Una fotografia quella di Maria Letizia Battaglia e Roberto Timperi che è totale passione e amore per la vita, anche se raccontata in modo crudo e crudele; una fotografia che è una vera scelta di vita

di Sara Cavallo

La realtà così come è, per quello che è.

Senza filtri, senza manipolazioni.

“Mafia. Passion… Love” è il titolo della bipersonale di Maria Letizia Battaglia e Roberto Timperi (recentemente da me presentata a L’Aquila alla Sharky Art Gallery che dirigo). Tre parole che sembrano non avere nulla a che fare tra loro.

La prima, “Mafia” attira subito l’attenzione, ci catapulta in qualcosa di crudo, macabro. Si torna con la mente ad anni bui, gli anni di piombo, delle stragi politiche ma anche di quelle consumate all’interno di famiglie “comuni”, meno note ma ugualmente strazianti.

“Passion”, passione, termine che deriva dal participio perfetto del verbo latino pati, patire, soffrire, che per traslato indica un sentimento violento e forte, per lo più di attrazione o repulsione verso un oggetto o una persona, che può turbare l’equilibrio psichico e le capacità di controllo. Una passione intesa come totale coinvolgimento.

Infine, “Love”: amore. Quella forza che muove due fotografi a scattare, il filorosso che lega le immagini.

In queste tre parole si riassume e condensa un percorso fatto di fotografie molto diverse tra loro, opposte nello stile ma unite da un unico pensiero: la narrazione della realtà per quello che è, senza filtri.

La realtà raccontata da Maria Letizia Battaglia è la Palermo degli anni di piombo, degli omicidi di mafia appunto. La crudezza e verità della foto dell’uccisione di Piersanti Mattarella, in cui è tutto racchiuso in uno scatto. Il corpo estratto dalla macchina e sorretto dal fratello, le due donne che fanno da arco e che si chiudono sul cadavere lasciando intravedere uno spiraglio di luce: il dolore del momento.

Cosa può aver significato fermare quel momento? La Battaglia è riuscita a farsi strada tra la folla, cogliendo quel preciso istane che rimane lì silenzioso e urlante allo stesso tempo. Si riesce quasi a sentire il caos della folla intorno che rimane invisibile e muta all’occhio; eppure si sente.

Sgomenta invece il volto della vedova Rosaria Schifani, ritratta ad occhi chiusi, silenziosa. Un silenzio assordante, che mette in evidenzail dolore e allo stesso tempo l’incredibile forza di questa donna. Unica foto in posa, in cui è la luce ad essere protagonista e a svelare (illuminare) l’anima stessa del soggetto. Il volto è diviso perfettamente a metà da una fascia luminosa, come se una parte di lei fosse oscurata per sempre. È una delle poche fotografie ad occhi chiusi, un messaggio dritto al cuore.

Questo significa fotografare per Battaglia: andare dritta al cuore delle cose, eliminare ogni banalità dal racconto, scavare con l’immagine e dunque creare, anche se poi la creazione altro non è che la realtà.  Tutte le fotografie sono in bianco e nero perché il colore distrae, il colore può essere banale.

Fotografie che arrivano dritte al punto, come lo sguardo delle sue bambine. Significativa e famosissima la foto della “Bambina con il pallone”, che imbronciata guarda dritta nell’obiettivo: in quello sguardo così vero e profondo è racchiuso il cuore ferito di Palermo, la volontà di una bambina di dieci anni di sognare un mondo giusto. I bambini della Battaglia sono già cresciuti, le armi che portano non sono giocattoli, i loro sguardi sono già consapevoli, quasi coscienti del futuro che li aspetta.

Da un lato il bianco e nero, gli omicidi di mafia, i bambini non più innocenti e le donne coraggiose, le folle e le parate politiche; dall’altro, nelle immagini di Roberto Timperi, l’esplosione di colore, una luce flash quasi fastidiosa e sgranata, per raccontare la vita vissuta ai margini di Roma e Napoli (come di tante altre città) tra prostitute, pazzi e sconosciuti.

Portfolio (a cura di Sara Cavallo)

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Ogni fotografia racconta una storia diversa, mille storie diverse. Non sono immagini belle, ma vere. Immagini che non vorremmo vedere, che ci riportano in ambientazioni e luoghi che vorremmo evitare ma che sono lì, esistono e da cui non si può fuggire. Situazioni in cui il fotografo si è immerso totalmente, “[…] le amo, le vivo nel profondo e così le fotografo” (Roberto Timperi – intervista pubblicata da “Nero”). Le immagini sono forti e a tratti sconvolgenti. Sono nudi di certo non apollinei, ma corpi gonfi, labbra siliconate, volti sfatti e struccati. Trans dallo sguardo perso, che non guardano l’obiettivo, ma fissano il cielo in maniera quasi esasperata, sconsolata. Una bambina con il fucile, di cui si riesce a sentire la risata: lei sì, sta giocando, ma quanto è forte questa immagine, quanta paura ci fa vedere tanta gioia associata ad un’arma?

Bambini strappati a loro insaputa alla loro innocenza, il cui sguardo si perde malinconico e lontano dal balcone di un palazzo malmesso.

Unico volto più dolce è quello di una bambina, non a caso in bianco e nero, privo di quel flash così forte e disturbante. Guarda dritta in camera facendo da contrappunto alla durezza dello sguardo della “bambina con il pallone”. È l’unica bimba, ancora bambina che comunica serenità e un attimo di respiro tra tutte quelle immagini così crude.

Due percorsi apparentemente diversi che si intrecciano tra di loro, legati dal rispetto, anzi dalla “passione e dall’amore” per il soggetto ritratto. Un totale coinvolgimento verso ciò che i due fotografi si trovano di fronte, verso la realtà.

Una fotografia quella di Maria Letizia Battaglia e Roberto Timperi che è totale passione e amore per la vita, anche se raccontata in modo crudo e crudele; una fotografia che è una vera scelta di vita.