Dal taccuino di un fotografo di strada

di Pino Bertelli

Il debito pubblico nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo assoluto, di coloro i quali hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso

Thomas Sankara

—   Dalla terra degli uomini integri

Ouagadougou è la capitale del Burkina Faso, la Terra degli uomini integri, affogata nella polvere, fango, traffico d’armi… il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri della terra… dove s’intrecciano in “missioni umanitarie” più di 800 Onlus… dove la Monsanto impone le coltivazioni con semi transgenici (ha pagato milioni di dollari il governo)… dove lo sfruttamento dell’oro delle multinazionali (protette da basi militari statunitensi) sta modificando la memoria, la storia, la cultura di milioni di persone, per sempre.

La Terra degli uomini integri ha avuto come presidente Thomas Sankara, ucciso in un agguato a Ouagadougou, il 15 ottobre 1985. L’attuale padre-padrone del Burkina Faso, Blaise Kampaoré (che ha preso il potere nel 1987), è stato accusato (dalla vedova di Sankara e da innumerevoli osservatori internazionali) di essere stato uno dei mandanti dell’assassinio di Sankara e responsabile dell’uccisione del giornalista Norbert Zongo, che stava conducendo un’inchiesta sulla vicenda. La dittatura di Kampaoré, “accettata” se non sostenuta dai governi occidentali (come la Francia), continua… gli affari sono affari… ma in Burkina Faso si muore ancora di fame, di sete e di malaria. L’AIDS ha contagiato più del 20% della popolazione, l’infibulazione è praticata tacitamente e la corruzione governativa è fiorente. Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha emesso una condanna per l’insabbiamento da parte del governo del Burkina Faso sulla morte di Sankara, per non aver processato gli assassini e continuato — secondo Reporters sans frontières — ad intimidire se non a censurare la libertà di stampa.

Joseph Ki-Zerbo, il più grande storico dell’Africa, politico e uomo d’azione burkinabé, fondatore del partito di opposizione in Burkina Faso, autore di Storia dell’Africa nera: un continente tra la preistoria e il futuro[i], sostiene a ragione che:

“Fino al XVI secolo, l’Africa poteva validamente paragonarsi agli altri continenti. Poi è intervenuta una frattura che si è andata progressivamente allargando. La progressiva immissione di strutture politiche ed economiche provenienti dall’esterno ha finito per paralizzare le forze vive e le energie vitali del continente africano… l’Europa è arrivata alla fine e ha potuto beneficiare di tutto quanto l’Africa e l’homo erectus hanno offerto in materia di strumenti e invenzioni. Il fuoco, la parola, la scrittura e molte altre cose sono state offerte all’Europa dagli altri continenti, o perlomeno dall’Africa, su un piatto d’argento… la storia del continente africano che, prima dell’arrivo degli europei, aveva avuto momenti di grande splendore, si scontra con lo schiavismo e la tratta dei neri. Una tratta che trova la sua ragione in un altro genocidio, quello degli indigeni del Nuovo Mondo. L’Africa non ha probabilmente ancora finito di pagare il prezzo della tratta, che ha spopolato e dissanguato il continente… è stata una sorta di mega emorragia della popolazione africana, che l’ha menomata definitivamente fino ai nostri giorni… poi è arrivata la colonizzazione, che è servita a porre fine alla tratta, ma non ha cambiato la situazione. Gli africani hanno continuato a essere dominati e si è arrivati fino a efferati genocidi… Non si tratta di far luce sui danni materiali, ma piuttosto sul grave torto fatto all’Africa con la sistematica violazione dei diritti umani della persona del nero africano. Egli è stato trattato in modo tale che in lui è stata calpestata, umiliata, sradicata la specie umana. Come si è riconosciuto il genocidio e l’Olocausto degli ebrei, così si deve riconoscere il genocidio e l’Olocausto del popolo africano. La tratta e la colonizzazione hanno lasciato tracce fin nel subconscio dell’uomo africano. Mancanza di fiducia in se stesso, mancanza di rispetto per se stesso. L’immagine che un uomo ha di sé è un elemento essenziale per il suo sviluppo”.

Tutto vero. Il cinismo dei “governi forti” ha prodotto il sale della miseria in Africa e ad ogni angolo del pianeta… i dominatori dei mercati sono anche i produttori di guerre e attraverso il terrorismo delle Borse internazionali continuano ad assoggettare una grande parte dell’umanità.

Le idee, i discorsi, lo spirito egualitario di Thomas Sankara[ii] è ancora vivo nei popoli africani, tuttavia ciò che aveva iniziato in Burkina Faso (la condanna dell’infibulazione, della poligamia, della prostituzione, la promozione della contraccezione per debellare l’AIDS) sembra ormai cancellato… Sankara incluse le donne nel governo (cinque) e dette importanza e sostegno alle loro richieste di considerazione sociale. L’8 marzo 1987, in occasione della giornata internazionale della donna a Ouagadogou, disse: “Se degli uomini sono già ora vicini al grande giardino della rivoluzione, le donne sono ancora confinate nella loro oscurità spersonalizzante, confrontandosi in silenzio o con clamore sulle esperienze che stanno trasformando il Burkina Faso e che per loro non sono finora che dei clamori. Per gli uomini, le promesse della rivoluzione sono già realtà. Per le donne, invece, non sono ancora che rumori. Eppure è da loro che dipendono la verità e l’avvenire della nostra rivoluzione: questioni vitali, questioni essenziali perché nel nostro paese non si potrà fare nulla di completo, nulla di decisivo, nulla di duraturo finché questa parte importante di noi stessi sarà mantenuta in questo assoggettamento imposto per secoli dai diversi sistemi di sfruttamento. Gli uomini e le donne del Burkina Faso dovranno d’ora in poi modificare profondamente l’immagine che hanno di se stessi all’interno di una società che non solo determina nuovi rapporti sociali, ma provoca un mutamento culturale sconvolgendo i rapporti di potere fra uomini e donne ed imponendo agli uni e alle altre di ripensare alla propria natura.  È un compito temibile ma necessario. Si tratta di permettere alla nostra rivoluzione di dispiegare tutte le sue potenzialità, di rivelare il suo significato autentico in questi rapporti immediati, naturali, necessari, dell’uomo e della donna, che sono i rapporti più naturali fra esseri umani”.

Tutto vero. Umanità e mercato non vanno d’accordo… nemmeno politica e condivisione… fine delle rassegnazione e autodeterminazione dei popoli significa disfarsi dei deliri di potenza, di saccheggio, di appropriazione indebita di terre colonizzate, sfruttate, maltrattate e vomitare gli apparati di dominio dell’uomo sull’uomo, in Africa e dappertutto dove i mercati globali hanno eretto le forche finanziarie.

Il sogno panafricano di Sankara è stato strozzato dalle multinazionali che in Africa dispongono del continente e della vita degli africani. “È inammissibile — sosteneva Sankara — che ci siano uomini proprietari di quindici ville, quando a cinque chilometri da Ouagadougou la gente non ha i soldi nemmeno per una confezione di nivachina (clorochina) contro la malaria… [e affermava]: Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”.

La condizione degli ultimi non è che un dolore concentrato… la percezione della povertà come destino… un’intimazione dei governi ricchi contro tutti coloro che vogliono disfarsi dei propri rimorsi e dei propri rancori, incamminarsi verso nuove primavere di bellezza e portare una vampata di libertà là dove non c’è mai stata.

Nel 1986, durante i lavori della 25ª sessione dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA) tenutasi a Addis Abeba, Sankara si espresse in modo diretto sul perché il pagamento del Debito doveva essere rifiutato: “Noi siamo estranei alla creazione di questo debito e dunque non dobbiamo pagarlo. […] Il debito nella sua forma attuale è una riconquista coloniale organizzata con perizia. […] Se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, ne siamo sicuri; se invece paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi… Ci sentiamo una persona sola con il malato che ansiosamente scruta l’orizzonte di una scienza monopolizzata dai mercanti di armi. […] Quanto l’umanità spreca in spese per gli armamenti a scapito della pace!… Mentre moriamo di fame e nel nostro Paese ci sono migliaia di disoccupati, altrove non si riescono a sfruttare le risorse della terra per mancanza di manodopera. Se ci fosse maggiore cooperazione, potremmo arrivare all’autosufficienza alimentare e non dovremmo più dipendere dagli aiuti internazionali”. Ogni forma di politica (in Africa e nel mondo) è una mistificazione, una visione falsa della realtà che si situa al di sopra di ciò che è, invita al consumo di una felicità miserevole e nessuno si accorge che è la dilatazione di un’oppressione finemente costruita a danno di interi popoli.

Dai banchi delle Nazioni Unite, Sankara portò all’attenzione del mondo intero il grido di dolore di milioni di esseri umani che soffrono a causa di un sistema economico/politico crudele e ingiusto: “Parlo in nome delle madri che nei nostri Paesi impoveriti vedono i propri figli morire di malaria o di diarrea, senza sapere dei semplici mezzi che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo investire nei laboratori cosmetici o nella chirurgia plastica a beneficio del capriccio di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi di assunzione calorica nei loro pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel”.

Tutto vero. Niente è più miserevole delle promesse o delle trame delle democrazie (e dei regimi totalitari come Russia e Cina) a danno dei popoli impoveriti… ai grandi tavoli della “società civile” si spartiscono l’infelicità della terra e quando i potenti si riuniscono in convivio per decidere i piani economici, politici a sostegno del sistema finanziario dominante, c’è un po’ più dolore nel mondo. Il colonizzatore bianco si è accorto della lucidità dei neri, quando sono state tagliate le prime teste dei turisti nell’ora del tè… la musica che usciva dalla radio accesa su New York era “Polvere di stelle”. Vi sono mattini commoventi, ma difficili, diceva…  e aurore che promettono giorni di festa e danze sulla testa dei re… si fanno comprendere quanto basta e ci ricordano che il profumo delle rose di Maggio può mutare il corso delle costellazioni.

—   Sulla cava di pietre di Ouagadougou

La cava di pietre di Ouagadougou è una sorta di inferno a cielo aperto… ci lavorano bambini, donne, giovani e per una miseria spaccano pietre per fare strade, palazzi, barrages (di imprese multinazionali)… scaldano le pietre con il fuoco dei pneumatici, poi le spaccano con martelli, mazze, pezzi di camion… le donne e i bambini riempiono ceste e secchi e li portano ai bordi della fossa… uomini (anche armati) sorvegliano che nessuno entri nel ventre della cava (la lasciano fotografare  ai visitatori per qualche dollaro, dalla giusta distanza, quanto basta perché tutto sia raccontato in modo folcloristico e mai approfondito). Nessuno fa domande, nessuno dà risposte. I bambini più piccoli giocano nel fumo, nella polvere e mangiano, quando mangiano, in quel pantano di fuoco, fango e detriti… alcune donne hanno perso un occhio per le schegge, altre si portano addosso i bambini appena nati e continuano a fare un lavoro da schiavi.

Portfolio di Pino Bertelli

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Per una qualche amicizia che avevo con qualcuno al quale non poteva essere negata la mia presenza in quella cava (avevo fatto un libro fotografico a sostegno di donne, bambini, lebbrosi, cliniche dell’AIDS ed altro… in Burkina Faso)… sono riuscito ad entrare nella cava di pietre di Ouagadogou diverse volte… mi hanno concesso sempre poco tempo e una volta sono stato respinto sotto la minaccia di una pistola… ho cercato di testimoniare con la fotografia una situazione drammatica, dove degli esseri umani sono trattati in modo incivile e tenuti a catena da bisogni di sopravvivenza.

La fotografia non serve a nulla se non dice qualcosa su qualcosa e possibilmente contro qualcuno… fotografare l’autentico significa interrogare l’esistente e denunciare la benevolenza di quanti fanno della fotografia o degli “aiuti umanitari” l’imperativo dei propri interessi. La fotografia del vero è il risultato di una pienezza d’animo, dell’accoglienza del diverso da sé, della fraternità con quanti non hanno nemmeno più lacrime per piangere… la mia compassione per quelle persone private di ogni dignità, amore, bellezza… è sempre stata però ben poca cosa… rispetto al loro dolore… alla crudezza della loro esistenza… mi porto dentro i loro volti, le mani, i corpi martoriati e la detestazione della menzogna che continua a perpetuare questa tragedia sotto il sole innocente dell’Africa.

Non è vero che gli angeli convivono con i poveri… non bisogna credere con troppa disinvoltura agli uomini di chiesa, della politica, della cooperazione internazionale che dicono di occuparsi di queste “anime perse”… molte azioni dei “buoni samaritani” rasentano l’indecenza… imperano sulla testa degli ultimi, degli esclusi, dei proscritti insieme alle mafie locali e rappresentanti governativi… la complicità delle convenienze è un dono dei potenti e in molti conferiscono all’umiliazione dei poveri una sorta di maledizione, fino al punto di distruggere le loro radici storiche per convertire intere famiglie (a un nuovo culto, una nuova ragione, una nuova possibilità di salvezza) al prezzo di una manciata di miglio.

Il sorriso enciclopedico e la visione raffinata della politica neo-colonialista suscitano l’approvazione generale dei governi e missionari/inviati di tutte le dottrine/fazioni introducono sistemi, parole, modelli… dove l’obbedienza è al centro di tutto e nella spartizione delle ricchezze del suolo, dell’acqua, della cultura di chi non ha voce, celebrano i nuovi dogmi. La consacrazione dell’esempio consumerista è la peggiore punizione che gli uomini dell’abbondanza portano contro chi non ha nemmeno più sogni da inseguire, e la carità è l’impostura più infamante che permette la continuazione dell’oppressione generalizzata… i loro atti rappresentano l’orgia e l’estasi della frusta e del patibolo… la gloria dello smarrimento e il fetore dell’indole religiosa, politica o ”umanitaria”. I profeti, i falsi idoli o i maestri vanno “cotti e serviti in salsa piccante” (Pier Paolo Pasolini)… l’erudizione del disinganno e l’ironia del disvelamento portano a vedere che non c’è nessun vero dio e nessun vero stato… tutti si equivalgono nella protervia che portano contro chi vuole imboccare una propria via… fuori dall’inattitudine non c’è peccato né genuflessione… tutto è permesso perché niente è sacro. La felicità non si compra, si conquista. Le rivolte sono utili nei periodi di ignoranza o di credenze oscurantiste.

Nelle rovine della civiltà dello spettacolo orde di barbari si arricchiscono sfruttando e massacrando i loro simili… il sistema dei partiti ha fondato la propria fortuna sull’indifferenza, il parassitismo e la violenza… il totalitarismo finanziario non ha più bisogno di ideologie, fedi, politiche del restauro… bastano i funzionari, la polizia, gli indici della Borsa e la “sinistra al caviale” per tenere a catena i sudditi del mercimonio… dove la partitocrazia ha seminato la menzogna che chiama “libertà”, non spunta più che la sua tirannia. La nascita di una nuova umanità sarà inaugurata dai creatori o non sarà… ogni opera d’arte (degna di questo nome) dovrà essere un’arma di demistificazione e assalto al cielo di un mondo devastato… nel giorno stesso che la bellezza debutta sui crinali della storia, la giustizia e la felicità degli uomini e delle donne saranno la poesia a venire dell’intera umanità. In arte, come in amore, tutto è possibile.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 18 volte marzo 2014.



[i] Joseph Ki-Zerbo, Storia dell’Africa nera: un continente tra la preistoria e il futuro, Einaudi, 1977.

[ii] Thomas Sankara, I discorsi e le idee, a cura di Marinella Correggia, introduzione di Thomas Sankara, Sankara, 2006.