni in cui si ha compensazione mediata da movimenti che hanno spesso valenze contrarie tra di loro, come distruzione/creazione, crescita/decadenza, accumulazione/dissipazione.

La regola è centrale anche per comprendere come funziona l’inconscio nella psicoanalisi lacaniana: si hanno censura, rimozione e interdizione non perché qualcosa è vietato, ma piuttosto perché, nella logica pura delle sostituzioni permutative, è vietato vietare. Il «discorso del desiderio», che per Lacan è il discorso che scrive la geometria dell’inconscio, è lo strumento che per funzionare ha bisogno assoluto di operare sostituzioni e ricombinazioni proprio per affermare la sua capacità creativa e la sua funzione sovversiva di ogni “caratteristica abituale”, sia essa la più scontata certezza scientifica o filosofica. L’inconscio interdice il vietare ma lo fa per costituire e tenere in piedi una Legge basata proprio sulla regolazione negativa del divieto, se per “divieto” o censura intendiamo entrambe le funzioni che caratterizzano la negazione/rimozione che si trova applicata nei processi morfogenetici o nei cambiamenti strutturali simili a quelli descritti dalla TC. In questo senso la logica dell’inconscio ruota intorno al divieto di non godere dell’invenzione creativa che ne costituisce la specificità. L’inconscio non predica il «godere per il godere», come qualcuno va dicendo, ma afferma che «è vietato non godere». Per denotare la natura dell’invenzione creativa di cui parlo, per questo singolare tipo di divieto che non vieta, si pensi alla natura perversa e multimodale del gioco infantile, basato proprio sulla corrispondenza costruzione/distruzione, affermazione/negazione. La logica della sostituzione funziona nel mantenere attiva la ricerca immaginativa dell’equilibrio tra funzioni contraddittorie che vanno in direzioni opposte. Essa opera attraverso le fasi che segnano la trasformazione; e quindi la possibilità di operare sostituzioni o rovesciamenti locali (catastrofi) è essenziale proprio per poter individuare un insieme di elementi come stabili, perduranti o invariabili. Operando come una sorta di setaccio, la perestroika permette di identificare una configurazione come qualcosa di Reale perché in grado di sopravvivere alla catastrofe; si parli tanto di Reale in senso fisico quanto in senso psichico. L’invarianza di un elemento strutturale nella rappresentazione del Reale è perciò “immersa” dentro un flusso di trasformazioni/sostituzioni che ne costituiscono il supporto, e, nello stesso tempo, questa rappresentazione per esistere e sopravvivere deve “emergere” da questa specie di brodaglia caotica che la genera.

 

1.2 Si ripete spesso che la TC comporta una valutazione qualitativa dei fenomeni. In particolare all’analisi quantitativa che è tipica della meccanica classica, essa antepone lo studio delle specifiche condizioni qualitative (singolarità) che “differenziano” fenomeni solo in apparenza omogenei o omologhi. In questo senso la TC si discosta dai modelli che tendono essenzialmente alla “individuazione della causa precisa del fenomeno” come paradigma di legittimazione dell’intera operazione scientifica, intesa come dominio ideologico o campo applicativo su cui una scienza esercita il proprio potere, tanto tecnico, quanto teorico. Discostandosi da questa concezione, spesso si evoca la negazione della negazione che si trova nella dialettica hegeliana e la teoria della contraddizione che si trova in Marx per evidenziare come la TC produca uno spostamento dell’interesse scientifico in direzione dei processi dinamici o fluidi, mettendo in risalto le conseguenze che ogni cambiamento produce nel suo “contorno”, ossia nello spazio dentro il quale e con il quale la catastrofe si verifica.  Dove per “spazio” devono intendersi le specifiche forme qualitative (spaziotemporali) che si sviluppano a partire dalla frattura che dà origine al processo morfogenetico. Forme che per la TC sono compatte con il loro spazio, ossia sono spazio o “insiemi topologici” coerenti con il tipo di ordinamento rappresentato. Quest’ultima costatazione è da approfondire e spiegare meglio. Si capirà anche che solo con lo sviluppo delle geometrie non euclidee si è potuto pensare e rappresentare lo spazio in una maniera “topologica”, ossia a partire non dalla nostra intuizione percettiva immediata (che pure non va mai sottovalutata) ma dalla sua struttura matematica. Detto per inciso, Hegel e Marx, pur ignorando i principi che avrebbero modificato il modo di concepire la geometria, non erano estranei a una certa concezione rivoluzionaria della scienza che all’epoca trovava i suoi principali sostenitori tra coloro che, rifacendosi a Leibniz, consideravano l’analisi delle strutture spaziali come un dominio del calcolo differenziale (mathesis universale). In un mio lavoro, Il doppio mondo dell’occhio e dell’orecchio, ho largamente illustrato come il programma leibniziano avesse trovato un interprete geniale in Charles Fourier (1772-1837).  Benché fosse solo un commesso di bottega, questo “utopista” aveva anticipato di mezzo secolo la ricerca matematica ufficiale con la sua teoria delle serie armoniche e dei gruppi. Lo ha sostenuto Raymond Queneau, che era anche un matematico con discrete competenze, amico sia di Thom, sia di Lacan, assieme al quale aveva frequentato le straordinarie Lezioni tenute da Alexandre Kojève su La fenomenologia dello spirito di Hegel (1933-1939). Per inciso, ricordo che il matematico che per Queneau avrebbe ripreso la teoria dei gruppi già anticipata da Charles Fourier è Camille Jordan, il cui Traité des substitutions fu pubblicato nel 1870, e che io ho qui parzialmente utilizzato per illustrare il modo in cui funziona una sostituzione permutativa all’interno della TC. E questo ci dice che in fondo René Thom non ha inventato niente di particolarmente Nuovo.

 

1.3 Benché il problema della “struttura dello spazio” sia molto complesso  e sia intrecciato con quello della “natura del tempo”, proverò a semplificare partendo però dagli sviluppi apicali della ricerca in questo campo. La cosa più interessante che mi sembra venir fuori da un’immensa mole di lavori condotti da matematici, fisici e biologi è che il rapporto tra “fenomeno”  e “spazio” va rovesciato rispetto alla tradizione classica di stampo newtoniano. Nel senso che è il fenomeno a determinarsi come tale solo in quanto localizza se stesso nel “suo” spaziotempo. Non è lo spazio che fa esistere e apparire il fenomeno nel tempo, ma è il fenomeno che “scrive” lo spazio della sua stessa scrittura temporale. Non vorrei che si pensasse a una sorta di Mistica del fenomeno locativo debordante nella venerazione della contrada, dell’angolo, delle scarpe di Van Gogh, del sentiero o del pezzo di muro, oppure nell’ipostasi del cerchio, del triangolo, della croce o della retta infinita. Più semplicemente, affermo che il fenomeno è il suo essere spazio nel senso che esso si significa esattamente per il tipo di spazializzazione che rappresenta, si tratti di un’entità puntiforme, di una coppia di elementi o di un gruppo molto più strutturato. E perciò, alla varietà dei fenomeni corrisponde una varietà sorprendente di spazi dotati di molteplici dimensioni che si intrecciano e si annodano dando luogo a configurazioni che, malgrado o forse grazie al miracolo di questa eterogeneità compositiva, possiedono delle caratteristiche che ne consentono il raggruppamento e la classificazione in “famiglie”. In questo modo, si riesce a passare dalla rappresentazione locale delle singolarità alla teorizzazione di strutture cosmologiche di tipo globale, e viceversa.

Inoltre, attraverso questo intreccio di locale e globale si può tornare a parlare di grammatiche elementari delle superfici e loro relative topologie complesse e ipercomplesse. Perciò la ricerca topologica attuale, sia o non sia quella della TC, se riferita all’ordinaria pratica del pensiero comune, non è più da intendere come “scienza dello spazio” o “discorso relativo a ciò che è spazio”: tra il logos del discorso e il topos dello spazio s’è costituito un universo multi-dimensionale che ha reso estremamente più complesso stabilire a quale tipo di spazio faccia riferimento il Discorso o il Ragionamento. Dove col termine discorso-logos si indica tanto il discorso scientifico o filosofico, quanto il discorso mitico-religioso o magico-alchemico, che pure possiede specifiche topologie, come lo stesso René Thom ha sottolineato. Nella TC si ritrova un’attenzione specifica per queste concezioni “primitive” dello spazio, prese come antesignane di un uso antropico del “principio di località”, ossia come una sorta di implicito riconoscimento dell’importanza simbolica delle singolarità fenomeniche considerate alla stregua di mini-catastrofi. L’esperienza che il soggetto vivente fa di queste “localizzazioni” viene sviluppata in un vero e proprio  sistema di scrittura della memoria finalizzato  alla grammatizzazione di cose-spazio, insostituibili elementi attivi nel disegnare una corografia o topografia dello spazio percettivo. Ciò che possiamo anche chiamare una mappatura creativa dei luoghi dell’anima.