Gli uomini non riescono più a desiderare l’“amare” e l’arte si è fatta frigida promovendo continuamente sterilità per il semplice movente espresso dalla sofferenza del pianeta

di Antonio Picariello

 Ho deciso di scrivere questo racconto saggistico sulle modalità del testo orientale “Le mille e una notte” (in arabo: Alflailawalaila) nel tentativo di innescare una sorta di passeggiata rituale (Eco direbbe  nei testi narrativi) nelle vocazioni disperse della geografia “bella”. Il pianeta ha perso il suo dolce carattere d’amore per l’umanità.

Il compasso continua a esercitare la sua funzione geometrica: da un  punto nasce un cerchio. Ecco la perfezione.Quando Truffaut traduce questa perfezione nella bellezza della femminilità, il pianeta si riappropria del suo senso universale di unico luogo della vita riconosciuto dalla ragione.

La geometria sacra potrebbe, a questo “punto”, ritornare a riprendersi il suo compito salvifico riformulando la geografia finanziaria che ha usurato le anime sensibili fino a ridurle al lumicino assonnato della ragione che genera mostri, in geografia degli esseri viventi. Questi mostri hanno da tempo divorziato dal senso della bellezza evocato dalle mostre che promuovono l’arte del crescere attraverso l’opera di ricerca degli artisti. Truffaut era un uomo che amava le donne, le vedeva camminare con l’eleganza della geometria degli dei trasformandole in neolitiche figure della sapienza intrise dell’arte magica di chi conosce i segreti per misurare il mondo; una camminata che respira l’aria dell’unico pianeta che promuove la vita.

Quando ci concediamo ai luoghi, essi ci restituiscono a noi stessi e, più arriviamo a conoscerli, più vi seminiamo l’invisibile messe delle memorie e delle associazioni che saranno lì ad aspettarci quando vi ritorneremo, mentre luoghi nuovi ci offriranno pensieri nuovi e nuove opportunità. Esplorare il mondo è uno dei modi migliori per indagare la mente, e il camminare percorre entrambi i terreni“. La californiana Rebecca Solnit, votata come me e Antonio Gasbarrini al “sacrificio poetico” della  critica d’arte,  così ripropone un nuovo punto di vista sul mondo.

Quando lessi il suo testo nel 2002 (l’anno delle catastrofi) “Storia del camminare” ripensai a Truffaut e a quanto elegante fosse il suo sensibile pensiero di venerato “sciuscià” francese, lui che aveva dichiarato in un racconto: “Mio padre ritrovò le mie tracce e mi consegnò alla polizia. Sono stato ospite per molto tempo del riformatorio da cui mi fece uscire André Bazin. Sono stato manovale in un’officina, poi mi sono arruolato per la guerra  (Indocina). Ho approfittato di una licenza per disertare. Ma, dietro consiglio di Bazin, ho raggiunto il mio reparto. In seguito sono stato riformato per instabilità di carattere”. Bazin, per François Truffaut, è stato una figura paterna. Sarà lui a collocarlo presso il servizio cinematografico del Ministero dell’Agricoltura e in seguito ad assumerlo in qualità di critico cinematografico presso la rivista Cahiers du cinéma. Questo tipo di padri putativi oggi non esistono più, sono stati risucchiati dalla voce della finanza spietata, dal passaggio di uno spirito santo distratto che ha scambiato anime e bellezza delle  camminate quotidiane sul pianeta (l’unico che promuove la vita) in grafici e statistiche per le quotazioni del grano, dell’orzo, delle industrie, dei metalli, delle multinazionali (i veri imperi assoluti) e di tutto il conosciuto materiale (e non solo) sulla terra (non ancora si arriva a quotare le meteore o i territori extra planetari – ma ciò è funzione delle prossime future generazioni – in borsa.

Portfolio (Opere digitali di Antonio Picariello alias Pilò)

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Le passeggiate di Rebecca Solnit e le gambe a compasso delle donne si sono tramutate nel piacere dell’accidia. Gli uomini non riescono più a desiderare l’“amare” e l’arte si è fatta frigida e promovendo continuamente sterilità per il semplice movente espresso dalla sofferenza del pianeta.

La bellezza in fin dei conti si esprime con poco, sfoga nelle parole di un astronauta che risponde alla domanda di un giornalista che gli chiede cosa gli sia mancato di più della terra dopo aver trascorso sei mesi nello spazio: la pioggia risponde il volatile cosmico. Il pianeta Terra. Il nostro pianeta. “La terra nel suo splendore fotografata da 400 chilometri di altezza. La stessa quota cui orbita la Stazione Spaziale Internazionale, il nostro avamposto umano nello spazio. Il panorama di straordinaria bellezza restituisce emozioni anche a chi nello spazio non ci è mai stato fisicamente. Figuriamoci che cosa deve passare per la testa di un astronauta che galleggia lassù, in microgravità.” È Denise Giuliana Ferravante a parlare. Psicologa e ricercatrice ENEA. “Gli astronauti che hanno vissuto l’esperienza di guardare il pianeta Terra da grande distanza descrivono un sentimento di stupore e meraviglia, una condizione unica relativa allo straniamento indotto da una tale prospettiva estrema. In gergo tecnico si parla di overview effect e potrebbe avere importanti conseguenze psicologiche nell’ambito del volo spaziale, specie ora che stiamo preparando i nostri astronauti a missioni sempre più lunghe, con l’obiettivo di raggiungere nel breve tempo un asteroide o, perché no, Marte”.

Ecco dunque una nuova Commedia (divina e dell’arte) dove l’ombra di un poeta scende per poter trovare pace risalendo, e quando raggiunge l’apice massimo volta lo sguardo perché la luce del geometra dell’universo non è possibile contenerla nelle iridi degli umani. L’arte del passeggiare crea “figurativismi rappresentativi”, muove bellezza. Poi un suono e altri suoni sfornano una nuova visione e l’astrattismo si discosta dal segno del compasso e diventa ciclopico come un fungo atomico che sfiora in un tango il dito  di Adamo e nel framezzo soffiano altre correnti che hanno lo spavento dei palpiti cardiaci che si bloccano. Sono spifferi sottili in forma di tamburi di guerra che portano il getto del fuoco, dell’acqua, dell’aria e della terra. Un crogiuolo di bellezze antiche e future concentrate nella camminata di una donna che misura il mondo. Poi il suono di una chitarra. È Jimi Hendrix a Woodestok, il primo uomo a camminare sulle corde di uno strumento elettrico da dove fa  uscire le urla dei dannati innocenti bruciati dalla gradazione termica della prima bomba atomica. Inno di gioia al nostro bellissimo pianeta.